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Autore: wildbeauty    10/06/2015    4 recensioni
Dopotutto, pensavi con rabbia mentre tessevi, una donna rimane sempre in casa. Dalla nascita fino alla morte, da padrone a padrone. Tuo padre ti aveva tenuto in casa. Tuo marito ti teneva in casa. Tuo figlio ti avrebbe tenuto in casa. Le pensavi con rabbia, queste cose.
(tele strappate con graffi sul pavimento. E a ogni filo spezzato un urlo, un livido, una protesta che cessa prima di esistere)
     E oltre al dolore e alle sofferenze che avevi provato, sopportasti anche l'umiliazione.
     Eri ormai vecchia, almeno per riuscire a soddisfare le sue voglie. Non che ti dispiacesse che giacesse nel letto di un'altra. Un'etera come altre, bella, giovane e colta. Non ti dava fastidio che lui ti tradisse, ma che non lo nascondesse.
(e poi ammettilo: c'è sempre lei dietro tutto. L'Invidia ti lacera quando ci pensi. Ammettilo)
La cosa che più ti tormentava era che lei fosse libera. Libera come non eri mai stata, come non saresti mai stata. 
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Forse se fossi nata in un'altra epoca saresti stata felice.


Quando tuo marito era tornato era notte fonda tu non dormivi. Stavi solo facendo finta, aspettando che il tuo consorte si coricasse accanto a te.
     Non sapevi perché ti sentivi tradita. In fondo il vostro matrimonio

(da bambina ti eri immaginata il tutto come un qualcosa di bello e felice. Da grande, invece, hai conosciuto per la prima volta il commercio)

era stato programmato, come tutte le altre cose della tua breve ed effimera esistenza. A lui serviva una donna che potesse curare la casa e partorire dei figli e, all'occorrenza, un soprammobile di cui potersi vantare con gli amici. Parlava sempre male di loro quando arrancava sudato sopra di te. Lui parlava sempre tanto, troppo forse, in quei momenti durante i quali avresti desiderato solo che stesse zitto. Ma c'era qualcosa nell'intimità della vostra camera che lo rendeva particolarmente ciarliero.

(ti eri spesso chiesta cosa sarebbe successo se un giorno fossi scappata di casa e avessi urlato in piazza tutti i suoi segreti, come una Menade. Di sicuro alla fine avresti riso)

    Matrimonio. Gamos. Ti aveva sempre affascinato la parola. Il suo primo significato, il più noto, è quello di matrimonio. Avevi presto capito che non indicava altro che una mera parola, un nome per indicare lo stato coniugale. Nient'altro. Il secondo significato era il più illusorio fra tutti: festa nuziale. Non avevi certo capito che la festa non era per matrimonio, ma per l'affare.

(forse ne sei rimasta delusa, ma ti sei sempre ripresa in fretta. Dopotutto ti hanno insegnato ad accettare tutto quello che ti accade senza lamentarti)

Il terzo e ultimo è quello che tu ritenevi il più veritiero e il più crudo e il più duro. Forse ti credevano troppo ingenua per conoscerlo, fatto sta che l'hai scoperto. E l'hai trovato così adatto. Unione sessuale. In fondo, non si era ridotto a quello il tuo gamos? Un momento durante il quale

(rimani ferma, insomma, lasciami fare!)

tuo marito

(lurido viscido sporco porco che ti accarezza lascivo e tu non lo guardi, la testa girata con gli occhi pieni di lacrime che lui non vedrà mai)

si divertiva con il suo personalissimo giocattolo. Questo fu il tuo matrimonio per i primi anni.
     Il tuo terzo figlio nacque quando ne avevi quindici. In realtà era il primo, ma ti eri rifiutata di considerarlo tale. Gli altri tentativi

(il maiale li chiamava così, quando non erano soli. Ma nel buio di una stanza vuota l'uomo qualunque si trasforma in mostro)

erano morti miseramente e nessuno ne parlava mai. Contava solo quel bambino. Tuo marito lo guardava con occhi luccicanti

(non gioia, non amore, soddisfazione)

e diceva che finalmente

(lo diceva con intenzione, ne eri sicura)

era arrivato l'erede tanto atteso. Il maschio che avrebbe preso le redini dell'attività commerciale di tuo marito.
     Iniziasti a odiarlo quando cominciò a passare più tempo con il tuo bambino per insegnargli le cose che riteneva necessarie. Non sapevi cosa gli dicesse, ma lo odiavi, perché a ogni sua parola tuo figlio sarebbe stato più simile a lui. Lo odiavi perché quando avresti guardato tuo figlio avresti visto lui, e ti saresti detestata per averlo pensato.
     E quando parlavi con il tuo bambino non potevi non sentirti esclusa dalla sua vita. Ti sentivi sciocca e ignorante e temevi che anche lui lo pensasse e che un giorno ti avrebbe guardato con gli stessi occhi del padre.
     E poi gli anni erano passati. Tu ti eri imbruttita, i tuoi capelli avevano perso la lucentezza giovanile, la tua pelle era passata dal pallido al bianco malato.

(a volte fantasticavi di poter stare fuori, semplicemente esposta al caldo e al vento e al sole e alla pioggia)

Il rimanere chiusa in casa non aiutava. Dopo anni avevi capito quanto quelle mura

(c'era stato un tempo, il tempo del latte e delle risate, durante il quale aveva trovato la casa una coperta protettiva. Adesso la coperta soffoca e basta)

potessero sfibrarti e succhiarti la vita.
     Dopotutto, pensavi con rabbia mentre tessevi, una donna rimane sempre in casa. Dalla nascita fino alla morte, da padrone a padrone. Tuo padre ti aveva tenuto in casa. Tuo marito ti teneva in casa. Tuo figlio ti avrebbe tenuto in casa. Le pensavi con rabbia, queste cose.

(tele strappate con graffi sul pavimento. E a ogni filo spezzato un urlo, un livido, una protesta che cessa prima di esistere)

     E oltre al dolore e alle sofferenze che avevi provato, sopportasti anche l'umiliazione.
     Eri ormai vecchia, almeno per riuscire a soddisfare le sue voglie. Non che ti dispiacesse che giacesse nel letto di un'altra. Un'etera come altre, bella, giovane e colta. Non ti dava fastidio che lui ti tradisse, ma che non lo nascondesse.

(e poi ammettilo: c'è sempre lei dietro tutto. L'Invidia ti lacera quando ci pensi. Ammettilo)

La cosa che più ti tormentava era che lei fosse libera. Libera come non eri mai stata, come non saresti mai stata.
     Avevi sognato molte volte una vita diversa, a volte ti eri quasi spaventata per certi pensieri, altre volte avevi invece goduto.

(mettergli le mani attorno al collo stringendo quel tanto che basta, vedere negli occhi l'accusa, impadronirsi del suo ultimo respiro, come lui si è impadronito di tutta la tua vita)

Non temevi gli dei. Peccavi di ybris forse, ma sinceramente non te ne importava molto.
      Poi iniziò tutto a precipitare. Tuo figlio morì in una guerra per quell'Alcibiade che tuo marito tanto stimava e un altro pezzo di te sparì con lui. Il giorno del suo funerale tuo marito non ti parlò mai. A chi cercava di consolarti rispondesti che non era il suo primo lutto da madre e tutti tacevano.
     Ma la cosa ti fece perdere la testa fu che quella sera lui andò da lei. Quando tuo marito era tornato era notte fonda tu non dormivi. Stavi solo facendo finta, aspettando che il tuo consorte si coricasse accanto a te. Non avevi più motivi per sopportarlo ancora, per tollerare una vita che non era tale.
     E così, sentendoti un po' Clitemnestra

(conosco Eschilo, oh sì, ho anch'io un po' di cultura)

mentre impugna il pugnale

(ti viene quasi da ridere mentre beve dal calice che gli prepari ogni sera)

lo osservasti, le palpebre socchiuse, cadere a terra, sorridendo appena.
     Finalmente libera.

(ti sei vista Fenice, bruciare nella piazza e volare via, ceneri della tua spoglia mortale sulla strada)

     Ma ci sono sogni che rimangono tali, e il tuo era uno di questi. Destinato a morire bruciato, come l'uccello sacro. Ma tu non te ne curasti. Avevi compiuto un'atrocità, ma non riuscivi a dispiacertene. Nemmeno una lacrima solcò le tue guance quando sorpassasti il cadavere, lasciando le palpebre accuratamente spalancate.
     Né di paura per la tua inevitabile sorte né di tristezza pensando a come gli altri ti avrebbero osservato disgustati. Loro non avrebbero capito, non avrebbero potuto capire.

(le donne vedono il mondo degli uomini: lo invidiano, non se ne curano, lo temono o ne fanno parte. Raramente cercano di sovvertirne l'ordine)
(gli uomini non vedono il mondo delle donne: credono di sì, ma non riescono a penetrare davvero in quell'istituzione misteriosa che raccoglie segreti, il gineceo che forma e imprigiona)

     Perciò camminavi tranquilla, fuori da casa

(prigione prigione prigione)

tua, verso l'agorà, sciogliendoti i capelli sulle spalle. Sorridesti ad Artemide e pregasti che ti desse una morte veloce.

(ma non adesso, non subito. Voglio godermela ancora un attimo questa sensazione)

L'agorà rimbombò silenziosa.


NdA

1-Storia strana, come al solito. Tanto per cambiare parla di un assassinio e di una persona pazza che non lo è propriamente.
2-I riferimenti storici ci sono e sono piuttosto evidenti. Il perno dell'intera storia è la condizione imprigionante della donna ateniese (al contrario, per esempio, della donna spartana). Le ragazze venivano accidite sin da piccole dalla trofos, ovvero la nutrice, e venivano accuratamente tenute all'interno del gineceo, un luogo dedicato solo alle donne, dove tessevano e ricamavano. Erano, per tutta la vita, di "proprietà" di qualcuno. Da piccole del padre, poi del marito e infine del figlio.
3-Non significa che non vi fossero donne colte. Molte sapevano cantare, suonare, danzare e conoscevano alcune opere di autori (andavano spesso a teatro) come Eschilo, che ho citato.
4-Eschilo è un drammaturgo che scrisse l'Oristea poemone in tre parti dove l'unica cosa che vi interessa sapere è che Clitemnestra uccide il marito Agamennone per vari motivi, fra cui la morte della figlia Ifigenia. Qui si crea un parallelo con il figlio della protagonista, morto anch'esso a causa del marito, più o meno.
5-Per i termini greci ho usato caratteri latini, ritenendo piuttosto stupido usare quelli originali, dato che quasi nessuno saprebbe come leggerli. Unica cosa, la 'y' di 'ybris' si legge 'ü'.
6-Il titolo è il motto della fenice e significa "Dopo la fine risorgo".
7-La fenice è un animale mitologico che brucia per poi rinascere dalle proprie ceneri. Era conosciuto sin dai tempi più antichi.
8-Alcibiade è un politico ateniese che guerreggiò con Sparta. Detto così sembra poco, ma non voglio scrivere un papiro su di lui.
9-Artemide è usata come personificazione della Luna, di cui era dea. Spesso provocava morti indolori e improvvise alle donne.
10-L'agorà è il centro politico di Atene.
11-Non si pensi che personalità femminili come questa siano poco verosimili. Basti pensare a Olimpiade, la madre di Alessandro Magno, che ammazzò il marito, alcune sue amanti e numerose persone per ottenere quello che voleva.
12-Al contrario di Clitemnestra, lei utilizza del veleno perché meno romanzesco e perché il veneficio era estremamente praticato dalle donne.
13-Le eterai erano donne colte e belle, solitamente straniere, che si muovevano agevolmente nel mondo degli uomini, rappresentando per questi piacevoli distrazioni. A metà strada fra cortigiane e amanti, potevano raggiungere posizioni di prestigio, come Aspasia con Pericle.
14-Le parentesi e la mancanza di regole che le governa (punteggiatura e focalizzazione) è assolutamente voluta.
15-Le Menadi erano le seguaci di Bacco. Erano un po' frizzanti e vivaci, per così dire. Pazze scatenate, detto in soldoni.
16-Non chiudere le palpebre a un morto equivaleva a grandi sofferenze per l'anima.
Classificatasi sedicesima al contest indetto da 9dolina0 sul forum di EFP, "E storia sia! ".
   
 
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