Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |       
Autore: mikimac    04/06/2015    3 recensioni
Sherlock si è lanciato dal tetto del Bart's, fingendo il proprio suicidio,
Prima di partire per la sua missione e distruggere l'organizzazione di Moriarty, Sherlock confessa a Mycroft di amare John e gli fa promettere di prendersi cura di lui, fino al suo ritorno.
Mycroft prende la propria promessa così sul serio, che si innamora lui stesso di John.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
The Reichenbach Fall

Premesso che è meglio che le cose siano andate come le hanno raccontate Steven Moffat e Mark Gatiss, scrivere fan fiction è creare un universo alternativo delle nostre serie preferite.

Ecco qui l’ennesima fan fiction che esplora quello che accade dopo l’episodio 2x03 “The Reichenbach Fall”, rivisitando, però, la serie dall’inizio.

I titoli dei capitoli saranno gli stessi degli episodi o dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle, a volte con un significato diverso, che spiegherò a fine capitolo.

I personaggi non mi appartengono, ma sono di Sir Arthur Conan Doyle, Steven Moffat e Mark Gatiss.

Se qualcosa di quello che scrivo dovesse essere già apparso in qualche altra fan fiction, chiedo scusa, ma sarebbe assolutamente involontario.

Naturalmente, questo racconto non ha scopo di lucro.

Buona lettura! J

 

 

John Watson era seduto nel salotto silenzioso del 221B di Baker Street.

La testa era appoggiata ad una mano, i piedi scalzi, con le piante rivolte l’una verso l’altra, che non si toccavano.

Era incredulo.

Distrutto.

Sherlock Holmes si era suicidato davanti ai suoi occhi , buttandosi dal tetto del Bart’s, lasciandogli come messaggio d’addio una telefonata.

 

 

The Reichenbach Fall

 

 

Era rientrato da poco dall’Afghanistan ed era stato congedato dall’esercito a seguito delle ferite riportate.

Camminava con un bastone.

Era stato ferito alla spalla, ma zoppicava.

Sapeva anche lui che si trattava di un problema psicosomatico, ma non era sicuro di volerlo risolvere.

Se avesse saputo cosa farsene della propria vita, sarebbe stato diverso, ma, da come stavano le cose, risolvere o meno questo problema sembrava irrilevante.

La cosa che lo disturbava di più, comunque, erano gli incubi.

Era una mattina di sole e sperava che una passeggiata al parco gli permettesse di trovare un po’ di serenità.

La prima volta che sentì chiamare il proprio nome, non si girò nemmeno.

Esistevano troppi John al mondo, non stavano certo chiamando lui.

La seconda volta gli sembrò che la voce fosse familiare.

La terza si voltò.

“John Watson! – disse sorridendo felice un uomo della sua età un po’ in sovrappeso – Sono Mike. Mike Stamford. Ti ricordi di me?”

Dalle nebbie del passato emerse il viso sorridente di un Michael Stamford decisamente più giovane, ma sempre in sovrappeso, che condivideva con John le notti in bianco, trascorse sui libri degli esami del corso di medicina.

John non aveva molta voglia di parlare con il resto del mondo, ma Mike gli era sempre piaciuto:

“Ciao Mike, come stai?” chiese più per cortesia che per curiosità.

Sperava in un veloce scambio di saluti, invece finirono per sedere su una panchina a fare quattro chiacchiere. John Watson tutto si sarebbe aspettato quel giorno, tranne di sentirsi proporre un coinquilino.

Rimase spiazzato dalla strana proposta di Mike, che non gli aveva detto molto dell’uomo che voleva presentargli, eppure era riuscito ad incuriosirlo.

In fin dei conti, cosa aveva da perdere?

Non aveva un lavoro.

Non aveva molti amici e quei pochi che aveva non voleva vederli per non dover raccontare loro della guerra.

Non parlava con Harry.

Non aveva molti soldi e dividere un affitto a Londra era sempre conveniente.

Seguì Mike al Bart’s senza grandi aspettative, perché non poteva immaginare che nella sua vita stesse per fare irruzione un tornado che la avrebbe sconvolta completamente.

 

 

Entrando nel laboratorio, fu sommerso dai ricordi di quando, studente di medicina, si chinava sui microscopi, sperando di riuscire a stare sveglio dopo una notte insonne trascorsa sui libri.

L’uomo nella stanza era alto e troppo magro.

Doveva avere più o meno la sua stessa età, forse qualche anno in meno, ma non troppi.

I capelli, neri e ricci, contrastavano con la pelle bianchissima e gli occhi erano di un azzurro così chiaro da sembrare di ghiaccio.

Fu lo sguardo rapido che l’uomo moro gli lanciò ad intrigare John.

Gli sembrò di essere passato velocemente attraverso lo scanner di una risonanza magnetica.

“Afghanistan o Iraq?” gli chiese lo sconosciuto, senza troppi preamboli.

John lo fissò più incuriosito che infastidito:

“Afghanistan. Come ha fatto a capirlo?”

L’uomo iniziò a parlare velocemente, con voce bassa ed un tono così profondo da essere quasi difficile da capire.

John non sapeva come potesse dire tante parole in così poco tempo.

Quando l’amico di Mike ebbe finito di parlare, John si era sentito raccontare praticamente la propria vita in pochi secondi.

Si ritrovò a fissare quello strano uomo con sguardo affascinato, quasi incredulo di come fosse riuscito a dedurre tante cose di lui, solo traendo qualche conclusione da quello che aveva osservato in pochi istanti.

John si chiese cosa avrebbe potuto capire se fossero stati insieme più a lungo.

Stranamente, non fu infastidito da quello che l’uomo gli aveva detto.

“Allora? È interessato a dividere le spese dell’affitto? Ho già visto un appartamento al 221B di Baker Street. Possiamo incontrarci lì domani.”

“Va bene.” si sentì rispondere John.

L’uomo sorrise soddisfatto e fece per andarsene.

“Ma lei come si chiama?” domandò Watson, prima che l’uomo uscisse.

“Il mio nome è Sherlock Holmes.” rispose l’altro e sparì dalla sua vista.

 

 

Il giorno dopo, si trovarono in questo appartamento, avvolto completamente nel caos.

La padrona di casa, una donna anziana, ma molto simpatica, li accolse dimostrando pazienza materna verso l’iperattivo Sherlock Holmes.

“Volete anche la stanza di sopra o ve ne basta una?” chiese la signora Hudson con un sorriso felice.

John rimase spiazzato da quella strana domanda:

“Naturalmente ci servono due stanze.” rispose senza esitare.

“Oh, caro. – aggiunse l’anziana donna – Non c’è nulla di cui vergognarsi. La mia vicina prende quelli sposati!”

John si chiese dove fosse capitato.

Era proprio sicuro di voler rimanere lì?

Eppure, stranamente, si sentiva già a casa, malgrado lo strano coinquilino e le strampalate conclusioni a cui era arrivata la padrona di casa.

John Watson si trovò catapultato nella vita convulsa e caotica di Sherlock Holmes.

Conobbe poliziotti che lo ammiravano.

Poliziotti che lo detestavano.

E lo seguì senza una ragione in un’avventura dopo l’altra, perché Sherlock Holmes lo faceva sentire vivo per la prima volta, dopo tanto tempo.

 

 

Ci fu un altro incontro che segnò la vita di John Watson, in quei giorni.

Il suo nuovo coinquilino lo aveva abbandonato sul luogo di un delitto.

Nel tentativo di tornare a casa, John si era trovato a sentire squillare i telefoni intorno a lui.

Curioso, rispose e si trovò invitato, più o meno gentilmente, ad un incontro clandestino.

Un’auto nera lo aveva caricato e la ragazza al suo interno era molto bella, ma troppo e solo interessata al proprio telefono.

Il luogo in cui venne portato era isolato ed adatto a tenerlo prigioniero, senza che nessuno potesse trovarlo per lungo tempo.

John Watson si chiese cosa stesse accadendo alla propria vita, da quando aveva incontrato Sherlock Holmes.

L’uomo non gli disse come si chiamasse.

“Se lo chiedesse a Sherlock Holmes, le direbbe che sono il suo arcinemico.”

“Perché, esiste qualcuno che abbia un arcinemico?” chiese John più curioso che spaventato.

Non sapeva perché non avesse paura.

Era cosciente del fatto che una persona normale avrebbe dovuto essere perlomeno preoccupata da quello che gli stava accadendo, invece John era tranquillo.

L’uomo davanti a lui gli propose dei soldi per spiare il suo coinquilino.

Ecco, questa cosa lo fece veramente arrabbiare.

Quell’uomo pensava di poterlo indurre a tradire una persona, solo perché l’aveva appena conosciuta!

Rifiutò con decisione e sdegno l’offerta di denaro.

Per un attimo, John ebbe l’impressione che gli occhi dell’uomo fossero attraversati da un lampo di soddisfazione, come se fosse stato felice per quella risposta.

Ciò non diminuì la sensazione che l’uomo con l’ombrello fosse più pericoloso di quanto l’abito firmato ed i modi educati e signorili lasciassero supporre.

John venne riaccompagnato a casa sano e salvo.

Sherlock non si preoccupò del fatto che John fosse stato praticamente rapito per colpa sua.

“Avresti dovuto accettare quel denaro. – disse sorprendentemente – Ci avrebbe fatto comodo.”

 

 

Questa fu solo una delle tante stranezze che iniziarono a capitare nella vita di John Watson dal momento in cui Mike Stamford gli aveva presentato Sherlock Holmes.

John uccise un uomo, senza esitare, per salvare Sherlock.

Non si arrabbiò con il suo folle coinquilino, quando lo drogò, solo per fare un esperimento.

Sopportò con stoica pazienza quando lo insultò, solo perché Sherlock aveva provato un sentimento umano come la paura e ne accettò le quasi scuse senza andare troppo per il sottile.

Lasciò le ragazze con cui usciva, ogni volta che Sherlock ne distruggeva l’immagine ai suoi occhi o le maltrattava quando andavano a trovarlo a Baker Street.

Si lamentò con tono rassegnato e poco convinto delle continue violazioni alla propria privacy, avendo perfettamente capito come quello fosse un concetto completamente estraneo al modo di intendere la vita in comune da parte del suo coinquilino.

Finì per non essere più sorpreso dal fatto che Sherlock non si accorgesse che lui fosse uscito e gli parlasse come se fosse sempre presente nella stanza.

Arrivò a non essere nemmeno più infastidito dai continui e pressanti sms che Sherlock gli inviava esigendo la sua immediata attenzione e presenza, incurante di qualsiasi cosa stesse facendo John.

Imparò a convivere con la cucina adibita più a laboratorio scientifico che alla preparazione dei cibi e con le parti dei corpi conservate nel frigorifero, sempre utili per qualche bizzarro esperimento.

Tutti i lati negativi di Sherlock Holmes erano nascosti, agli occhi di John Watson, dall’ammirazione che il dottore provava verso la mente brillante e geniale dell’unico consulente investigativo del mondo.

Malgrado Sherlock insultasse continuamente il resto dell’umanità, trovandola noiosa e banale, John, che pure sapeva di essere parte di quella bistrattata specie, non poteva che rimanere sempre meravigliato davanti alla capacità di deduzione ed all’intelligenza, decisamente superiore alla media, del suo coinquilino.

John sapeva di poter condividere con Sherlock le sue avventure solo perché il consulente investigativo sentiva l’assoluta necessità di avere un pubblico adorante che ascoltasse le sue elucubrazioni.

E quel pubblico adorante era proprio John Watson.

Nulla soddisfaceva più Sherlock del vedere lo sguardo meravigliato ed orgoglioso che illuminava gli occhi di John quando lui risolveva un caso.

Nulla era più importante per Sherlock che ammirare il sorriso di John, quando districava un caso complicato con poche geniali parole.

Persino l’arcinemico di Sherlock, che alla fine si rivelò essere solo il suo fratello maggiore Mycroft, arrivò alla conclusione che la cooperazione fra i due uomini fosse la cosa migliore che potesse loro capitare.

Almeno fino a quando nelle loro vite non fece irruzione James Moriarty.

 

 

All’inizio il caso fu divertente e stimolante.

Quando, però, morì l’anziana signora, persino Sherlock capì che il loro avversario fosse più pericoloso di quanto lo avessero valutato in un primo momento.

Sherlock arrivò alla piscina e, con somma sorpresa, trovò John, che lo accolse come se lui fosse James Moriarty.

Possibile che si fosse sbagliato così tanto nel valutare l’uomo che stava diventando la persona più importante della sua vita?

Possibile che fosse veramente lui quello che piazzava le bombe addosso alla gente?

No.

John aveva una bomba addosso lui stesso e sarebbe stato disposto a morire, pur di salvare Sherlock.

Quando, finalmente, il vero James Moriarty decise di andarsene, Sherlock aiutò John a levarsi velocemente il giubbotto esplosivo.

“Per fortuna non ci possono vedere. – disse John mentre Sherlock lo spogliava – Chissà cosa potrebbero pensare, altrimenti.”

John si girò verso Sherlock e sentì le proprie gambe mancare, a seguito delle violente emozioni a cui era stato sottoposto.

Sherlock lo sorresse, afferrandolo ai fianchi con un braccio e stringendolo a sé.

Le loro labbra si trovarono pericolosamente troppo vicine.

Sherlock sollevò John, costringendolo quasi sulle punte dei piedi ed appoggiò le proprie labbra a quelle del dottore.

John fu talmente sorpreso da quello che stava accadendo, che aprì la bocca.

Sherlock ne approfittò per entrare con la propria lingua, giocando con quella dell’amico, dolcemente e sistematicamente, come se stesse studiando, catalogando e valutando la scena di un crimine.

 

 

Improvvisamente una voce stridula e canzonatoria rimbombò nel silenzio della piscina:

“Disturbo?”

Sherlock lasciò andare lentamente John, voltandosi verso Moriarty.

“Se avessi immaginato cosa stavate facendo, vi avrei lasciato qualche minuto ancora.”

“Non sono gay!” sbottò John, rosso in viso.

Si girò verso Sherlock, in attesa che l’amico confermasse quello che aveva appena detto lui.

Invece, il consulente investigativo rimase in silenzio.

Il sorriso malizioso dipinto sulla faccia di Moriarty aumentò l’irritazione di John.

“Lo so, lo so. – continuò il consulente criminale – Avevo detto che me ne sarei andato e che vi avrei lasciato vivere, però, sapete, sono così volubile.”

Le luci rosse tornarono a danzare sui corpi di John e Sherlock.

John si appoggiò alla parete della piscina e si lasciò scivolare fino a sedersi sui talloni.

Sherlock scambiò uno sguardo d’intesa con John e puntò la propria arma sul giubbotto esplosivo, pronto a farlo saltare in aria.

Il silenzio era teso, i due consulenti si guardavano, valutando cosa potessero fare per sconfiggersi a vicenda, quando “Stayin’ Alive” fece irruzione nella piscina.

Con una smorfia, Moriarty rispose al telefono e decise che non fosse il giorno giusto per eliminare il suo nemico.

 

 

Durante il tragitto in taxi dalla piscina a Baker Street, John guardò sempre fuori dal finestrino, chiuso in un ostinato mutismo.

Sherlock gli lanciò qualche occhiata in tralice, ma non sapeva come affrontare il discorso su ciò che era accaduto.

Arrivati nel salotto di casa, Sherlock decise di rompere il silenzio:

“John?” il tono di voce era stranamente esitante.

John si girò verso Sherlock, con espressione assolutamente neutra:

“Sì?”

“Possiamo parlare?” Holmes si sentiva imbarazzato.

“Di cosa?” chiese John, facendo finta di non capire.

“Sai benissimo di cosa voglia parlare!” ribatté Sherlock infastidito.

John sospirò:

“Adrenalina.” disse semplicemente.

Sherlock lo fissò interdetto:

“Cosa vorresti dire?”

“Io non sono gay. – rispose John – Tu sei sposato con il tuo lavoro. Il bacio è stato solo il risultato dell’adrenalina che ci scorreva nelle vene a causa del pericolo che avevamo corso.”

“Davvero?” domandò Sherlock, non proprio convinto dalla risposta di John.

“Sì.” ribatté seccamente John, come se volesse mettere fine alla discussione.

Sherlock lasciò perdere, avendo capito come l’argomento mettesse in imbarazzo John.

Non sapeva bene nemmeno lui perché avesse baciato John, quindi, forse, il dottore aveva ragione: era stata solo una reazione chimica al pericolo corso.

Decisamente piacevole, comunque.

Voleva chiedere a John se potessero ripetere l’esperienza, come esperimento ovviamente, ma il dottore si era già ritirato nella propria stanza e Sherlock pensò che non fosse il caso di farlo arrabbiare.

John non sarebbe andato da nessuna parte e lui avrebbe avuto tempo per fare il proprio esperimento.

 

 

Poche ore dopo, nella vita dei due uomini entrò Irene Adler.

La donna intrigò Sherlock al punto da causare un piccolo moto di gelosia in John.

Audace ed intelligente, Irene Adler affascinò Sherlock, che non riusciva a leggerla come faceva con il resto dell’umanità.

John vide nascere questa attrazione e sentì una fitta al cuore:

Io non sono gay. – si disse – Ed il bacio è stato solo adrenalina.”

Stranamente per il dottore, una parte di lui continuava a sentirsi gelosa ed avrebbe voluto che quella donna sparisse dalla vita di Sherlock.

Quando scoprirono che Irene era stata uccisa, vedendo quanto Sherlock soffrisse, John si sentì in colpa.

Irene, però, non era morta e si fece viva proprio con il dottore.

“Deve dire a Sherlock che è viva o lo farò io.” le disse John in tono risoluto.

Irene mandò un messaggio a Sherlock.

“Non è geloso, dottore?” chiese Irene, più con curiosità che con malizia.

“Non siamo una coppia.” ribatté John, sulla difensiva.

“Oh, sì che lo siete.” sorrise Irene.

“Non sono gay.” sbuffò John, seccato dal dover sempre ricordare a tutti che non gli piacessero gli uomini.

Il sorriso di Irene divenne malizioso:

“Non ne sarei così sicura, dottore. – sussurrò – Penso che almeno uno di voi sia molto preso dall’altro.”

Non terminò la frase perché un suono rimbombò nella stanza, provenendo dal corridoio attiguo.

Entrambi capirono che Sherlock era nell’edificio e stava ascoltando la loro conversazione.

Tornato a casa, John non affrontò l’argomento con Sherlock, perché le cose precipitarono.

Irene era più abile e manipolatrice di quanto si fossero aspettati.

Sherlock rimase ferito dal modo di agire di Irene.

Una parte di John ne gioì perché voleva dire che Sherlock la avrebbe dimenticata.

L’altra parte si sentì in colpa, perché non voleva che Sherlock soffrisse.

 

 

Irene Adler uscì dalle loro vite come era entrata: come un tornado.

John comunicò a Sherlock che la donna era stata uccisa, stavolta per davvero.

Per tutta risposta, Sherlock chiese:

“Posso fare un esperimento?”

John lo fissò perplesso. Era sempre pericoloso acconsentire a partecipare ad un esperimento di Sherlock, ma in quel momento non se la sentì di dirgli di no.

“Va bene. – rispose – In cosa posso esserti utile?”

Sherlock si alzò dalla scrivania, andò verso John, gli prese il volto con le mani e lo baciò.

Preso completamente alla sprovvista, anche questa volta John aprì le labbra e Sherlock entrò nella bocca del dottore, riprendendone la sua sistematica esplorazione.

Sherlock tolse le mani dal volto di John e lo abbracciò.

Il bacio fu dolce, tenero e molto prolungato.

John si ritrovò a corrisponderlo, accettando di giocare con la lingua di Sherlock.

Quando Sherlock si ritenne soddisfatto, si staccò da John.

“Grazie. – disse con un sorriso – Ho avuto la risposta che stavo cercando.”

E se ne andò, lasciando John completamente interdetto.

 

 

Non parlarono del secondo bacio.

John si rifiutò di affrontare l’argomento.

Si disse che Sherlock stesse solo cercando di elaborare il lutto per la perdita di Irene.

E non si chiese minimamente quale fosse l’esperimento a cui Sherlock lo avesse sottoposto o cosa credesse di avere dedotto dal loro secondo bacio.

Tutto riprese a scorrere come sempre, fino al ritorno di James Moriarty.

 

 

Sherlock stava diventando famoso.

Era osannato dai giornali, ma questo preoccupava John.

La fama era portatrice di guai.

John cercò di mettere in guardia Sherlock, ma il giovane Holmes era troppo attratto dai casi che gli venivano sottoposti e non diede peso alle preoccupazioni dell’amico.

Quando James Moriarty si fece arrestare, Sherlock non riuscì a rimanere in disparte, ma si lasciò coinvolgere nel piano del folle consulente criminale, che lo portò alla rovina.

In fuga dalla polizia, John e Sherlock si rifugiarono al Bart’s, accolti e protetti da Molly.

James Moriarty aveva tentato di convincere John di essere un attore di nome Richard Brook, pagato da Sherlock per passare come il consulente criminale più pericoloso al mondo.

John non aveva creduto ad una sola parola uscita dalla bocca di Moriarty.

John aveva una completa ed assoluta fiducia in Sherlock Holmes e nelle sue incredibili capacità deduttive.

Nulla lo avrebbe convinto del fatto che Sherlock fosse un imbroglione.

 

 

Molly li lasciò soli, salutandoli e dicendo loro che sarebbe tornata la mattina dopo.

John era stanco.

Era stata una giornata molto intensa.

Scappare dalla polizia e fare la vita del latitante era sfiancante.

Stava per addormentarsi appoggiato al tavolo, quando Sherlock gli si avvicinò:

“John, posso chiederti una cosa?” il tono era malinconico.

“Dimmi.” gli sorrise John incoraggiante.

Sherlock lo guardava negli occhi, così triste e rassegnato che a John si strinse il cuore:

“Vorrei fare l’amore con te.” disse Sherlock.

John rimase senza fiato.

“Io ti amo, John. – continuò Sherlock – So che dici di non essere gay, ma ti piace baciarmi. Forse ti piacerà anche fare l’amore con me.”

Sherlock rimase in attesa di una risposta, fissando John negli occhi.

Il dottore non sapeva cosa rispondere.

Non si sarebbe mai aspettato quella richiesta.

Sentì una parte di sé esultare contenta per la proposta.

Un’altra, invece, gridava “Assolutamente no!”, perché era cosciente che sarebbe stato un grande errore.

John continuava a guardare Sherlock negli occhi, in quegli occhi di un azzurro così chiaro da essere quasi trasparenti, nel fondo dei quali poteva leggere una profonda disperazione.

John gli sorrise e lo baciò, teneramente e dolcemente.

Mentre si baciavano, Sherlock lo fece alzare dallo sgabello e lo fece sdraiare in terra.

Una parte della mente di John inorridì al pensiero di quanti germi e batteri vi fossero sul pavimento.

L’altra si lasciò trasportare, in attesa di accogliere Sherlock dentro di sé, pronta a fare qualsiasi cosa per rassicurarlo che non lo avrebbe mai lasciato solo.

Sherlock amò il suo John con dolcezza e passione, tenerezza e delicatezza.

John si lasciò amare, sorpreso dalla competenza che Sherlock dimostrò nel fare l’amore.

Il dottore si chiese se Sherlock fosse sempre stato gay ed avesse avuto altre storie.

Questo pensiero gli procurò un piccolo moto di gelosia, che John tacitò immediatamente.

Durante il periodo in cui aveva condiviso l’appartamento con Sherlock, John aveva avuto tante brevi avventure, quindi non poteva certo biasimare l’amico, se in passato aveva avuto qualche relazione.

Amico.

Erano ancora amici?

No, non sarebbero più potuti essere amici.

Non dopo quella notte.

John sentì una parte di sé gridare disperata:

“È un errore! Ora perderete il vostro legame unico e straordinario! Per una notte d’amore. Ne è valsa la pena?”

La risposta, in quel momento, fu “.”

Si addormentarono, stretti l’uno all’altro, felici e consapevoli di non essere più solo amici.

 

 

La mattina dopo, John fu svegliato da un incubo.

Diversamente dalle altre volte, non ricordava se avesse sognato l’Afghanistan, però sentiva un peso sul cuore.

Si accorse che Sherlock non era più sdraiato accanto a lui e lo cercò nella stanza.

Non c’era.

Preoccupato, si chiese dove potesse essere andato.

Si vestì in fretta ed uscì dal Bart’s.

Era appena arrivato al marciapiede e stava per chiamare un taxi, quando il cellulare squillò.

Era Sherlock.

“Sherlock, dove sei?” chiese, cercando di tenere sotto controllo il panico presente nella voce.

“Alza lo sguardo.” rispose il consulente investigativo.

John obbedì e lo vide.

L’alta figura slanciata, il cappotto svolazzante, Sherlock era in piedi sul cornicione del Bart’s.

“Sherlock cosa stai facendo!”

John stava per riattraversare la strada, ma la voce al telefono lo bloccò:

“No, fermati. Stai lì. Non ti muovere. Tieni gli occhi fissi su di me.”

John sentì nel tono di Sherlock una disperazione che gli era sconosciuta.

Preoccupato, cercò di rassicurarlo:

“Sherlock, andrà tutto bene. Non fare nulla di folle.”

“Questa è la mia lettera, John, e voglio che tu mi guardi.”

“Lettera?”

“Non è così che fanno?”

“Sherlock, ti prego … no …”

“Sono un imbroglione, John, dillo a chiunque ti ascolti.”

“No, non è vero. Tu sei la persona più intelligente che io conosca.”

“Era tutto un trucco, John. Ti ho sempre preso in giro.”

“No, non è vero. – ripeté caparbiamente John – Avrei saputo se mi avessi mentito. Io ti amo, Sherlock.”

Dall’altra parte non si sentì nulla.

“Mi hai sentito? – chiese John con una nota di angoscia nella voce – Io ti amo. Si risolverà tutto.”

Un lungo momento di silenzio, prima di un sussurro:

“Anche io ti amo John.”

John sorrise, come se questa conferma potesse risolvere tutto:

“Finché saremo insieme, andrà tutto bene. – disse rassicurante – Vengo su da te e parliamo.”

“Non muoverti da lì.”

Sherlock riattaccò il telefono.

“Sherlock?” chiamò John, ma gli rispose solo il segnale di linea libera.

Paralizzato dal terrore di quello che l’altro potesse fare, John aveva sempre gli occhi incollati su Sherlock, pregando che scendesse dal parapetto e che lo raggiungesse.

Invece, con sommo orrore di John, Sherlock si buttò dal tetto del Bart’s.

Ed il cuore e la vita di John si fermarono in quell’istante.

 

 

Oggi

 

 

Seduto nella sua poltrona a Baker Street, nella mente di John era ripassata la sua vita con Sherlock.

Una figura silenziosa entrò nella stanza e si andò a sedere nella poltrona di Sherlock.

Con gli occhi offuscati dalle lacrime, John non riuscì a capire chi fosse l’uomo davanti a lui:

“Sherlock?” chiese con una speranza assurda che fosse stato solo un brutto sogno.

“No, John.”

Il dottore conosceva quella voce, anche se non vi aveva mai sentito una nota di tristezza e commiserazione così profonde.

John si passò velocemente la mano sugli occhi e si ricompose, assumendo la sua tipica posa rigida da militare, la corazza che lo isolava e lo proteggeva dal mondo esterno:

“Mycroft. – disse con tono gelido – Dove eri? Perché non lo hai aiutato?”

“Non mi ha dato il tempo di farlo.” sospirò Mycroft.

John si alzò in piedi, le mani strette a pugno, furioso, pronto a colpire Mycroft.

L’altro uomo non si mosse, non fece nulla per difendersi, pronto a ricevere il colpo, senza evitarlo.

“Vattene. – sibilò John – Non voglio più vederti.”

Mycroft lo fissò a lungo negli occhi.

Occhi azzurri, del colore dell’oceano più profondo.

Furiosi e fieri, nel loro immenso dolore.

Mycroft si alzò in piedi, lentamente, e si avviò alla porta.

Prima di uscire, si voltò indietro:

“Se dovessi avere bisogno di qualcosa, basta che tu me lo faccia sapere. Io ci sarò sempre.”

Mycroft attese un qualunque tipo di risposta da parte di John, che non arrivò.

John Watson rimase fermo in mezzo alla stanza, le spalle rigide, i pugni stretti.

Non aveva mai voluto accettare di essere innamorato di Sherlock Holmes.

Sherlock aveva tentato di fargli capire che lo amava, ma lui non aveva voluto ascoltarlo.

Era solo colpa sua se si era ucciso.

Era solo colpa sua se l’uomo che amava non era più al suo fianco.

La sua punizione sarebbe stata vivere con questa consapevolezza.

La sua espiazione sarebbe stata vivere per sempre solo.

Senza più amore.

 

 

Nota dell’autrice

 

 

Non credo ci sia molto da spiegare sul titolo: la storia parte dal primo incontro per arrivare al salto di Sherlock dal tetto del Bart’s.

So che il racconto può sembrare  un po’ slegato, ma le cose si svolgono come sono raccontate nelle prime due stagioni, con solo quelle piccole differenze che sono narrate dalla storia.

Quindi, chiunque stia leggendo questa fan fiction, sa perfettamente cosa sia accaduto nella serie.

 

In attesa dei vostri commenti, a lunedì per il prossimo capitolo! J

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: mikimac