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Autore: Anto1    03/06/2015    0 recensioni
La vide, finalmente: un ragazzo che prima era davanti a lui si spostò, e lei passò a pochi passi da lui, talmente vicina che il suo profumo arrivò dritto alle sue narici, e per un attimo, fu come se il suo cuore si fosse fermato, per poi accelerare i battiti. La figura regale della fanciulla, avvolta da un abito di seta verde pallido, si muoveva sicura ed elegante, facendo fluttuare le pieghe del vestito come le onde dell’acqua. Un viso angelico, dai tratti di un’eleganza rara, era contornato da capelli neri come la notte sui quali brillava, come una costellazione di stelle, un diadema di diamanti.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TEEN OUTLAW QUEEN IL GRAN BALLO
“Madre, non voglio indossare questo vestito!” disse, sollevando i lembi di seta color verde pallido.
“Ti sta benissimo, invece, e soprattutto è adatto all’occasione, molto più di quei luridi stracci che usi per cavalcare” la donna più anziana accentuò queste ultime parole con una nota di scherno e disprezzo nella voce, già resa un po’ roca dall’età “questi, almeno, non ti faranno sfigurare alla festa che il re ha organizzato per sua figlia Biancaneve. Guardati, hai già un aspetto regale!”
E aveva ragione: riflessa nello specchio c’era una fanciulla di diciassette anni dalla bellezza abbagliante, ma non era il vestito a conferirle quella bellezza. Certo, il taglio dell’abito, dal bustino stretto che fasciava le sue forme in modo mirabile, e dal materiale talmente soffice che sembrava essere fatto di polvere fatata, contornavano ed esaltavano divinamente la sua figura, ma né quel vestito, né tantomeno tutti i più belli e ricchi abiti del regno potevano donare ad una donna la delicata lucentezza di quei capelli corvini, che retti da un diadema cosparso di diamanti, lasciavano libera la fronte ampia per poi ricadere in onde morbide sulle spalle, né quel viso dai tratti estremamente regolari sul quale spiccavano due grandi occhi scuri orlati da lunghe ciglia e due labbra morbide e carnose che sarebbero state perfette, non fosse stato per una piccola cicatrice che le deturpava. Sulle braccia nude e sul seno messo in risalto dal bustino, la pelle ambrata, simile ad avario dorato, spiccava voluttuosa e sensuale. L’intera figura della giovane, slanciata e sinuosa, era regale, e lo sarebbe stata anche se avesse indossato dei luridi stracci.
La fanciulla torse il labbro in un’espressione di sdegno, una delle poche maniere in cui sua madre le permetteva di esternare quello stato d’animo, da lei giudicato poco consono per una dama del rango di sua figlia, sesta in linea di successione al trono del regno di Gallarose “la mia tenuta da cavallerizza non è uno straccio, madre! E io non voglio sposare il re, te l’ho già detto! Io non lo amo” concluse, guardando sua madre attraverso lo specchio.
Gli occhi di sua madre si ridussero a due fessure, mentre le labbra sottili si aprivano in un sorriso sarcastico. “L’amore è una debolezza, Regina, mia cara! Forse ora fatichi a comprenderlo, ma te ne accorgerai col tempo. Fidati, sono tua madre, so io quel che è meglio per te! E ora smettila con queste sciocche idee sull’amore e finisci di prepararti! Il ballo inizierà fra un’ora e il re ha invitato tutti i nobili del reame e anche molti sovrani dei reami vicini. La sala sarà piena di dame, principesse e regine adornate di gioielli e profumate. Non vorrai presentarti senza neanche un po’ di belletto in viso, spero! La tua pelle è così scura e brutta senza belletto, non vorrai che le altre donne ti scambino per una serva!” concluse, con tono borioso e sprezzante. Quel tono fece sentire Regina una nullità, e l’orgogliosa fanciulla abbassò gli occhi al pavimento, umiliata e offesa. Sua madre, dal canto suo, fiera dell’effetto che sapeva di aver suscitato nell’animo della figlia, girò sui tacchi, e si diresse verso la porta, che sbatté forte, uscendo.
Appena si fu accertata di non udire più i passi di sua madre, Regina torse con rabbia i lembi dell’abito fin quasi a strapparli, mordendosi il labbro per non urlare. Sentiva di non poter trattenere le lacrime che le stavano inumidendo gli occhi, e ringraziò di non avere il volto truccato. Decisa però a non piangere, cominciò a camminare a passi svelti per quella che il re aveva deciso sarebbe stata d’ora in poi la sua stanza; era dapprima servita come seconda camera per il re stesso, che veniva qui a prendere decisioni riguardanti il regno. Ancora fin troppo innamorato della defunta moglie, non avrebbe mai ceduto la metà del suo letto a nessun’altra donna che non fosse la precedente sovrana, e, pur di non doverlo fare, aveva permesso che una delle sue stanze fosse messa a disposizione della sua futura seconda moglie. Regina, pensando a questo, si sentì ancora più umiliata ed insieme impotente. Non apparteneva a questo posto, pensava, guardando le mura imponenti e il grande letto a baldacchino sul quale d’ora in poi avrebbe dormito, sola, senza nessuno a stringerla e a consolarla dalla perdita che pochi giorni fa aveva subito. Daniel! Il modo in cui la guardava, il suo sorriso, il suono della sua voce, le sue carezze, tutto questo l’aveva perso, per sempre, in un battito di cuore, di quel suo stesso battito che si era fermato insieme a quello dell’uomo che amava. Quel cuore tanto amato, che tante volte aveva sentito battere contro il suo petto mentre lui la stringeva a sé, ora scricchiolava, cedeva, diveniva polvere nelle mani della donna di cui credeva di potersi fidare di più dopo il suo amato: sua madre. Risentiva le sue stesse urla, mentre si precipitava verso di lui, stringeva il suo corpo fra le braccia, baciando le sue labbra con la speranza, vana, di rianimarlo. E ora era rinchiusa qui, in questo enorme palazzo, in una stanza non dissimile a quella che aveva lasciato nel suo palazzo nobiliare, ma più fredda e inospitale. Lei non apparteneva affatto a quel posto, non era destinata a restare chiusa in quel castello senza mai poter uscire, come un uccello in gabbia; lei voleva essere libera, cavalcare spensierata nella prateria, nella foresta, col suo uomo, il suo stalliere, con Daniel… ma lui non c’era più, al suo posto c’era una ragazzina viziata che aveva tutto quello che potesse desiderare e per cui il re non avrebbe esitato a muovere guerra ad un alto regno, se questo significava la sua felicità, in nome della quale non si era fatto scrupoli a sacrificare quella di un’altra donna, e neanche ne aveva avuto sua figlia, quella bambina arrogante ed egoista che ogni giorno, ogni notte, entrava nella sua camera a volte senza neanche bussare, senza essere annunciata, per costringerla a darle attenzioni, incurante del suo stato d’animo, troppo concentrata su sé stessa per notare che la tristezza non avvolgeva solo il cuore della giovane ma anche i suoi occhi; che quando la pettinava, la mano che reggeva il pettine tremava, perché avrebbe tanto voluto stringerla intorno al tenero collo della bambina, fino a spezzarglielo, un impulso omicida che turbava la fanciulla, che fino a quel momento non aveva mai avuto desideri così macabri e violenti, nemmeno contro sua madre. Tutte queste emozioni, il dolore per aver perso l’uomo che amava, così ingiustamente, la sensazione di isolamento e di non appartenere a quel luogo così austero e freddo come il marmo di cui era fatto, l’odio verso la principessa e la paura verso lei stessa, per quei sentimenti così contrastanti che stava provando da un po’ di tempo a quella parte e che le impedivano di dormire di notte, causandole incubi orrendi, incubi dove il corpo del suo amato si decomponeva fino all’osso fra le sue braccia, la fecero cedere al pianto, e Regina s’inginocchiò sul pavimento di marmo freddo, lasciando ricadere il volto fra le mani, lasciando scorrere le lacrime che non avevano smesso un giorno di cadere da quella terribile notte di tradimento e di morte. Non sarebbe andata al ballo, non avrebbe retto il gioco al re, che in quell’occasione, forse, l’avrebbe presentata alla corte come sua futura sposa, perché lei non sarebbe stata la sua sposa, non lo sarebbe stato né da parte del re, né da parte sua, perché entrambi erano innamorati di un’altra persona, che ora non esisteva più, una persona a cui però entrambi sarebbero sempre appartenuti. Non sarebbe stata seduta in un angolo, a guardare la festa, troppo triste per divertirsi, non avrebbe ascoltato i complimenti che la corte avrebbe rivolto alla principessina, che, a detta del re, era la più bella del reame… no… non sarebbe stata a guardare… non sarebbe restata a guardare perché sapeva che la corte diceva quelle parole solo per compiacere il re, da tutti molto amato, un re però reso troppo cieco dal suo amore per la figlia per poterlo dividere con altri, o per riconoscere in altri la bellezza. No, lei non sarebbe stata a guardare tutto questo. Lei avrebbe agito. Lei avrebbe mantenuto la testa alta, come una vera regina. Non sarebbe servito un titolo a renderla tale, né un matrimonio, lei era una regina, e questa notte l’avrebbe dimostrato. Toccò la stoffa soffice del vestito, facendo scivolare la mano fra le pieghe eleganti. Sorrise. Non sarebbe di certo stato quell’abito a conferirle un aspetto regale e a consentirle di essere ammirata da tutti, lei aveva già il suo viso, il suo corpo, il suo portamento, pensò, rimirando la sua immagine riflessa nello specchio. Se l’abito non la faceva sentire a suo agio e non le si adattava, lei l’avrebbe adattato a sé. Con un diverso stato d’animo, si asciugò le lacrime che ancora le rigavano il viso, e prese il pennello del trucco. No, stanotte non sarebbe restata a guardare, all’ombra della principessa. Stanotte non sarebbe stata all’ombra di nessuno. Il re non l’aveva ancora presentata alla corte, e nessuno l’aveva mai vista. Nessuno aveva la minima idea di che aspetto avesse la nuova regina. Ma stanotte se ne sarebbero accorti, e anche prima che il re l’avesse presentata, stanotte nessuno dei presenti alla festa si sarebbe addormentato senza essersi ancora riavuto dallo stupore e dalla meraviglia che la bellezza della giovane futura regina aveva prodotto in loro.

“E’ la donna più bella che si sia mai vista, John, te lo assicuro, e sarà senza dubbio anche la più bella di tutta la festa.”
“Robin, non credo tu possa dirlo senza prima aver visto tutte le donne che ci saranno al gran ballo. Se anche fosse la più bella della sua contea, al palazzo del re di Luthania ci saranno molte dame di corte, comprese le dame e le principesse dei regni vicini, inoltre dicono che il re dovrà presentare la sua seconda moglie, che pare nessuno abbia mai visto, quindi aspetterei a giudicare. Tu parli da innamorato!” rispose il ragazzo alto e corpulento di diciannove anni, camminando al fianco del suo compagno, coetaneo, ma più basso e longilineo, i cui occhi chiari brillavano di una luce che solo l’amore poteva conferire.
“Ti sbagli” rispose quest’ultimo, saltando un sasso che intralciava il suo cammino, prendendo così lo slancio per dare un pugno amichevole sulla spalla dell’amico, che però non si scompose. John, soprannominato scherzosamente Little John dagli abitanti di Nottingham, era noto per la sua proverbiale flemma. “Lady Marian Fitzwalter di Leaford è una bellezza rara. L’ho incontrata per la prima volta un mese fa, alla tenuta estiva della sua famiglia. I nostri padri dovevano parlare di affari, e così, passeggiando per i giardini che circondavano il castello, mi sono imbattuto in lei. Era seduta su una delle panchine che circondavano una fontana, e leggeva un libro. Avresti dovuto vedere com’era bello il suo volto assorto nella lettura! E che bei riflessi avevano i suoi capelli alla luce del sole!” disse, sospirando, e i suoi occhi assunsero un’espressione ancora più sognante.
“Va bene, facciamo che ti credo, ma ti avverto, dovrai presentarmela!” Little John gli strizzò l’occhio.
“Non provarci! E’ mia!” rispose Robin, assumendo un’espressione lievemente corrucciata.
“Non preoccuparti” Little John rise di una risata fragorosa “è chiaro come il sole che sei innamorato cotto di lei, non te la rubo di certo! Inoltre, con tutte le belle e giovani donne che probabilmente ci saranno, non credo rimpiangerò di non poter invitare a ballare la donna che a detta di molti è la più bella di ben cinque contee. Ora sbrighiamoci ad andare, se non vuoi che la tua ragazza riceva le attenzioni di altri uomini prima del tuo arrivo” concluse, dando una pacca sulla schiena all’amico, che, al pensiero di Marian che volteggiava fra le braccia di un cavaliere che non fosse lui, corse verso la carrozza così velocemente che il ragazzone faticò a stargli dietro.

La sala da ballo era illuminata da un enorme lampadario di trecento candele, e altre cento erano poste fra le alte finestre tirate a lucido. Il pavimento e le mura mandavano bagliori di mille colori diversi, facendo risplendere la sala in ogni dove. Ma ancora più vivi e sgargianti erano i colori degli abiti delle dame riccamente agghindate per far risaltare la loro bellezza al meglio. C’erano donne di tutte le età, dalle fresche fanciulle appena sbocciate, alle anziane che in abiti stravaganti e pesanti, s’illudevano così di poter sembrare più giovani e attraenti, ma che tristemente sembravano cerate e incartapecorite. Ma le donne giovani, così agghindate, sembravano, quando si riunivano in circolo per parlare fra loro, dei bouquet di fiori profumati: i loro abiti erano raffinati, le loro chiome, che variavano dall’oro più puro al nero più intenso, sembravano filamenti di seta, e la bellezza di molte di loro faceva voltare diverse teste maschili. Gli uomini, soprattutto i più giovani, guardavano le diverse dame, valutandone con gli occhi la bellezza, come un orefice esperto che soppesa un gioiello raro dal valore inestimabile. In capo a pochi minuti già avevano tirato le somme, e tre dame erano state elette a più belle: la principessa Clorinda del vicino reame della Foglia Argentea, una fanciulla di appena vent’anni, dai chiari occhi grigi e dai lunghi capelli dorati che ricadevano in morbide ondulazioni, una bellezza algida ed eterea; la contessina Brigitta della contea del Fiume di Mezzo, una diciassettenne alta e slanciata, dal viso di un ovale perfetto incorniciato da lucenti capelli neri, e che soprattutto possedeva i più begli occhi azzurri della sua contea, perché di una forma insolita: erano infatti a mandorla e allungati verso l’alto; infine, Lady Marian Fitzwalter di Leaford, una brunetta dai tratti affilati, gli occhi scuri e le labbra carnose. L’esigente giuria aveva appena espresso il verdetto, quando Robin e Little John arrivarono, accompagnati dalle loro famiglie, che li avevano seguiti in carrozze separate, giacché i due giovani erano inseparabili dall’infanzia. I due, non appena ebbero dato una breve occhiata alla splendida sala, subito si unirono alla silenziosa giuria maschile, guardando di soppiatto e tuttavia scrupolosamente, le donne, Robin cercandone una in particolare. Udì il nome di Marian sussurrato più volte da bocche diverse, da voci sia femminili che maschili, contornato poi dai più svariati commenti: alcuni uomini la giudicavano la più bella della festa, altri la paragonavano, a suo sfavore, ad altre due dame, ma le donne erano unanimi nel loro verdetto: tutte e tre le dame erano molto belle, ma vestite in maniera indecente, troppo o troppo poco vistosa. La principessa della Foglia Argentea avrebbe potuto mettersi un po’ meno trucco e coprire un po’ il seno fin troppo rialzato; la contessa del Fiume di Mezzo avrebbe dovuto indossare un vestito un po’ meno sgargiante di quella specie di straccio azzurrognolo che portava, e Lady Marian avrebbe potuto indossare gioielli meno vistosi. Si sa, la bellezza ha sempre suscitato invidia oltre che ammirazione. Robin ignorò i commenti, e, scorta Marian, prese Little John per un braccio, conducendolo dietro una colonna, da dove potevano guardare indisturbati la diretta interessata senza essere visti.
“Che ne pensi?” chiese.
Little John diede una lunga occhiata alla donna, poi acconsentì, annuendo “è veramente molto bella, Robin, ottima scelta!”
Robin sorrise, compiaciuto.
In quel momento, i servi annunciarono il re, che entrava con la piccola principessa al fianco. Tutti i nobili in sala fecero silenzio per ascoltare il discorso di benvenuto del loro regale ospite, il quale ricordava a tutti che la festa era in onore della sua amata Biancaneve. La piccola principessa era adorabile nel suo abitino rosa, e per una volta, sia nobili che nobildonne si trovarono d’accordo sul fatto che Biancaneve fosse proprio una bella bambina, e che da grande sarebbe diventata bella come la sua defunta madre, se non di più. Se una bella donna crea desiderio da parte degli uomini e invidia da parte delle donne, una bella bambina incute invece in tutti un senso di protezione e affetto.
Il re incominciò poi a ricevere i re venuti dai regni vicini, che si diressero, con le loro mogli e i loro figli al seguito, a rendere omaggio al sovrano ospitante, e tutti i presenti distolsero lo sguardo dalla principessa, tornando a parlare e a danzare, mentre l’orchestra suonava. La festa proseguì allegra per una mezz’ora, alla fine della quale Robin aveva finalmente deciso di andare a salutare Lady Marian, quasi trascinato però da Little John, che lo teneva per un braccio. Quest’ultimo però improvvisamente si fermò così di scatto da rischiare di far cadere Robin.
“Ehi!” il ragazzo fece per protestare, ma si accorse che l’amico guardava fisso davanti a sé con occhi spalancati e la bocca aperta, come se avesse visto un fantasma. Seguì il suo sguardo attonito, ma non riuscì a vedere la causa di tanto stupore, a causa di un nutrito gruppo di gente che gli bloccava la visuale. Ma ebbe modo di accorgersi che la sala era divenuta per la seconda volta improvvisamente silenziosa, tanto che alle sue orecchie giungeva solo la musica dell’orchestra e le grida di stupore e d’ammirazione che sembravano uscire da tutte le bocche. Affinando l’orecchio riuscì a cogliere qualche bisbiglio: era apparsa una donna dalla bellezza così sfolgorante e inusuale da far sembrare tutte le altre invitate delle comuni contadinotte al confronto, una donna di gran lunga più bella della defunta regina Eva e di qualunque altra regina lì presente, una bellezza talmente unica da attirare gli sguardi da ogni punto della sala, e questo verdetto ora non era condiviso solo dagli uomini, ma anche dalle donne, troppo affascinate anche loro da quella bellezza per ricordarsi di provarne invidia. Gli uomini e le donne si interrogavano l’un l’altro: qualcuno aveva mai visto una donna più bella? Le risposte si susseguivano una per una, sempre negative. Pare che nessuno avesse mai visto una creatura così splendida, figuriamoci più bella! Guardandosi un po’ intorno, Robin si accorse che anche Lady Marian, la principessa della Foglia Dorata e la contessa del Fiume di Mezzo guardavano un punto davanti a loro con la quasi medesima espressione di Little John. Quanto poteva essere bella quella donna per suscitare un tale turbamento da parte di tutti? Robin cercò di vedere la donna che era causa di tanto stupore. Non dovette faticare a lungo, perché, al suo passaggio, tutti si spostavano, seguendola con lo sguardo, ossequiosi come se quella fosse stata una regina, o meglio, una dea. La vide, finalmente: un ragazzo che prima era davanti a lui si spostò, e lei passò a pochi passi da lui, talmente vicina che il suo profumo arrivò dritto alle sue narici, e per un attimo, fu come se il suo cuore si fosse fermato, per poi accelerare i battiti. La figura regale della fanciulla, avvolta da un abito di seta verde pallido, si muoveva sicura ed elegante, facendo fluttuare le pieghe del vestito come le onde dell’acqua. Un viso angelico, dai tratti di un’eleganza rara, era contornato da capelli neri come la notte sui quali brillava, come una costellazione di stelle, un diadema di diamanti. Ma la cosa più bella di quella visione erano i suoi occhi, di un castano quasi nero, leggermente obliqui, orlati da lunghe ciglia, che spiccavano intensi e penetranti come lance, su quel viso perfetto. Le labbra ben definite e carnose erano leggermente colorate di un rossetto chiaro, quasi invisibile. Per rendere tutta quella bellezza ancora più perfetta, una pelle leggermente olivastra, simile ad avorio dorato, faceva sembrare la fanciulla una statua. L’abito che le fasciava il corpo era semplice, senza decori particolari, né la giovane indossava qualche ornamento vistoso, a parte il diadema che aveva l’unica funzione di tenerle indietro i capelli, ma pur in quell’abbigliamento semplice, il più semplice di ogni dama della sala, riusciva a superare in splendore tutte le altre donne, agghindate molto più sfarzosamente.
Il brusio aumentò. Chi era quella fanciulla? Nessuno l’aveva mai vista. Doveva sicuramente venire da molto lontano, ma da dove? Era una nobildonna? Non poteva essere altrimenti, aveva un portamento troppo elegante per non esserlo. Ma allora perché nessuno l’aveva mai vista? Era forse un essere non terreno, o magico? Una sirena che per magia era stata trasformata in un’umana? Mentre tutti si ponevano quegli interrogativi, Robin, che aveva completamente dimenticato Marian, si voltò verso un Little John ancora turbato, e, toccandogli il braccio per smuoverlo dai suoi pensieri, lo avvertì che si sarebbe mosso per dare un’occhiata più da vicino alla fanciulla appena venuta, allontanandosi prima che lui potesse replicare.
Regina avanzò sicura fra i nobili che la guardavano estasiati. Sorrise in cuor suo, felice e allo stesso tempo sorpresa delle reazioni che stava suscitando. Nessuno sembrava immune al suo fascino: anche i vari re e regine venuti da lontano, seppur mantenendo un maggior contegno, com’era dovuto a dei sovrani, si erano voltati a guardarla stupiti a lungo non appena il regale ospite li aveva congedati. Il brusio meravigliato non accennava ad estinguersi, seppur molte coppie avevano ripreso a ballare. Lei invece, non ne aveva alcuna voglia: non le era mai piaciuto molto ballare, e in più nessun uomo della sala accennava ad avvicinarsi a lei per invitarla a farlo; a giudicare dalle facce degli uomini ancora senza dama, erano ancora troppo turbati e intimiditi da tanta bellezza che anche solo il pensare di avvicinarla sembrava un’impresa. Regina guardò in direzione del re, con fare sdegnoso: la tradizione voleva infatti che lui stesso, dopo averla presentata, la invitasse poi a ballare, essendo lei la sua futura sposa, ma ovviamente era troppo impegnato a salutare i suoi regali ospiti e a mostrare loro la sua adorata piccola peste per prestarle attenzione. Era così assorto nel contemplare la sua bambina da non essersi neppure accorto della reazione di pura meraviglia e del silenzio attonito che la sua futura moglie aveva lasciato al suo passaggio. Desiderando di essere sola, si diresse verso una stanza attigua alla sala, che si apriva su un cortile interno dove nel mezzo c’era una grande fontana, al lato della quale spiccava l’albero di mele che aveva fatto portare dal suo castello per rendere quel posto meno estraneo. Si fermò a contemplarlo, abitudine che aveva adottato ogni volta che si sentiva sola e triste, assorta nei suoi pensieri, cosa che avveniva molto spesso da quando era giunta a palazzo. Era talmente assorta nei suoi pensieri da non accorgersi del leggero rumore di stivali maschili sul pavimento di marmo. Sentendo però di non essere sola, voltò istintivamente la testa dietro di sé, e sobbalzò, alla vista di un giovane alto, che la guardava intensamente, meravigliato. Il giovane si affrettò a scusarsi, inchinandosi.
“Vi prego di accettare le mie scuse signora, non era mia intenzione spaventarvi. E’ solo che vi ho visto venire qui, sola, e pensavo che vi steste annoiando. So che è molto scortese per un gentiluomo seguire una dama, ma non ho potuto fare a meno di notarvi e seguirvi per assicurarmi che steste bene.” Robin sentì le sue guance infuocarsi. Perché tutto d’un tratto la sua voce aveva assunto un tono diverso dal solito, quasi stridulo? Non era certo quello il modo di fare bella impressione!
Regina sospirò, riavendosi dallo spavento “non preoccupatevi, non mi avete spaventata, è solo che non mi aspettavo che qualcuno mi venisse a cercare, e che tantomeno si preoccupasse. Nessuno vuole mai avere a che fare con me, soprattutto in questo posto” disse, con un velo di tristezza negli occhi, che presto s’inumidirono. Una leggera lacrima scese sulla guancia sinistra. Robin rabbrividì, turbato e triste al pensiero di essere lui la causa della malinconia di quella creatura così affascinante. D’istinto, le si avvicinò, asciugando la lacrima, prendendole il volto fra le mani, accarezzandolo. “Come si può non voler avere a che fare con una donna come voi, signora? Avete lasciato tutta la sala come sotto un incantesimo. Tutti i presenti si sono chiesti se quella che era appena passata fosse in realtà una dea!”
Regina ebbe un tuffo al cuore. Quella carezza, quello sguardo, quelle parole gentili erano le prime manifestazioni d’affetto sincere che riceveva dalla morte di Daniel. Le sembrava che tutti i gesti, le movenze, persino il tono pieno d’amore di Daniel, si fossero reincarnate in quel giovane. No, quell’uomo non poteva essere come il suo Daniel, il suo Daniel era speciale, il suo amore non poteva essere eguagliato da quello di nessun’altro. Eppure… il modo in cui quel giovane la guardava… come se tutta la sua anima fosse racchiusa in lei…
La giovane donna al chiaro della notte era ancora più bella. La luce della luna donava una luce soffusa alla sua pelle, come se quella fosse in realtà una fanciulla divina caduta per sbaglio sulla terra. I suoi occhi scuri erano resi luminosi dalle lacrime, ma anche da un sentimento diverso dalla tristezza: forse speranza? Non poteva resistere ancora a lungo ad un essere così incantevole, si sentiva attirato verso di lei come una falena si sentiva attirata verso una luce, si sentiva in trappola come una mosca in una ragnatela. Che genere d’incantesimo gli stava facendo, quella donna? Decise che non gl’importava, mentre guardava quelle labbra invitanti, sulle quali, ora notava, vi era una piccola cicatrice. Provò un sentimento di rabbia verso chiunque o qualunque cosa avesse causato quel segno che deturpava una bocca tanto bella, irresistibile nonostante tutto. Guardò ancora per alcuni istanti la fanciulla negli occhi, un leggero, breve attimo prima di chiudere quelle labbra con le sue, in un bacio appassionato. Sentì la fanciulla irrigidirsi fra le sue braccia, per poi rilassarsi contro il suo corpo, intensificando il bacio. Regina cinse le braccia attorno dal collo di Robin, lasciandosi andare all’amore per la prima volta dopo tanto tempo. Le sue labbra erano dolci, delicate, non invadenti eppure passionali, focose, di un fuoco che riscaldava l’anima, facendola sentire protetta.

Restarono così per un tempo indefinito, per secondi, o forse minuti, o magari anche ore intere, fino a che Regina, udendo dei passi, non si scostò di scatto. Il ricordo di quella terribile notte con Daniel era ancora orribilmente vivo nella sua mente. Si domandava quale bambina ficcanaso o madre assassina sarebbe ora giunta a distruggere il suo momento d’amore. Era un servo, che l’avvisava che il re chiedeva di lei. Sempre un individuo spiacevole, per chissà quale compito spiacevole. Sospirando, si voltò verso il suo amante.
“Devo andare” disse a malincuore.
Lui le strinse le mani. “No! Vi prego! Restate ancora un po’! Non so neanche il vostro nome!” disse, con voce allarmata.
“Regina!” sussurrò lei, prima di voltarsi a seguire il valletto.
Robin rimase per un attimo lì, fermo, il suono del nome della donna nella testa, che lentamente gli penetrava il cuore. Con l’anima rabbuiata e confusa, si avviò a passi mesti verso la sala da ballo, dove Little John lo attendeva preoccupato. Alla vista del viso ombroso dell’amico, il ragazzo giudicò le sue paure fondate.
“Dove sei stato? Sei sparito per mezz’ora! Muoviti, il re sta per fare un annuncio!”
Ma Robin non lo ascoltava, cercava con gli occhi la fanciulla che gli era appena sfuggita. Quando vide la sua bella figura che incedeva verso il sovrano, stette impaziente ad aspettare che il re parlasse. Nella sala, per la terza volta quella notte, era calato il più completo silenzio: tutti avevano intuito che l’identità della graziosa creatura stava per essere rivelata. Non appena la fanciulla fu al suo fianco, il re si alzò, e disse a voce alta e chiara:
“Sovrani dei regni vicini, nobili e nobildonne, grazie per essere venuti qui oggi. Chiedo venia, ma mi sono dimenticato prima di farvi un annuncio importante. Non ho organizzato questa festa solo in onore della mia adorata Biancaneve, ma anche per presentarvi la mia futura sposa. Questa fanciulla al mio fianco fra una settimana diventerà la mia nuova regina. Rendete tutti omaggio a Regina Mills, duchessa di Villestone.”
Inchini, applausi e grida di sorpresa seguirono l’annuncio. Finalmente si era scoperto chi era quella magnifica fanciulla! Robin guardava attonito la scena, annientato. La donna che già occupava il suo cuore e i suoi pensieri era promessa a un altro, a un re. Vide che la fanciulla muoveva gli occhi come se fosse spaventata, o come se cercasse disperatamente qualcuno o qualcosa, e, quando i loro sguardi s’incontrarono, capì che erano di nuovo adombrati da lacrime, anche se non riusciva a vederle.
  
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