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Autore: Leahia    03/06/2015    1 recensioni
Sono tornata! Alla riscossa con i miei due bambini (oh popolo del fandom, perdonami se appesto tutto con questa roba). Questa storia è, a parer mio, piuttosto mediocre e reputo entrambi abbastanza OOC, quindi se lo sono DITEMELO perché lo odio. Comunque, semplicemente il Giorno di Brigitte con la partecipazione di Elly e Leo e di un certo Jon. Spero sia leggibile.
"-Mi scusi- dice Leo all’uomo, che si volta- Lei è l’artigliato angelo Jon?"
Spero che si capisca da questo il senso generale di tutta la storia. Scusatemi.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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The Pathetic and Tragic Love Story Between the Crawled Angel Jon and the Blue-Winged Angel Brigitte
 


Il mio risveglio è dovuto ad una voce, una voce che ben conosco, che chiama il mio nome quasi cantilenando, e a due mani che mi scuotono le spalle, muovendomi appena nel letto. Mugugno di lasciarmi in pace e mi volto, affondando il naso nel cuscino e cercando di riprendere il sonno. Era tanto un bel sogno quello che stavo facendo... c’era un fiume e delle barche e il cielo notturno, e io ero in barca con una persona che non sapevo chi fosse, ma sapevo che era una persona meravigliosa e che io l’amavo. Poi sono scoppiati i fuochi d’artificio e ho sentito le malvagie mani di qualcuno (che poi so benissimo chi sia) scuotermi. Avverto silenzio. Wow, non posso credere che si sia già arreso. Ma perché starsi a crucciare sul perché si sia arreso, se si è arreso? Sospiro soddisfatto e provo a riacciuffare i resti del mio sogno, quando sento qualcosa colpirmi con forza la schiena.
-Ehi!- strillo, alzandomi di botto e guardando verso il maligno. Il maligno mi guarda da accanto al mio letto, perfettamente vestito e con un cuscino in mano. Ha un sorriso dipinto sul volto invisibile, e credo che gli occhi dietro agli occhiali e alla frangia siano socchiusi.
-Oh, che bello, ti sei svegliato- osa dire, la carogna, portando il cuscino sul suo letto accanto al mio. Ci metto alcuni secondi a elaborare una risposta. Il mondo è ancora circondato dall’ovatta del sonno, ma quello non può dire una cosa simile e rimanere impunito.
-Co...? Ma se mi hai picchiato!- dico, spostando le coperte per afferrare l’orologio che tengo sul comodino. La luce c’è, quindi non dev’essere tanto presto, ma Leo sa che odio, odio svegliarmi presto. Non voglio che mi svegli presto. Lui si stringe nelle spalle, sedendosi accanto a me.
-Era un cuscino. Non fa male.
-No, se sta fermo dove deve stare- borbotto io, guardando sull’orologio che sono già le nove e mezzo. Ok, non è tanto presto- Se invece un povero innocente cuscino viene costretto a picchiare qualcuno, allora proprio benissimo non fa.
-Oh, certo, i cuscini rovineranno il mondo- sbotta Leo, tirandomi su a forza prendendomi per un polso- Alzati che ti rifaccio il letto.
A malincuore abbandono il rifugio sicuro delle mie coperte e le lascio nelle incaute e perfide mani del mio servitore. Mentre mi cambio, mi viene di colpo in mente che nemmeno Leo è una persona così mattiniera, ed è strano che mi svegli di sua spontanea volontà. Strano che non me ne sia accorto prima. Vabbè, è mattina, posso perdonarmi alcune sviste.
-Ma che giorno è?- domando, sperando che questo dia una risposta alla mia domanda. Leo, che ha magicamente già finito di rifarmi il letto ed è andato ad aprire la finestra che dà sul giardino, sorride.
-È il ventiquattro ottobre!- dice in risposta. Ok, ventiquattro ottobre. Scorro velocemente il mio calendario mentale, ma l’unica data importante vicina è il compleanno di Leo, ed è domani, non oggi. E quindi oggi che diavolo è perché Leo sia così felice?
-Ma il tuo compleanno è domani, no?- osservo, alzandomi e uscendo dalla stanza insieme a lui per andare a fare colazione in sala. Leo apre leggermente la bocca, stupito.
-Ah, già, è vero. Domani compio sedici anni.
Quindi non è questo il motivo dell’eccitazione? Sono confuso.
-E allora perché sei felice?- mi rassegno a chiedere, mentre scendiamo la lunga e maestosa rampa di scale che conduce alla sala da pranzo dei Nightray. Pensa, Elliot, pensa. Perché sei a casa tua e non a scuola? La risposta mi sorge subito in mente, prima che siano le labbra di Leo a pronunciarla.
-È il giorno di Brigitte!
-Oh...- rispondo. No, questa festa non mi è mai entrata dentro in modo lampante. Non mi interessa, e non capisco perché Vanessa mi porti sempre via da scuola quando si avvicina il ventiquattro ottobre. Insomma, non la trovo una festa con attrattiva. Contrariamente a Leo, si direbbe, visto che raggiunto il fondo della scala ha preso a saltellare (giuro, saltellare) verso la sala da pranzo. Leo che saltella è uno spettacolo imperdibile, quindi lo seguo, continuando a scervellarmi per capire l’origine di tanta gioia. Negli ultimi due anni non siamo nemmeno riusciti a festeggiare il giorno di Brigitte, una volta per il lutto di Claude e Ernest e la prima volta perché stavo male e non potevo uscire. Insomma, è il primo anno che festeggiamo il giorno di Brigitte insieme, e non capisco proprio cosa ci trovi di così meraviglioso in questa festa. Mi metto a sedere a tavola mentre Leo porta qualcosa da mangiare, per poi sedersi accanto a me.
-Ma perché questa cosa ti rende così felice?- domando curioso, bevendo un sorso di the. Leo beve a sua volta dalla propria tazza, come riflettendo. Poi risponde.
-Vedi, all’orfanotrofio questa festa piaceva molto ai bambini. Io aiutavo a fare i costumi per le bambine, sai, i costumi con le ali azzurre, e mi divertivo un sacco. E la sera c’erano i fuochi d’artificio, che a me piacciono da impazzire!
Lo guardo, osservando ogni dettaglio del suo enorme e così gioioso sorriso. Devo trattenermi dal sorridere a mia volta, e soffoco l’istinto con un altro sorso di the.
-Mh- mi limito a dire- Io invece non la trovo granché. Diciamo che i fuochi alla fine sono belli, ma perlopiù non mi entusiasma...
Leo sgrana gli occhi, per quanto posso vedere, e tace per alcuni secondi.
-Come fa a non piacerti? Sei mai stato in città per il giorno di Brigitte?- mi domanda, sinceramente sorpreso.
-In realtà no, ma...
-Allora non puoi dire che non ti piace!- mi interrompe Leo, trangugiando tutto il the, ormai fattosi tiepido, e alzandosi- Oggi andiamo in città e tu amerai il giorno di Brigitte! Lo prendo come obiettivo personale!
-Ehm... Leo...- provo a dire, allarmato dalla serietà assoluta nella sua voce, ma lui mi interrompe di nuovo.
-“Ehm” un bel niente!- protesta, andando a prendere il cappotto. Tornando indietro mi lancia il mio, e io continuo a fissarlo stupito da tanta veemenza- È la mia festa preferita, e tu devi conoscere fino in fondo la mia festa preferita! E poi non concepisco come tu possa non essere mai stato in città per il giorno di Brigitte!
Mi viene quasi da ridere a tutta questa decisione, ma ridere non sarebbe da me, e decido di seguire Leo. In fondo sono curioso di conoscere questa festa. Se piace a lui, non sarà poi tanto male, e in ogni caso se non mi diverto c’è lui, e un modo per distrarmi lo troverò. Non rispondo nemmeno alla sua, peraltro più che comprensibile, affermazione riguardo al perché non sia mai stato in città, nonostante la risposta sia “Perché non amo stare tra la gente e in città c’è un sacco di gente”. Salgo per prendere carta e penna e lasciare scritto un foglio, visto che sicuramente tutta la mia famiglia sta ancora dormendo. Scrivo “Esco con Leo per tutto il giorno, prendo una carrozza. Divertitevi. Elliot”. Abbandono il foglio sul tavolo e raggiungo Leo fuori dalla porta, che sta finendo di allacciarsi il cappotto color vinaccia. Quello che gli regalai per il suo compleanno dell’anno scorso. Gli sta molto bene, noto con un sorriso. Sembra sia stato cucito su di lui, da come gli avvolge il petto e la vita e i fianchi stretti in modo così elegante, evidenziandone i tratti fini e delicati, e si apre lasciando vedere le gambe fasciate nei pantaloni. Il collo pallido è esaltato dal fiocco viola scuro che riprende gli occhi. Avrebbe anche dei guanti, ma glieli vedo spuntare inerti dalla tasca. Lo so che Leo odia mettersi i guanti. Io metto sulle spalle il cappotto, senza infilare le maniche, e indosso i guanti bianchi, per poi montare sulla carrozza, nella quale mi siedo davanti a Leo, che sembra assolutamente euforico.
-Oh, che bello! È un secolo che non vado nella capitale per il giorno di Brigitte!- dice, agitandosi sul posto e affacciandosi dal finestrino. Mi affaccio anche io, e noto già da qui la grandissima affluenza di persone che confluiscono nel centro di Reveille. Sospiro, preparandomi a tante, tantissime persone intorno, ma poi guardo il viso di Leo, scorgo i suoi occhi brillare da dietro le lenti, e capisco che non posso che abbandonarmi a lui per il resto della giornata. In fondo, perché non dovrei fidarmi. Ok, mi vengono in mente circa infiniti motivi sul perché non dovrei fidarmi, ma shh, facciamo finta di niente. Arriviamo poco dopo nella città e, quando scendiamo, la prima cosa che fa Leo è inspirare un sacco d’aria, come se nel profumo della città ci fosse la cosa più buona del mondo. Solo che inspira così profondamente senza pause che deve tossire un po’ per la troppa aria. Mio malgrado, sorrido e gli vado accanto.
-Allora? Hai trovato le risposte per la vita con tutta quell’aria?- dico ironico, mettendo una mano sulla mia spada nera, al suo posto nel suo fodero. Mi infonde sicurezza.
-Oh, sta’ zitto- replica lui, dandomi un colpetto sul braccio. Sospiro, guardandomi intorno. È presto, sono appena le dieci e mezzo, ma già ci sono un sacco di persone in giro, tutte le donne con vestiti sgargianti provvisti di alette azzurre sulla schiena. Già... che storia era la storia di Brigitte? Non me la ricordo mica più. Imbarazzante.
-Ehm... Leo...- faccio, mentre iniziamo a camminare tra la gente- Ma che storia era quella di Brigitte?
Leo si blocca e si volta lentamente, come se fosse meccanico. Mi fissa in modo così insistente che mi viene da voltarmi gridando “bruciooo!”, ma fortunatamente reggo il suo sguardo, puntando sul fatto che sono di dieci centimetri buoni più alto di lui. Dopo parecchio, parecchio tempo, parla.
-Tu.
Dice solo questo. Lo guardo, in attesa di ulteriori spiegazioni, che fortunatamente arrivano.
-Non sai. La storia. Di Brigitte?- domanda, mettendo le mani avanti come per difendersi da un mostro.
-Cosa? No, la so, o quantomeno la sapevo. Ma non me la ricordo...- spiego. Mh. Suonava meno stupido nella mia testa. Leo sospira rassegnato, come se io fossi una sorta di animaletto fastidioso, e ricomincia a camminare.
-La storia di Brigitte narra di un bellissimo angelo dalle ali azzurre che scende sulla Terra ogni ventiquattro ottobre per andare dal suo innamorato. Per far sì che l’angelo si confonda con la gente e possa agire indisturbato, tutte le ragazze indossano ali azzurre in questo giorno.
-Oh, giusto- dico, ricordandomi la vecchia storia. C’era sempre stata una cosa che non mi tornava, in questa storia- Senti- dico a Leo, mentre continuiamo a passeggiare tra la folla, fianco a fianco- Ma tu ti sei mai chiesto se quest’angelo è davvero una femmina? Intendo- mi affretto a dire quando noto l’espressione confusa di Leo- Il nome Brigitte le è stato dato da noi. Magari si chiama... Jon?
Questo fa ridere Leo.
-Un angelo che si chiama Jon? Ok, ci sto. Jon! Da oggi questa festa sarà “Il giorno di Jon”!
Sorrido.
-Già, e allora anche i maschi si devono mettere le ali azzurre per far sì che l’angelo agisca indisturbato- osservo. Leo appoggia un indice sul mento con aria pensierosa.
-Supponendo che anche quella sia una bugia? Magari in realtà l’angelo Jon ha... le mani artigliate!- dice infine, alzando il dito con aria trionfante.
-Perché no!- replico- E deve portare i guanti per nascondersi.
-Mh-mh- annuisce Leo con l’aria di chi sa tutto perfettamente- E quindi anche adesso si confonde benissimo tra la folla. Magari...- continua, guardandomi le mani guantate. Mi indica trasalendo per finta- Tu sei l’artigliato angelo Jon!
Sorrido. Vorrei ridere ma non ci riesco, quindi mi limito a sorridere e a scuotere la testa rassegnato.
-Ci sarebbero state un paio di situazioni nelle quali ti saresti accorto che ho gli artigli. Tipo, ma dico per dire, quando suono il pianoforte. E inoltre- continuo- Io ci sono ogni giorno di ogni anno. Lo sai. Non sono l’artigliato angelo Jon.
-Mh- alza le spalle Leo- Ok.
Continuiamo a camminare per un po’, godendoci il clima fresco e frizzante di fine ottobre e  indicando signori valutando se possano essere l’artigliato angelo Jon.
-No, quello è troppo brutto- commenta Leo, dopo che io ho indicato un ragazzotto dall’altro lato della strada- Ti pare che un angelo possa essere così brutto?
-In effetti hai ragione- concedo, guardandomi intorno alla ricerca di un'altra vittima- E quello?- domando a Leo, indicando un distinto giovane sulla ventina dal nostro lato di strada, castano, con gli occhi verde scuro e i guanti, uno sguardo perso e sognante.
-Oh!- fa Leo, sinceramente sorpreso- Lui potrebbe!
-Secondo me è lui- dico convinto. Leo annuisce.
-Vado a chiederglielo- annuncia, dirigendosi verso l’uomo. Ho appena il tempo di accorgermene e lo tiro per un braccio, ma è troppo tardi.
-Mi scusi- dice Leo all’uomo, che si volta- Lei è l’artigliato angelo Jon?
L’uomo sgrana gli occhi confuso, ma io trascino via Leo, mentre brucio dall’imbarazzo. Leo protesta che la sua era una domanda più che legittima. Più che legittima, come no. Che razza di idiota! Lo trascino per alcuni metri e poi lo spingo davanti a me, le guance ancora rosse rubino. Leo mi tira uno scappellotto e io gemo, massaggiandomi la testa.
-Per cos’era?- domando irritato. Fanno male le sue botte. Leo sbuffa.
-Non mi devi tirare in quel modo. Fa male.
-Oh, questo era un toccasana!- replico, massaggiandomi la nuca- Non puoi chiedere a persone a caso se sono “l’artigliato angelo Jon”!
Guardo Leo così irritato che quello che fa mi scombussola del tutto. Sorride. Sorride come quando gli regalai Statice, sorride come quando accettò di essere il mio servitore. Un sorriso così enorme e luminoso da far impazzire.
-Non lo vedremo mai più, tanto. Che abbiamo da perdere?- dice. Quel sorriso è così bello che rimango abbagliato per alcuni secondi, prima di riuscire a formulare una frase sensata.
-E se invece fosse uno spasimante di Vanessa e ce lo ritrovassimo al prossimo ballo?- ipotizzo. Leo sospira ricominciando a camminare.
-Fai di tutto sempre un problema così enorme...- ribatte borbottando.
-Bè- incalzo raggiungendolo e camminando accanto a lui- Se fosse?
-In tal caso mi presenti come un pazzo furioso. Sono solo il tuo servitore del resto, no?- fa, sapendo bene di stuzzicarmi. Arrossisco e mi metto le mani in tasca.
-No che non sei solo il mio servitore- borbotto, così piano che riesco a sentirmi appena io. Eppure, contro ogni possibilità, credo che Leo mi abbia sentito, perché fa un sorrisetto compiaciuto. La giornata scorre senza intoppi, ci trasciniamo a vicenda a vedere le cose che ci sembrano più interessanti, sostiamo un secolo o due in biblioteca. Certo, perché andare in biblioteca un giorno di festa, si può chiedere. Perché no?, si può rispondere. Insomma, io e lui ci divertiamo a leggere e a commentare i libri che leggiamo, e inoltre per le feste la biblioteca sta aperta più a lungo. Sarà un po’ strano, ma è così. Insomma, Leo riesce davvero a farmi apprezzare il giorno di Brigitte.
-Ehi- mi dice ad un certo punto. Siamo usciti dalla biblioteca verso le otto di sera, abbiamo cenato con della carne presa da una bancarella qualunque e adesso ci stiamo godendo in pace la serata profumata del mezzo autunno, seduti su una panchina in un parco.
-Mh?- rispondo staccando appena gli occhi dal cielo pieno di stelle.
-E se ci fosse anche Brigitte?- fa lui. Io irrigidisco un attimo le spalle, distogliendo completamente gli occhi dalla notte, e mi volto confuso verso di lui.
-Come scusa?
-Intendo- spiega, portando una gamba sulla panchina, incrociandola all’altra- Se oltre all’artigliato angelo Jon esistesse davvero anche l’angelo dalle ali blu Brigitte?
-Potrebbe essere- concedo, stando al gioco- Ma allora non si spiega perché dovrebbero scendere sulla Terra.
-Per incontrarsi! Sono loro i due innamorati!- fa Leo trionfante.
-Eh, ma non ha senso- replico- Sono entrambi angeli. Possono vedersi sempre.
-Già...- riflette Leo, volgendo lo sguardo pensieroso al soffitto- Oh!- dice poi, tornando a guardarmi sorridente- Magari nel posto dove stanno non possono stare insieme, e possono solo in questo giorno dell’anno, mostrando chi sono veramente! Per il resto dell’anno si comportano come due semplici amici.
Penso alcuni secondi alla spiegazione che ha dato. Poi mi dico, che cavolo penso a fare, tanto non esiste nessuna Brigitte dalle ali blu e tantomeno un Jon artigliato.
-Che storia patetica- commento, sbadigliando e tirando fuori l’orologio da taschino. Sono le dieci di sera. Stanno per sparare i fuochi d’artificio! Me ne sono del tutto dimenticato!
-E tragica- risponde Leo al mio commento. Io però lo sto più o meno ignorando.
-È tardissimo!- esclamo, alzandomi e facendo perdere l’equilibrio a Leo, che fortunatamente si riassesta in tempo. Si alza e mi segue fuori dal parco.
-Che c’è?- mi chiede appena riesce a raggiungermi.
-C’è che...- replico imbarazzato. Non è facile da dire, ma ho pensato tutto il giorno a una sorpresa che potevo fare a Leo. Non c’era nulla però che mi piacesse, all’inizio, ma alla fine l’ho trovato, il regalo perfetto. Al pensiero arrossisco- C’è che ti ho fatto una sorpresa. Seguimi.
Vedo un sorriso balenare sulle labbra rosee di Leo, mentre lo conduco in mezzo a tutte le persone che affollano le strade, eccitate per i fuochi d’artificio. Mi pare persino di scorgere Vessalius... cioè, il biondino che era venuto a scuola, ad un certo punto. Mh. Non importa, adesso. Devo correre, altrimenti perdiamo l’inizio dei fuochi. Leo mi segue con il fiatone. Certo, vado più veloce io, avendo le gambe più lunghe. Do un’occhiata di sfuggita all’orologio e ingoio un’imprecazione. È davvero tardi. Afferro il polso di Leo, che fa un versetto dubbioso, poi mi metto a correre. Raggiungiamo appena in tempo la riva del fiume che taglia Reveille.
-Cosa... cosa facciamo qui...?- domanda Leo, ansimante. Io non rispondo, ma cerco l’uomo che mi serve. Pago la quota, e mi dirigo verso una modesta barchetta a remi lì vicino. Metto le mani sui fianchi, soddisfatto. Mi volto.
-Ecco qui. Monta sulla barca- dico a Leo, indicando la piccola imbarcazione ondeggiante sul fiume scuro davanti a noi.
-Eh?- chiede ancora confuso, montando sulla barchetta. Io monto a mia volta e comincio a remare fino ad un punto del fiume lontano dal centro, buio e silenzioso, un punto appena sfiorato dalle luci e dai rumori della città, un punto dove regna il blu del cielo e il bianco della luna e il rumore del vento.
-Elliot- mi dice Leo- Esattamente cosa vuoi fare?
-Mi hai detto che adori i fuochi d’artificio, no?- spiego, posando i remi fidandomi dell’inesistente corrente del fiume- Ho pensato che da qui sarebbe stato più bello.
Arrossisco. Ringrazio il cielo perché l’oscurità copre a sufficienza il mio rossore, ma percepisco anche senza vedere che Leo sta sorridendo. Lo sento alzarsi e venire lentamente dal mio lato della barca. Si siede accanto a me e appoggia la sua testa sulla mia spalla, abbandonandosi. Arrossisco ancora di più, sperando in qualche angolo del mio cervello che la barca non si ribalti di colpo. Ma Leo è così magro che probabilmente conta come un soffio di vento.
-Grazie- mormora. Sento che di colpo il mio cuore batte a velocità decisamente insolita e preoccupante, che il mio viso è rosso all’inverosimile e che ho una voglia assurda di stringere Leo tra le mie braccia e farcelo scomparire per sempre. I miei stranissimi pensieri vengono interrotti da un fischio e da un botto. Alzo lo sguardo verso il cielo per vedere le luci del primo fuoco d’artificio scintillare e crepitare nell’aria notturna. Leo erige il busto e si sporge. Il secondo e il terzo fuoco partono a raffica, bombardando il cielo scuro di stelle colorate, suscitando grida di gioia dai bambini ancora in città. E Leo, oh, Leo, lo vedo solo quando la luce di un fuoco gli illumina il viso, colorandolo di giallo o di rosso o di blu, Leo è felice. Lo vedo dagli occhi sgranati dietro agli occhiali, lo vedo dal sorriso a bocca aperta teso sulle labbra, dalle guance appena arrossate. È bello in modo sconvolgente. Gli accarezzo il viso in un gesto istintivo e spontaneo, e lui si volta, felice, e quella gioia adesso è per me, è tutta solo per me. Mi getta le braccia al collo e mi abbraccia, nascondendo la testa nell’incavo del mio collo, solleticandomi con i capelli scuri.
-Grazie, grazie, è bellissimo- sussurra. Ricambio l’abbraccio accarezzandogli la schiena.
-Ma figurati- rispondo imbarazzato. Non vorrei sciogliere l’abbraccio, ma lo scioglie Leo, e appoggia la sua fronte alla mia. È così vicino, così vicino, così vicino... Lo scoppio di un enorme fuoco d’artificio ci fa sussultare e ci allontaniamo, per vedere un’epica esplosione di colori nel cielo. Accidenti. Oh accidenti. Cos’era quello? Perché mi sentivo in quel modo, perché volevo assolutamente sentire le sue labbra sulle mie? Perché? Non dovrebbe succedere, non dovrebbe assolutamente. Cerco di respirare piano, per portare il mio battito ad un ritmo consentito, non uno che mi spacchi il petto cercando di uscire. Respiro profondamente, e do un’altra occhiata all’orologio da taschino. Sono già le undici, e ci vuole una mezz’ora a raggiungere casa mia.
-Meglio se torniamo a casa- propongo, riafferrando i remi.
-Sì, mh, meglio- borbotta Leo, mettendosi a sedere davanti a me a sguardo basso. Remo fino a raggiungere di nuovo il noleggiatore, al quale rendiamo la barca. Attraversiamo la città senza parlare, e raggiungiamo la carrozza ancora persi nei nostri pensieri. Solo allora mi rendo conto di una cosa: arriverò a casa quasi a mezzanotte e non ho mai visto la mia famiglia, oggi. Serro i denti. Ottimo, la faranno pagare a Leo perché io non sono stato con loro. Montiamo in carrozza.
-Qualunque cosa dica mia sorella sul fatto che siamo stati fuori troppo- esordisco, facendo alzare il capo a Leo- È tutta colpa mia.
-No- si affretta a contraddirmi lui- Sono stato io che ti ho trascinato qui.
-Ma mi sono divertito- replico- E poi a te la farebbero pagare, a me no. Fallo e basta.
-Va bene- concede, dopo aver tentennato un po’. Sospira- Riguardo a prima... scusa... io...
-Non importa- lo interrompo. Prova di nuovo a parlare- Non importa- ripeto. Chiude la bocca. Bene, perché sono confuso, probabilmente più confuso di lui. Mi piaceva quello che stavamo facendo. Mi piace stare vicino a Leo, mi piace sentire il suo profumo, mi piacciono i suoi occhi e le sue labbra, soprattutto quando sorridono, mi piacciono i suoi capelli quando la mattina presto sono più spettinati del solito, mi piace la sua risata, mi piacciono le sue mani che suonano il pianoforte così bene, mi piace toccarlo, quando gli prendo un polso o gli sposto i capelli da davanti al viso o gli sfioro inavvertitamente una mano quando suoniamo sulla stessa tastiera. Mi piace tutto di Leo. Mi piace Leo. Arrossisco furiosamente al pensiero e abbasso la testa nascondendola tra le mani. Patetico. Assolutamente, innegabilmente patetico. Come posso provare cose simili? Non dovrebbe essere impossibile? No, a quanto pare non lo è. Raggiungiamo casa mia prima del previsto, e vedo un sacco di carrozze lasciate nel grande cortile. Sono sicurissimo che quelle carrozze non siano mai state nel mio cortile. Credo me ne sarei accorto, no? Lancio uno sguardo interrogativo a Leo, che ha come al solito capito tutto e si stringe nelle spalle scuotendo la testa. Scendiamo dalla carrozza e, curiosi, ci dirigiamo all’ingresso della villa. Quando entriamo, ci si para davanti l’enorme salotto addobbato a festa, e un sacco di persone intente a ballare o a conversare.
-Un ballo?- dico incredulo. Stasera a casa mia c’è un ballo e io non lo sapevo? Leo mi sfiora un braccio e io lo guardo.
-Un ballo?- domanda anche lui. Io non so cosa dire.
-A quanto pare- rispondo. Vedo in quel momento mia sorella che si fa largo tra gli ospiti e raggiunge il portone, mettendosi davanti a me e a Leo con le mani sui fianchi e le sopracciglia corrucciate. Farebbe davvero paura, se non indossasse un infiocchettato vestito nero e azzurro, coronato di alette dietro la schiena e a fermare i capelli.
-Elliot Nightray!- grida. Indietreggio istintivamente, sebbene sia perfettamente in grado di affrontare mia sorella- Dove sei stato per tutto il santo giorno!- continua a gridare.
-Sono stato in città- rispondo, sistemandomi meglio- A festeggiare il giorno di Brigitte.
Vanessa si limita a soppesarmi con lo sguardo, poi si volta verso Leo, che non ha ancora spiccicato parola. Lo indica accusatoria.
-Sei stato tu!- decide di sua totale e spontanea iniziativa. Leo apre la bocca per rispondere, ma io sono memore della promessa fatta.
-Leo non c’entra nulla- dichiaro, avanzando e spingendolo appena indietro con il braccio, quasi a fargli scudo con il mio stesso corpo dalle accuse di Vanessa. La guardo mentre se ne sta, spavalda e padrona, dritta e regale davanti a me. Sembra una regina, così sicura- È stata soltanto una mia idea, l’ho portato io con me- continuo, sempre tenendo il braccio teso a sbarrare la strada a Leo, nel caso gli venisse la malsana idea di ribattere. Vanessa mi guarda, evidentemente indecisa su cosa dire, poi sbuffa.
-Il ballo finisce a mezzanotte precisa. “Divertitevi”- dice andandosene, evidentemente citando il bigliettino che le ho lasciato quella mattina. Sospiro, lasciando cadere il braccio. Leo mi torna accanto, e con aria pensierosa scruta mia sorella che si sta allontanando tra i variopinti invitati.
-E se fosse lei l’artigliato angelo Jon?- fa, dubbioso. Mi viene da ridere. Da ridere forte, perché quella che ha detto è davvero una cosa completamente stupida, ma ridere non sarebbe da me, quindi gli do un colpetto sul braccio.
-È mia sorella, abbi un minimo di rispetto- replico, mentre mi allontano dalla folla attaccandomi alle pareti. Leo sospira, deluso dalla mia mancanza di reazioni, forse, ma non so dirlo bene perché in realtà sta sorridendo. Ha sempre quel sorrisetto che fa venir voglia di tirargli uno schiaffo.
-Dove mi porti adesso di bell0?- chiede mentre mi segue attaccato alle pareti.
-Sul balcone- replico- Non sono ancora finiti i fuochi.
Leo apre ancora di più il suo sorriso e io arrossisco. In realtà sì, è quello, ma anche voglio allontanarmi da tutta quella fastidiosissima folla, e come luogo di fuga mi viene in mente solo il balcone. Non quello grande, no, quello di camera mia e di Leo che da sul cortile. Vanessa non si sarà azzardata a portare persone nella nostra camera, spero. Raggiungiamo fortunatamente sani e salvi la stanza, ed è vuota, esattamente come l’abbiamo lasciata la mattina quando siamo usciti. Mi sembra un secolo fa... Apriamo le porte e usciamo sul balcone. L’aria fresca della notte mi investe, mi accarezza la pelle e penetra sotto i miei vestiti. Esco, quasi chiamato dalla notte, e mi perdo di nuovo nella vista del cielo stellato, senza luna, illuminato da tutti i fuochi d’artificio colorati che splendono sulla poco lontana Reveille. Sospiro, appoggiandomi alla ringhiera di pietra del balcone e continuando a guardare il cielo. Sento appena Leo che si avvicina a me e appoggia le mani sulle mie spalle con una delicatezza eterea, come fiocchi di neve che si posano sui fiori. Rabbrividisco al contatto, sebbene sia tutt’altro che spiacevole.
-Grazie per oggi- dico, continuando a guardare il cielo. Sento le mani di Leo volteggiare sulla mia schiena.
-Figurati. Grazie a te.
Prendo un respiro profondo, inalando l’aria della notte e un leggero profumo... un profumo indefinito, ma stranamente buono. Nonappena deduco che il profumo viene da Leo, che continua ad accarezzarmi la schiena, vorrei buttarmi dal balcone. Non posso! Non posso, non posso e non posso! Ributto fuori l’aria con un sospiro fremente, e credo che Leo si sia accorto che c’è qualcosa che non va, perché si ferma di botto e si porta accanto a me, allungandosi per guardarmi il viso, i capelli scuri che mi accarezzano la pelle.
-Qualcosa non va?- mi chiede.
-Bè... una cosa sì, ma piccola...- mento. Leo sorride e torna dietro di me, dandomi dei colpetti sulla spalla che mi fanno voltare. Si toglie gli occhiali e già rimango senza parole, ma poi, giusto per confondermi un po’ di più, come se non facessi abbastanza da solo, allunga le mani.
-Balliamo?
Lo fisso incredulo. Balliamo? Sta scherzando? Come... come si fa a ballare in questa situazione? E oltretutto, come posso io ballare con il mio servitore? No, non posso. Non posso, maledizione, ma voglio davvero tanto farlo. Leo sembra leggermi negli occhi tutte queste domande e questa confusione, e probabilmente è così. Ha sempre detto che sono trasparente come il vetro. Si avvicina a me e prende le mie mani, portandone con una lentezza estrema sul proprio fianco, mentre continua a tenere l’altra. Poggia l’altra sua mano sulla mia spalla.
-Va tutto bene- dice, con una voce così dolce e così gentile che è un miracolo se non mi trasformo in acqua subito- Ci sono solo io qui, e un po’ di musica. Porta tu.
Non so bene cosa mi prenda, ma riesco ad avvertire la leggera musica dal salone, dove probabilmente il ballo si sta per concludere. Chissà che ore sono. Non riesco a fare a meno di pensare, di distrarmi mentre ballo con Leo. Lui è vicino a me, e si lascia condurre come se fosse una bambola, con quegli occhi scuri che fanno capolino da dietro la frangia scomposta, pozzi infiniti e imperscrutabili. Belli, belli, belli che mi ci perderei dentro per la vita. Potrei trascorrere la mia intera esistenza così, in un momento indefinito della notte, mentre ballo con Leo in un balcone deserto all’impercettibile suono di un valzer, le stelle e i fuochi che vegliano su di noi e le luci della città. Il suo profumo è così inebriante quando ce l’ho vicino, che rischio di affondare il naso nei suoi capelli e respirarne completamente l’essenza. Deglutisco, e Leo mi guarda sorridendo, mentre ruota di nuovo su se stesso. L’incanto venutosi a creare viene interrotto da una voce brusca al piano terra, che ci fa smettere di colpo di ballare.
-È mezzanotte!- dice la voce, che riconosco essere mia sorella- Tutti a casa, porta sfortuna!
Alcuni ridono, e tutti escono, lo vediamo dal cortile. Torno a guardare Leo, che non ha mosso le mani di un millimetro.
-Buon compleanno- gli auguro. Leo sorride, e devo fare qualcosa, non posso stare lì a guardarlo mentre brilla solo per me, per me che sono nessuno. Il cuore mi batte in modo indecente nel petto, mentre mi chino. Rimango a fissarlo negli occhi, a separarci pochi millimetri di insulsa aria, e sento il calore incredibile proveniente dalle mie guance probabilmente color fuoco. Schiudo le labbra e le appoggio sulla sua guancia, chiudendo gli occhi e respirando il suo profumo, la sua essenza. Sto impazzendo. Scendo lentamente con le labbra per tutta la guancia, lasciandoci baci leggeri, e poi sul collo, e poi torno al viso e lo prendo tra le mani. Ha gli occhi chiusi. Poso con tutta le delicatezza del mondo un bacio sull’occhio destro e uno sull’occhio sinistro, sentendo le sue ciglia lunghe solleticarmi le labbra, che appoggio poi sulla sua fronte, a lungo. Sì, devo essere rosso in modo inconcepibile. Torno alla mia altezza, e ho di nuovo quella voglia matta di gettarmi dalla ringhiera, ma poi Leo, con uno sguardo sognante e completamente estraniato dal mondo intorno a lui, allunga una mano e mi accarezza una guancia. Ma non vedo solo sogno, nelle iridi viola. Ved0 anche sofferenza, tormento, e qualcosa di ancora più forte, di travolgente. Lo so che cosa prova. Lo so perché lo provo anche io.
-Elliot...- mormora- Io...
-No- lo interrompo, allontanandolo e sentendone subito la mancanza- No, non rendere le cose ancora più difficili- continuo esasperato. Lo so che ho fatto tutto da solo. Ma non l’ho fatto apposta. Voglio tirare calci a qualcosa. È tutto così maledettamente difficile! Lo amo, sì, dannazione, lo amo. E lui lo sa. E io so, adesso, che lui mi ama. Eppure no, non possiamo fare niente. Non è giusto. Gli afferro le spalle, poi sposto una ciocca di capelli da davanti agli occhi.
-Credimi, vorrei- dico, forzato, a denti stretti per trattenermi dall’agire d’impulso- Vorrei... vorrei tante cose...
-Ma non possiamo- conclude lui, allontanandosi bruscamente. Entra in camera, e mi dice che è ora che ci prepariamo per dormire. Sospiro, facendo ciò che ha detto. Vorrei piangere, tra le tante cose che vorrei, vorrei poter piangere come un bambino qualunque, vorrei poter amare Leo senza sentirmi impuro e sbagliato, senza avere paura. Vorrei, vorrei. Che parola stupida. Non serve che ad accentuare le mancanze, come se prendesse in giro “Vorresti... ma vorresti e basta. Non puoi”. Vorrei che lo stesso Leo che si sta sedendo sul letto fosse da me, mi abbracciasse, mi accarezzasse. Mi infilo sotto le coperte, soffocando quelli che tutti chiamano “istinti perversi” sotto le coperte pesanti, voltato dall’altra parte rispetto al letto di Leo, senza nemmeno augurargli la buonanotte come faccio ogni sera da due anni. Vorrei dormire. Vorrei svegliarmi e scoprire che il giorno di Brigitte deve ancora esserci e che Leo odia questa festa. Vorrei svegliarmi accanto a Leo, per abbracciarlo. Vorrei. Vorrei. Mi tormenterà per sempre, penso. Ma poi sento una mano che mi scuote la schiena. Mi volto, assonnato, e incontro il viso di Leo, che si è seduto sul mio letto ed evita il mio sguardo, preferendo osservare le coperte. Che ci fa qui?
-Posso... posso dormire con te?- mi chiede. Sento il cuore montarmi in gola e cercare di fuggire dalla mia bocca, che trattengo chiusa proprio per non farlo uscire. Per quale santo motivo negli elevati cieli adesso vuole dormire con me?! Non è abbastanza spiacevole quello che è già successo?! Mi tenta ancora?!
-Non... non prenderla male...- continua, accorgendosi di essere stato secco- A scuola dormiamo sempre insieme, e stanotte fa freddo. E poi è il mio compleanno- l’ultima frase è un borbottio sconnesso. Mi viene da sorridere, perché so che Leo odia fare leva su queste cose per ottenere favori. Lo so che è vero che a scuola dormiamo insieme, perché Leo ha deciso che il suo non era un letto, ma una libreria con un materasso, quindi dopo appena due mesi dall’inizio della scuola finisce sempre che dormiamo entrambi nel mio letto. Una parte di me vorrebbe rispondergli che a scuola non facciamo quello che abbiamo, anzi, a onor del vero che h0 fatto stasera, ma l’altra dice che ha ragione, e mi fa più comodo ascoltare la seconda, quantomeno dal punto di vista della soddisfazione personale. Sollevo le coperte e Leo ci si sistema sotto con un mugolio soddisfatto, evidentemente approfittando del mio calore trasmesso alla stoffa. Sospira e mi dà le spalle.
-Buonanotte- mi dice sussurrando. No, non mi dà le spalle così dopo che l’ho fatto entrare nel mio letto! Mi avvicino a lui e faccio aderire il mio petto alla sua schiena. Certo, anche io mi diverto proprio a complicare le cose, eh? Faccio lentamente scorrere le dita sui suoi fianchi e sul suo petto, concedendomi di annusare i suoi capelli. Sono meravigliosi come credevo, anzi di più. È tutto meraviglioso.
-Sai Leo...- mormoro- Stavo ripensando a Jon e Brigitte... in fondo non sono patetici...
Sento chiaramente Leo ridacchiare mentre si volta e mi guarda in viso.
-Ma tragici sì.
-Sì, tragici  sì- concedo, sorridendo. Leo appoggia una mano sul mio petto e apre le dita. Poi si avvicina a me e si accoccola contro il mio petto, mentre io d’istinto gli cingo le spalle con un braccio, avvicinandolo ancora di più. Nel dormiveglia, quel momento di confusione, ripenso al sogno che ho fatto stanotte, e di colpo mi sento un vero idiota per non aver riconosciuto la persona sulla barca. Un vero idiota. Come ho fatto a non capirlo? Era così... così ovvio! Guardo Leo, abbracciato a me in questo letto troppo grande per una persona sola. “Ti amo”, vorrei dire. Ma la frase che esce dalle mie labbra è diversa, eppure stringe a sé tante cose quante l’altra.
-In fondo non è male, il giorno di Brigitte.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
The Corner of the Mad Lady
Ciao! Non ho molto da dire su questa storia. L’ho scritta tipo a novembre, e ogni santo giorno da allora sono stata incerta se pubblicarla o no. Più la rileggo e meno mi piace, ma sono le uniche parole che sono riuscita a scrivere in circa otto mesi, e Lerion (cattiva lepre) continua a dirmi che ne vale la pena. Quindi... ta-dan! Non ho mai visto così tante incongruenze in nove pagine di storia, e poi, non so se si nota, ma non avevo la minima idea di cosa diavolo fargli fare per tutto il giorno (sante, sante biblioteche), e anche sulla cosa del balcone tutt’ora mi sto trattenendo dallo scrivere “E LO BACIO SULLA FOTTUTA BOCCA”. Per non parlare di come accidenti mai siano riusciti a tirar fuori Jon. Solo io riesco a fare uscite tanto sconnesse... Quindi, ehi, perdonatemi se ricompaio qui così a random e con una storia così... mediocre. Se a quei pochi stoici che la leggono venisse in mente di lasciare “almeno dieci parole” giusto per dirmi qualcosa, ne sarei grata! *rumore di grilli e passaggio di erbacce del deserto*
  
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