Libri > Shiver
Ricorda la storia  |      
Autore: Balaclava    08/06/2015    0 recensioni
Le persone troppe volte traggono conclusioni sbagliate dal mio comportamento. Troppe volte la disperazione si confonde con l’arroganza, e allora si finisce così: congelati in un letto estraneo cercando di capire se il tuo cuore batte ancora.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
come un folle che al colmo dell’accesso
scalpita senza freno, ma ad un tratto
contro i muri imbottiti di una cella
consuma il suo delirio, s’abbatte.
(Gatto nero, Rainer Maria Rilke)
 
I momenti immediatamente successivi alla trasformazione erano i peggiori. Tornare umano e in un secondo, senza preavviso, sentirti calare sulle spalle l’immenso e insostenibile macigno che è stata la tua vita. Rivivere in un istante ogni sbaglio, ogni ago nella pelle, ogni concerto, ogni bacio. Era un insostenibile peso sulle mie spalle già stanche, già esauste di questa esistenza senza confini eppure così definita, così limitata.
Quella volta il mio fisico non lo resse, quella volta mi spezzai. La mia pelle umana mi asfissiava, mi soffocava. Premevo dall’interno con mani sporche di ogni delitto, le mani della mia coscienza. Premevo contro il mio stesso involucro per liberarmi di quel peso non collocato, ma presente e pesante, su ogni mia cellula. Ogni cosa era fastidiosa e insostenibile, niente aveva più senso. Nell’immobilità del bosco, racchiudevo in me la più feroce delle battaglie, che seppur sembrasse così chiassosa, fragorosa, non intaccava la quiete cristallina dell’alba. Vedevo un mondo perfetto, ma ne percepivo uno torturatore, un giustiziere senza pietà.
Avevo implorato di essere risparmiato da quella collera, e in cambio ero stato quello più punito.
Pensai Sto impazzendo, ed era vero.
Sentivo che stavo perdendo: il peso insostenibile, solo, aveva battuto tutto ciò che avevo di buono. Stava conquistando il mio corpo, guadagnava terreno verso il cervello.
Sto impazzendo.
Stavo delirando, ma disteso immobile sul terreno di foglie, non lo manifestavo. Stufo, non avevo neppure la forza di chiedere aiuto.
Nella mia vita avevo creduto che tutto fosse collegato alla forza di volontà. E allora, forse, semplicemente non volevo essere aiutato.
Nella disperazione, cercai freneticamente negli scompartimenti incasinati del mio io qualcosa per cui valesse la pena lottare. Cazzo, qualcosa ci sarà pure. Non c’era niente. Tutta roba grigia e inutile e sporca e terribilmente sbagliata.
Cominciai a piangere perchè la vita mi era scivolata tra le mani inconsistente, e non avevo neanche pensato di poterla migliorare. Mi sentii spacciato ed ebbi paura. Stava finendo tutto in una larga pozza scura di nulla, non avevo fatto nulla, non ero nulla.
E se anche trovai un nome a cui aggrapparmi, non lo considerai, non lo valutai.
Tutto finì in una larga pozza scura di nulla, non avevo fatto nulla, non ero nulla.
In un secondo tutto crollò, si ruppe, collassò.
Il pianto mi scosse il petto. Impossibile, mi dissi: sono morto.
Almeno, io mi sentivo così.
Però mi alzai, e ancora vedevo, ancora sentivo.
Mi scagliai su un albero, e la corteccia mi scorticò la spalla, e lo sentii. Mi graffiai il viso, il petto, le gambe.
Il sangue scorreva ancora, indesiderato.
Mi sentivo morto, ma non lo ero.
Un urlo mi aprì le labbra, da cui uscì soltanto un sussurro.
Ero morto.
Mi sentivo in trappola in un bosco immenso. Volevo uscire, uscire da Cole, uscire da qui. Mi percossi la fronte con i pugni, e tutto dentro suonò vuoto, inerme.
Ero fatto interamente del Peso Insostenibile, mi aveva annientato.
Una figura si fece strada verso di me. Era buio, eppure un minuto prima era l’alba.
Lei si avvicinò, i suoi capelli mi sfiorarono la spalla, e diedero fastidio. Il suo respiro sulle guance mi dava fastidio, la sua mano sulla pelle premeva troppo forte, la sua voce era troppo alta, troppo tagliente. Sentivo le parole affondare nella pelle. Dentro non c’era niente, né sangue né altro. Non ero più niente.
Lasciavo che le sue parole mi ferissero sempre più in profondità, finchè non mi afferrò il braccio.
Implorai di essere risparmiato, ma mi strinse ancora più forte.
Sentivo dei gemiti, erano miei? Pensavo di urlare.
Com’era possibile che camminassi, se ero morto? Che gemessi, se non volevo più essere vivo?
Isabel parlò finchè dai tagli non uscì il Peso, denso nero e lucido, letale. Non si preoccupò che stessi macchiando tutto con la mediocrità della mia vita, non se ne curò. Non sapevo dov’ero.
Io volevo solo che finisse.
Isabel rimase a darmi fastidio, i suoi capelli erano la cosa più irritante. La luce continuava a cambiare il carattere della casa, che alla sera minacciava di soffocarmi mentre alla mattina prometteva guarigione.
Quando tutto il Peso uscì era il tramonto. Le lacrime finirono improvvisamente, non uscivano più. Ero completamente vuoto.
La casa aveva un carattere che non aveva mai rivelato prima. I mobili non avevano un contorno definito, gli angoli e i confini erano mutevoli e incerti. Una parte di ogni cosa era in penombra, mentre sembrava che tutto si protendesse verso la fievole luce arancione che restava del giorno morente, senza tuttavia raggiungerla. Quel carattere della casa mi ricordava Isabel.
Allora, solo quando mi ricordai di lei, il mio corpo di fece concreto. Lo percepii, coperto da un lenzuolo leggero e ruvido. La pelle era freddissima, le unghie tendevano al blu. Ma ero vivo.
Ripensai alle ore o giorni o mesi passati qui ad aspettare che il mio corpo al contempo tumultuoso e assente smettesse di fare qualsiasi cosa, per poter cominciare a ricominciare. Perchè senza silenzio non c’è musica.
Dimmi Isabel, ti ho raccontato di quando mio padre mi raccontò la storia della rana e dello scienziato?
E se te l’ho raccontato, ti ho detto che la  prima volta mi sono impersonato nella rana?
Le persone troppe volte traggono conclusioni sbagliate dal mio comportamento. Troppe volte la disperazione si confonde con l’arroganza, e allora si finisce così: congelati in un letto estraneo cercando di capire se il tuo cuore batte ancora.
Beh si, il mio cuore batteva ancora. Lo capii quando Isabel entrò nella stanza.
Fu come vederla per la prima volta, era bellissima e minacciosa.
Una lacrima percorse silenziosa la sua guancia, dalle ciglia al mento, lenta. Sperai che fossero le mie dita. Volevo toccarla, volevo ringraziarla.
E tutti i miei desideri furono esauditi, tutti i timori acquietati.
E tutto prese senso, mentre il tramonto scivolava nella notte e tutte le lacrime furono accantonate per una manciata di ore buie.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Shiver / Vai alla pagina dell'autore: Balaclava