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Autore: Evilcassy    07/01/2009    4 recensioni
La Principessa Kikyo guarda la neve, mentre, dall'altra parte del castello la sua Rivale muore. La Principessa Kikyo non ha ricevuto l'onore di essere amata, nè quello di essere madre. La sua Rivale si. E stava morendo. Fanfiction sperimentale, ambientata nel MedioEvo (non giapponese).
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kagura, Kikyo
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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E cade la neve

In un giorno d’Inverno.

 

Fiocco dopo fiocco. Copiosa, come solo aveva visto negli inverni in quel Paese. Candida e silenziosa, ricopriva qualsiasi cosa. I fiocchi d’erba del suo giardino privato, i rami rigogliosi dei pini, il marmo della balconata di fronte al vetro della finestra dietro alla quale fissava il paesaggio.

Il silenzio e il gelo portati dalla neve penetravano attraverso le grandi pietre del castello, e attutivano i rumori delle persone che vivevano tra quelle mura.

O forse il silenzio è dato da qualcos’altro. Pensò la principessa, staccando i malinconici oggi castani dal vetro. Le sue due giovani dame di compagnia sembravano indaffarate con il ricamo, di fronte al caminetto acceso. La Principessa Kikyo pensò inizialmente di unirsi a loro, di prendere in mano tela ed ago e di intrecciare i fili nel più assoluto silenzio. Poi però si lasciò cadere morbidamente in una delle poltrone a fianco della finestra.

E così, in quel giorno di gennaio, si sarebbe compiuto il destino di quella che le sue dame di compagnia chiamavano “la sua acerrima rivale. Un giorno poetico per morire, avvolta dal silenzio di cristallo donato dalla neve. E poteva anche giurare che sarebbe stato di quel colore il marmo del suo sepolcro, scelto in prima persona da suo marito. Kikyo sospirò. Possa la sua morte portare un po’ di serenità nella mia vita. Possa la sua assenza donarmi ciò a cui più io anelo.

Si vergognò subito dei suoi pensieri: la donna agonizzante, in una stanza del castello, era stata la sua rivale, quello era vero, ma non era stata mai maligna o spietata nei suoi confronti, né aveva sbeffeggiato la sua situazione penosa o ostentato la fortuna con cui Dio l’aveva benedetta. Era stata in un certo senso leale verso di lei, conscia del suo ruolo, sempre al proprio posto di fronte agli altri. Era stata la sua rivale, certamente, ma non la sua nemica.

Le mani di Kikyo tremarono. Forse la ragione per cui stava morendo era dovuta anche ad un favore che quella donna si sentiva in dovere di farle. Una fitta la colpì all’altezza del cuore.

Che stupidaggine sentirsi in colpa per la morte di una donna che mi ha causato infelicità. Pensò. Ma era stata davvero colpa sua? O la malinconia in cui era sprofondata in quegli anni era causata solo dalla solitudine e dall’impossibilità di vedere il rimprovero sulle facce di chi la circondava? Lei non riusciva a portare a termine il suo compito, e ciò la escludeva dalla vita politica del regno.

Sospirò. I suoi sospiri erano diventati ormai un’abitudine che la contraddistingueva.

Si chiese dove fosse finita sua sorella. Era uscita da più di un’ora dalla stanza, per cercare notizie, e non si era ancora fatta viva.

Probabilmente è in un angolo ad amoreggiare con Inuyasha. Era una cosa che la infastidiva. Aveva fantasticato così tanto su quel ragazzo, nelle ore di solitudine a cui si costringeva per sfuggire alle occhiate gelide della corte, cercando di interpretare ogni suo gesto, parola o semplice sguardo a lei rivolto come benevolo e carico di sentimenti nei suoi confronti. E poi, era giunta la visita di quella sua sorellina nubile, mandata dalla madre per risollevarla dalla tetra malinconia di cui si era avvinta la Principessa, e il cuore di Inuyasha era stato catturato dai quegli occhi castani, così simili ai suoi eppure così diversi, limpidi, vivi.

Inizialmente aveva cercato di ostacolare quell’amore che stava nascendo tra i due, invidiosa dei reciproci sentimenti, cercando di dipingere Inuyasha come il ribelle e scapestrato famigliare con cui era costretta a convivere nel castello.

Tutto inutile. Inuyasha era divenuto in breve lontano persino dalle sue fantasie e rimaneva solamente quello che era in realtà: il fratello di suo marito Sesshomaru.

A primavera sarebbe stato doppiamente legato alla sua famiglia: Inuyasha aveva domandato in moglie sua sorella, ricevendo l’appoggio indifferente del Principe suo fratello e di tutta la famiglia d’origine di Kikyo e Kagome, gioiosi di essere legati con il casato dei Taisho da una doppia unione matrimoniale, sicuramente più felice e fruttuosa di quella precedente.

Kikyo non aveva dubbi che la vita della sorellina sarebbe stata più serena e facile della sua. La loro unione era sbocciata da un amore vero ed imprevisto, non dal freddo accordo tra due famiglie che mai si erano viste.

Kagome avrebbe adorato il lungo inverno del Paese, passando le sue giornate in compagnia del suo sposo, tra coltri calde e risate complici. Kagome non avrebbe mai rabbrividito in un letto troppo grande per il suo corpo gracile e pallido. E sempre freddo dalla parte dello sposo.

Sesshomaru non si tratteneva con lei che lo stretto necessario. Poi tornava nelle sue stanze. O dalla sua rivale, quando era presente a corte.

C’era stato un periodo, agli inizi del loro matrimonio, in cui il Principe si intratteneva per tutta la notte nella sua stanza. Poi, piano piano, aveva iniziato a disertare. Kikyo era troppo giovane ed ingenua, inizialmente temeva di non essere capace, di non piacergli. Si imbellettava il più possibile, cospargeva la pelle diafana di creme profumate, pettinava i suoi lucidi capelli e li acconciava. E lo attendeva, sveglia, nel talamo vuoto. Erano passati mesi, e anni. E la sterilità della Principessa si era fatta prepotentemente reale. Si sforzava di dare la colpa alla sua scarsa avvenenza, nonostante le sue dame di compagnia lodassero il suo incarnato perfetto e il suo viso che sembrava dipinto.

E poi aveva capito. Sesshomaru usciva di nascosto di sera, sul suo destriero e si incontrava nella locanda con quella donna, quando anche lei sfuggiva dal controllo del marito per rifugiarsi tra le braccia dell’amante.

Peggio ancora, era quando quella donna era presente alla corte, per un motivo o per l’altro. Allora Kikyo catturava nello sguardo di Sesshomaru il desiderio prepotente di posare gli occhi continuamente sulla sua amante, il fatto che la cercasse di tanto in tanto con lo sguardo, tra le dame della corte, e le nocche che divenivano bianche quando stringeva i pugni, vedendola al braccia del marito, il Conte di Onigumo.

Un giorno lei gli aveva presentato le sue rimostranze. Gli aveva spiegato che sapeva tutto di lui e della Contessa Kagura. Con il coraggio tra le mani, gli aveva domandato di allontanare quella donna dalla corte, dalla sua vista.

Sesshomaru le si era avvicinato. “Avrò sempre la cura di non farvi mancare i doveri coniugali. Gli aveva semplicemente detto. Kikyo aveva sentilo le lacrime pizzicarle gli occhi. Davvero lui non capiva la pena vi era nel suo cuore?

“Allora ripudiatemi. Io non sono neppure capace di donarvi un figlio, mentre il ventre della vostra amante si ingrossa per un figlio che non è certo sia della casata degli Onigumo

Gli occhi del Principe l’avevano quasi incenerita, e, se non fosse stato la persona pacata e fredda che era, di sicuro l’avrebbe schiaffeggiata.

“Il figlio che la Contessa attende è un Onigumo. Aveva detto semplicemente. E poi era nato. Terzogenito dei Conti, dopo due figli Hakudoshi e Kanna, di cui la paternità legittima era quasi certa. Sesshomaru si era semplicemente congratulato con loro, e si era comportato come se il bambino non fosse affare suo.

Eppure il vistoso diamante incastonato nella nuova collana della Contessa si diceva fosse un suo dono.

 

Kikyo l’aveva odiata. Aveva odiato la sua eleganza, i suoi espressivi occhi di rubino, le movenze aggraziate con cui percorreva le sale del castello. Aveva odiato il suo ventre freddo e sterile e aveva chiesto la morte a Dio.

Morte che non era arrivata per lei.

Dopo anni che sopportava quel rapporto, dopo anni che le frequentazioni del suo letto, da parte del marito, erano sporadiche ed essenziali quanto inutili, il destino le aveva riservato un’altra, amara sorpresa.

Il conte Naraku Onigumo era caduto in battaglia, da vigliacco, tra l’altro, mentre scappava volgendo le spalle al Principe indomito che difendeva il proprio regno.

E la ricca vedova, che abbelliva i vestiti neri con perle e gioielli, e i suoi tre figli erano stati accolti a braccia aperte nella corte del Principe Sesshomaru.

La corte era divenuta un punto di incontro di artisti e poeti. Pittori e scultori celebravano senza sosta la bellezza nobile ed eterea della Principessa, e quella sensuale e calda dell’amante ufficiale del Principe.

Poeti e scrittori ne decantavano le diverse qualità. Le due donne erano, secondo degli artisti del regno, rivali sullo stesso piano.

Nella realtà, invece, la Contessa Kagura, vedova Onigumo, era nettamente in vantaggio. Anche se negli impegni ufficiali la Principessa Kikyo si ergeva legittimamente, bianca e falsamente fiera, a fianco del Principe, i reali appartamenti privati erano praticamente abitati dall’amante.

 

Quando era arrivata sua sorella, Kikyo si era confidata. Per tentare di sollevarle il morale, Kagome le aveva fatto notare che la Contessa non aveva più avuto gravidanze, dalla morte del marito, e questo poteva significare che la sterilità era dovuta al Principe, e non a lei.

Ma una delle dame di compagnia aveva svelato l’arcano: pareva che la Contessa conoscesse ottimi metodi per non dare alla luce bambini, nonostante l’assidua frequentazione del letto reale.

E che non si facesse scrupolo a ricorrere anche a metodi estremi per porvi rimedio. Come quello che, si vociferava, l’aveva condotta sul letto di morte.

La fitta al petto di Kikyo si fece sentire nuovamente quando ricordò l’unico colloquio che aveva avuto con quella donna:

“Vi tratterrete a lungo a corte, Contessa?”

“Sino a quando non mi verrà chiesto di andarmene, Vostra Maestà.”

“Mio marito ve lo impedirebbe con ogni mezzo. Kikyo si sforzava di mostrarsi dura, di accentuare il disprezzo nella sua voce. Gli anni da Principessa le avevano insegnato a nascondere le lacrime e di basare la propria forza sulla rabbia per le ingiustizie subite.

La Contessa Kagura si era inchinata profondamente, il collo da cigno che muoveva il capo verso terra.“Mia Signora, durante la mia permanenza a corte farò il possibile per non esservi di eccessivo disturbo: Vi assicuro che non desidero rubare i vostri diritti di Principessa e Consorte.”  Tra le righe Kikyo aveva letto la promessa di non fare nascere figli bastardi sotto il suo tetto.

 

Questo colloquio era successo esattamente un anno prima, il giardino e il castello immersi nella stessa quiete della fredda neve. Nel frattempo la Principessa aveva visto crescere i figli della rivale, attendendo invano i suoi. Ma non ne aveva più visti nascere.

 

La porta della stanza si aprì di scatto e finalmente, Kagome fece il suo ingresso nella stanza. Le dame di compagnia smisero di ricamare e la guardarono, avide di notizie. Ma la fanciulla si avvicinò verso la sorella e le si inginocchiò accanto. “Stà spirando.” Disse semplicemente. “Ha ricevuto i conforti religiosi che le spettavano.

“Mio marito è presso di lei?” domanda sciocca. Come poteva non essere il Principe al capezzale della sua amante morente?

Kagome annuì debolmente. “Il Principe si farà carico dei suoi figli.

“E il motivo della sua malattia?”

Il tono della voce della sorella si abbassò ulteriormente, facendosi un bisbiglio appena udibile. “Quello che si vocifera pare essere vero. La conseguenza è stata un’infezione, che la sta consumando come una fiamma su una candela.

“Per lealtà nei miei confronti la Contessa Kagura ha rinunciato al figlio che avrebbe avuto dall’uomo che amava, e questo le è costato la vita. mormorò la Principessa. “Se questo fosse stato un mondo giusto, la sposa di Sesshomaru sarebbe stata lei. Sarebbe stato un matrimonio felice e gli eredi non sarebbero di certo mancati.

Kagome scosse la testa, sospirando.“Non angustiarti. Hanno scelto la loro strada”

“Sono sicura che, anche tornando indietro, l’avrebbero percorsa ugualmente.”

“Provate invidia, sorella?”

“Dell’affetto che la Contessa ha avuto da mio marito e che a me è stato negato? No. Ho invidiato profondamente ciò che li univa. Ciò che ti unisce al tuo futuro marito.”

La sorella era arrossita violentemente. La Principessa alzò e si volse verso le sue dame. “Preparate il mio vestito a lutto.”

Le due fanciulle l’avevano guardata senza parole. “Ma, mia signora…”

“Prima del calar del sole un membro importante di questa corte avrà smesso di soffrire in questa terra. Rispose semplicemente, legandosi i capelli neri sul capo.

Le fece eco il rintocco lugubre e lento di una campana. La Principessa guardò la sorella: “Vieni, andiamo alla cappella. Voglio pregare per la sua anima e chiedere perdono se ho provato odio nei suoi confronti.

Le dame l’aiutarono a vestirsi di nero e le due sorelle si avviarono in silenzio verso la cappella di corte, scivolando tra il resto dei nobili bisbiglianti senza dare segno di importanza alcuna a nessuno di loro.

Fuori, la neve candida, silenziosa e gelida come la salma della Contessa, sembrava non volesse mai cessare di cadere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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