Anime & Manga > Slam Dunk
Ricorda la storia  |      
Autore: kanagawa    02/06/2015    2 recensioni
Sembrava che a Kanagawa fosse sempre estate, perché in effetti era proprio così che se lo ricordava Maki...
"Era stata una di quelle mattine nuvolose, sul delimitare della fine della stagione turistica, quando a Kamakura la sabbia si intiepidiva e tra le dita dei piedi scivolavano via i granelli setosi, sfiorando le prime malinconie dell’autunno. Dappertutto, le famiglie si salutavano per intraprendere lunghe maratone di rientro sugli asfalti ancora roventi. E fu allora che arrivarono, per ultimi, le valigie sul tettuccio, racimolando un posto in una pensione ancora aperta… Capelli castani, se ne stava in macchina, il berretto dei Knicks calato fino alla punta del naso, la noia che luccicava fuggevole sotto la frangia arruffata… I genitori piuttosto affabili, e un adolescente."
-----
So di essere in anticipo, ma qui in estremo oriente fa già così caldo... Un'ultima storia prima di tornare a casa. Buona lettura.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kenji Fujima, Shinichi Maki
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Light from a dead star'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



11:45. Il palazzetto era gremito di spettatori. Il palcoscenico appena spazzato dall’uragano dell’ultimo incontro, scie di esaltazione che ancora non avevano abbandonato il legno tiepido, surriscaldato. Il sottofondo di brusio eccitato della maglia blu trascinava dietro di sé la sconfitta dei rossi, capi reclinanti, migrando verso gli spogliatoi.
Sulla soglia, il capitano Sendoh si volse.
In lontananza, li vide ergersi, specchiando il cocente bagliore del parquet. L’uno di fronte all’altro, senza dire una parola, ma in fondo, senza riuscire a vedersi per davvero… I loro sguardi si incrociavano, per trafiggersi al di là della materia visibile, al di là degli spalti, oltre quei soffitti altissimi e i riflettori, dove le grida soffocavano ed i pensieri, nel silenzio assoluto, si ridestavano.
 
Sono passati tre anni da allora, te lo ricordi, Kenji? Quando ancora mi chiamavi per nome, quando… a quella fermata del treno, senza avvertirmi, eri sceso prima di me.
E fu allora che capii, che avevi scelto lo Shoyo.
Sei sempre stato un po’ incostante e inafferrabile. Il tuo viso sorridente, mentre mi guardavi dall’altra parte del finestrino, in quel tremore beffardo, il treno che ripartiva. Non l’ho ancora scordato… Ogni volta, il cuore mi si torce in una stretta malinconica, a rimembrare l’istante che sei fuggito via da me.
 
«Si può sapere che ti è preso??» Tra le dita forti, le maglie della rete del playground cigolarono mollemente.  
Lui si sedeva tra i gradini rialzati, il cappuccio della felpa calato sul viso, covando un sorriso di impertinenza. «Perché ti ho mollato sul treno, o perché ho disdegnato il grande Kainan univ?»
«Con tutto quello che hai studiato… Kenji, perché?» Si accigliò l’ex compagno, la fronte avvallata tra indignazione e incredulità. Per un lungo silenzio, non rispose, lasciando cadere a vuoto la domanda. Si alzò, le mani in tasche, accostandosi a lui. Il vento frullava tra le coltri della sua frangia castana, sollevandola piano. Guardava l’orizzonte d’acqua sul mare, rispecchiando quel medesimo blu lontano e baluginante. «Sei proprio deciso, eh?» Gli sguardi tesi paralleli, gli domandò l’amico.
Fujima si volse verso di lui e gli sorrise ancora. «Chissà chi di noi due riuscirà ad andare ai campionati nazionali?» E non era una domanda, sapeva… «Se venivi al Kainan, non avresti avuto problemi…»
«Non mi piaceva la divisa…» Il labbro arricciato, emise una nota di leggiadria che presto ridiscese sulla terra. «…Giochiamo entrambi come guardia avanzata, non voglio ritrovarmi nelle condizioni di dover rivaleggiare con te per lo stesso ruolo in squadra, sarebbe assurdo e controproducente.»
Il discorso non faceva una piega, come sempre non sapeva come ribattere le tesi di Fujima. E nell’intimo, pizzicandogli le corde dell’anima, ravvisò un bruciore di colpevolezza per il quale, forse, si era sempre tormentato. «Kenji, tu sei un eccellente playmaker, mettitelo in testa! E poi io sto crescendo molto ultimamente, potrei essere più versatile in futuro…» A occhi chiusi, Fujima scosse il capo, il filo moderato delle labbra spianandosi. «…Qualunque allenatore capirebbe che sei sprecato nel ruolo di ala.»
«Se lo dici tu…» Sospirò Maki.
Sui blocchi di frangiflutti, il mare indugiava dolcemente. Un gabbiano planò sopra le loro teste, distorcendo i raggi di sole. Le palpebre abbagliate, sul filo della luce gli occhi si assottigliavano. L’uno accanto all’altro, il vento tra i capelli, mirarono insieme quell’indefinibile tratto di confine dove il blu dell’oceano si alienava dalla volta celeste. Le iridi ricolme di quel futuro lontano, seppure le visioni sopraggiunte ritagliassero ormai traguardi differenti nei loro occhi…
 
Sai, Shin’ichi… La verità è che in quel momento non avrei voluto scendere dal treno. Per tutto il tragitto, in me quel tormento si era consumato, e le gambe non volevano rispondere agli impulsi della ragione. Certo, ormai era tardi… La verità è che avrei voluto rimanere su quel treno, accanto a te, magari perfino accettando di stare alla tua ombra e giocare per il Kainan, ma non sapevo rinunciare al mio orgoglio.
Quando giungemmo alla stazione di Izumino… Quando, ingoiando quel nodo mordace alla gola, mi alzai dal sedile, facendo leva su tutte le forze che avevo per non risedermi, ero saltato giù dal nostro vagone, lasciandoti con quell’espressione ebete e incredula, le mani posate sul vetro… Ti sorrisi, ma avrei voluto sprofondare.
Non sei mai stato in grado di comprendere le mie scelte, e io sapevo, che non le avresti comprese nemmeno in futuro. Ma non me ne sono pentito, neanche una volta. Perché in fin dei conti, io sono un egoista
 
«Il Kainan?» Il ragazzo strabuzzò gli occhi, la cannuccia morsicata del succo che gli cadde dall’angolo della bocca semiaperta. L’esuberanza stampata sulla faccia, in eguale contegno gli sventò davanti il sorriso trionfante e il modulo dell’indirizzamento studi. «Ho avuto la raccomandazione. Mi vogliono nella squadra di basket!» L’espressione del compagno verteva sullo scetticismo, indugio che non piacque a Maki. «Mi aspettavo una reazione più dinamica da parte tua, Kenji Fujima… È il Kainan, sai?! 14 anni consecutivi di.…» Fujima si stirò la schiena, quasi concedendosi uno sbadiglio di disinteresse. «…Di partecipazione ai campionati nazionali, lo so.»
«Allora?» Scandì lui, offeso. «Non so... Non mi piacciono, sono dei sbruffoni.» Chino sul banco, prese a scarabocchiare su un pezzo di carta, la bocca ostile avvolta nella mano, reggendosi sul gomito teso. «Ma sono forti. I migliori della prefettura!» Replicò Maki, mentre gli si metteva a sedere davanti. Fujima annuì, distratto. La frangia gli pesava grevemente sulla fronte, celando quei lineamenti delicati. Molesta e disinvolta, la mano abbronzata che gli sollevò quella coltre castana, nel tentativo di ripescare i suoi occhi perduti. «Dovresti tagliarteli questi capelli. Sembri una ragazza!» Due biglie scure lo folgoravano a pochi centimetri dal naso: gli sorrise, altrettanto mordace. «Hai le rughe, Shin. Guarda, proprio qui…» Fece, indirizzandogli un dito tra le tempie rigate. Maki si levò di scatto, coprendosele. «Non è vero!» E ciò che vide scintillare sul viso del compagno, fu il bagliore riverberante di un riso etereo e spensierato.
«Che cosa stavi scrivendo?» Gli chiese, prima di andarsene. «Nulla …» Fujima posò la matita accanto al foglio deturpato di spirali e stelle filanti.
«D’accordo, io vado agli allenamenti.» Lo vide allontanarsi, di spalle, una mano levata che oscillò brevemente sulla soglia. Risollevò il foglio e lo rovesciò sul lato opposto. Dall’astuccio prese una penna; nella prima casella del modulo, un po’ sbiadita, ricalcò una scritta a matita .... Liceo Shoyo.
 
Quella primavera, avevano dato l’esame di ammissione al Liceo annesso all’Università di Kainan, e a pieni voti lo superarono entrambi. Non che a Maki servisse tanta perseveranza, la metà della sufficienza gli era stata garantita dal preside stesso, mentre Fujima… Irrefutabilmente, avrebbe potuto accedere a qualunque liceo di prestigio con solo la media dei voti.
A sua insaputa, aveva fatto un altro test in una scuola lungo la stessa linea ferroviaria. La mattina che erano usciti i risultati, di nascosto, era andato a vederli. Davanti al tabellone, rimase a guardare i caratteri solitari del proprio nome, come se si fosse trattato del nome di un perfetto estraneo. Non sorrise, tantomeno sospirò, perché sentiva che qualunque espressione sarebbe stata di troppo. Nella primavera dei suoi 15 anni, aveva preso una decisione. La prima assoluta che avesse mai contemplato nel preludio della maturità, in perfetta inettitudine… Tra quelle righe serrate, forse, aveva intravvisto le fessure baluginanti del proprio futuro. Non sapeva esattamente dove stesse andando, né il senso di questa scelta contraddittoria, ma ciò che poté cogliere nel muto precipitare della metamorfosi, ineluttabilmente, fu già certezza dentro di lui.
Inalò un lungo respiro e riaprì gli occhi. Matricola n° 189, Kenji Fujima, ammesso. Con impeto vi staccò lo sguardo, e, quasi rifuggendo, a passo scattante Fujima uscì dal cancello del Liceo maschile Shoyo.
 


****
 


La prima volta che si erano incontrati… o scontrati, fu in quel campetto dietro casa. Quello che si affacciava sul mare…
Maki faceva la seconda, 14 anni, indole placido e grave, il peso di un’era ignota sulle arcate delle sopracciglia perennemente corrugate. Quell’estate aveva appena imparato a stare in piedi sulla tavola da surf, andava sulla spiaggia quasi tutti i giorni, e di Kanagawa conosceva ogni scoglio e insenatura. Sapeva attendere il vento, sapeva costruire onde negli occhi, fissando l’ago teso dell’orizzonte. Aveva una passione di cui nutrirsi, e il basket ci giocava a tempo perso. Seppure… Per quelle poche partite dispensate nell’arco dell’anno, si era già guadagnato un certo rispetto tra i coetanei. Ma lui non ci pensava, voleva solo le sue onde perfette
Era stata una di quelle mattine nuvolose, sul delimitare della fine della stagione turistica, quando a Kamakura la sabbia si intiepidiva e tra le dita dei piedi scivolavano via i granelli setosi, sfiorando le prime malinconie dell’autunno. Dappertutto, le famiglie si salutavano per intraprendere lunghe maratone di rientro sugli asfalti ancora roventi. E fu allora che arrivarono, per ultimi, le valigie sul tettuccio, racimolando un posto in una pensione ancora aperta… Capelli castani, se ne stava in macchina, il berretto dei Knicks calato fino alla punta del naso, la noia che luccicava fuggevole sotto la frangia arruffata… I genitori piuttosto affabili, e un adolescente: avevano destato un certo stupore, arrivando all’improvviso in città; tutti pensavano che fossero dei turisti di passaggio, forse un po’ sprovveduti. Dopo due settimane di permanenza, presero casa e vi si stabilirono definitivamente.
Si trattava invero di un trasferimento di lavoro del padre, nulla di eclatante, del resto, ci era ormai abituato agli sguardi curiosi e invadenti degli ennesimi nuovi vicini. Non sapeva nemmeno se era necessario contraddire questo stile di vita: dalla tenera età era sempre vissuto così, dirottando da un posto all’altro sull’arcipelago del Giappone, nell’alienazione di una normalità assoluta. Non era mai rimasto in una città tanto a lungo da stringere amicizie rilevanti, e, in un certo senso, non ne sentiva nemmeno una reale, preponderante necessità. L’effimero e la precarietà erano per lui le misure di un coefficiente quotidiano. Nulla era importante, e tutto, al contempo, poteva passare attraverso i suoi brevi orizzonti bluastri… Seppure, in definitiva, non lo scalfissero affatto.
Ma accanto a lui, c’era un unico punto fermo. Un pallone da basket. Dovunque andasse e chiunque incontrasse, non c’era altro peso nel suo universo, all’infuori di esso.
 
Nella stessa misura con cui poteva ignorare il ronzio del ventilatore, aveva sentito di striscio il cicaleccio della madre e signore a seguito su una certa famiglia trasferitasi da poco nel quartiere e, in particolare, il figlio dall’aspetto poco asiatico. Non gli era venuto in mente che potesse trattarsi della stessa persona, in quel momento. Solo, si era chiesto, mentre si vedeva soffiare la palla per la sesta volta, da dove diamine potesse essere sbucato… E no, non aveva intenzione di giocare quella mattina, quando veniva verso la spiaggia. Ma qualcosa… Forse una macchia di colore fuori posto, su quel campo, aveva attirato la sua attenzione.
Si era accostato alla recinzione, lasciando il bodyboard sul ciglio della strada. C’era più subbuglio del solito, seguiva le raffiche di scambi e passaggi sotto il canestro, senza prestarsi a particolari pensieri. «Chi è quello?» Aveva sentito la propria voce estraniarsi, lo sguardo fisso sulla massa di chioma castana in movimento. «Non so, uno nuovo. Non l’abbiamo mai visto…» In un ritaglio della coscienza rinveniva la replica anonima di un amico… L’angolatura perfetta di una mano su cui uno spiraglio di sole brillò brevemente… Da lontano giunse, un tonfo secco, echeggiante, volatile che lo fece sussultare e rabbrividire al contempo. Il vento marino soffiò da ponente, richiamando i suoi passi… Eppure, Maki non si mosse.
C’era qualcosa di indefinibile che lo tratteneva sui bordi del campo, somigliava … a un’onda. Lo guardava immobile, lo sentiva emergere lentamente, ma non sapeva spiegarselo: come quella sensazione, quando la sentiva arrivare dietro di sé, la cresta d’acqua che si rigonfiava progressivamente fino quasi a travolgerlo, l’attimo prima di prendere il decollo e iniziare a scivolare… Un moto ondulatorio, profondo, seducente… come… volare.
Tutto questo lo perveniva ora in qualcosa di indefinitamente fisico, tangibile. Un campo di basket. Quell’espressione inebetita, mentre sostava tra le teste degli astanti, a metà strada tra incanto e scetticismo: da quanto tempo non giocava a pallacanestro? «Non lo tiene proprio testa nessuno… Perché non gli fai vedere come si gioca qui a Kanagawa, Maki?» Fu il commento del compagno attiguo, forse, pregustandosi già beffardo lo spettacolo. Fischiò sonoramente a un giocatore ansimante, che gli scaricò volentieri il pallone tra le mani.
Tre contro tre. Dall’altra parte, il canestro occupato da tiri in stile libero, gli esercitanti fortuiti abbandonarono le attività delle mani, quando lo videro scendere in campo. Un piede calpestando l’arco maggiore, Maki prese posizione in attacco: di fronte a lui, come in un copione di seconda mano premeditatamente stesa, venne ad affacciarsi dirimpetto l’indifferenza del suo profilo immacolato. Non guardava nessuno in particolare, allo stesso tempo, quello sguardo pareva sondare intensamente ogni volto. Erano troppo lontani, troppo alteri, quegli occhi azzurri, per contenere altra sfumatura oltre al riflesso del cielo sconfinato… In definitiva, uno perfetto stronzo.
Alla prima mossa andò dritto al canestro, stranamente, nessuno cercò di fermarlo… Ne rimase quasi deluso. Ma al secondo turno, lo straniero era rimasto lontano, mentre Maki fronteggiava il possessore di palla. Scartando contrattempi di finte e scatti, il passaggio era stato effettuato precipitosamente, convergendo tutte le linee di tensione a un’estremità del rettangolo, dove la sua figura marginale attendeva già. Prontamente gli sfrecciò davanti, parandogli la strada, intanto che lui alzava le braccia nell’atto di segnare un tiro libero… In un battito di palpebre, le ritrasse; ruotò a ritroso su un singolo piede, la palla rimbalzò una volta dietro la schiena precedendo la presa sincronizzata che l’accolse con un movimento fluido, si portò di scatto a destra con tutto il peso e nello scarto di spazio guadagnato schizzò via dal suo breve campo visivo: Maki non seppe da che parte voltarsi, tanto quel cambio di posizione lo disorientò, mentre veniva sorpassato da quel che gli era parso repentinamente una folata di vento. Immobile nel medesimo fotogramma antecedente, la schiena lievemente ricurva e le braccia distese, dietro di sé, sentì giungere il botto leggero e quel familiare frustare di catena… Canestro.
Maki riprese a respirare. Quello … fu l’inizio.
Non sapeva il suo nome, non azzardava a dedurne l’età. Forse, della sua persona, in primo luogo aveva recepito solo un flusso di energia, puro e inafferrabile… Mentre si voltava per scorgerlo, -lui che trottava via dal canestro dopo l’attimo di visibilio,- una piega nervosa gli si sollevò all’angolo della bocca: Maki, sentendosi percuotere leggermente, sorrise. E forse, solo allora, seppe cosa fosse davvero il basket…
Ai bordi del campo, a mattinata inoltrata, la combriccola si dileguava alla chetichella. L’uno in piedi e l’altro accucciato a braccia tese, Maki gli offrì una mano libera, la sinistra stringendo alla vita ancora il pallone. Rantolò tra il fiato corto. «Senti, di dove sei?» Il ragazzo considerò la domanda e quel palmo abbronzato, l’espressione vacua e lontana, rispose. «….Kitasawa…» Non colse il nesso geografico, mentre sentiva il proprio invito decadere. «Ti vedrò ancora da queste parti?»
In silenzio si alzò, asciugandosi la frangia umidiccia con un braccio; e infine, gli aveva sorriso, senza aggiungerci particolari motivazioni. «…Non lo so.»
Esposta al vento, la fronte catturava il bagliore del sole, e gli occhi arcuati di un languido azzurro lo fissavano. Di fronte all’intera compagnia, per la prima volta in assoluto, Shin’ichi Maki era stato battuto a pallacanestro.
 
 
All’inizio del secondo semestre, in classe si era trasferito un nuovo alunno.
Alle 8:45 di mattina, era entrato dalla porta timidamente e si era piazzato di fronte alla cattedra, disinibendo l’imbarazzo mentre l’intera aula lo fissava. «Kenji Fujima, piacere di conoscervi.» Fece un inchino e venne invitato a sedersi al banco in fondo, accanto a un ragazzo piuttosto alto. Dispose le sue cose e prese a studiarsi il confine del proprio banco, occupato da una chiazza di pelle scura; alzò lo sguardo... Si teneva il mento raccolto in un pugno chiuso, la bocca nascosta, gli occhi grevi e lontani, planando oltre i tetti degli edifici incorniciati… Secondi di indolente attesa, dopo un po’, il ragazzo abbronzato virava il profilo verso il nuovo compagno di banco, e fissandolo, rimase in silenzio.
Sorrise, come se emergesse all’improvviso dal torpore, levandosi la mano dal viso. Rilassò la schiena contro il cigolio della sedia, le braccia allineate sul tavolo, ancora incrociando il suo sguardo.
…. Se lo era ritrovato davanti, come nulla fosse, quel primo giorno di scuola. Fu allora, che imparò il suo nome, e non se lo scordò più.
Erano diventati subito amici, con una disinvoltura e una rapidità disarmante. Era divertente stare con lui, Kenji era fuggevole e imprevedibile in tutto ciò che faceva. Una creatura leggiadra, differente. Questa natura cangiante lo innervosiva a volte, sebbene in fondo ne fosse irrimediabilmente affascinato. Non aveva mai conosciuto qualcuno come lui, era difficile afferrare i suoi pensieri, e forse, ancora adesso non aveva la certezza di conoscerlo del tutto.
Durante l’autunno passato insieme, Maki cominciò a frequentare assiduamente il playground. Sarà che ogni volta, lo trascinava Fujima a giocare, e al suo entusiasmo non sapeva proprio declinare. La mattina passava a prenderlo in bicicletta, e si issava su nello sforzo di portarlo, lungo le salite, ostinato a non farlo mai scendere; e dietro di lui, Maki sogghignava prendendolo comodamente in giro. Quelle volte, riparandosi gli occhi con una mano dal bagliore del sole, mirava sempre la volta azzurra schiudersi tra i tetti delle case.
Il passare delle stagioni lungo il medesimo sentiero… Le mattonelle di terracotta e le foglie secche, i rami vibranti e gli infiniti fasci elettrici. Poi la neve, tanta neve… Dopo la lezione di ginnastica in palestra, quando uscirono e trovarono tutto imbiancato: il candore ingenuo del suo viso acceso dalla meraviglia, mentre si precipitava fuori con nient’altro che una felpa addosso, come se fosse la prima volta che la vedesse. Maki, restio sulla soglia, veniva trascinato presto in mezzo alla piazzetta innevata, sorvolando sbuffi e brontolii perché detestava il freddo, e lo seguiva a malapena stando in equilibrio, lui che traballava sotto i fiochi in caduta libera, volteggiando, senza curarsi degli sguardi scettici dei passanti. E in un momento di distrazione, si faceva sorprendere da una manciata di neve solida sopraggiunta alle sue spalle; solitamente Maki si infuriava e partiva a rincorrerlo per tutto il tragitto, anche se sapeva di non avere la sua stessa destrezza di pattinatore olimpico. A quel tempo, sorrideva spesso… Diversamente da ora, Maki se lo ricordava bene. Ogni cosa, ogni stagione, con lui assumeva una nuova nota. Intensa, leggiadra. Soave, irrazionale. C’era qualcosa in lui che ricordava quegli esseri rarefatti, bellissimi, dall’esistenza breve e irripetibile… Questo era Kenji.
Con il sopraggiungere dell’estate, quando le lezioni si diradavano, capitava che andassero in spiaggia insieme. Nuotavano fino ai galleggianti al largo e tornavano a riva, oppure si tuffavano dal pontile in legno, per la gioia dei pescatori… Un giorno, Maki lo portò con se a fare surf e quella era tutta una novità per lui.
A stare in mezzo alle onde, con nient’altro che il mare nelle orecchie… Sotto il ventre, percepiva la massa sconfinata dell’oceano muoversi. Le correnti lo sollevavano costantemente, cullando i timidi riverberi del suo timore. Queste sensazioni le aveva imparate poco alla volta: da prima, cercando di adagiarsi sulla tavola, anche se tutte le volte finiva miseramente in acqua. «Sei sicuro che sta arrivando??» Gridò a Maki che dovrebbe trovarsi a pochi metri di bracciate da lui. «Sì! Alzati adesso!» Tra lo sciabordio limitrofo, distinse la sua voce. Afferrò saldamente i bordi della tavola e si sollevò con un unico slancio, la parete d’acqua vibrava sotto di se… Per pochi secondi, gli parve di non avere più alcun peso, mentre si lasciava scivolare … Uno spiraglio di città brillò in lontananza, e ancora prima di poter dire di esserci riuscito, perse l’equilibrio e venne travolto repentinamente dal cavallone. «Kenji?!» Dopo alcuni secondi, non vedendolo risalire, lo invocò e nel medesimo istante vide la sua testa sbucare davanti a sé, boccheggiando a occhi sgranati, la tavola stretta al petto. «Tutto bene?» Fujima lo guardò allargando il sorriso, senza più trattenersi, si liberò della paura provata cadendo in acqua scoppiando in un riso clamoroso. «Mi hai spaventato…» L’espressione inebetita, Maki lo fissò senza capire se indignarsi o ridere a sua volta.
Dopo quella volta, vi ritornarono spesso, e per tutta l’estate avevano esplorato le coste di Kamakura. A piedi nudi sulla sabbia, percorrendo tratti poco frequentati, scoprendo insenature nascoste, dove, sdraiati all’ombra, vi rimanevano per ore a parlare. Invero, Maki era spesso taciturno e cadeva involontariamente in un lungo silenzio, lo sguardo teso all’orizzonte. Erano i soli momenti in cui lo sentiva lontano, e gli era difficile misurare il peso dei suoi pensieri. Seppure perplesso, Fujima non glielo domandava. Seduto accanto a lui, senza interrompere mai quella stasi, in silenzio, insieme ascoltavano il mare.… Quando era insieme a lui, nessuna distrazione all’infuori del presente assoluto si affacciava alla mente. Maki, per natura, era capace di un peso tale da annullare ogni pensiero e qualunque assillo; lo tratteneva a sé, come un magnete. Non fuggiva e non pensava a nulla, nemmeno al basket… Nemmeno al basket.
Senza accorgersene, aveva cominciato a desiderare dentro di sé, che quell’estate non finisse mai… Seppure, sapesse perfettamente che prima o poi sarebbe dovuto partire nuovamente …
 
Quella spiaggia, se ci andassi ora, non avrebbe più lo stesso calore di una volta… Da quando era cominciato? Come mai non me ne sono reso conto? I passi che hai compiuto per allontanarti da me, ora, dove ti hanno portato? Ti vedo seduto impassibile su quella panchina, da solo, il volto del tutto inespressivo. E di quell’essenza incantevole che eri, non è rimasta più neanche una velata ombra…
Kenji… Mi chiedo se un giorno ancora ti ritroverò, da qualche parte…. Quelle lacrime, per chi le stai versando? Ironico pensare che in questi tre anni, l’unica cosa che mi ha fatto ricordare il te stesso di una volta, sono state proprio queste lacrime silenziose.
 


****
 


Ricordi ancora la prima partita che disputammo insieme? …Sono contento di essere rimasto a Kanagawa, Shin. Stranamente, tutte le volte che ci siamo scontrati nei campionati prefettori, mi ritornava sempre in mente.… Ancora oggi, mi riesce difficile cancellare quella sensazione.
 
L’ultimo incontro delle eliminatorie si era concluso in modo eclatante. Non vi fu dubbio che la squadra alla prima posizione fosse il Kainan, ma ciò che destò sconcerto fu il risultato con cui il campione indiscusso vinse l’accesso alle nazionali: 99/98. Il nome della squadra rivale, che dall’anonimia assoluta arrivò a condividere il podio alla pari con gli invincibili, era Liceo Shoyo.
All’uscita dal palazzetto, in mezzo al visibilio dei compagni, Maki scorse un corteo verde dall’altra parte della piazzetta. Aveva imparato subito a riconoscere il colore di quella maglia, che differiva così brutalmente dalla loro. «Scusate, vado a salutare un amico.» Disse ai suoi senpai, e tra gli sguardi biechi ed eloquenti della compagnia attigua, le andò dritto incontro. «Da quanto tempo.» Ironizzò, ricevendo per contro un ghigno piuttosto mordace. Sotto la frangia castana appena recisa, brillava una sottile malignità. Fujima salutò a sua volta i compagni e lo seguì in silenzio.
«E così ce l’hai fatta!» Sbuffò Maki, adagiandosi contro la ringhiera del tetto del palazzetto, la città alle spalle su cui un cielo greve pesava. «A perdere?» Ribatté per niente arrendevole, il medesimo sprezzo immutato. «Ad andare ai campionati nazionali e, tra parentesi, per essere stato nominato tra i best five.» Precisò l’amico, e aggiunse. «…Complimenti.»
Fujima non gli rispose, il profilo rivolto verso il panorama sotto di sé, lo sguardo colmandosi delle coltri grigie e sommesse. «Era questo che volevi, allora?» Chiese ancora l’ex compagno. Cercò la complicità dei suoi occhi, ma lui non si volse. «Non mi aspetto che tu capisca.» Maki sbuffò ancora, le sopracciglia distorte leggermente. «La smetti di atteggiarti all’onorato sconfitto?? Noi siamo ancora amici, non è cambiato niente!» Solo allora, Fujima si voltò e gli sorrise pallidamente. «Scusami … Sei migliorato molto al Kainan.» Maki replicò il suo sorriso, sottacendo quel tratto di estraneità che pizzicava ogni sillaba della sua frase. «…Devo tornare dai miei compagni, ci si vede in giro.» Concluse frettolosamente, e si avviò verso la porta. Sulla soglia, Maki lo richiamò. «Senti, Kenji, perché non ci vediamo uno di questi giorni? Prima di agosto, dico…»
Le spalle di Fujima rimasero immobili, senza voltarsi. E tutt’a un tratto glielo disse, con voce grave e inflessibile. «D’ora in poi, vorrei che mi chiamassi per cognome… Maki.»
 
Non voglio assolutamente capire, qualunque sia la ragione. Quando me lo dicesti, non lo volevo credere, ho pensato che fosse uno scherzo… E dentro di me, ti ho detestato. Ma solo allora, capii: noi, non saremo mai più stati gli stessi, che io lo voglia o meno… Poiché tu, egoisticamente, lo avevi deciso per me.
 


****
 
 

Quando imparò a dire “libertà”, in quel medesimo istante, si rese conto di averla perduta. E non vi fu dolore più grande, realizzarlo dentro di sé.
 
Al terzo anno delle scuole medie, insieme a Fujima si iscrisse al club di pallacanestro. E no, non era stato solo per lui, non avrebbe mai preso un impegno con leggerezza: in verità, da qualche tempo, il basket aveva cominciato a piacergli molto. Non era mai stato un tipo influenzabile, Maki… Il fatto è che, ora, la prospettiva con cui guardava un campo era cambiato completamente: per qualche ragione, la passione del suo migliore amico c’entrava, anche se non del tutto… In definitiva, lo aveva deciso da solo.
A Fujima non poteva importare di meno di come Maki modificasse la propria esistenza, di fatto, non aveva mai avuto cura per la vita degli altri. Non era egoismo, solo, non aveva nulla a che fare con lui e i suoi vasti orizzonti esistenziali…. Ma c’era stato un momento preciso in cui tutto questo aveva cominciato a cambiare.
Le attività di un club di pallacanestro comportavano fatiche quotidiane, e al termine di tutto, dava la possibilità di partecipare a tornei interscolastici. Con la squadra avevano ottenuto la sedicesima posizione nella prefettura, notevole, a dire il vero, per una formazione ritenuta complessivamente mediocre. Il fatto che Shin’ichi Maki, surfista dilettante e giocatore rinomato nel contesto underground, avesse cominciato ad apparire nelle competizioni ufficiali, aveva fatto alzare il sopracciglio a mezza Kanagawa; ma ciò che fece effettivamente la differenza fu la fortunata combinazione con un giocatore di cui nessuno sapeva i precedenti: il risultato fu che entrambi vennero notati dallo stuolo di allenatori presenti, in particolare Riki Takato del Kainan e Moichi Taoka del Ryonan; peccato che la scuola di quest’ultimo fosse in capo al mondo. Inquietante come i talenti fiorissero tutti in una singola stagione…
Ma il fatto è che, senza di lui, tutto questo non sarebbe successo…
Al termine dell’ultimo incontro, dopo aver lasciato alle spalle il campo della sconfitta, nella delusione del suo viso si accese un lieve sorriso, e allora Maki glielo confessò, trattenendo a stento un fremito di eccitazione: «Sai, comincia a piacermi davvero... il basket.»
In quell’istante, qualcosa dentro di lui si incrinò. Avrebbe dovuto essere contento, eppure… Non sapeva spiegarselo… Sentiva che in qualche modo Maki stava cambiando, e questo repentinamente lo spaventò. E il fatto che fosse il basket la causa di tutto… lo disorientò ancora di più. Un giorno se ne andrà lontano, pensò, guardando la sua schiena allontanarsi lungo il corridoio… Perché Fujima conosceva più di chiunque altro il suo talento, e ciò che era mancato finora affinché sbocciasse definitivamente era proprio un grammo di passione. Devastante. Nell’attimo, cogliendo i fragili frammenti di presagio, vide chiaramente a quale futuro Shin’ichi Maki fosse destinato. Per tutto ciò, Fujima provò un’immane tristezza. Lui che era incapace di cambiare, un giorno, lo avrebbe perso…
… Allora, distintamente, comprese il significato della parola “egoismo”.
 


****
 


Sarà stato per un impegno e un altro, o per il fatto di frequentare scuole diverse, quando cominciò il primo anno di liceo, non ebbero più tempo per vedersi. Il Kainan era dura, davvero dura; mentre lo Shoyo… aveva i suoi programmi. Di fatto, nessuno dei due si era sforzato per trovare… una scusa, un buco, qualunque espediente alla mano per potersi incontrare: ma del resto, aveva davvero importanza scervellarsi tanto, dopo allenamenti estenuanti e sedute infernali di studio, solo per incontrare un amico delle medie?
Una volta sola si ritrovarono, quel giorno pioveva e Maki arrivò in ritardo.
«Mi dispiace, sono uscito prima che potevo!» Trafelato e ansimante, Maki si presentò davanti alla fermata dell’autobus, dove, bagnato fino ai calzini, Fujima lo aveva atteso per 40 minuti. «I famosi ritmi del Kainan, eh?» Maki ripiegò l’ombrello e lo dispose accanto a sé, sedendosi, incurante dell’umidità. «Sono davvero distrutto… E a te, come te la passi?» Fujima giocherellava con il mazzo di chiavi. «Mi sono fatto un nuovo amico… Sta in squadra con me.» Il semaforo lampeggiava, nessun movimento, la strada silenziosa battuta dal suono avvolgente della pioggia primaverile. «…È tutto serio, un classico “tipo Shoyo”.» «Vuoi dire bigotto e irascibile?» Fujima gli diede uno schiaffo sul braccio, trattenendo il riverbero di un riso involontario. «Non è vero!» Poi si fece serio, il volto ombreggiato. «E la tua scuola, ti piace?» Chiese e sentì al contempo uno strano trillo provenire dalla cartella dell’amico; lo vide sussultare e aprirla, frugandoci dentro nervosamente. Un messaggio. Quando ebbe finito di leggerlo, il profilo scuro si addolcì di un fugace sorriso. Già, i sintomi di una scuola mista… Questo intervallo di silenzio, senza una ragione precisa, gli diede molto fastidio. Guardava il suo viso, tinto da un’espressione a lui sconosciuta, la schiena tesa nell’umidità della sera, e lo sentì lontano… In quel momento, si chiese se avesse fatto bene a scegliere una scuola diversa dalla sua… No, non aveva senso chiederselo, loro erano amici e non ci sarebbe stato nulla di diverso. Nulla. Fujima si alzò, rimettendosi la borsa sulle spalle e si avviò sotto la pioggia, senza dire una parola.
«Kenji…! Dove vai?» Colto di sorpresa, Maki raccolse in fretta le sue cose e lo seguì di corsa. «Ehi! Che ti è preso?» Gli sfiorò una spalla e lui si arrestò. «Niente. Mi sono ricordato di un impegno, scusami.» Glaciale, sfuggì alla sua presa e se ne andò.
Leggermente frastornato, Maki rimase sotto la pioggia a guardarlo allontanarsi, senza capire.
 
 
«Nervosetto, Maki?» Il senpai del terzo anno gli diede una pacca sulla spalla, attutendo la sua preminente ansia. «Non ti preoccupare. In campo sarà tutta un’altra cosa! E ricordati: noi siamo il Kainan.» La matricola sospirò e annuì deciso. Dall’altra parte del campo, il medesimo preambolo meditativo stava avendo luogo. Il coach dello Shoyo diede le ultime direttive e i titolari seduti in cerchio ascoltavano, tra di loro, vi era un unico studente del primo anno: paradossalmente, il fatto di essere riusciti ad arrivare a uno scontro diretto con il Kainan lo dovevano unicamente a questa matricola dall’altezza discutibile, che aveva fatto la fortuna dello Shoyo.
D’altro canto, Maki non era preoccupato per l’andamento della partita… Erano mesi che non vedeva Fujima e ora, tutto all’improvviso, se lo doveva ritrovare davanti, per di più, come proprio avversario: per la prima volta in assoluto. Del resto, lui sembrava rilassato. Le sue prestazioni superavano di gran lunga la guardia avanzata della sua squadra e gradualmente, in modo quasi inconscio, Maki cominciò a marcarlo.
Trattenendo il pallone, Fujima ansimava leggermente, gli occhi tesi sulla figura dell’ex compagno. Era il momento che aveva atteso tanto, di rivederlo, di affrontarlo sul campo da gioco, nuovamente, come la prima volta che si erano incontrati… Maki che non distoglieva lo sguardo da quelle gelide iridi blu, le vide sfumare verso destra e repentinamente vi si sbilanciò, quando invece lui si flesse alla direzione opposta, smarcandosi abilmente. Allo Shoyo aveva imparato a dirigere più lucidamente il gioco, glielo riconosceva, ma in linea di principio il basket era puro istinto per lui; e non tardò a svelare quella congenita impulsività in difesa, quando fece schizzare in aria la palla tra le mani di un giocatore in procinto a fare canestro: un leggero tocco, subdolamente discreto e la sfera rossa volteggiò in alto seguita dallo sguardo inebetito di quest’ultimo. La palla balzò via, precipitando pericolosamente vicino alle gambe degli avversari, e lui la rincorse, più volte ripescandola, fino a dirottarla al centro campo, dove un compagno già attendeva… Sembrava che l’azione stesse per collaudarsi, quando un inatteso fascio di fulmine la intercettò bruscamente: Maki si interpose scattante, sorprendendo tutti, e veloce riconvertì il giro.
A quel punto, il gioco aveva preso una piega del tutto imprevista, ma nessuno dei due allenatori chiamò il timeout. Con il fiato sospeso rimasero ad osservare l’evolversi della situazione: ciò che ebbero modo di constatare, andava ben oltre a un semplice atto d’instabilità, in campo si era venuto a creare un equilibrio singolare; forse, da quel momento in poi, tutte le strategie andavano modificate in base a ciò che le due matricole erano in grado di fare… A dieci minuti dall’inizio, l’atmosfera cominciò a surriscaldarsi. Inequivocabilmente, il pubblico esplodeva a un’ennesima azione del numero 13 dello Shoyo mentre penetrava nell’area nemica, e puntualmente, se lo ritrovava davanti a sbarrargli la strada in un serratissimo one-on-one: Shin’ichi Maki, la matricola di punta che il Kainan sfoggiava in prima linea, da quell’inizio eclatante non bramava altro che la rivincita. Ostinato, lo intratteneva, il corpo teso in costante allerta, ben conoscendone l’innata mancanza di scrupoli morali: in campo Fujima compiva azioni spudoratamente temerarie al limite dell’infrazione, infidamente sfidando i nervi degli avversari. E presto gli si impose fisicamente, non potendolo fermare altrimenti, ottenendo se non altro un rallentamento proficuo del ritmo devastante che il rivale ingiungeva alla partita. C’era nervosismo nell’aria, la tensione era tale che si poteva tagliare con un filo, tra gli scambi sempre più rapidi quella cadenza andò crescendo fino a che, durante un tiro avventato seguito da un blocco altrettanto sconsiderato, scontrandosi, entrambi i giocatori si ritrovarono schiantati a terra in un rovinoso groviglio anatomico.
«Scusa, niente di personale.» Risollevandosi da lui, Maki gli allungò una mano, eloquente tracotanza in viso. Dal basso, Fujima lo sogguardò restituendogli il medesimo sorriso beffardo, con una sfumatura distorta che lo fece raggelare: la ferocia di un angelo, lo si sarebbe detto in tono contemplativo. Senza ribattere alcunché, Fujima fece i suoi tiri liberi e alla prima occasione in cui Maki riebbe il possesso di palla, gliela sottrasse brutalmente, per poi andare fulmineo a canestro… Nel clamore generale, il piccolo playmaker raccolse il pallone appena caduto dal cesto e lo cedette con disinvoltura al numero 12 bianco-viola. Sorrise sferzante, replicando. «…Niente di personale.»
Kainan e Shoyo: questo fu il principio.
Forgiata con la punta dell’orgoglio, l’amicizia che li legava si incendiò di un’ispirazione finora rimasta all’ombra: la scintilla della rivalità.
 
Da allora, le uniche occasioni in cui si videro furono le stagioni del campionato interscolastico, sul campo. Le uniche occasioni, ormai, in cui riusciva a scorgere un barlume di sorriso sul suo volto... Tacitamente, il rapporto tra loro aveva cominciato a decadere in un’inversione sottile e progressiva, evolvendosi in qualcosa di inesplicabile, rigido e precario, come una freccia tesa sull’arco, incapace di scoccare. Non si cercarono più, entrambi dispersi nell’alienazione delle proprie giornate, incuranti di ciò che stava accadendo. Maki stava semplicemente rifuggendo dalla realtà, rinnegando un dolore che forse non era neppure cosciente di provare. E Fujima… aveva paura.
Pian piano, anche il fatto che una volta fossero stati compagni di squadra venne dimenticato dalla memoria comune… Sotto i riflettori di Kanagawa, gli antagonismi vennero tracciati sulla scia della sfida tra i due migliori playmaker della prefettura: Maki del Kainan e Fujima dello Shoyo. Per il resto del mondo, loro non erano nient’altro che l’ombra di questa replica.
 
 

****
 

Al liceo, aveva conosciuto Hanagata. Un ragazzo posato e silenzioso, che per certi versi, gli ricordava Maki… Gli piaceva la sua tranquillità, anche se sapeva che era solo uno strato superficiale del suo carattere insicuro. Parlavano di qualunque cosa, ma in fin dei conti, non gli rendeva mai eccessiva confidenza. E fu solo per caso, se era venuto a sapere di “Maki”… Quel pomeriggio se ne stavano in camera sua a ripassare per gli esami, e tornando dal bagno, lo vide con quella foto in mano, un’espressione che non ebbe bisogno di spiegazioni. «Scusami, è che stavo…» Balbettò imbarazzato, mentre Fujima si rimetteva a sedere sul pavimento, sfiorato da un sorriso disteso e condiscendente. «Fa nulla, non era un segreto.»
L’aveva tenuto in fondo alle pagine di un vecchio volume, era da tempo che non la vedeva, quasi scordandosela. Una foto di classe, dell’ultimo anno delle medie. Era il giorno delle pulizie generali, uno scenario improvvisato in mezzo alla confusione… Maki se ne stava seduto sul banco, lo sguardo rivolto in basso, dove il compagno era accovacciato e gli parlava, un braccio allungato verso di lui… Non ricordava esattamente cosa si dissero, quell’istante di complicità catturata dal mirino di una macchina fotografica. Fujima prese in mano la fotografia, in silenzio, ripassandola nella mente.
«Non lo sapevo…» Dopo un po’, gli fece Hanagata. Lui annuì piano, i pensieri ancora lontani. «Mi ero appena trasferito da un’altra città, e lui è stato il mio primo amico.» Fujima rise timidamente, mettendola via. «…Il tempo tende a farti dimenticare tante cose.» Sfiorò la copertina del testo da cui era caduta fuori… E per un breve istante, gli ritornò in mente uno scenario simile a questo. Il tatami caldo e le cicale alle finestre, un frinire costante, cocente… Si erano addormentati leggendo, e al risveglio, stropicciandosi gli occhi, l’impronta di paglia intrecciata su una guancia, lo aveva sorpreso a sfogliare un libro, la schiena rilassata contro il fianco del letto: teneva gli occhi socchiusi e un paio di occhiali da lettura li incorniciava. Non aveva sprecato l’occasione per ironizzare sulla sua precoce senilità, per un attimo, quelle risa tintinnanti echeggiarono ancora nelle sue orecchie…
Ma certo, questo era il suo libro preferito. Sembrava che nulla fosse cambiato da allora. Anche se, ora, seduto accanto a lui, c’era Hanagata…
 
 


«Shin, perché hai la pelle così scura? Sei per caso straniero?» Una domanda candida fiorì dalla sua bocca, in un pomeriggio assolato. Seduti sui bordi della strada, l’ombra del chiosco alle spalle e un ghiacciolo a testa, guardavano distrattamente il mare. Un sopracciglio levato sul profilo abbronzato, sogguardò scettico l’amico dai tratti vagamente europei che gli aveva appena rivolto quell’interrogativo surreale. «No, sono originario di Okinawa.» «Ahhh… E hai fratelli?» Chiese morsicando il bastoncino. «No, sono figlio unico.» E lui sorrise: «Come me…» Disse, con aria felice.
Il compagno lo guardò ancora più perplesso, ingoiando l’ultimo pezzo di ghiacciolo alla menta.  
Chissà perché in quel momento sembrava così contento… Maki ci aveva ripensato tante volte, ma mai lo comprese. A volte, Kyota gli ricordava un po’ quel Kenji di 14 anni, il berretto dei Knicks in testa, con quell’aria eterea ed innocente, che non sapeva mai stare zitto. Ora come ora, quel ricordo gli appariva tanto abbagliante da fargli male, come il sole di Kanagawa nel mese di agosto…
 
 

A volte, penso che sia colpa del tempo… Se tutto, prima o poi, finisce per rovinarsi. Ogni cosa… Le scarpe da basket, la neve, le persone… Ma, probabilmente, è solo ipocrisia. Mi rendo conto di non aver agito meglio, né di essermi mai sforzato abbastanza. Il tempo che ho perduto lontano da te, so di non avere più diritto a reclamarlo… E a volte, mi ritorni in mente, quando meno me lo aspetto, come per prenderti gioco di me… Quel tuo brutto vizio di incantarti mentre ti stanno parlando, in qualunque luogo e circostanza; la mania di tirarmi per una manica, quando sei eccitato per qualcosa; perfino il tuo gelato preferito, o quel spruzzo di lentiggini che il sole faceva trasparire sul tuo incarnato… So che, da qualche parte dentro di me, sei sopravvissuto, Kenji; e seppure un giorno ti dovessi smarrire, avrei sempre la certezza di poterti ritrovare, per tutte le strade di questo mondo.
 









 

Qualcosa non quadra:
Niente paura, gente.... è solo una shonen-ai.
Rieccomi qui! Il titolo un pò enigmatico riporta semplicemente il numero di parole e i colori del testo in stampa
, perché non mi veniva proprio... Ultimamente sono un pò lenta di cervello, sarà il caldo, perdonatemi.
Dunque, a proposito di Kenji e Maki... Sbirciando nel fandom, non ho trovato molte storie su loro due. Ma dico.... Siamo pazzi?? A nessuno piace questo pairing? Allora mi sono detta che era proprio il caso di rivoluzionare un pò le cose: in questo caso, con dei cliché adolescenziali che, almeno per la mia breve esperienza di scrittura, sono state delle novità assolute. Ho voluto semplificare un pò il linguaggio, per rendere il tutto più gradevole, perché in fin dei conti, sono due ragazzi di 14 anni. Vi prego di immaginare un Shin'ichi Maki con meno rughe e un pò più slanciato di corporatura, ecco.... Senno, l'effetto "beati tempi andati" risulterebbe inverosimile e esilarante...
Inizialmente volevo pubblicarla in una raccolta di flash-fic, ma sono troppo pigra e ho lasciato perdere. Ma la storia non è ancora finita, spero che almeno la prima parte vi sia piaciuta!

















 
  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Slam Dunk / Vai alla pagina dell'autore: kanagawa