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Autore: FREEDOMDARIA    03/06/2015    0 recensioni
Erika era sempre stata una ragazza esuberante, spensierata e amichevole. La sua vita non poteva andare meglio: una migliore amica perfetta ed un bel appartamento vicino la scuola dei suoi sogni.
I suoi genitori partirono per l'America e lei decise di rimanere a Londra per non perdere le sue amate radici.
Era contentissima di varcare la soglia della London High School, ma non sapeva che la sua felicità si sarebbe presto trasformata in qualcos'altro.
Conobbe Harry, un ragazzo a dir poco spaventoso e inquietante. Odiato da tutti e tenuto alla larga per il suo passato altrettanto oscuro.
Erika sarà l'unica in grado di avvicinarlo, capirlo, amarlo. Tenterà in tutti i modi di scoprire cosa si cela dietro quel misterioso ragazzo.
Il destino li porterà a confrontarsi, mettendo a luce le loro differenze.
Per una qualche ragione vivranno sotto lo stesso tetto e la convivenza eliminerà le maschere che entrambi si erano costruiti col tempo.
Scopriranno passioni, segreti e amori l'uno dell'altra e comprenderanno che un brutto passato alle spalle non può compromettere uno splendido futuro.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Niall Horan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“Erika, mi dispiace, ma credo che dovremmo lasciarci.”
“Cosa? Perché?”
“Credo di non averti mai amata veramente.”
“Quindi era tutta una bugia?”
“Andiamo piccola, non dirmi che non avevi capito che stavo con te solo per il tuo bel faccino.”
 
“Cosa? Ah, era solo un sogno, anzi un incubo” sospirai tirando fuori dal letto i miei piedi, seguiti poi dal resto del corpo. Ancora una volta avevo sognato quel momento. Quel giorno di due anni fa dove il mio ‘ragazzo’ mi aveva spezzato il cuore. Ormai non ricordavo più il suo viso, come ogni sua azione o parola rivolta nei miei confronti, l’avevo completamente rimosso dalla testa, ma quello che non riuscivo a dimenticare erano quelle parole. Quelle cattive parole che ogni notte venivano a tormentarmi, come se già tutto quello che avessi passato non fosse abbastanza. Spensi la sveglia, che aveva da poco cominciato a suonare, e mi diressi in cucina. Mi riscaldai del latte, presi delle fette biscottate dalla dispensa e mi sedetti su di uno degli sgabelli che circondavano  l’isola al centro della cucina. Inzuppavo nel latte un pezzo di fetta biscottata mentre osservavo il fumo creare ghirigori nell'aria per poi fondersi con essa. Sollevai per l’ennesima volta quella fetta e la portai alla bocca. Una gocciolina cadde sulla mia coscia nuda. Il calore si diffuse in tutto il corpo. Presi un panno e pulii il tutto. Finita la colazione mi diressi in camera mia per prepararmi al mio secondo giorno di scuola.
Misi le scarpe ed uscii di casa. Inchiavai la porta e mi preparai ad andare quando vidi aprirsi quella del mio nuovo vicino di casa.
“Buon giorno” mi azzardai a salutarlo.
“Ciao” disse.
Rimasi leggermente sorpresa dalla sua risposta. Sinceramente, non mi aspettavo neanche che mi guardasse in faccia, come invece fece. Magari mi stavo avvicinando allo spaventoso Angelo nero.
Scendemmo le scale assieme e, giunti al portone, premette il bottoncino sotto il contatore elettrico, aprendolo al suono di un fastidioso ronzio. 
Stavo per chiedergli se gli andasse di fare la strada insieme, quando lo vidi voltarsi dalla parte opposta, cominciando a camminare.
“Dove vai? La scuola è dalla parte opposta” gli urlai, ormai troppo lontano per potergli parlare ad un volume più basso.
“Ho da fare. Ci vediamo a scuola” disse voltandosi e sorridendo.
Questa è la seconda volta in due giorni. Magari la prima volta ho visto male, era sera ed ero molto stanca, ma oggi? È giorno e c’è molta luce. Questa volta non ho dubbi: mi ha sorriso.
Trascorsi un piccolo tratto  da sola, per poi incontrarmi con Sam davanti alla Sophie’s cakes, una delle mie pasticcerie preferite.
“Buon giorno Sam!” esclamai non appena la vidi attraversare la strada.
“Buon giorno anche a te” ricambiò abbracciandomi.
Iniziammo a camminare fianco a fianco, raccontandoci cosa avevamo fatto dalla sera prima fino a pochi minuti fa. Ci sentivamo ogni giorno e nonostante questo avevamo sempre qualcosa su cui parlare.
“E quindi mio padre cominciò a dirmi che non potevo più uscire con il mio ragazzo” iniziò a blaterale copiando i gesti del padre “E’ troppo grande per te” disse imitando la sua voce. “L’ho mandato a quel paese alla fine, io amo Luke. È questo l’importante, vero?” chiese alla fine ricordandosi della mia presenza.
“Si, hai fatto bene” le risposi. Anche se non ero completamente d’accordo con lei. Appoggiavo la sua storia d’amore, ma quel ragazzo era davvero troppo grande, era già al primo anno di università!
“Erika!” mi urlò tirandomi verso il muro. “Accidenti quella macchina stava per metterti sotto!” mi ammonì. “Devi stare più attenta.”
“Scusami, mi ero distratta” mi giustificai rigirandomi i pollici.
“Dai non preoccuparti. L’importante è che tu non ti sia fatta male” mi disse sorridendomi.
Le sorrisi di rimando ed entrai a scuola.
Attraversai un lungo viale alberato e varcai la soglia dell’ingresso. Arrivai in classe e presi posto nel mio banco accanto a Chanel. Harry non era ancora arrivato.
Chissà dove sarà andato. Spero solo che arrivi in tempo per la campanella.
Avevo appena formulato quella frase nella mia mente, quando lo vidi entrare e sedersi, proprio ad un banco di distanza da me.
“Buon giorno ragazzi” disse un uomo entrando in classe. Ricambiammo il saluto e tornammo seduti.
“Bene, mi presento. Io sono Adam Williams” scrisse il suo nome a caratteri cubitali sulla lavagna “e sarò il vostro professore di biologia. Spero passeremo un magnifico anno insieme” disse sorridendo all'intera classe.
Era estremamente giovane, anche troppo. Come faceva ad essere già un docente?
Aveva i capelli castani e degli occhiali a coprirgli degli occhi azzurri da mozzare il fiato. Era molto alto e slanciato, e il suo sorriso, oh quel bellissimo sorriso, era qualcosa di stupendo. Mi sembrava un angelo, l’Angelo che mi avrebbe portata in Paradiso.
“Avete domande da pormi?” chiese poi sfregandosi le mani.
Istintivamente alzai la mano. Strano, non ero di certo il tipo di ragazza da compiere un gesto del genere, non mi piaceva essere al centro dell'attenzione.
“Si?” mi indicò, incitandomi a parlare.
“L-lei non è troppo giovane per essere un professore?” osai a chiedere.
“Beh, effettivamente, sono molto giovane. Questo è il mio primo anno dall'altro lato” cacciò una leggera risata “sono stato solo molto determinato e ce l’ho fatta molto presto” disse soddisfatto. Annuii leggermente e tornai ad essere la solita ragazza silenziosa.
“Qualcun'altro vuole chiedere qualcosa?”
Seguirono svariate domande, la maggior parte proposte dalle ragazze. Era un bel uomo, aveva fatto sicuramente breccia nel cuore di tutte, persino nel mio.
“Signorina Brown vorrei parlare con lei al termine delle lezioni” disse rivolgendomi quei due ritagli di cielo che si ritrovava al posto degli occhi.
“C-certo professore.”
Di cosa vorrà parlarmi? Pensai mentre continuavo a fissare il suo ipnotico sguardo, rivolto, però, alle figure nelle pagine del libro di biologia. Invidiai per un momento quell'ammasso di fogli perché poteva essere osservato e sfiorato dalle sue mani.
Finalmente quella stramaledetta campanella si decise a suonare e potei andare da lui per sentire quello che aveva da dirmi.
“Mi dica professore” appoggiai le mani sulla cattedra, dove era seduto a sfogliare una di quelle riviste per intellettuali. 
"Mi sono documentato sui miei studenti" chiuse la rivista e mi guardò negli occhi "e ho notato che lei ha vinto ben tre concorsi a sfondo scientifico nella sua precedente scuola" sollevò i lati della bocca in un sorriso da togliere il fiato "Sarà un piacere passare un anno in sua compagnia" disse incontrando il mio sguardo per la seconda volta. 
"G-grazie. Il piacere è tutto mio" dissi arrossendo. 
Cavolo ha detto che sarà un piacere stare con me per tutto l'anno. Intendeva che gli piaccio? Che mi trova interessante? 
Molte domande attraversavano la mia mente, ma non osai condividerle con lui. Mi avrebbe presa sicuramente per una perfetta ragazzina in crisi ormonale! 
***
La ricreazione arrivò e con essa anche il momento di consegnare a Harry la sua merenda. Dopo quella sera, avevo cominciato a pensare quale salume gli piacesse o quale formaggio preferisse. Mi aveva solo detto che avrebbe voluto un panino, niente di più. Nell'incertezza scelsi un classico: prosciutto e provola.
"Ecco il tuo panino" dissi con un sorriso mentre gli poggiavo quella pagnotta sul banco.
"Oh bene, avevo fame" disse togliendo la carta stagnola che lo avvolgeva completamente.
"Potresti almeno ringraziare" dissi irritata dalla sua continua mancanza di buona educazione.
"Perché dovrei?" alzò le spalle e diede un primo morso al panino "Non ti ho mica ordinato di farlo" farfugliò con la bocca piena. A quel ragazzo servivano proprio un paio di lezioni di buone maniere, a quanto pare.
Era vero, non lo aveva fatto, eppure sentivo il dovere di farlo. Non ci avevo pensato molto, glielo avevo preparato e basta. Ogni mio gesto, ogni mio pensiero legato a lui non aveva un perché, non era che non lo volessi ammettere, il perché continuavo a stargli accanto non lo sapevo neanche io. Sentivo che qualcosa mi teneva legata a lui, una piccola parte di me aveva bisogno di lui e io dovevo trovarla, per poterla distruggere. Non volevo avere niente a che fare con lui, ma, nonostante questo mio pensiero, non riuscivo a stargli lontana.
"Erika!" sbuffò Sam. "Uffa non mi stavi ascoltando di nuovo" continuò mettendo il broncio.
"Mi dispiace."
"Erika cosa hai? Ti vedo strana. Va tutto bene?" cominciò a riempirmi di domande. 
"Si, sto bene" farfugliai massaggiandomi le tempie. "Oggi è venuto un nuovo professore nella mia classe. È molto carino" cercai di cambiare discorso.
"Davvero? Descrivilo" si eccitò Sam.
"Beh, si chiama Adam Williams  ed è davvero giovane. Ha un paio di occhi pazzeschi!" dissi sognante "penso di essermi innamorata" arrossii. “Ha voluto parlare con me dopo le lezioni” dissi coprendo le mie guance con il colletto della giacca.
"Sei sempre la solita!" esclamò cominciando a ridere.
 
Aprii la porta e la richiusi alle mie spalle. "Sono a casa" dissi appendendo la giacca sull'appendiabiti. Sono proprio una stupida, non mi sono ancora abituata del tutto a vivere da sola pensai sorridendo con un filo di malinconia.
Il telefono squillò e mi precipitai a rispondere.
"Pronto?"
"Erika, sono mamma. Come va?"
"Tutto bene qui. New York è bella come si dice nelle riviste?"
"È bellissima, sei sicura di non voler venire?"
"Mamma, qui va alla grande e non penso di volermene andare" le dissi decisa.
"D'accordo. Allora ci sentiamo" mi salutò.
"Bye bye."
Riattaccai ed andai nell'atrio per recuperare lo zaino, che avevo lasciato per terra, prima di rispondere a mia madre. Tirai fuori i libri e il diario. Era ancora il secondo giorno e già i professori avevano assegnato dei compiti.
"Per domani ho storia, matematica e biologia" dissi quest'ultima materia sospirando, quel professore era davvero un sogno, e appoggiai i libri sul tavolo della cucina.
Andai in bagno e mi spogliai. Avevo bisogno di un po’ di tranquillità e l’unico modo di trovarla in fretta era fare una doccia calda. Spostai le ante scorrevoli ed entrai, prima con un piede, tastando la temperatura, e poi con l’altro. L’acqua era al punto giusto, né troppo calda né troppo fredda. Mi sistemai sotto il getto e lasciai che mi bagnasse interamente, da capo a piedi. L’acqua mi scorreva sul viso, sulle spalle, lungo tutta la schiena. Respiravo profondamente, volevo trovare la pace. Chiusi gli occhi e lasciai che tutta la tensione fluisse via. Sentivo la mia mente farsi più leggera, stavo raggiungendo la mia tranquillità.
DLIN DLON.  A quel suono sobbalzai. Sbuffai, possibile che non riuscivo a stare serena neanche a casa mia?! Uscii dal bagno con indosso un accappatoio e un asciugamano sulla testa. Mi precipitai alla porta. Mi alzai sulle punte dei piedi e guardai l'esterno attraverso lo spioncino. 
"Harry che ci fai qui?" esclamai.
“Sono venuto per la cena” disse fissando lo spioncino. I nostri occhi si incontrarono.
Eh? Mi ha presa sul serio?
“Ho appena finito di fare la doccia, potresti aspettare un attimo fuori?” chiesi imbarazzata. Meno male che non riusciva a vedere il mio viso, era rosso come un peperone.
“Okay” rispose.
Mi precipitai in camera mia ed aprii il mio armadio. Dopo cinque minuti netti tornai alla porta e gli aprii.
“Era ora” borbottò passandomi davanti e sedendosi sulla sedia in cucina.
Non risposi, non volevo litigare per una sciocchezza del genere.
Infilai un grembiule e cominciai a cucinare. Avevo una gran voglia di spaghetti al pomodoro. Non era proprio un piatto anglosassone, ma era davvero gustoso. Due anni fa ero stata in Italia a trovare la mia nonna paterna. Eh si, ho origini italiane. Mi dicono spesso che ho i lineamenti mediterranei. Gli occhi li ho presi da mio padre, infatti sono marroni, mentre i capelli, biondi lucenti, li ho ereditati da mia madre, inglese al cento per cento. Quando andavo da mia nonna, mi faceva assaggiare tutti i piatti tipici del posto. I miei preferiti erano la pizza e gli spaghetti. Per quella sera optai per quest'ultimi, così cominciai a prepararli. 
“Ti piacciono gli spaghetti?” gli chiesi.
“Andranno bene” disse sfilandosi la felpa, rimanendo solo in canottiera.
“Non hai freddo?” chiesi imbarazzata alla vista dei suoi bicipiti scolpiti alla perfezione.
“Sono bello vero?” disse fissandomi dritto negli occhi.
“Ma cosa dici?” ribattei voltandomi di scatto verso la cucina.
Cazzo se n’è accorto! Quanto odio questo ragazzo!
“Renditi utile almeno.”
“Cosa vuoi che faccia?” chiese.
“Apparecchia la tavola” dissi indicandolo.
“Okay.”
Fece come gli avevo chiesto e, dopo un po’, gli servii la sua porzione di spaghetti.
Mi sedetti anch'io e cominciai a mangiare.
“Come mai vivi da sola?” mi chiese di colpo.
“Fatti miei!” risposi facendogli la linguaccia.  Fece una smorfia e continuò a mangiare. Ah ah! Non è piacevole essere trattati così vero? Beh, occhio per occhio, dente per dente amico mio.
Terminai la mia porzione  e mi spostai nella parte opposta del tavolo, dove avevo lasciato i miei libri. Cominciai a sfogliarli svogliatamente.
Ben presto cominciai a non capirci più niente, era troppo complicato per me. Formule, numeri, frazioni, tutte cose troppo difficili ed inutili per me. A cosa serve nella vita saper fare le espressioni con le potenze? A niente, e ancora non capisco perché continuino ad insegnare certe cose a scuola. Un male alla testa aveva iniziato a tormentare la mia povera mente.
“Hai bisogno di aiuto?” mi chiese alzandosi e venendo verso di me.
“N-no, ce la faccio da sola.”
“Si vede lontano un chilometro che non ci capisci niente” disse sarcastico.
“Ti permetto di aiutarmi” mi arresi.
Rise ancora più forte e si sedette accanto a me. E' vicinissimo! Riesco a sentire il suo profumo. Spero sia una cosa veloce, non penso di resistere a lungo.
“Allora devi moltiplicare questi e poi dividere per questo” mi spiegò indicando le cifre scritte sul mio quaderno. Non feci molto caso alla sua spiegazione, ero occupata a fissare i suoi occhi. Istintivamente gli sollevai un ciuffo di capelli, che gli copriva tutta la fronte, per poterli ammirare meglio.
“Dovresti portarli tirati sai? Ti stanno molto bene” dissi in un sussurro.
Lo vidi arrossire leggermente, ben presto lo feci anch'io. Che mi prende quando sono con lui? Non mi riconosco proprio!
“Smettila!” disse spostando la mia mano dai suoi capelli castani. “Hai capito come devi risolvere quest’espressione?” chiese alla fine.
“S-si, ho capito tutto. Spieghi molto bene” gli dissi con un sorriso.
“Sei proprio una stupida” si alzò e andò alla porta.
“Cosa?” chiesi irritata.
“Buona notte Erika.”
Mi sorrise e sparì dietro la porta.
“Buona notte” sussurrai. 
   
 
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