Lascio scivolare l'archetto del violino tra le mie dita, ho suonato abbastanza per oggi.
Apro e chiudo più volte gli occhi come a voler riprendermi da quello stordimento, brutti ricordi bussano alle mie spalle e suono delle loro nocche risuona sulle mie tempie
La testa pulsa, poggio le mani sul mio viso, come se mi vergognassi di me stesso.
E' la terza volta questa settimana, che tornano, ricordi di un passato che ho imparato ad accettare senza mai rifiutarl. 
Eccolo, il nostro Passato, abbiamo per forza dovuto dargli un nome, come per tutto, anche se non è altro che parte integrante di noi, le nostra fondamenta. Le nostre radici. Sì, le nostre radici; potrebbe un albero crescere forte, rigoglioso e robusto senza prendere nutrimento da ogni minima sua radice? No, non potrebbe. E nemmeno io posso.
Mi distendo a terra, lascio uscire qualche lacrima silenziosa, che va a rigarmi le guance fino dietro alla nuca. Guardo intorno a me, ciò che vedo mi strappa un sorriso: gli spartiti che in queste settimane ho passato a scrivere sulla mia scrivania sono tutti sparsi intorno a me, come un paio di ali. Sento che la Musica vuole abbracciarmi, come ha fatto altre migliaia di volte, quando non mi rimaneva nient'altro se non un violino e qualche ricordo di un' infanzia passata senza che me ne accorgessi, come uno spruzzo di tempera su di una tela troppo grande affinchè possa essere notata.
Mi porto il violino al petto. "Grazie...", gli sussurro, e mi addormento.
Il mio passato varca la soglia.