Ottobre
Ci siamo conosciuti in ottobre, ricordi? – Potresti mai dimenticare qualcosa, tu?
Ottobre: il mese in cui ciò che si protendeva verso il cielo cade senza rimedio sui marciapiedi, intessendo un caldo manto color del tramonto per le nostre fredde suole di gomma. Tra un chewing gum e una cartaccia, da qualche parte, per le vie di questa città, c’è pure un raggio di sole impresso nelle venature secche delle foglie, proprio come nelle tue vene azzurrognole, che sfioro.
Ti lasci guardare, senza alzare il viso, al sicuro nell’oscurità interrotta solo da qualche fascio di luce artificiale; la tua è una bellezza silente, che ammette muta contemplazione, ma non la richiede prepotentemente.
Eppure so che, nella tua apparente quiete, controlli che non compia un passo falso, che non mi spinga oltre la misura, che non ti ferisca più.
Ti prometto che non succederà, stavolta.
Stringo una mano attorno al tuo polso, poso l’altra sulla schiena e, tentando di imitare il volteggio di una foglia d’acero che cade al suolo, mi vesto di grazia – quella che la natura mi ha concesso è ben poca, ma è tutta per te – e del riverbero di un riflettore, conducendo questa danza fuori tempo.
Il mondo corre veloce, intorno a noi, in un ritmo forsennato, che non riusciamo ad apprezzare come dovremmo, alla nostra età, ma trovo che sia giusto così: è splendido essere discordi se per una volta, con me, lo sei anche tu.
«Auguri», sussurro al tuo orecchio.
Devo sembrarti pazzo, ma non osi allontanarti da me. Mi guardi, confusa, e non comprendi. Le labbra ti tremano, le ciglia fanno del loro meglio per detergere i tuoi occhi, come se questo bastasse a farti vedere più chiaramente qualcosa che non ti torna.
«L’hai scordato? Sono passati esattamente quattro anni da quando ci siamo conosciuti».
Il sorriso che si scioglie sul tuo viso, sempre più dolce, sempre più emozionato, è una macchina del tempo. Ho la consapevolezza di averti riportata indietro, mentre tu hai appena ricondotto me al presente.
«Auguri a noi», sorrido, prima che le mie labbra s’impattino sulla tua guancia.
Ottobre: il mese in cui ciò che si protendeva verso il cielo cade senza rimedio sui marciapiedi, intessendo un caldo manto color del tramonto per le nostre fredde suole di gomma. Tra un chewing gum e una cartaccia, da qualche parte, per le vie di questa città, c’è pure un raggio di sole impresso nelle venature secche delle foglie, proprio come nelle tue vene azzurrognole, che sfioro.
Ti lasci guardare, senza alzare il viso, al sicuro nell’oscurità interrotta solo da qualche fascio di luce artificiale; la tua è una bellezza silente, che ammette muta contemplazione, ma non la richiede prepotentemente.
Eppure so che, nella tua apparente quiete, controlli che non compia un passo falso, che non mi spinga oltre la misura, che non ti ferisca più.
Ti prometto che non succederà, stavolta.
Stringo una mano attorno al tuo polso, poso l’altra sulla schiena e, tentando di imitare il volteggio di una foglia d’acero che cade al suolo, mi vesto di grazia – quella che la natura mi ha concesso è ben poca, ma è tutta per te – e del riverbero di un riflettore, conducendo questa danza fuori tempo.
Il mondo corre veloce, intorno a noi, in un ritmo forsennato, che non riusciamo ad apprezzare come dovremmo, alla nostra età, ma trovo che sia giusto così: è splendido essere discordi se per una volta, con me, lo sei anche tu.
«Auguri», sussurro al tuo orecchio.
Devo sembrarti pazzo, ma non osi allontanarti da me. Mi guardi, confusa, e non comprendi. Le labbra ti tremano, le ciglia fanno del loro meglio per detergere i tuoi occhi, come se questo bastasse a farti vedere più chiaramente qualcosa che non ti torna.
«L’hai scordato? Sono passati esattamente quattro anni da quando ci siamo conosciuti».
Il sorriso che si scioglie sul tuo viso, sempre più dolce, sempre più emozionato, è una macchina del tempo. Ho la consapevolezza di averti riportata indietro, mentre tu hai appena ricondotto me al presente.
«Auguri a noi», sorrido, prima che le mie labbra s’impattino sulla tua guancia.
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Scordare deriva dal latino ex corde, “fuori dal cuore”.
Tu mi hai appena fatto approdare al tuo.
Dodici ottobre: la scoperta dell’America e, per me, del tuo nome. Non sono mai giunto in un porto più felice.