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Autore: SalvamiDaiMostri    03/06/2015    2 recensioni
Johnlock dai toni estremamente drammatici a causa di una particolare condizione di Sherlock: mai avrebbe pensato che le stronzate del suo passato avrebbero inciso così profondamente sulla sua vita adulta e compromesso fino a tal punto la sua felicità. E a pagarne le conseguenze è John. E questo Sherlock sa che è terribilmente ingiusto, oltre che pericoloso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sherlock era sveglio ormai da diverso tempo e giaceva a pancia in giù, con le braccia sotto al cuscino e il viso rivolto verso John che dormiva supino serenamente accanto a lui. Il sole che filtrava dalla finestra li illuminava e Sherlock in  quegli istanti ringraziava l’universo per essere tornato a regalargli quei momenti idilliaci che tanto lo rendevano felice.
John si mosse leggermente e, dopo qualche smorfia, si svegliò. Prima di aprire gli occhi si portò le mani al viso e se lo sfregò vigorosamente. Sherlock allora si alzò sui gomiti e si spostò in modo tale da coricare il suo petto sulla pancia del compagno. John abbassò quindi le braccia su Shelrock e prese ad accarezzargli la schiena e le braccia e i capelli, senza che nessuno dei due dicesse una parola.
Sherlock chiuse gli occhi e inspirò a pieni polmoni l’odore della pelle di John mentre la sfiorava col naso in piccoli cerchi. Senza guardarlo in viso disse:
“Eppure... Ciò che mi fa più paura... E’ la possibilità di contagiarti...”
John si sorprese e si fermò un momento. Sherlock si voltò verso di lui e adagiò di nuovo la testa su John.
“Non è possibile...” rispose lui accarezzandogli la guancia con le dita
“E invece sì. E’ solo poco probabile.”
“Molto poco probabile.”
“Non mi importa.” John lo guardò incapace di rispondere. Sospirò e lo tirò verso di sè per poi invitarlo a mettersi su un fianco,  appoggiarsi a lui e così abbracciarlo stretto, appoggiando il mento sulla sua spalla.
“Tu sei ciò di cui dobbiamo occuparci ora.” gli schioccò un bacio sul collo “Devi assolutamente parlare alla Tietjens di questa perdita di peso...”
“Alla quale si sommano la perdita del sonno, dell’appetito e una sudorazione eccessiva.” puntualizzò Sherlock. John non rispose, incapace di reagire “L’ho già chiamata ieri, ma le ho chiesto di vederci domani, così oggi saremmo potuti stare insieme. Tanto ventiquattro ore non faranno differenza alcuna.” John sorrise:
“Sapevi davvero che sarei tornato ieri...”
“Elementare.” sorrise e si strinse le braccia di John in vita. Restarono qualche minuto in silenzio. Poi Sherlock parlò: “Se ti capitasse... Tutto questo... Non me lo perdonerei mai.”
“Non potrebbe essere in alcun modo colpa tua. So quello che faccio.”
“Non mi importa.” Restarono abbracciati in silenzio, ancora. “Non dovevo coinvolgerti.”
“Voltati.” Ordinò il compagno. Sherlock si girò su se stesso per guardarlo negli occhi “Sherlock, non dirlo più.” Lo guardava severo e parlava con tono autoritario “Sono un adulto e sono un medico, capace di intendere e volere e del tutto consapevole di ciò che fa e ciò che rischia. E ti amo e voglio starti accanto fino alla fine e, a meno che tu non mi voglia, di qui io non mi muovo.” Sherlock sorrise:
“Certo che ti voglio qui...” Sherlock si strinse a lui e lo abbracciò. Poi rise e sussurrò: “Potremmo sempre smettere di fare sesso...” John si separò di scatto per guardarlo negli occhi con aria sconvolta:
“Stai scherzando, vero?” Sherlock scoppiò a ridere, ma John continuava a guardarlo sconcertato “Hehe, sì, era uno scherzo... vero?” Sherlock continuava a ridere di gusto e, avvicinandosi piano, lo baciò intensamente per poi tirarsi su di lui e continuare a ridere e a baciarlo contemporaneamente.

 

“Signor Holmes, Dottor Watson. Accomodatevi, prego.” la dottoressa li invitò a sedere, come sempre, ma con aria più cupa del solito. In genere mostrava loro sempre un dolce sorriso... Oggi, per la prima volta, quel sorriso non c’era. “Quanto vorrei potervi dire che sono felice di vedervi, come al solito. Ma purtroppo, dalle analisi che mi sono pervenute, pare proprio che i suoi sospetti fossero fondati, Sherlock: lei è ufficialmente entrato nella terza fase dell’infezione, ossia infezione da HIV sintomatica.” si prese una pausa, ma paziente e compagno non proferirono parola. Dunque proseguì: “La conta dei CD4 è scesa a 325, ne sono una chiara prova i sintomi che mi ha detto di aver avuto nelle ultime settimane. Per qualche ragione imprevedibile e a me sconosciuta, il virus è diventato immune al coctail di farmaci che ha assunto fin ora. Tale ricaduta è davvero anomala... Soprattutto trattandosi di un uomo giovane e robusto come lei... Sottoporrò questo caso ai migliori dei miei colleghi a livello internazionale, ma, come di certo entrambi sapete, l’HIV è ancora oggi un mistero e difficilmente sorgeranno riposte utili quantomeno a noi. Ciò detto, ora il suo stato di immunodepressione è decisamente avanzato e dovremo discutere un cambiamento radicale nei suoi farmaci: dovremo introdurre un inibitore della proteasi. Inoltre, essendo immunocompromesso apparentemente da molti giorni, vorrei che si facesse testare per l’eventuale insorgere alcune malattie che il suo sistema immunitario non è più in grado di contrastare: se il test risultasse negativo per tutte, cosa che noi ci auguriamo di cuore, allora ripeteremo tale test ogni tanto. Avete domande?”
“Solo... Quanto tempo? Quanto prima dell’AIDS?” domandò John. La dottoressa sospirò:
“Dottor Watson, lei certo capirà che non posso darle una risposta certa riguardo a questo. Posso dirle che l’AIDS viene diagnosticata nel momento in cui i CD4 raggiungono una conta inferiore a 200. Facendo una media dei milioni di casi registrati, dallo stadio nel quale si trova il signor Holmes fino all’insorgere della malattia, potranno trascorrere dai dodici mesi ai tre anni.” John sgranò gli occhi e sussurrò:
“Un anno...” La dottoressa abbassò lo sguardo per qualche istante, quasi si sentisse sinceramente in colpa per il fallimento della sua terapia, nonostante fosse certa di aver fatto tutto il possibile. Poi riprese:
“Ci tengo a ricordarvi che, con il progresso della ricerca, oggi giorno una persona affetta da AIDS se segue un regime alimentare corretto e assume i giusti farmaci nella maggiorparte dei casi vanta la durata della vita di una persona qualunque. Certo, non sarà facile: si tratterà sempre e comunque di combattere una malattia che aggredisce il sistema immunitario, ma è molto probabile che possiate stare bene e insieme a lungo.”
“Sì, ne siamo consapevoli.” rispose Sherlock. John se ne stava immobile con lo sguardo rivolto verso il pavimento celeste dello studio medico.
“Signor Holmes, il cambio di farmaci come al solito non sarà una passeggiata. Nei primi tempi sentirà astinenza nei confronti di quelli che avrà smesso di assumere e rigetterà le nuove sostanze. Confido della sua costanza e nella sua buona volontà per affrontare ciò che le aspetta. Di norma, sono solita consigliare il sostegno psicologico e il gruppo di sostegno a coloro che si trovano nella sua condizione, ma so per certo che, se lo facessi con lei, nel migliore dei casi verrei semplicemente ignorata. Mi sbaglio?”
“Non sbaglia.” rispose Sherlock sorridendole.
“Non avevo dubbi. Ma lei è una persona forte. E soprattutto ha già tutto il sostegno che le serve in coloro che le stanno accanto.”
“Sì, sì è così.”
“Bene. Allora, se è tutto chiaro, io vi saluto dicendovi che spero di rivedervi il più tardi possibile e vi auguro una buona giornata.”
“La ringrazio infinitamente, dottoressa. Arrivederci.”
“Arrivederci.” saluto Sherlock, perchè John non disse una parola.
 
Una volta usciti dallo studio, passò ancora diverso tempo prima che uno dei due proferisse parola. Questa volta dovettero aspettare di salire in taxi prima che Sherlock trovasse il coraggio di dire qualcosa:
“Immagino di dover definitivamente sospendere i miei esperimenti sulle muffe. E, insieme ad essi, tutti quelli su agenti particolarmente infettivi..” voleva essere una battuta, ma John, che sedeva alla sua sinistra, ruppe la sua compostezza in una smorfia di dolore subito nascosta dai palmi delle mani; non riuscì a soffocare ogni singhiozzo. Sherlock sorrise e si chinò verso di lui: “Hey, hey..” gli accarezzò la schiena. John gli prese la mano, la baciò e poi se la portò alla fronte per stringerla con entrambe le sue.
 “Si supponeva che tu avessi più tempo...” ringhiò tra i denti. Sherlock lo guardò qualche istante, poi chiese al tassista di accostare e di farli scendere: pagò il totale della corsa e prese John sotto braccio.
“Dietro l’angolo c’è il parco. Passeggiamo un po’, ti va?” John annuì. Camminavano lentamente stretti l’uno all’altro: quando entrarono nei cancelli del parco poterono vedere lo sfarzo della primavera esibirsi nelle aiuole colme di gigli gialli e nelle fronde di qualche albero fiorito i quali rami sembravano decorare quel cielo azzurro disseminato di nuvolette bianche che li sovrastava. Sherlock osservava con piacere ciò che li circondava: sembrava godere del cinguettio degli uccellini e del profumo dei fiori, del rumore dell’acqua delle fontane e persino delle persone che come loro erano nel parco. John, invece, non ne trovava la forza. “Non lo facciamo mai. Perchè non lo facciamo mai?”
“Perchè sei sempre troppo impegnato ad annoiarti sul divano.” borbottò John
“Giusto.” rispose sorridendo “Ebbene, dunque, godiamocela questa passeggiata...”
Camminavano in silenzio a passo lento, scandito dal rumore della ghiaia che scricchiolava sotto le suole delle loro scarpe. Giunse il tramonto, il cielo prese a scurirsi e la luce si tinse di arancione. Man mano il parco prese a svuotarsi prima dei bambini, poi degli anziani e infine anche gli adulti se ne tornarono alle proprie dimore, lasciando la coppia da sola a passeggiare nel parco. Sherlock ad un certo punto, mentre continuavano a camminare, disse:
“Tutto questo è il peggior effetto collaterale...” non arrestarono la loro camminata. John domandò.
“Cosa intendi?”
“Tu.. La tua sofferenza.” John, camminando, lo guardò: Sherlock guardava avanti e stava sorridendo, ma era un sorriso terribilmente amaro e affranto “Non avrei dovuto coinvolgerti in tutto questo, nella mia vita. Non avrei dovuto addossarti il fardello di ciò che mi accadrà. La malattia è mia, certo, ma la tragedia è tua.”
“Sherlock, ne abbiamo già parlato-”
“Lo so lo so.” lo interruppe “Tu vuoi starmi accanto in ogni caso. E tu non puoi immaginare quanto questo mi renda felice.. Ecco, voglio che tu capisca questo John.” si fermò e lo guardò negli occhi “Io sono felice. E tanto. Più di quanto io sia mai stato. Insieme a te, io sono un uomo migliore e sono sereno, qualunque cosa accada al mio corpo. Non è questa la cosa più importante?” John annuì “Ebbene, non affliggerti allora: tu sei la cosa migliore che mi sia mai capitata e desidero che tu sia felice, anche se con me.”
“Oh Sherlock..” John lo abbracciò stretto “Non è colpa tua se sono triste...” si tirò indietro e appoggiò la sua fronte contro quella di Sherlock; entrambi tenevano gli occhi chiusi:
“Sì, lo è... Tu saresti un uomo più felice senza un condannato a morte nella tua vita.”
“Non dire stronzat-”
“Fammi finire.” lo interruppe di nuovo. John aprì gli occhi e lo guardò trattenere a stento le lacrime mentre stringeva con rabbia le palpebre: “Ma io, senza di te, so di non poterlo essere.” John ebbe un sussulto “Perciò ho bisogno di te al mio fianco ed è terribilmente egoista da parte mia, ne sono consapevole, ma non posso farci nulla. Ti chiedo scusa per questo.” John lo abbracciò di nuovo dolcemente, appoggiando il viso di Sherlock alla sua spalla “E ti prometto che cercherò di rendere anche te felice... Nonostante tutto questo.” John non riuscì a trattenere oltre le lacrime.

 

Il giorno seguente, John tornò più tardi dal lavoro, verso le otto passate. Aveva preso da mangiare in un ristorante cinese a portar via e subito si sedette a tavola insieme a Sherlock che lo stava aspettando. Cenarono quindi insieme, raccontandosi rispettivamente le proprie giornate. Poi Sherlock si alzò e andò verso la finestra dove era riposto il leggio con gli spartiti: estrasse il violino dalla custodia appoggiata a terra e prese a suonare mentre John sparecchiava la tavola. Quando ebbe finito, John si voltò e guardò il suo compagno che si stava esibendo: Sherlock era in tuta e vestaglia, rivolto verso la finestra, e la sua figura oscillava leggermente seguendo l’andamento della melodia che stava eseguendo nella luce fioca della lampada del salone, creando un particolare effetto di luci ed ombre in musica che rendevano la scena idilliaca. Senza che Sherlock ci facesse troppo caso, John raggiunse la sua giacca appesa all’appendiabiti dell’entrata ed estrasse qualcosa dalla tasca. Poi andò verso la sua poltrona e si appoggiò inpiedi a un bracciolo per assistere al termine dell’esecuzione.
“Straordinario, Sherlock, straordinario.” disse quando ebbe concluso. Lui fece un breve inchino sarcastico e, mentre camminava verso John, disse:
“Non è necessario che tu lo dica ogni volta...” gli arrivò davanti e John gli cinse i fianchi con le braccia e gli diede un bacio fugace.
“So perfettamente che adori sentirtelo dire, non fare il modesto.” Sherlock notò qualcosa di particolare nel tono della voce di John e si incuriosì. Lo osservò con attenzione e ripensò al suo comportamento di quella sera: sospiri continui, sudorazione eccessiva, espressione più sciocca del solito, lo spasmo alla mano sinistra. Già, aveva decisamente qualcosa di strano e non esitò a chiedere spiegazioni:
“Tutto bene, John?” alzando curioso un sopracciglio
“Sì, cioè... Volevo parlarti..” Sherlock si sorprese:
“Dunque? Di cosa si tratta?”
“Si tratta di quello che mi hai detto ieri al parco...” Sherlock si separò da John e si appoggiò al muro alle sue spalle, accanto al camino, per ascoltare. “Sai che, a differenza tua,  non sono bravo con le parole e... Ho dovuto prepararmi un discorso che mi ripeto in testa da allora per essere sicuro di arrivare alla fine.”
“Dimmi, dunque.” John prese fiato.
“Ebbene, non è affatto vero che io sarei felice senza di te.” Sherlock incrociò le braccia e fece per replicare, ma, prima che potesse dire qualunque cosa, John lo interruppe: “Ti prego, lascia che finisca o non ne uscirò mai.” Sherlock sorrise e annuì. “C’è una cosa... Che non ti ho mai detto...” il compagno inclinò la testa incuriosito. “Quando sono tornato dall’Afghanistan, ero distrutto. Non solo per ciò che avevo visto sul campo di battaglia: la mia vita era un disastro ormai da molti anni. Sin da quando Harry aveva fatto outing quando eravamo poco più che adolescenti, vivere era stato l’inferno: io le volevo bene e avrei accettato qualunque cosa l’avrebbe resa felice, ma i miei non la pensavano così e le andarono contro in ogni modo possibile; io mi schierai dalla sua parte e servì solo a peggiorare le cose. Finì per rompere i legami con i miei quasi del tutto quando Harry scappò di casa e io andai alla facoltà di medicina: speravo che almeno io e lei saremmo stati uniti, ma Harriet preferì l’alcol a me e io rimasi solo.” Sherlock davvero non capiva dove volesse arrivare “Cominciai ad essere furioso con il mondo, con le persone.. Ad essere insoddisfatto di ciò che ero e di ciò che facevo e questo mi uccideva. Mi fu consigliato di arruolarmi e non tardai molto a ritenerla la migliore delle opzioni che avevo: credevo che, arrecando un servizio al mio Paese, aiutando chi aveva bisogno, salvando effettivamente delle vite, mi sarei sentito meglio. Ma non fu così. Il campo era l’inferno... Vidi morte e distruzione e poco altro. I pochi compagni che mi erano amici li vidi morire, molti tra le mie stesse braccia. Ogni vita che non riuscivo a salvare era un fallimento che aggravava il mio fardello. Venni anche a sapere che mia madre era improvvisamente venuta a mancare, ma, per varie ragioni, non mi fu permesso di rimpatriare nemmeno per darle un ultimo saluto. Ma la vita al campo era frenetica ed appesa un filo: non ebbi tempo per affrontare il lutto di una madre che avevo lasciato tra urla e insulti diversi anni prima. Quantomeno lavorando mi sentivo utile e mi tenevo impegnato. Il vero colpo di grazia arrivò il giorno in cui mi spararono: mi congedarono con onore dandomi l’invalidità e mi rimandarono a casa. Fu la fine.” Sherlock avvertì la sua voce cedere per un istante “I compagni mi dicevano ‘Vattene da questo inferno, torna a casa’ ma a me il vero inferno aspettava qua: non solo il mondo faceva schifo come prima, ma inoltre io non ero altro che un inutile invalido che non era nemmeno riuscito a farsi ammazzare.” John arrestò il suo discorso per un istante. Prese fiato e riprese: “La pistola d’ordinanza... Richiesi una licenza speciale per tenerla. E non di certo per difesa personale.” Sherlock si portò la mano alla bocca:
“John, tu..? Non dirai sul serio.”
“Sherlock, io non avevo più ragione alcuna di vivere. Il solo atto di respirare mi faceva letteralmente impazzire... Provai con la terapia, ma non servì a nulla. Avevo preso la mia decisione: dopo essere sopravvissuto alla guerra, sarei morto nel peggiori dei modi, ossia ingoiando un proiettile in Patria.” prese una lunga pausa, poi sorrise: “Il giorno che incrociai Mike al parco, fu solo perchè stavo facendo un tour d’addio ed ero passato davanti all’ospedale dove avevo fatto tirocinio, giusto per mandare a fanculo quell’edificio e la gente che ci lavorava. Ma Mike mi salutò. Facendo conversazione, mi inventai la storia dell’appartamento che stavo cercando... Mai nella vita mi sarei aspettato che mi avrebbe portato a te. Ti vidi, e fu un colpo al cuore, un cuore del quale non avvertivo la presenza da tempo immemore. Ma, dato che sono un imbecille, non ci feci caso alcuno.” Sherlock sorrise “Mi chiedesti di venire a vedere il 221b insieme a te, ricordi?” Sherlock annuì “E io mi dissi ‘Giorno più, giorno meno, cosa cambia?’. E, Dio onnipotente, non potevo sbagliarmi più di così. Sherlock, tu mi hai mostrato una realtà che non conoscevo... E, col tuo lavoro e i casi e la vita insieme a te, mi hai dato una nuova e meravigliosa ragione di vivere che io da solo o con qualunque altra persona io ci abbia mai provato non ero mai riuscito a trovare.” John si avvicinò a Sherlock e gli prese le mani. Lo guardava dritto negli occhi e Sherlock arrossì nel vederlo col cuore in mano “Non nego di soffrire nel vederti peggiorare, ma non pensare nemmeno per un istante che io potrei essere felice senza di te. Molto semplicemente perchè, senza di te, io avrei cessato di esistere molto, molto tempo fa. Tu sei letteralmente l’unica ragione per la quale io respiro ancora e la mia vita, cazzo, la adoro ora così com’è, insieme a te! Io sono felice. Io sono più felice di quanto sia mai stato e lo devo solo a te.” Sherlock guardò a terra rattristato:
“E ora.. Risulta che ho la data di scadenza scritta in fronte... Bella ragione di vita di merda. Mi dispiace terribilmente.” John gli prese il viso con una mano e lo portò a guardarlo negli occhi:
“No, non dire così Sherlock. Io, grazie a te, ho un ruolo. E non c’è nulla di più importante che avere un posto nel mondo. E il mio è accanto a te, nel bene e nel male, in salute e in malattia. Non desidererei nient’altro per me. Senza di te, io ormai non sarei più in questo mondo: ogni giorno che ho vissuto da allora, me lo hai regalato tu. E io vorrei solo poter fare altrettanto con te.” John si inginocchiò ed estrasse dalla tasca un anello argentato: Sherlock rimase pietrificato. John rise e glie lo mostrò: “Questa vuole essere la prova del fatto che ti sbagli. Questo è il simbolo del fatto che non desidero altro che starti accanto e vivere insieme a te, qualunque cosa accada, perchè nulla al mondo potrebbe rendermi più felice che dire di essere tuo marito. Perchè ti amo, ti amo moltissimo e so che non smetterò mai di amarti.” Sherlock ebbe un sussulto. “William Sherlock Scott Holmes, vuoi farmi l’onore di diventare mio marito?” Sherlock era rimasto immobile, in silenzio con gli occhi sgranati. John all’inzio sorrideva, ma poi cominciò a sentirsi a disagio man mano che passavano i secondi e lui se ne stava inginocchio con un anello stretto tra pollice ed indice. “Sherlock? Ti prego di qualcosa...” Sherlock abbassò lo sguardo:
“Perchè?” domandò. John rimase esterrefatto:
“Come perchè? Non sono stato chiaro?” si alzò senza lasciargli la mano.
“Non ti basta ciò che abbiamo?”
“No. Decisamente no. Sherlock per dirne una, se ti accadesse qualcosa, in ospedale non potrebbero dirmi nulla in quanto non siamo parenti.. E io ne morirei.”
“Quindi è solo per questo...”
“No! E’ per un miliardo di ragioni! Sherlock, io voglio che sia ufficiale, voglio che il mondo lo sappia. Voglio che mio padre lo sappia! Voglio che ciò che è mio sia tuo e che ciò che è tuo sia mio. Voglio avere il dovere di vivere sotto al tuo stesso tetto, di assisterti, di esserti fedele, e di amarti ed onorarti finchè morte non ci separi.”
“Avere... il dovere...?” ripetè
“Esatto.” annuì e attese qualche istante “La verità è che tu speri ancora che io fugga da te, se e quando la situazione diventi insostenibile, non è vero?.” Sherlock trasalì, colto nel segno, e lo guardò negli occhi “Che ti piaccia o meno, io non lo farò. Lo prometto. E te lo prometto qui, adesso, senza testimone alcuno. Ma vorrei farlo davanti a coloro che amiamo e davanti allo Stato... Certo, se tu vorrai.” gli occhi di Sherlock si colmarono di lacrime e, singhiozzando e tirando su col naso, appoggiò il viso al petto di John. Il compagno gli accarezzò la schiena con entrambe le mani con affetto. Poi avvertì Sherlock annuire con la testa contro il suo petto “Sì?” domandò John. Sherlock allora separò il viso dalla camicia di John, gli prese il viso con entrambe le mani e disse in un rotto sorriso:
“Sì.” e lo baciò sulle labbra. Allora John gli avvolse le braccia attorno al collo e lo strinse in un abbraccio, cedendo anch’egli al pianto di gioia senza smettere di baciarlo.
“Sì?” chiese ancora John incredulo. Sherlock rise e annuì ancora:
“Sì!” e anche John rise, pervaso dalla gioia più grande che avesse mai provato in vita sua. Quindi prese dalla sua mano sinistra l’anello che aveva tenuto stretto nel pugno fino a farsi rimanere un cerchio perfettamente circolare nel palmo. John rise ancora e, non sapendo cosa fare, domandò
“Va nella mano destra, giusto? Perchè nella sinistra sarà poi al matrimonio..” Sherlock rise a sua volta rispondendo:
“E a me lo chiedi??” nel dubbio, John decise di agire così come aveva detto. Gli prese la mano destra e gli infilò l’anello nell’anulare: guardò la mano di Sherlock che adornata da quella striscetta d’argento sembrava apparire più bella, come se fosse finalmente completa e sul suo viso si disegnò un sorriso da orecchio a orecchio. Afferrò quindi il volto del suo Fidanzato con entrambe le mani e lo baciò con passione incontenibile.
 


 
[Hey, salve a tutti bella gente! ^^ Prima di tutto vi ringrazio di cuore per essere arrivati a leggere fino a qui: è il regalo più grande che possiate farmi, mi ripaga di tutta la fatica fatta a scrivere :p Spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo e vi invito calorosamente a lasciarmi una recensione: sono di fondamentale importanza per me ;) Mi scuso se sto cambiando diversi stili di scrittura... Purtroppo mantenere una vera e propria continuità stilistica è per me molto difficile, spero non sia troppo fastidioso >< Come ben saprete ormai, cerco di aggiornare il prima possibile, ma ormai questi capitoli partono praticamente da zero.. e oltre al tempo materiale per pensarci e scriverli, devo anche trovare il momento giusto per farlo (altrimenti saltano fuori delle schifezze) Perciò vi chiedo di essere pazienti <3 Al prossimo capitolo! Un saluto, _SalvamiDaiMostri]

 
   
 
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