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Autore: lapoetastra    08/06/2015    2 recensioni
Mi sono avvicinato a lui.
Rimango lì in piedi ad osservarlo.
In un secondo alza gli occhi verso di me, mi guarda, mi scruta.
Ma non mi riconosce.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Guardo l’uomo seduto al tavolo poco lontano dal mio.
Lo fisso, scrutandone ogni minimo movimento alla ricerca di una mossa, di un gesto, di un qualcosa che dia certezza alle mie insinuazioni.
Quel ciuffo biondo e spettinato, quell’ ammiccare leggermente ogni volta che sbatte le palpebre, mi ricordano lui.
Il mio vecchio amico di infanzia che, nonostante siano passati
lunghi anni, non ho mai dimenticato.
Non ha più gli occhiali, però, quegli occhiali enormi che gli ingrandivano a dismisura i piccoli occhi miopi, facendolo assomigliare ad un ranocchio.
È proprio tale assenza che per un attimo mi fa esitare.
Magari non è lui, forse è solo uno che gli assomiglia.
È passato molto tempo, in fondo, ed il suo è sempre stato un viso comune nel nostro Stato.
Tuttavia ci continuo a pensare, ed immerso come sono nelle mie riflessioni neanche mi accorgo di essermi alzato dal mio posto lasciando sul tavolo la colazione a base di bacon che avevo ordinato.
Mi sono avvicinato a lui.
Rimango lì in piedi ad osservarlo.
In un secondo alza gli occhi verso di me, mi guarda, mi scruta.
Ma non mi riconosce.
Sto per scusarmi di averlo disturbato quando lo noto: l’orecchio, quell’orecchio bruciato regalo del padre ubriaco si staglia roseo contro la pelle chiara.
Non ho più alcun dubbio.
È lui.
Il mio vecchio amico.
Egli, intanto, vedendo il mio sguardo fisso sulla sua ferita, si copre velocemente l’orecchio mutilato con i capelli fini, guardandomi con aria truce come se mi stesse sfidando a ridere.
Ed a me viene proprio da ridere, ma di gioia e di sorpresa.
Allora mi lascio andare, perché non riesco più a trattenermi, e mi abbandono ad una risata
stridula inframezzata dalle lacrime.
Lui fa una smorfia di rabbia, sconvolto per il mio comportamento, ed io capisco che è ora di spiegargli ciò che sta accadendo.
< Tu sei… Teddy Duchamp? >, gli domando con il fiato corto, sedendomi di fronte a lui.
< Sì… >, risponde, ed un’espressione strana si fa
strada sul suo viso dai lineamenti ancora infantili.
< Senti, amico >, mormora poi a denti stretti, calcando la voce sulla parola “amico”. < Se ti stai facendo beffe di me per quella storia dell’esercito, io giuro che ti… >
< Teddy! >, lo interrompo concitatamente, stupendomi del fatto che ancora non mi ha riconosciuto.
< Non.. non hai capito chi sono? >, gli chiedo, e non riesco a nascondere una certa nota di delusione.
Lo vedo pensare, riflettere, corrugando la fronte come faceva da bambino.
Ma non capisce ancora.
< Sono io, Ted. Vern. Vern Tessio >, mi presento allora.
Spalanca gli occhi, alzando le sopracciglia chiare e
cespugliose, ed il suo labbro sottile si curva all’insù.
< Vern… >, mormora piano, come se il mio nome fosse qualcosa di sacro, da pronunciare a bassa voce per non sciuparne la magia.
Mentre vedo i suoi occhi chiari velarsi di lacrime, non riesco nuovamente a trattenermi e scoppio anche io in un pianto a dirotto.
Ci prendiamo per mano, tenendoci stretti come per paura di perderci di nuovo, e non ci importa nulla di ciò che potrebbe pensare la gente del locale, di cui sentiamo già le risatine soffocate.
Non ci facciamo caso, perché a noi non importa.
L’unica cosa che conta è essere di nuovo insieme, come una volta.
< Cavolo, siamo proprio due femminucce >, borbotta di colpo Teddy, lasciando con un gesto imbarazzato le mie mani ed asciugandosi le lacrime quasi con ira.
“Non è cambiato affatto”, penso.
Sempre così orgoglioso, sempre così sicuro di sé.
Quando eravamo piccoli io avrei dato tutti i miei amati giochi e tutti i miei preziosi fumetti pur
di essere almeno un po’ come lui, che era il mio mito, più di quanto lo fossero Gordie e Chris.
Ora però…. È tutto diverso.
Il carattere autoritario e scherzoso è rimasto inalterato negli anni nel suo animo, eppure in lui è cambiato qualcosa.
Lo percepisco dal tremore delle sue mani, dal luccichio dei suoi occhi, dalle venuzze
chiaramente visibili sul suo delicato naso.
L’ho sentito nel suo alito, prima, quando ha parlato a pochi centimetri dal mio viso.
Realizzo di colpo che il mio amico è diventato un alcolizzato.
Non ci voglio, non ci posso credere, perché lui era quello che più di tutti noi condannava gli ubriaconi che costantemente si aggiravano tra le strade malsicure di Castle Rock,
sostenendo strenuamente che mai, mai avrebbe permesso a se stesso di fare una fine del genere.
Non ha rispettato quella promessa, però, ed io rimango lì a fissare impotente il degrado lento ed assolutizzante verso il quale sta inevitabilmente scivolando.
Vorrei chiedergli perché, perché si è lasciato andare così, cos’è successo in quei lunghi anni in
cui siamo stati separati che lo ha portato a trovare rifugio nell’alcol.
Sto zitto, però, perché lo vedo ridere e mi sembra felice.
Non posso sciupargli con le mie domande questo momento che magari è il più gaio che il destino gli ha donato da tempo immemore.
Dunque rimango in silenzio, con un sorriso tirato sul volto e la
disperazione dilagante nel cuore.
Di colpo Teddy agita una mano verso di me, quasi che mi volesse dare un pugno sul viso.
Sussulto e mi scosto, spaventato per quel gesto repentino e violento.
Lo guardo preoccupato.
È serio, adesso, e mi fa quasi paura.
Ma dura solo un attimo.
Poi scoppia a ridere, con quella sua risata gracchiante che innumerevoli volte, da piccoli, mi dava sui nervi e mi riempiva il cuore allo stesso tempo.
< Ti sei spaventato, Vern >, ghigna lui. < Due colpi per penitenza. >
Non mi lascia neanche il tempo di ribattere che mi sferra due leggeri pugni sul braccio.
Capisco, mi ricordo, e sorrido.
Quello era un gesto molto comune tra noi, da ragazzini.
Lo osservo ridere come un matto, come se avesse ancora dodici anni, e per un fugace attimo mi sembra di essere tornato un dodicenne anche io.
Con lui.
Con gli altri.
Felice.
   
 
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