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Autore: lenasollys_x4    02/06/2015    1 recensioni
Ho sempre sentito il bisogno di mettere su carta ciò che era nella mia mente. Le parole echeggiavano nella mia testa da troppo tempo e le ho tirate fuori, posizionandole e sistemandole in racconti. Sogni, momenti o solo pensieri questi testi sono tutto ciò che ho pensato per anni. Forse non saranno il massimo, ma per me significano tanto. Grazie per leggerli e per scrivermi come migliorarli.
Genere: Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap.1      Matt
Era maggio e mi sentivo terribilmente sola. Era maggio e in quel periodo usciva il nuovo singolo di Hozier. Non m’importava di che parlasse esattamente quella canzone poiché la feci mia dalla prima volta che la ascoltai; le diedi un’interpretazione e avevo quasi paura a leggere di ciò veramente trattasse, volevo restare dell’idea che quel testo mi descrivesse in quel momento. Non sono mai stata una cima nelle lingue straniere e capivo a malapena ciò che diceva il ritornello:
“And so I fall in love just a little, oh a little bit every day with someone new”
Mi bastava, per ribaltare totalmente il vero significato della canzone. Per il mondo era una relazione finita, per me solo qualcuno che si innamorava ogni giorno di qualcuno di diverso. E io mi sentivo così. Sia chiaro, non ero e non sarò mai una di quelle oche che ci provano con dozzine di ragazzi contemporaneamente … è che mi sentivo così incompleta, come mai nella vita mi era successo. La timidezza aveva preso il controllo e mi stava divorando lentamente. Non era voglia di baciare qualcuno solo per il gusto di farlo o per vantarmi di essere fidanzata, penso che il bisogno fosse qualcosa di molto più profondo e radicato: avete mai pensato a come possa stare un musicista senza musica? Un padre senza i suoi figli? Un bambino senza il gioco? Vuoti. Come una persona a cui viene tolto ciò per cui vive. E così ero io. Mi sentivo come se l’amore fosse tutto ciò di cui avevo bisogno e tutto ciò che mai avevo avuto. Ero stanca di vivere piangendo, i pomeriggi stesa nel letto. La cosa che più mi faceva star male era sapere che, se solo avessi avuto un quarto del coraggio che la gente là fuori aveva, magari qualcuno mi avrebbe stretto a sé. Ma restavo nell’ombra aggrappandomi a parole quasi dolci che mi venivano dette su cui costruivo sogni distrutti dal menefreghismo delle stesse persone che mi avevano fatto sperare.  Mi perdevo nel cercare nelle persone che mi circondavano tutti i loro pregi, innamorandomi pian piano di loro e poi dei loro difetti. Quando poi realizzavo che era solo un altro amore non corrisposto cercavo riparo in qualcun’altro, dimenticandomi lentamente di chi avevo amato. E sì, “mi innamoravo ogni giorno di qualcuno di nuovo”. Fu così che conobbi Matt. Conobbi per modo di dire, eravamo nella stessa classe di primo liceo da cinque mesi ma mai lo avevo guardato diversamente da come lo vedevano gli altri. Un altro rifiuto, un’altra persona in cui cercai la mia felicità: lui.
Matt è sempre stato solo quel ragazzo forse un po’ sottopeso seduto nella fila dietro la mia. Riusciva a far ridere tutti, quando se ne usciva con frasi che nemmeno lui capiva lasciate a metà nello stesso momento in cui si rendeva conto che non avevano un senso compiuto. Per il resto del tempo stava quasi sempre solo, fatta eccezione per le oche che gli si avvicinavano quando il suo amico di banco non c’era. E anche quando lui c’era gli intervalli li passava per la maggior parte seduto stando su qualche social network. Era quel tipo di persona che poteva passare per noiosa e vuota ma che in realtà aveva tanto da raccontare. Quando cercai di avvicinarmi a lui le prime volte mi sentivo così rifiutata … cercavo di sfiorare il suo braccio e lui lo allontanava all’istante. Mi chiamava di rado per mostrarmi qualche video che trovava su internet e che lo facevano ridere ma se mi avvicinavo troppo bofonchiava “staccati”. Mi ci è voluto un po’ per abituarmici , per non starci più particolarmente male. Il fatto era che non cercavo di stargli particolarmente attaccata, gli stavo vicino come avrebbe fatto qualsiasi amico e niente più, per quello quelle parole mi segnavano tanto: lo vedevo protetto da una corazza che lui stesso s’era creato e che mai sarei riuscita a penetrare. Per la prima volta non m’importava solo della mia felicità. So cosa significhi essere lasciati soli in un angolo senza essere visti e iniziandolo a conoscere capii che avrei fatto di tutto affinché non si fosse sentito più così.   Arrivò giugno e con lui il suo compleanno. Mi ci volle tutto il mio coraggio per scrivergli gli auguri ma lui non rispose. Non mi voleva, che ci potevo fare? Né come amica né altro. Passai troppi minuti seduta sulle scale a trovare motivi per cui mi avesse ignorato, fissavo lo schermo dicendomi che era quell’aggeggio la base di tutte le mie tristezze. Lo spensi lasciando quel messaggio nella rete. Il giorno dopo a scuola si scusò per non avermi risposto. Cercai di tenere comunque le distanze, non mi andava di infastidirlo ancora con le mie idee, ma evitandolo scoprii quanto anche lui mi avesse cercato nei giorni prima. Mi si avvicinò mostrandomi foto sul telefono e nonostante fossimo fin troppo vicini non fece niente per mandarmi via. Non fu niente, ma per me fu tutto. Ogni intervallo ora eravamo seduti a al banco, durante le lezioni lo guardavo di sfuggita cercando di imprimere ciò che vedevo nei miei ricordi. Mi parlava di cose così banali, ma io mi ci perdevo ad ascoltarlo. C’erano giorni in cui non ci rivolgevamo la parola altri in cui parevamo grandi amici ma andava bene così, con lui mi sentivo meglio. Ero felice della mia piccola conquista, quell’amicizia strana e flebile che custodivo con egoismo. Forse ero innamorata di lui, ma avevo paura a rivelarlo a me stessa. Forse sarebbe stata solo un'altra cotta passeggera eppure speravo il contrario. Arrivò l’ultima settimana di scuola e con lei l’estate. Volevo salutarlo stringendolo, volevo dirgli di non dimenticarsi di me perché io mai l’avrei fatto. Mi avvicinai e gli diedi una pacca sulla spalla “ci si vede a settembre!”. Mi sorrise e scese le scale assieme al suo amico. Tre mesi ci separavano, sarebbero cambiate troppe cose. Iniziai a credere che non mi avrebbe lasciato, ma non sapevo che mai più l’avrei rivisto.
   
 
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