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Autore: toluene    01/06/2015    2 recensioni
{ one-shot: 622 parole | simil-headcanon? | Nero/Bianco }
Dal testo/: Senza i ricordi, il mio passato, non sono nessuno. Sono e sarò sempre chi sono stato. Non potrò toccare più con mano essere alcuno, sono vincolato a portarmi appresso le memorie della mia vita passata, come a monito: non sarai mai più così, hai sbagliato, non si torna indietro.
• conservo la memoria della mia vita mortale •
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
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Conservo la memoria del tempo che fu.








 

Se mi chiedessero qualcosa sul futuro non saprei rispondere. Se mi chiedessero qualcosa sul passato, con malinconia e un po’ di rimorso, mi metterei a narrare della storia che mi ha segnato.
La storia che parla di come quelli come me sono nati: una storia di tristezza e sacrifici. Una storia che parla di cose che non andrebbero fatte.
Magia, di quella sbagliata. Allora la chiamavano così, ora probabilmente sarebbe etichettata solamente come scienza.
Nessuno di noi ha mai avuto questo aspetto, nessuno di noi ha mai capito come possa essere accaduto realmente. Eravamo stupidi, certamente, forse pieni di tracotanza umana.
Ora che non lo sono più capisco molte cose. Ora che sono costretto in queste spoglie anomale, diverse, ora che ho un corpo fatto di tenebra e di tristezza, comprendo tutto ciò che ho fatto di sbagliato.
Nelle notti passate in solitudine mi assale la tristezza e osservo quel volto così familiare, del quale mi rimangono solo i ricordi.
Senza i ricordi, il mio passato, non sono nessuno. Sono e sarò sempre chi sono stato. Non potrò toccare più con mano essere alcuno, sono vincolato a portarmi appresso le memorie della mia vita passata, come a monito: non sarai mai più così, hai sbagliato, non si torna indietro.
Sento un rumore, non è strano in un mausoleo del genere. Tutti sentono rumori.
È una ragazzina, avrà al massimo quindici anni, tiene una Pokéball in mano. Appena mi vede spalanca gli occhi e uno sguardo di determinazione si fa largo nella sorpresa iniziale.
Manda in campo un Darmanitan, che sembra anche lui piuttosto giovane. Grida qualche Attacco, che non faccio in tempo a schivare – o forse non voglio? –.
Una vampata di calore mi avvolge, facendomi quasi sciogliere. È una sensazione quasi piacevole, mi era mancato il caldo del sole sulla pelle.
Sento un gran vuoto che mi risucchia, e poi la voce della ragazzina che esulta.
 
Passano le ore, sempre rinchiuso in questo spazio angusto. Quando finalmente sono libero mi ritrovo in un ambiente che non riconosco. Le luci alogene sono accecanti, il bianco abbacinante e la sensazione di calore se ne è andata, sostituita da una se possibile ancora più piacevole. Mi ricorda la biancheria fresca che un tempo mi era famigliare.
«Che nome dovrei darti?» chiede la voce della ragazzina.
Io ho già un nome! vorrei gridare, per poi rendermi conto che di tutte le cose che ricordo, quella proprio non mi viene in mente.
«Sei triste?» mi domanda, dopo aver passato una mano sopra il mio corpo senza consistenza. È una bella sensazione, qualcosa di famigliare, che però non riesco a rimembrare.
Un altro ricordo perso nella montagna dei tanti che ho.
vorrei risponderle, ma mi limito a prendere la maschera che porto sempre appresso e mostrargliela, nella vana speranza che possa capire.
La ragazzina inclina la testa, mi guarda con quegli occhi grandi e vivi, pieni di curiosità e gioia. Quelli li ricordo, ricordo che i miei occhi erano simili.
«Di chi è questa faccia?» domanda, una piccola scintilla di stupore s’innesta in me, forse ha capito. O forse non l’ha fatto, ma ha posto la domanda giusta affinché io possa spiegarle tutto, liberarmi da questo peso.
Indico il mio volto, dalla mia gola non riesce più a fuoriuscire alcun suono.
«Tua? È... Era la tua faccia?» mi chiede, inginocchiata sul letto sopra al quale mi sono accorto di riposare. Poco lontano c’è il Darmanitan che mi ha così facilmente battuto.
Annuisco, sciogliendo i muscoli inesistenti del mio corpo senza forma, posandomi sopra il candido materasso.
«Eri una persona? Come me?»
Annuisco ancora.
«E tutti gli Yamask lo erano?»
Tutti, io conservo solo la memoria del tempo che fu.


 
















 

Of immunopathology's pathologies:
Okay, immunopathology arriva anche qua... perché? Probabilmente perché sono annoiata e allora mi son detta: prendiamo un numero a caso, scegliamo il Pokémon con quel numero e scriviamoci una storia sopra. È uscito Yamask e quindi Namaste gente dell'internet: ho scritto una storia su Yamask.
Tengo a precisare che tutta la mia teoria è solamente presa dalla descrizione Pokédex del Pokémon, un po' riadattata e resa leggermente triste, perché la tristezza è fonte di vita di immunopathology. E poi parlo in terza persona... già.
Quindi... sì, ci ho provato, vediamo se piace anche a voi.
immunopathology.
   
 
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