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Autore: Deneb_Algedi    10/06/2015    5 recensioni
Genzo, dopo aver disputato le partite di qualificazione ai Giochi Olimpici di Madrid, torna a Fujisawa. I ricordi relativi alla sua ultima partita in Bundesliga e alla rescissione del contratto con l'Amburgo riaffiorano. Possono due strani personaggi risvegliare lo spirito di fuoco del giovane giapponese?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sorpresa
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Fujisawa. Maggio 2000
 

 

 

 

Una delle cose che amava fare quando tornava in città era visitare i luoghi che avevano segnato la sua infanzia. Tra questi vi era il campo da calcio, teatro delle infinite sfide tra la Shutetsu, squadra di cui era il capitano, e la Nankatsu di Ishizaki. Decise così, dopo aver pranzato, di uscire di casa per andare a fare un paio di tiri nel vecchio campo. Aveva capito che la soluzione per non pensare era prendere una boccata d'aria. Si avviò con passo svelto verso il campo, vestito semplicemente con una tuta nera, una maglia bianca e l'immancabile cappello bianco ben calato sugli occhi. Arrivato in prossimità del campo notò che era deserto.

- Che strano - pensò Genzo, mentre si avvicinava ad una delle due porte - Di solito sono felice di stare solo con i miei pensieri. Invece ora, avrei voluto che ci fosse qualcuno con cui fare qualche tiro in porta, pur di passare delle ore senza pensare -.
Lasciò cadere il pallone che fino a quel momento aveva tenuto sotto il braccio e sorridendo toccò con una mano il palo della porta. Era quel palo contro cui si schiantò per cercare di parare il colpo di testa di Tsubasa. Si sedette appoggiando la schiena contro il palo, stese le gambe, si sistemò meglio il cappello e chiuse gli occhi.

 

 

 

Si voltò pregando che il pallone non fosse entrato. Si voltò pregando che Schneider avesse sbagliato. Ma il Kaiser non poteva fallire un'occasione così importante. L'Olympiastadion di Monaco esplose in un boato assordante. I tifosi bavaresi gridarono di gioia in preda all'euforia, mentre i sostenitori dell'Amburgo rimasero seduti, immobili, presi dallo sconforto. Genzo si girò e vide la palla in fondo alla rete. L'arbitro decretò la fine della partita con il triplice fischio. L'SGGK si alzò dirigendosi verso il tunnel che portava agli spogliatoi, desideroso solo di svegliarsi per accertarsi che il suo era stato solo un sogno. Anzi no, un incubo. Un incubo in cui la giovane speranza giapponese aveva regalato la vittoria alla squadra rivale. Entrò nella doccia e aprì il rubinetto per far scorrere l'acqua. Cercò invano di rilassarsi sotto il getto caldo. -Se fossi rimasto in porta non avremmo perso. Cosa mi è saltato in mente di fare?-, rimuginò Wakabayashi.
Battè furioso i pugni contro il muro della doccia e uscì. Si rivestì velocemente mantenendo lo sguardo fisso per terra. Non aveva la forza di guardarli. Non avrebbe potuto sopportare la delusione negli occhi dei suoi compagni.
"Genzo”, sentì una mano posarsi sulla spalla.

"Genzo, ascoltami per favore”, sussurrò con uno strano tono di voce Kaltz.
No questo era troppo per lui. Fuggì verso il parcheggio dove il pullman della società attendeva l'arrivo dei giocatori e dello staff. Stava quasi per salire quando sentì una voce familiare chiamarlo.
"Genzo!”, Karl si avvicinò all'amico.
-Accidenti non l'ho mai visto con quello sguardo- ,pensò, - Nemmeno la prima volta che ci scontrammo aveva un'espressione così abbattuta, eppure infransi la sua sicurezza mostrandogli quanto era differente il calcio giapponese da quello teutonico-
"Cazzo Wakabayashi, reagisci!”, disse posando le mani sulle spalle dell'amico.
“Sì, avrai fatto pure una cazzata sul secondo gol, ma quanti portieri avrebbero avuto le palle di compiere un gesto del genere? Ti rispondo io, nessuno!”.
"E cosa ha portato il mio coraggioso gesto, Schneider? Ha portato la mia squadra a perdere la partita più importante del campionato!”, urlò l'SGGK allontanando con forza le mani di Karl dalle sue spalle.
"Schneider si passò una mano tra i capelli, non sapeva come consolare l'amico.
"Schneider dobbiamo andare!”, gridò un giocatore del Bayern Monaco.
Il Kaiser alzò un braccio per far capire al compagno di squadra che aveva sentito.
"Wakabayashi, io devo andare”. Il portiere non rispose, gli occhi fissi sul grigio asfalto del parcheggio sotterraneo.
L'attaccante s'incamminò verso il pullman della sua squadra.
"Ah, un'ultima cosa Genzo”, si voltò per guardare il giapponese. “Levin e Sho mi hanno detto di portarti i loro complimenti”, continuò, “E dì ad Hermann che mi dispiace di averlo provocato. Ci siamo incontrati prima e abbiamo chiarito, però non ho avuto il tempo di spiegargli una cosa. Digli che le amicizie, quando gioco, le lascio fuori dal campo”, proseguì, “Sicuramente sarà arrabbiato con se stesso per aver lasciato l'Amburgo in dieci. Digli che non è colpa sua se avete perso”. “Non che la colpa sia tua ovviamente”, si affrettò ad aggiungere sperando che l'amico non avesse frainteso le parole.
"Ci vediamo Wakabayashi”, concluse Karl, voltandosi in direzione dei giocatori del Bayern.
"Schneider”, disse ad un tratto Genzo, ”Ti assicuro che non finisce qui. Lo giuro sulla nostra amicizia, la prossima volta vinceremo noi e io manterrò la porta inviolata!”. Aveva uno sguardo infuocato mentre pronunciava quella frase.
Il Kaiser' che si era fermato ad ascoltare, riprese a camminare accennando un sorrisetto di soddisfazione. Non era necessario scrutarlo in faccia per sapere che l'SGGK aveva la sua solita espressione di arroganza mista a sicurezza. Era tornato quello di sempre.

 

“Forza, fammi vedere quello che sai fare”.
"Questa volta non riuscirai a parare!”.
Genzo si svegliò di soprassalto. Aveva udito delle grida e delle risate. Dall'altra parte della metà campo un uomo correva verso la porta difesa da qualcuno.
Il giovane giapponese scattò in piedi e prese ad avvicinarsi ai due.
Nel frattempo l'uomo con la palla stava raggiungendo con una rapidità impressionante la porta. Giunto al limite dell'area di rigore alzò il pallone con la punta del piede sinistro e lo calciò con l'esterno del destro. La sfera fu lanciata con uno strano effetto verso l'angolo in basso alla sinistra del portiere. Quest'ultimo si distese e allungando il braccio sinistro deviò la palla, che si diresse in alto. L'altro giocatore saltò con l'intenzione di compiere una rovesciata. Il portiere intanto si rialzò coprendosi gli occhi con la mano, cercando di fare ombra. Il sole era accecante e doveva capire con quale gamba l'avversario volesse calciare.
“Buttati a destra!”, urlò Genzo con tutto il fiato che aveva nei polmoni.
Contemporaneamente il calciatore colpì la palla di sinistro dirigendola verso l'angolo in basso alla destra dell'estremo difensore che con un balzo bloccò la sfera.

“Ehi ragazzino, perché non ti fai gli affari tuoi? Già è difficile segnare a quel portiere, se poi tu gli dai pure dei suggerimenti diventa impossibile!”, esclamò l'attaccante squadrando Genzo, il quale si stava accostando ai due strani giocatori.
Wakabayashi non lo ascoltò. Era diventato bianco. “Non è possibile, tu sei... sei morto?!”, balbettò, rivolgendosi al portiere.
“Bé... più o meno” rispose, divertito dall'espressione del cadaverico collega. Era alto circa un metro e novanta, aveva i lineamenti tipici del popolo russo e capelli biondi. Indossava delle calze nere che arrivavano fin sotto le ginocchia, dei pantaloncini molto corti, anch'essi neri e una maglia con colletto a maniche lunghe completamente nera. Anche i guanti erano neri. L'intero abbigliamento contrastava con la carnagione chiara che veniva, infatti, messa in risalto.
“E comunque, scusa se te lo dico, in questo momento quello morto sembri tu”, aggiunse facendo scoppiare a ridere l'amico.
Genzo con uno sguardo stralunato osservò l'uomo che aveva riso. Era più basso di lui e aveva una corporatura media. Era un ragazzo africano con capelli corti e neri e occhi profondi e intensi che insieme al sorriso rispecchiavano un'anima buona e generosa.
Indossava una divisa da calcio composta da: calze rosse, pantaloncini bianchi e una maglia a maniche corte dello stesso colore delle calze con colletto bianco.
“Tu invece, se ho capito chi sei, non sei morto”.
“Se ho capito chi sei?", ripeté offeso il calciatore con un accento portoghese, “Ma perché, non mi riconosci? E poi certo che sono vivo!”.
“Devo essere impazzito. Stavo sognando la mia ultima partita nel campionato tedesco quando le vostre voci mi hanno svegliato, però credo che anche questo sia un sogno. Non c'è altra spiegazione”.
“Comunque, anche se è solo un sogno, sono onorato di fare la tua conoscenza. Sei sempre stato il mio punto di riferimento, fin da quando, da bambino il mio allenatore personale Mikami, mi parlò di te”. Il volto di Genzo esprimeva tutta l'ammirazione che provava per il portiere.
“Il piacere è mio Genzo Wakabayashi”, sorrise e allungò la mano per stringere quella del giapponese.
Il povero ragazzo dopo aver riacquistato un po' di colore, sbiancò nuovamente e per poco non svenne. “Come fai a sapere chi sono?”.
Il biondo si limitò a ridere. A quel puntò parlò l'altro calciatore scrutando l'amico-rivale, “Ma che fate in Paradiso? Invece di lodare Dio vi mettete a spiare gli affari delle persone sulla Terra?”.
"Lo conoscono tutti... possibile che tu non abbia capito chi sia?”.
Rispose il portoghese esaminando Genzo, “Ah sì, ti ho visto qualche volta in televisione... giochi in Germania, vero?”.
“Giocavo in Germania”, sussurrò abbassando gli occhi.
“Bé non è importante rimandiamo a dopo le chiacchiere. Che ne dici di una sfida? Vediamo quanto sei bravo contro di me”, disse facendo rotolare il pallone con la suola dello scarpino, “Se naturalmente ti senti in grado di giocare con la benda sull'occhio”, aggiunse guardando la fasciatura che copriva l'occhio sinistro.
“Rispondo alla tua precedente domanda”, s'intromise il portiere.
“No, non spio le vite delle altre persone. Semplicemente ho avvertito uno spirito simile al mio. Genzo ha il mio stesso spirito quando gioca a calcio. È serio, affidabile, concentrato e riesce a sopportare le aspettative dei compagni che infatti hanno una fiducia totale nei suoi confronti. E soprattutto si diverte quando gioca, non lo fa solo per la fama o il successo. Ecco spiegato il motivo per cui lo conosco”. Ci tenne a precisare. “Perciò dovrai impegnarti seriamente se vorrai segnare”.
“Accetto la sfida! Sei uno dei migliori calciatori di tutti i tempi, ma ciò non mi spaventa. Anzi, è uno stimolo in più per dimostrarti quanto vale il portiere più forte del mondo!”, esclamò l'SGGK con fierezza andandosi a sistemare tra i pali. L'essere elogiato da colui che era il più grande degli estremi difensori era un motivo di orgoglio che lo portava a giocare anche se era ancora infortunato.

L'attaccante partì dal centrocampo cominciando a correre verso la porta. Sembrava una saetta.
- È velocissimo-, pensò Genzo, - Forse quanto Victorino ed ha un controllo di palla eccezionale-.
Arrivato a pochi metri dalla lunetta dell'area di rigore fece partire un bolide diretto alla destra di Wakabayashi. Quest'ultimo si distese e bloccò la sfera diretta verso l'angolo in alto.
“Il tuo tiro era ben indirizzato ma da fuori area è quasi impossibile segnarmi”. Rinviò il pallone che fu stoppato di petto.
“Bene, ti ho scaldato abbastanza le mani... e ora di iniziare a fare sul serio”. Dopo aver stoppato la palla la alzò con il ginocchio e incominciò a palleggiare di testa entrando dentro l'area. Lasciò cadere il pallone e di controbalzo colpì di destro, imprimendo così molta potenza.
-Maledizione, il tiro è troppo potente questa volta non potrò bloccarlo–, considerò il giovane. Il tiro non era molto angolato, perciò riuscì a deviarlo di pugno.
Il pallone schizzò in aria e il calciatore saltando lo indirizzò di testa verso la porta.
Genzo era ancora steso, poggiando una mano per terra e contraendo i muscoli si sollevò parando con la gamba, con un gesto atletico simile a quello utilizzato per parare il tiro del capitano della squadra di Rugby, quando era ancora un ragazzino.
La sfortuna volle che la palla tornasse al giocatore che al volo, eseguì una sforbiciata. Il giovane portiere si alzò e si gettò a sinistra in un tuffo disperato. Sfiorò con la punta delle dita la sfera che oltrepassò il braccio disteso e finì sul palo.
Il portoghese si girò a guardare il sovietico con un'espressione interdetta. L'altro ricambiò lo sguardo rimanendo impassibile.
L'SGGK recuperò il pallone e rifletté, –Si muove velocemente, ha un'agilità fuori dal comune ed ha doti acrobatiche pari ad un funambolo. Inoltre sa tirare con precisione di testa e con entrambi i piedi ed ha un tiro molto potente. Nel complesso, per alcune caratteristiche tecniche e fisiche, mi ricorda Hyuga. Se quello sbruffone è la Tigre, lui è una Pantera. Sì il soprannome è giusto. La Pantera Nera-.

Il biondo iniziò ad applaudire seguito immediatamente dall'amico. “Sei stato veramente bravo, Genzo. Sei riuscito a mantenere la porta inviolata, nonostante avessi come avversario una leggenda del calcio”.
“Già, è incredibile! Quando hai affermato di essere il miglior portiere al mondo ho pensato che tu fossi il solito arrogante, però devo dire che mi hai stupito”, affermò l'altro circondando con il braccio le spalle del nipponico.
“Per me è un onore essere considerato forte da due fra i più grandi calciatori della storia”, sostenne Wakabayashi con orgoglio. “Ed ho solo ventuno anni!”.
Il portoghese spalancò gli occhi “Ventuno? Il ragazzino ha quattro anni meno di te rispetto al tuo esordio nel mondo del calcio”, disse rivolgendosi al russo. “Potrebbe davvero diventare più forte di qualunque altro portiere”, poi puntando scherzosamente l'indice contro l'SGGK “Genzo Waka... qualcosa, l'uomo che superò il Ragno Nero!”. Esplose in una risata “Sì, suona bene".
Genzo sorrise amaramente, “Non sono riuscito a conservare il posto in squadra dopo il mio maledetto errore. Come posso diventare il migliore di sempre se in seguito ad uno sbaglio perdo la fiducia della società?”.
Il sovietico prese il pallone dalle mani del collega e si mise a palleggiare. “Tu sai cosa ho combinato durante la mia partita d'esordio?”.
Wakabayashi scosse la testa.
“Dovevo sostituire il portiere titolare che si era precedentemente infortunato. Ero molto emozionato. L'estremo difensore della squadra rivale effettuò una rimessa lunga e il pallone arrivò fino alla linea che delimita l'area di rigore. Scattai in avanti per prendere la palla, ma mi scontrai con un compagno e la sfera rotolò in rete”.
Genzo non credeva alle sue orecchie. Il suo mito nella prima partita aveva subìto un gol da 70-80 metri!
“I miei compagni mi incoraggiarono e soprattutto”, continuò accigliato, “la società mi diede fiducia. Non capisco perché l'Amburgo non l'ha fatto. Considerando che difendi la loro porta da quando hai quindici anni”.
“Infatti è questo che fa male”, passò la palla che il portiere gli aveva lanciato all'altro giocatore. “Sono molto giovane eppure sono sullo stesso livello dei veterani del calcio. Malgrado ciò, la squadra in cui sono cresciuto, mi ha sbattuto le porte in faccia. Non faccio che pensare a quello stramaledetto cazzo di gol, che se devo essere sincero, mi ha fatto dubitare di me stesso durante le partite con la Nazionale per le qualificazioni ai Giochi Olimpici di Madrid. A causa della mia imprudenza ho perso il posto da titolare, quindi pensavo che se avessi sbagliato anche con il Giappone sarei stato trattato allo stesso modo. Ero riuscito a riprendermi quasi immediatamente dopo quella partita, poi quando ho capito che era venuta a mancare la fiducia dell'allenatore e del club, sono sprofondato in un vortice di paura e insicurezza.
“Questo è grave. Ogni incontro deve essere affrontato pensando che non esiste né un passato né un futuro”, lo ammonì il portoghese mentre palleggiava di testa, “Ma sei un ragazzo giovane, con una grande responsabilità sulle spalle, quindi è normale dopo il tuo primo vero errore, perdere un po' di sicurezza nelle tue capacità”.
"Scommetto che hai pensato che era meglio far giocare il secondo portiere, dico bene?”, domandò il russo.
“Sì”, ammise Genzo “Wakashimazu non ha reagito bene quando gli ho chiesto se voleva essere titolare al mio posto, per poco non mi stendeva con una delle sue mosse di karate”.

 

 

 

 

 

Lo sai cosa penso di te, Wakabayashi? Penso che tu sia un codardo!”, disse sollevandolo per il colletto della maglia e avvicinando il viso a quello dell'SGGK.
"Non posso pensare che tu mi abbia rivolto una richiesta del genere, comincio ad essere convinto che tu non mi abbia mai rispettato. Eppure lo sai quanta rabbia provavo quando gli allenatori ti preferivano a me per le partite più importanti. Ad un certo punto ho ritenuto giusto addirittura lasciare la Nazionale.
"Cosa vai pensando, Ken!”, esclamò liberandosi dalla stretta del compagno, “Ho sempre creduto in te. Non ricordi che al Torneo di Parigi preferii far giocare te al posto mio, pur di farti fare esperienza in campo internazionale? Presi quella decisione assieme a Mikami, poiché ero sicuro che se tu avessi avuto la possibilità di andare all'estero, ora saremmo stati alla pari!”.
"È proprio questo il punto. Tu lasciasti il posto perché avevi fiducia in me e io ti sarò sempre grato per l'opportunità. Ora invece, mi proponi di giocare solo perché ti senti insicuro. È questa la differenza, lo capisci Genzo!
”.

 

 

 

 

“Quel ragazzo è molto saggio... è riuscito a capire il problema”, sentenziò l'uomo, in seguito al racconto. “Ho sempre pensato che se non sei tormentato dopo aver fatto un errore, non sei un grande portiere. In quel momento, non importa quello che hai fatto in passato, perché sembra non avere futuro”.
“È una delle mie frasi preferite”, lo interruppe il giovane.
“Ma il mio pensiero è circoscritto alla sola partita, se diventa un'ossessione non riuscirai mai a giocare con tranquillità”.
“Ah, il portiere... il ruolo degli stupidi e...”, intervenne l'attaccante.
“E dei coraggiosi”, terminarono la frase all'unisono gli altri due.
“Non può capire... è solo un attaccante dopotutto”, disse il biondo ammiccando al nipponico.
“Da quel che ho capito il problema è la conseguenza che ha avuto il gol. Adesso temi ciò che potrebbe accadere se sbagliassi ancora. Non mi sono mai piaciuti i giocatori che cambiano casacca facilmente, dunque apprezzo il tuo attaccamento al club. Però una società così... come dire... provinciale? Non merita un giocatore del tuo livello. Non penso che altri club si comporteranno come l'Amburgo,”.
“Qual è il tuo consiglio?”, chiese Genzo passando il pallone al collega.
“Riparti dalla Nazionale. Riparti dai tuoi amici. Vivi questa avventura con loro e divertiti. Poi penserai al futuro”. “Ricorda, il divertimento è alla base di tutto” passò la palla all'amico che la prese tra le mani.
-Il divertimento è alla base di tutto-, ripeté nella mente Genzo, –Ha ragione lui. I ragazzi del Giappone mi hanno dimostrato in queste partite di qualificazione di avere completa fiducia nelle mie capacità. Devo concentrarmi sulla Nazionale e solo dopo penserò al resto. Se l'Amburgo non mi vuole cercherò un altro club. Sarà da lì che ricomincerà la carriera di Genzo Wakabayashi. Ripartirò da un club in cui avvertirò lo stesso spirito che aleggia intorno a me quando sono con i miei amici. Lo spirito della spensieratezza e del divertimento. Non vedo l'ora di rivedere Tsubasa, quel pazzo di Shingo e anche quell'antipatico di Hyuga. Con loro e con me in porta saremo al completo e nessuno ci potrà battere-
Sorrise al biondo portiere che capì che erano riusciti nell'intento di risvegliare lo spirito di fuoco del giovane giapponese.
“Si è fatto tardi, Ragno”, intervenne il portoghese, “È giunto il momento di levare le tende”. Sorridendo all'SGGK lo salutò, “Mi ha fatto piacere conoscerti, sei un ragazzo in gamba, vedrai che si aggiusterà tutto”.
Il sovietico si avvicinò a Genzo e gli strinse la mano, “Sono sicuro che la nostra chiacchierata sia servita a qualcosa. Vedrai, un giorno diventerai più forte di me. Me lo sento”, si congedò così e accompagnato dall'amico, volse le spalle al ragazzo e s'incamminò verso il centrocampo.
“Aspetta, mi sono dimenticato di chiederti una cosa!”, esclamò Wakabayashi “Tu sei l'unico portiere che ha vinto il Pallone d' Oro. Eri eccellente nel neutralizzare i rigori e sei rimasto imbattuto nel tuo campionato per oltre la metà delle partite”, riprese fiato e continuò, “Hai giocato un solo tempo nell'incontro Inghilterra–Resto del Mondo mantenendo la porta inviolata contro una delle più forti Nazionali del tuo periodo. E inoltre nella tua ultima partita ti sei scontrato contro i più grandi giocatori della storia non subendo nemmeno una rete”.
“Perciò ti chiedo. Qual è il segreto della tua imbattibilità?”, domandò infine Genzo, ansioso di conoscere il mistero che si celava dietro la figura dell'estremo difensore più forte di tutti i tempi.
Il portiere si girò ad osservarlo e con un sorriso enigmatico rispose, “Prima di una partita mi fumavo una sigaretta per rilassare i nervi e buttavo giù un po' di Vodka per tonificare bene i muscoli”.
Genzo, ammutolito, non riusciva a capire se la risposta era seria o ironica. Scosse la testa e ricordandosi di colpo che quei due non gli avevano restituito la palla gridò, “Ehi, il pallone!”.
L'uomo soprannominato Pantera Nera rise e si scusò, “Hai ragione è tuo... prendilo se ci riesci!”, lo lasciò cadere dalle mani e lo calciò di destro al volo.
Genzo si posizionò sulla linea della porta e alzò il viso per poter seguire la traiettoria a parabola della sfera. “Merda, non posso vedere”, imprecò. Il sole lo aveva costretto a chiudere l'occhio destro e con il sinistro bendato risultava impossibile anticipare il movimento della palla.

 

“NO!”, urlò svegliandosi bruscamente. Si guardò intorno spaesato. Il campo era deserto e lui era ancora appoggiato al palo. Si mise in piedi e sussurrando impercettibilmente disse, “È stato solo un sogno”.
Recuperò la palla adagiata in fondo alla rete e la mise sotto il braccio mentre imboccava la strada che lo avrebbe condotto a casa.
Non aveva notato che un piccolo quadrifoglio era rimasto attaccato al pallone.

 

   
 
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