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Autore: Camelia_blu    05/06/2015    1 recensioni
"Il primo giorno" forma un dittico con la mia precedente ff "La prima sera", di cui è il seguito ideale.
Mi è sempre piaciuto, quando mi appassionavo ad una storia, ricamare con la fantasia su tutto ciò che accade ai personaggi "tra le righe del libro".
Nello specifico della saga di HP, mi intriga molto Severus bambino, dal momento che è nella sua infanzia che si trovano tutti gli elementi scatenanti del suo futuro ego adulto e anche perché è stato un bambino molto triste e sfortunato e mi piace poterlo seguire più da vicino.
Come nella precedente ff, ci sono parecchie incursioni nel passato di Severus (compreso il racconto del giorno in cui scoprì di essere un mago, il suo rapporto con Eileen e l'amicizia con Lily).
Ne ho scritti per ora 19 capitoli e ritengo di essere a "metà" della giornata di Severus che vorrei raccontare, il 2 settembre, ovvero il suo primo giorno ad Hogwarts. Osservo man mano cosa gli succede, in questo nuovo giorno pieno di incognite.
DISCLAIMER: I personaggi e i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me ma a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Nessuna violazione del copyright è intesa.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eileen Prince, I Malandrini, Lily Evans, Lucius Malfoy, Severus Piton
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Per qualche istante Severus fissò il serpente sopra la sua testa senza davvero vederlo.
Si sentiva completamente intontito, la testa era pesantissima e così affondata nel cuscino da inghiottirgli le orecchie in un abbraccio soffice: quel cuscino era ben diverso da quello che aveva usato per anni a Spinner’s End, duro e sottile.

Doveva essere presto, non sentiva rumori.
Prendendo lentamente coscienza del proprio corpo e del calore delle coperte che lo ricoprivano, rimase immobile a rimirare lo stemma di Serpeverde sul baldacchino sopra di lui, questa volta con attenzione, e a poco a poco una sensazione di orgoglio cominciò a diffondersi nel suo corpo, che prese progressivamente ad allungare fino ad arricciare le dita dei piedi e a stirare quelle delle mani con un piccolo grugnito soddisfatto.

Sentì che dalla mano destra veniva rilasciato qualcosa e tastò per capire cos’era.
La bacchetta!
La sua bacchetta, si era addormentato tenendola stretta in mano tutta la notte. Sfilò la mano da sotto le lenzuola e rimirò quel sottile pezzo di legno con qualcosa che era più che affetto; provò la netta sensazione che quel mondo di possibilità che gli si era spalancato davanti la sera prima fosse distante da lui esattamente “11 pollici e mezzo”, gli risuonò nella testa la voce di Olivander.

Girò il capo e godette della carezza del cuscino sulla guancia, strofinandocela sopra. Quel piccolo movimento parve liberargli la testa dal peso che sembrava riempirla e anche la sensazione di oppressione che gli gravava addosso da quando aveva riaperto gli occhi svanì come fumo da tutto il suo corpo.

Chiuse le palpebre e una serie di immagini troppo veloci gli riempirono la mente all'istante. Tavoli scuri, porte massicce, buio e luce, il dondolio di un’altalena e una risata lontana, una voce fredda e un improvviso fiotto di paura…
Aprì gli occhi, spaventato.
La tenda verde che gli chiudeva alla vista il resto della stanza era ferma e silenziosa.
Corrugò la fronte nello sforzo di ricordare il suo sogno; perché adesso era sicuro di aver sognato qualcosa e di aver provato angoscia; era stato il sogno, o meglio l’incubo, a farlo svegliare con una sensazione di pesantezza nel cuore che si era diffusa anche alle sue membra.
Non ricordava i particolari, non ricordava nulla, però ora si sentiva a disagio e con una leggera nausea.
Sbatté velocemente le palpebre e in quel fugace istante vide un lampo di luce, due saettanti bagliori rossastri e un ancor più rapido ma morbido movimento di capelli rossi. Ricordò.

Lily.

Senza accorgesene si ritrovò seduto sul letto, una mano a scostarsi la coperta di dosso, il respiro leggermente accelerato.
Il ricordo della cerimonia dello Smistamento avvenuta la sera prima avanzò prepotente nella sua testa. Piegò le ginocchia sotto le lenzuola e vi si appoggiò con i gomiti, afferrandosi il capo tra le mani. Ecco cos’era che non andava, che cosa gli premeva addosso, ecco l’imperfezione che gli stava impedendo il risveglio grandioso che avrebbe meritato in quel suo primo, glorioso, giorno a Hogwarts.
Severus Piton era felice di essere finalmente alla Scuola di Magia e Stregoneria d’Inghilterra e non poteva essere più soddisfatto di essere stato smistato a Serpeverde, oh se lo era, la Casa migliore della scuola! Ma…

Scostandosi i capelli dal viso, avvertì qualcosa di appena ruvido sotto le dita, sugli zigomi ossuti, e grattò via quelle che sembravano leggere pellicine bianche. Scivolò fuori dalle coperte e aprì la tenda alla sua destra, inspirando profondamente, cercando di fare ordine nei suoi pensieri. Rimase qualche istante a far penzolare le gambe seduto sul letto, cogliendo un leggero odore di resina.
Mentre infilava i piedi nelle pantofole, alzò gli occhi sulla parete di fronte e notò che il fuoco scoppiettava allegramente: qualcuno doveva aver ripulito il camino nella notte, perché non c’era quasi cenere e i ciocchi di legno erano grossi, sicuramente messi da poco in sostituzione di quelli della sera precedente, assieme a dei pezzi di carbone.

Il bambino osservò con soddisfazione la bruciatura sul tappeto davanti al focolare e l’orgoglio per la sua impresa della sera prima gli strappò perfino un sorriso: quell’incidente era stato il suo lasciapassare privilegiato nella considerazione di Avery e Mulciber.

Pensò a sua madre e realizzò che avrebbe dovuto scriverle.
Cosa le avrebbe scritto?
Non si vedeva a iniziare una lettera con “Cara mamma…” e per la prima volta in vita sua si pose la questione dei propri sentimenti nei confronti di Eileen. Non poteva definirli affetto. Non le voleva propriamente bene, non come la frase “voler bene alla mamma” poteva significare ad esempio per Lily.
Non ricordava di averla mai abbracciata negli ultimi anni; solo quando era molto piccolo le braccia di Eileen erano state un agognato rifugio da suo padre.

Mentre rifletteva corrucciato su quest’argomento, lievemente imbarazzato dal ricordo di se stesso che cercava aiuto e riparo, lo sguardo cadde sul baule accanto al letto e il cuore gli sussultò tra le costole. Con un balzo fu vicino al baule, alla divisa che si trovava esattamente dove l’aveva lasciata il giorno prima, ma… qualcuno ci aveva cucito sopra uno stemma, lo stemma della sua Casa! La afferrò, stringendo la stoffa tra le dita e ammirandola con la gioia sul volto, provando improvvisa la voglia di infilarsela, di rivestire il proprio corpo con quell’uniforme, per sentirsi definitivamente parte del mondo magico in ogni più piccolo dettaglio.
Niente più abiti babbani, scadenti e pure male assortiti; basta con pantaloni logori e cappotti da portare anche col caldo soffocante dell’estate, per coprire la vergogna di vecchie camicette a fiori!

Senza pensarci, si diresse quasi correndo alla porta della camera, gettando appena uno sguardo ai due compagni che ancora dormivano, ascoltando distrattamente il brontolio basso e regolare dell’uno e il leggero sibilo dell’altro.
Si ritrovò nel corridoio e per un istante fu sopraffatto da una sensazione di pericolo, paura e angoscia.
Qualcosa gli attraversò rapida la mente: comprese che le confuse visioni notturne stavano tornando in superficie e suo malgrado si voltò a destra a guardare la porta chiusa che conduceva alla sala comune.
Una risata lontana echeggiò nella sua testa.

Abbassò lo sguardo e vide una fila ordinata di tappeti lungo tutto il corridoio, poi si voltò con decisione e si inoltrò alla sua sinistra, attraverso una fila di altri ritratti di ex prefetti che la sera prima non aveva guardato. Il corridoio era molto lungo e a metà era attraversato perpendicolarmente da un altro altrettanto profondo, che si allungava in entrambe le direzioni; a quanto pareva, il dormitorio maschile era formato da quattro blocchi di stanze che si aprivano su un corridoio a croce. I bagni del primo anno erano appena dietro l’angolo del braccio in cui si trovava lui e Severus vi entrò spingendo piano la porta. Non c’era nessuno.

Sia le pareti che il pavimento erano ricoperti da lustre piastrelle verdi, ma di diverse sfumature, così che l’effetto generale era quello di un colore uniforme e al tempo stesso cangiante, quasi in movimento.
Severus ricordò con una piega amara sulle labbra i muri spogli, ammuffiti lungo gli angoli e scrostati del piccolo bagno della casa in cui aveva abitato fino alla mattina prima.
Niente a che vedere con il luogo dove ora si trovava, con ordinati cubicoli su un lato e una fila di lavabo lungo l’altro, ciascuno dotato di un grande specchio ovale sulla parete. I rubinetti erano ricurvi e la ceramica, anche se bianca, appariva verdognola per il riflesso delle piastrelle; sotto ogni lavabo era sistemato un piccolo piano d’appoggio.
Non era che un bagno, eppure Severus si sentì inspiegabilmente immerso nel lusso in un ambiente del genere, dominato anche dall’ordine e dalla pulizia. Nessuna macchia agli angoli in alto e tutto, pur se antico e freddo, dava comunque l’impressione di un gradevole lustro.

Aveva appena appoggiato con cura la divisa sotto un lavabo quando udì un leggero tonfo di fuori, come se fosse caduto qualcosa.
Incuriosito, aprì la porta del bagno e vide una piccola creatura sollevarsi sulle ginocchia e affannarsi a recuperare pezzi di carbone sparsi su un tappeto. Li gettava velocemente dentro un secchio, cercando di fare meno rumore possibile e quando finì, ripulì per bene il tappeto dalla polvere scura rimasta, ne sistemò le corte frange e fece per andare via.
Quando si accorse del bambino dai capelli lisci e scuri che lo fissava sulla porta del bagno, lo spavento allargò gli occhi già grandi di quello che Severus capì essere un elfo domestico, anche se non ne aveva mai visto uno dal vivo. La creatura era molto magra e la pelle bruna sembrava tesa sulle membra ossute; una tunica linda di cotone spesso con una grande H dorata ricamata sul petto rivestiva il corpicino nervoso e ai lati del suo capo sporgevano due grandi orecchie come ali di pipistrello.

L’elfo era impaurito e come incrociò lo sguardo di Severus si fece ancora più piccolo, ingobbendosi e farfugliando a capo chino delle scuse.
“Frongy chiede perdono, Signore, Frongy è desolato per aver rovesciato il carbone e aver disturbato il giovane Signore.”
Severus stava per ribattere, sorpreso dalla reazione dell’elfo e pronto a chiarire che non considerava grave l’aver inciampato su un tappeto, quando dal corridoio a sinistra si sentirono dei passi e Lucius Malfoy apparve in un lucido pigiama di seta grigio scuro, con i capelli sciolti appena scomposti e la divisa al braccio.
L’elfo improvvisamente rabbrividì e parve ancora più intimorito. Si piegò in un inchino servile e prese a scusarsi anche con Malfoy, balbettando con voce tremante.
Gli occhi grigi del ragazzo si restrinsero con disprezzo e Malfoy disse a denti stretti:
“A quest’ora gli elfi dovrebbero essere in cucina, non a perdere tempo nei nostri corridoi. Come osi essere ancora qui a quest’ora?”
La voce era tagliente e rabbiosa.
“Frongy chiede scusa, Frongy chiede scusa al Signore…”
“Io sono un Prefetto” sibilò Malfoy e rimanendo rigidamente in piedi, allungò un braccio verso l’elfo a mostrargli la spilla dorata con la P incisa sopra, appuntata sul petto della divisa. Non era che un ragazzo, ma il tono della sua voce era terribilmente autoritario.
“Frongy implora il perdono del Signore Prefetto” pigolò l’elfo e Malfoy parve gonfiarsi e godere dell’umiliazione della piccola creatura. Le labbra si incurvarono in un sorrisetto compiaciuto.
“Forse Hogwarts merita servitori più capaci…” soffiò piano Malfoy e l’elfo rimpicciolì così tanto da sembrare grande quanto il secchio che gli stava accanto.

Severus assisteva alla scena imbarazzato.
Temette per un istante che Malfoy si aspettasse man forte da parte sua e sentì un fiotto di panico attanagliargli lo stomaco; non gli sembrava poi tanto grave quello che aveva fatto l’elfo, ma a quanto pareva Malfoy non era dello stesso avviso. E Severus voleva (doveva?) fare buona impressione al Prefetto della sua casa, Mulciber aveva detto che gliel’avrebbe presentato…

“Tornatene in cucina” ordinò all’improvviso Malfoy, con durezza, e Severus sussultò, osservando l’elfo agguantare il manico del secchio e allontanarsi con rapidi inchini, camminando a ritroso. Giunto alla svolta del corridoio, si girò e lo sentirono correre via a passettini veloci e lievi.
“Sei mattiniero, per essere uno del primo anno” osservò rigido Malfoy, abbassando gli occhi a studiare Severus dall’alto in basso, ma senza il disprezzo che aveva riservato all’elfo. Il suo sguardo era indagatore nel volto pallido e col mento arrogantemente sollevato e indugiò qualche secondo sul modesto pigiama di sottile flanella del bambino.

Piton si costrinse a guardare Lucius negli occhi e soffocò la necessità di giustificarsi che gli stava spontaneamente salendo alle labbra. Non stava facendo nulla di male e non era un elfo domestico. Notò che sulle guance del prefetto vi era una leggera peluria ruvida.
“Volevo mettermi la divisa” disse infine con sincerità, ma adottando un tono che fece sembrare la frase molto meno infantile di quello che era.

Malfoy parve approvare lo zelo di quel bambino dall’aria un po’ patita e dimessa, ma con lo sguardo scuro stranamente penetrante ad accendergli il volto pallido.
Con un impercettibile cenno del capo si accomiatò da lui e sparì nel corridoio a fianco. Severus rimase ancora sulla porta del bagno e con sorpresa udì Malfoy entrare nella sala comune.
Quando il silenzio tornò ad avvolgere i dormitori, Severus chiuse la porta e tornò al lavabo. Si spogliò e cominciò a lavarsi.
   
 
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