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Autore: Stella Dark Star    03/06/2015    0 recensioni
[Le cronache di Narnia]
Ricordo molto bene le avventure vissute nel mondo incantato di Narnia, ma non è solo questo che vi racconterò. Nonostante mio marito e i miei cognati ripetano continuamente che Narnia è stata l’occasione per cambiare e migliorare le loro vite, io mi sento in dovere di aggiungere che quel luogo è stato anche la sorgente di molti problemi.
Ora come ora non riesco a contare le volte in cui ho pianto in quel mondo forse immaginario o forse reale, ma so che i sentimenti e le emozioni che ho provato erano assolutamente vere.
Ammetto che anch’io sono cambiata dopo il primo soggiorno a Narnia e che, nonostante tutto, ho trascorso dei momenti felici, ho conosciuto genti e creature che ricorderò per sempre.
Quello che desidero raccontare è l’avventura che ha cambiato per sempre la mia vita: l’amore. Un amore tormentato e appassionato al contempo, tutt’oggi vivo e forte. Iniziato quel giorno lontano, il 14 Febbraio 1943, nella villa di campagna di mio nonno, il Professor Kirke.
Una parte di me è rimasta a Narnia, letteralmente, come presto scoprirete, eppure non potrei chiedere di più di quello che ho ora.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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Volume I
 

Capitolo 1
L’arrivo del cigno e del corvo
 
Erano passati quasi quattro anni da quell’afoso giorno estivo in cui salii sul treno, diretta nelle campagne. Ero poco più di una bambina che, assieme a migliaia di altri bambini piangenti e spaventati, doveva essere portata al sicuro, lontano dalla guerra. Ogni singolo treno era pieno zeppo di creature che sarebbero state accolte da famiglie di estranei nelle sconfinate campagne inglesi. Tutto sommato io ero fortunata, poiché sarei rimasta in famiglia, visto che mio nonno materno possedeva una maestosa villa tutta per sé dove io avevo già trascorso la mia infanzia. Non ero nemmeno sola, dato che conoscevo tutti i bambini della contea! Eppure, dopo tre estati e quattro inverni, quando mio nonno mi disse che avremmo accolto dei ragazzi nella villa, io mi illuminai di gioia. Si trattava di ragazzi ebrei precedentemente accolti in una struttura apposita, ma che poi, tramite non so quale circolo di voci, era risultato che alcuni loro parenti erano conoscenti di mio nonno e così, dopo aver contattato la loro madre, in un batter d’occhio tutto fu stabilito per il loro trasferimento. Ammetto che una piccola parte di me era diffidente nei confronti degli ebrei, forse per via dell’influenza negativa assorbita da alcuni romanzi di Némirovski di cui ero appassionata, però la gioia di non sentirmi più sola in quell’immensa villa riuscì a seppellire ogni pregiudizio.
 
Quel pomeriggio mi trovavo nella mia stanza, seduta alla scrivania, per scrivere una lettera ai miei genitori. Come al solito, il pennino sembrava danzare sul foglio bianco ininterrottamente, quando venni distratta dal rumore di passi avvicinarsi e fermarsi sull’uscio della porta.
“Ho buone notizie! I fratelli Pevensie arriveranno domani, nel primo pomeriggio!”
Mi voltai sorridendo: “Oh come sono contenta, nonno! Ma dimmi, quanti sono? Quanti anni hanno?”
Lui fece una risatina: “Sei curiosa! Da quanto ha detto la madre sono in quattro. E hanno… Vediamo…” Si mise una mano tra i folti ricci grigi per pensare: “Il maggiore, Peter, e la sua gemella hanno diciassette anni, il mezzano non ha ancora compiuto i sedici anni, proprio come te, e la più piccola ne ha dodici.”
Io mi feci più curiosa: “Mi hai detto solo un nome! Come si chiamano gli altri? Come si chiama quello che ha la mia età?”
“Non lo ricordo proprio! Non ho più la memoria di una volta!”
“Sento che morirò prima che arrivino!” risposi con tono teatrale, come adoravo fare nelle giuste occasioni.
Si lasciò sfuggire una sonora risata: “Credo invece che appena avrai preso in mano un libro ti dimenticherai di tutto il resto!”
Si voltò e prese a camminare lungo il corridoio, mentre io seguivo i suoi movimenti sorridendo e scuotendo la testa. Aveva davvero ragione!
Dopo qualche ora avevo terminato, imbustato e affrancato la lettera, perciò la portai all’entrata della casa e la posai sul mobile dove c’era la posta da spedire e quella che arrivava ogni giorno. Tornata nella mia stanza sospirai annoiata: “Uffa non so che fare.”
Mi guardai intorno e posai lo sguardo sulla mia libreria personale che copriva un’intera parete: “Vorrà dire che leggerò.”
La lettura aveva il potere di togliermi dalla vita quotidiana e di trasportarmi in altri mondi, in altre storie, dove immaginavo di incontrare un cavaliere, un soldato o un gentiluomo che mi avrebbe fatto battere il cuore. Di certo non mi aspettavo che la vita reale aveva in serbo per me molto di più.
Seduta sul letto, col libro sulle ginocchia, interruppi un attimo la lettura per guardarmi allo specchio. I capelli biondi sottili che m’incorniciavano il viso, gli occhi grandi e azzurri, la pelle d’alabastro liscia e morbida. “Chi sa… Uno dei due fratelli potrebbe fare breccia nel mio cuore!”
 
Mai in vita mia avevo avuto tanta fretta. Prima di decidere quale vestito indossare avevo capovolto l’armadio, la scarpiera era ancora aperta e al suo interno regnava il disordine, io ero davanti la specchiera intenta a litigare col pettine che si era incastrato tra i capelli e sembrava non voler più districarsi.
“Proprio oggi doveva capitarmi? Dannato pettine! Ahi! Tra meno di dieci minuti saranno qui e guarda come sono ridotta!”
Finalmente riuscii ad estrarlo e potei acconciarmi i capelli raccogliendoli ai lati con delle forcine, mentre  in lunghezza  ricadevano una serie di boccoli che avevo fatto coi bigodini.
Sentendo un rumore provenire dal piano di sotto, tesi l’orecchio in direzione della porta chiusa.
Evidentemente i fratelli erano arrivati, perché sentivo numerosi passi salire le scale in direzione delle stanze per gli ospiti e la governante McCready elencare una serie di regole assurde e severe.
Imprecai contro me stessa a bassa voce: “Accidenti!”
Passai velocemente le mani sui capelli per controllare che le forcine fossero ben fissate, poi ravviai la gonna del vestito rosa antico ed infine allacciai i cinturini dei sandali dello stesso colore. Sentii nuovamente dei passi: “Stanno andando in salotto a conoscere il nonno. Devo sbrigarmi.”
Presi la boccetta di profumo e diedi qualche spruzzata sul collo e sui polsi e uscii dalla stanza.
Sapevo che non era decoroso correre lungo le scale, ma era una questione di assoluta importanza, comunque cercai di ricompormi prima di fare il mio ingresso in salotto.
Non dimenticherò mai quel momento. Entrando dalla doppia porta parlai a mio nonno: “Scusa il ritardo!”
“Nulla di grave. Ti presento i nostri ospiti.”
Mi voltai verso di loro con un sorriso naturale esclamando: “Piacere di conoscervi, io sono Vera Berry, la nipote del professor Kirke.”
Se qualcuno di loro disse una parola non saprei dirlo, perché appena terminai la frase incontrai lo sguardo magnetico del ragazzo biondo che stava di fronte a me. Non avevo mai visto occhi così limpidi, così azzurri, e capelli così lisci, così variopinti. Oh che ragazzo affascinante! Anche lui sembrava attratto da me, visto il modo in cui ricambiava il mio sguardo. Fu un colpo di tosse di mio nonno a riportarci alla realtà. Avevamo addosso gli sguardi interrogativi degli altri fratelli.
Il ragazzo biondo si schiarì la voce e iniziò con fare impacciato: “Io sono Peter, felice di conoscerti.” Posò una mano sulla spalla della ragazza castana accanto a lui: “Questa è la mia gemella, Susan.”
Lei fece un leggero e semplice sorriso: “Piacere!”
Chiesi dubbiosa: “Gemella? Non lo avrei mai detto, non vi assomigliate per niente.”
I due si guardarono sorridendo e Susan mi rispose: “Non siamo omozigoti. Mi dispiace.”
Peter continuò le presentazioni: “Quello è nostro fratello Edmund.”
Il ragazzo dai capelli e occhi neri rispose a basso tono, con un cenno di menefreghismo: “Piacere.”
“E nostra sorella più piccola Lucy.”
La bambina, molto simile a Susan, fece un simpatico inchino: “Molto piacere!”
Non potei evitare di rivolgerle un largo sorriso affettuoso.
“Bene, ora che vi siete presentati posso lasciarvi soli a conoscervi meglio.” Il nonno ci passò uno a uno con sorriso bonaccione: “Io torno nel mio studio. Mi raccomando Vera, abbi cura dei nostri ospiti. Sei tu la padrona di casa.”
Io arrossii: “Nonno!”
Lui fece una delle sue risatine enigmatiche e uscì dal salotto richiudendo la porta alle proprie spalle.
Alzai un braccio per indicare i divani disposti a quadrato, dove al centro vi era un tavolino con sopra un rinfresco pomeridiano preparato dalla governante: “Prego, sedetevi!”
Contrariamente a quello che pensavo, Peter si sedette sul divano di fronte al mio. La piccola Lucy si sedette sul posto accanto a me, Edmund sul divano di sinistra, Susan su quello di destra.
Era strano il modo in cui ci eravamo divisi. Quattro divani, otto posti, cinque ragazzi separati.
Dopo aver sbocconcellato delle tartine al formaggio e sorseggiato la Coca-Cola dalle bottigliette, cercai di animare la conversazione dimostrandomi simpatica: “Da quando sono nata ho trascorso qui ogni singola estate. Poi, quando è scoppiata la guerra, mi sono trasferita qui del tutto. Lasciate che ve lo dica, se sono sopravvissuta io alla McCready ce la farete anche voi!”
Tutti e quattro risero divertiti.
“Dove abitavi prima?” Mi chiese Edmund. Forse mi stavo ingannando, ma mi parve di vedere nei suoi inespugnabili occhi neri un barlume di interesse nei miei confronti.
“A Cambridge, la città natale di mio padre. Voi invece siete di Londra, giusto?”
“Sì, assolutamente londinesi fino al midollo!” Rispose fiero.
Fu la volta di Peter: “E i tuoi genitori dove si trovano? Trovo strano che tua madre non sia venuta qui con te, nella sua casa natale.”
Io risposi con un filo di tristezza: “E’ semplice rispondere. Mio padre è un pilota quindi non è mai nello stesso posto, mentre mia madre è partita volontaria come infermiera. Anche a Cambridge era l’assistente di un dottore privato.”
“Capisco… Immagino che non abbiano molte occasioni per scriverti.”
“No, infatti. Io scrivo a loro ogni settimana, spedisco le lettere al Ministero della Guerra e da lì spero che uno dei miei genitori le riceva.”
Lucy posò gentilmente una mano sulla mia: “Sono sicura che le hanno ricevute tutte.”
Le feci un sorriso di ringraziamento.
Edmund mi chiese ancora: “Con una famiglia così facoltosa anche tu avrai delle inclinazioni. Cosa ti piace fare?”
Mi feci timida: “Vedi io…adoro la letteratura. Leggo ogni giorno e, quando avrò l’età giusta, desidero frequentare l’università di Cambridge e laurearmi in lettere. Per questo spero di tornare presto a casa.”
Stavo per chiedere ad Edmund quali fossero i suoi interessi, ma Peter si intromise: “Io invece desidero diventare pilota come mio padre. E combattere contro i tedeschi.”
Lo rimproverai: “Sono convinta che più stiamo lontani dalla guerra e meglio sarà per noi. Non desiderare di essere in pericolo.”
Nessuno ebbe il coraggio di obiettare le mie parole.
 
Mi ci volle l’intero pomeriggio per delineare i caratteri dei ragazzi e la loro simpatia nei miei confronti. Con un pizzico di dispiacere capii che Susan non aveva una buona inclinazione nei miei riguardi, probabilmente in preda alla gelosia per via delle evidenti attenzioni che i suoi fratelli mi dimostravano. Al contrario, Lucy era gentile e affettuosa come una sorellina minore. Peter, anche se era distante da me, non smise un solo istante di guardarmi, accennando di volta in volta sorrisi od occhiate allusive che mi facevano arrossire. Edmund, che era il più serio, riusciva ad attirare la mia attenzione ad ogni movimento che faceva e man mano che passavano i minuti si fece sempre più vicino a me, tanto che cominciai a credere si sarebbe presto seduto sul bracciolo del divano per poi passare sul mio!
Anche durante la cena notai degli atteggiamenti strani. Peter si sedette di fronte a me, Edmund  riuscì a conquistarsi il posto al mio fianco, forse con la collaborazione di Susan che si era portata Lucy accanto a sé dal lato dove c’era Peter.
Ricordo che sorseggiando la zuppa di verdure, in un momento che ero soprapensiero, per errore mi cadde una goccia sul mento ed Edmund si affrettò ad asciugarla col proprio tovagliolo.
Il suo gesto sembrava fatto con distacco, ma io lessi qualcosa di diverso nei suoi occhi. Quegli occhi neri avevano una luce particolare, risaltata dalla vasta illuminazione del lampadario. Vi lessi la convinzione di quello che stava facendo. Oh che sguardo virile!
 
Trascorrendo assieme molto tempo, avevo capito chiaramente che Peter era molto attratto da me ma ancora non capivo i pensieri di Edmund. Faceva di tutto per starsene in disparte, per sembrare indifferente, ma allo stesso tempo avevo l’impressione che stesse giocando con me come al gatto col topo. Credevo di essere il topo. Mi sbagliavo, però me ne resi conto molto tempo dopo. Per il momento, l’unica cosa che sapevo era che nella mia vita erano entrati un corvo dall’aria severa con le penne nere luccicanti e un cigno biondo dai modi gentili, e che non ne sarebbero mai usciti.
  
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