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Autore: Emmastory    10/06/2015    4 recensioni
Technology Summer Camp. California. Un convitto quasi esclusivamente femminile, sotto il controllo della malvagia rettrice Marianne Delacour, è un finto campo estivo, costruito con scopi loschi. La giovane Esma, spinta dai genitori, deciderà ingenuamente di frequentarlo, trovandosi faccia a faccia con il dolore e la paura che la rettrice stessa è in grado di infliggere e incutere. Per sua fortuna, un potere da lei sconosciuto, e tre amici a lei simili, saranno la metaforica chiave della porta che l'aiuterà a uscire da quella sorta di incubo fatto di numeri, cifre e calcoli.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il-mondo-dei-numeri-mod
Il mondo dei numeri


Capitolo I
Il campo estivo


Una diciottenne come tante, dai capelli lunghi e color dell’avorio. Il mio viso è tuttavia reso speciale da un altro dei miei connotati, ossia i miei occhi di un azzurro così tenue da sfumare nel verde. Io sono la semplice e gentile Esma Davis. Sono figlia unica, e tale realtà è da considerarsi una sfortuna se si hanno dei genitori che lavorano tanto quanto i miei. Ad ogni modo, visto che entrambi hanno il loro lavoro da mantenere, e ben poco tempo da dedicarmi, a mio padre è venuta la brillante idea di lasciarmi passare l’intera estate in un campo estivo. Ad essere sincera, ero inizialmente contraria all’idea, poiché amo la mia famiglia e la sicurezza della mia casa. Sfortunatamente, malgrado ogni mio sforzo di contrastare la sua decisione, sono stata mandata al Technology Summer Camp in California, mia città natale, dove risiedo ormai da anni. Ai suoi occhi, risulto essere una ragazza molto chiusa, e per tale motivo, crede che frequentare un campo estivo possa aiutarmi ad uscire dal mio guscio. A dire il vero, sono in forte disaccordo con mio padre, poiché il solo fatto di apprezzare la tranquillità e amare la tecnologia, non significa che io sia poco socievole. Ad ogni modo, a mia madre è toccato il compito di accompagnarmi, e sapendo che ogni protesta sarebbe stata inutile, ho scelto di ingoiare il rospo e avviarmi verso la sua auto. Vi entrai agilmente, sedendomi al posto del passeggero e mantenendo un silenzio degno di una vuota e grigia biblioteca. Per tutta la durata del viaggio, mi assicurai di ingannare il tempo tenendo gli occhi fissi sul display del mio cellulare, che tenevo saldamente in mano malgrado la guida instabile e zeppa di scossoni di mia madre. La stessa non è mai stata una grande pilota, ma mio padre ed io non abbiamo mai avuto il coraggio di confessarglielo. Il viaggio continua, ed io non muovo un muscolo, pur essendo costretta a sbattere le palpebre più di una volta a causa della forte luce emessa dallo schermo del mio telefonino. “Mettilo subito via.” Dice mia madre, assicurandosi di non distrarsi e non sopportandone il continuo vibrare. Sospirando, alzo gli occhi al cielo e lo spengo, dandole retta unicamente per non ascoltare le sue altrimenti infinite lamentele. Dopo circa un’ora d’attesa, il viaggio giunge al termine, e per me arriva l’ora di scendere dall’auto. Visto il peso della borsa che mi porto dietro, mi ritrovo costretta a chiedere l’aiuto di mia madre per farlo. La stessa, non perde tempo, e mi tende subito la mano. Afferrandola, salto giù dalla macchina con grande agilità, lasciando che le mie labbra si dischiudano in un sorriso. Chiudendo gli occhi dopo qualche secondo, inspiro a pieni polmoni, lasciando che l’aria fresca mi depuri l’anima. Mi concedo quindi alcuni minuti per guardarmi intorno, scorgendo poi un cartello poco lontano da noi. Lo stesso, porta il nome del campo, e ciò significa che l’entrata è vicina. Iniziando a camminare, procedetti velocemente a superarlo, seguendo le indicazioni date da una miriade di altri cartelli nelle vicinanze. Ero così felice di essere arrivata, da non riuscire neppure a rendermi conto della velocità con la quale mi muovevo, ragion per cui, mia madre era costretta ad arrancare per starmi dietro. In pochi minuti, raggiunsi l’entrata del campo stesso, aspettando che mia madre fosse al mio fianco prima di varcarla. Qualche minuto dopo, feci il mio ingresso assieme a lei nel rinomato Technology Summer Camp. Non appena entrammo, fummo accolti da un attempata donna che scoprimmo essere la proprietaria. Dopo averci educatamente salutate, affermò di chiamarsi Marianne Delacour. Sorridendo, strinse la mano a mia madre, procedendo quindi a fare la stessa cosa con me. Afferrai con riluttanza la sua mano, stringendola in segno di saluto. “Buongiorno signora Davis, sarei onorata di accogliere la giovane Esma nel mio campo estivo.” Disse, con un tono che mascherava alla perfezione una gentilezza che a me appariva stranamente melliflua. Facendo buon viso a cattivo gioco, abbozzai un debole sorriso, afferrando con una mano la borsa, che rischiava di scivolarmi. Era pesante, e faticavo a portarla, ma non mi importava. Non avrei mai lasciato che cadesse, poiché sapevo che conteneva il mio prezioso portatile. I miei genitori me lo avevano regalato il giorno del mio quattordicesimo compleanno, e da allora ne avevo sempre avuto molta cura. Come tutti i ragazzi della mia età, utilizzo il computer per navigare in rete e comunicare con i miei lontani parenti attraverso la stessa. Inoltre, con il permesso dei miei genitori, all’età di quindici anni ho aperto anche un blog, ossia una pagina web che aggiorno regolarmente sin da allora, riempiendola di miei pensieri e descrivendovi le mie giornate. Devo ammettere che questa idea è stata davvero brillante, poiché mi aiuta a risollevarmi il morale, che in qualche occasione è letteralmente a terra. Per mia fortuna, nessuno sa dell’esistenza del mio blog al di fuori della mia famiglia. Difatti, non oso minimamente pensare a ciò che accadrebbe se qualcun altro scoprisse della mia pagina web. La stessa, è una sorta di diario personale, pieno dei miei più profondi, oscuri e reconditi segreti, che potrebbero risultare pericolosi se mai cadessero in mani sbagliate. Ad ogni modo, oggi è un nuovo giorno, e la mia vita al Technology Summer Camp è appena iniziata.
 
 
 
Capitolo II


Una nuova avventura


Una giornata completamente nuova sta per iniziare, incalzata dal sorgere del tiepido sole. Quello odierno, è il mio primo vero giorno qui al campo estivo, e oggi imparerò a conoscere e rispettare le regole stabilite dalla proprietaria, la signora Marianne Delacour. Per prima cosa, la stessa mi ha condotto nella mia stanza, che ho successivamente scoperto di dividere con altre due ragazze, Paris e Nicole. La prima è bionda, mentre l’altra ha i capelli di un magnifico nero corvino. Non appena mi hanno vista, hanno avuto cura di presentarsi, stringendomi la mano in segno di amicizia. Loro sono due campeggiatrici, signorina Davis. Spero vivamente che l’aiuteranno ad ambientarsi.” Disse la Delacour, in tono fermo e deciso, lasciando la stanza solo dopo aver completato il suo discorso. “Venga con me.” Aggiunse, poco prima di andarsene. Il suo tono di voce era riuscito ad incutere paura nell’animo delle mie due amiche, ed io riuscii letteralmente a percepirlo semplicemente guardandole negli occhi. Entrambe tremavano, e mi fecero segno di andare avanti. In quel preciso istante, sapevo di dover seguire la Delacour, così iniziai a camminare senza protesta alcuna. La stessa, mi condusse nel suo spazioso ma lugubre ufficio, aprendo un grande armadio di legno intarsiato che ai miei occhi appariva antico. Il cigolio delle ante mi arrecò un enorme fastidio alle orecchie, ma anche stavolta, decisi di ingoiare il rospo. Alcuni istanti dopo, la Delacour si girò verso di me, posando il suo gelido e glaciale sguardo sul mio viso ormai bianco come la neve. “Questa è la sua divisa.” Disse, mostrandomi una maglietta grigia e una gonna dello stesso colore. Guardando meglio, mi accorsi di un particolare, che mi strappò un sorriso. Sul maglione era stata messa una spilla, che stranamente portava il mio nome. “Ne abbia cura, e ricordi che le modifiche non sono ammesse.” Aggiunse la Delacour, con un tono che aveva assunto un’inaudita acidità. “Torni nella sua stanza.” Concluse, facendomi tremare come una foglia per lo spavento. Annuii educatamente, e subito dopo mi voltai verso la porta del suo ufficio, varcandola lentamente. Nel corridoio che ora percorrevo, spirava un’aria davvero fredda, e ciò mi parve strano, poiché la stagione estiva era appena iniziata. Durante il mio cammino, incontrai Nicole, la quale, non tardò a salutarmi e accompagnarmi nella nostra stanza. Sorridendole, mi lasciai pazientemente guidare da lei, seguendola senza parlare. “Chiudi gli occhi.” Mi disse, non appena ci avvicinammo alla porta. Decisi di obbedire, lasciando che le mie palpebre si abbassassero lentamente. Intorno a me ora c’era il buio, e per continuare ad avanzare nella stanza, dovetti affidarmi alla voce di Nicole, che mi parlava in tono calmo e pacato. Riaprii gli occhi non appena Paris mi disse di farlo, rimanendo estasiata da ciò che vidi subito dopo. Le mie due amiche si erano date da fare perché mi sentissi a casa, e a tale scopo avevano disfatto le mie valigie. Con un ampio e luminoso sorriso stampato sul volto, mi guardai intorno, notando che il mio computer era stato poggiato su una scrivania, e che perfino i miei vestiti erano stati riposti nell’armadio in un ordine perfetto e quasi maniacale. Avvicinandomi a Nicole, decisi di ringraziarla abbracciandola, facendo la stessa cosa con Paris, che sembrò ben felice di vedermi sorridere. Non persi occasione di mostrar loro la mia felicità, mentre passavo il tempo a scrivere una nuova pagina del mio blog personale. Ero tranquillamente seduta alla scrivania, allietata dal silenzio che aleggiava nella stanza, e rallegrata dal modo in cui la giornata si stava evolvendo. “Cosa fai?” mi chiese Paris, avvicinandosi lentamente e distraendosi dalla lettura del libro che teneva in mano. “Niente.” Mentii, abbassando in fretta lo schermo del computer in modo che non riuscisse a vedere nulla. “Non direi.” Rispose Nicole, comodamente sdraiata sul suo letto. “Va bene, venite qui.” Dissi, sospirando e comprendendo di non poter dare torto alla mia amica. In quel momento, Paris e Nicole si avvicinarono, e iniziarono a guardarmi incuriosite, aspettando che riprendessi a parlare. “Questo è il mio blog.” Dissi, facendo in modo che spostassero la loro attenzione dal mio viso allo schermo del mio portatile color grigio argenteo. Cosa ci scrivi?” chiese Nicole, fissando la pagina web ancora vuota e bianca come il latte. “Praticamente tutto, dalle mie giornate ai miei pensieri.” Risposi, in completa sincerità. “Possiamo dare un’occhiata?” chiese Paris, facendo anche le veci dell’amica, curiosa almeno quanto lei. “Certo, ma acqua in bocca, d’accordo?” le ammonii, sperando che mi dessero retta. Entrambe annuirono, pur senza staccare lo sguardo dal computer. Nel mero e semplice tentativo di soddisfare la loro curiosità, decisi di mostrar loro uno dei miei vecchi post, nel quale avevo parlato del mio amore per la tecnologia e per le nuove ed entusiasmanti esperienze. Dopo aver finito di leggerlo, entrambe si congratularono con me per il mio impeccabile modo di scrivere, completamente privo di errori di sorta. Felice dei loro complimenti, le ringraziai, lasciando spontaneamente che le mie labbra si dischiudessero in un sorriso. Passai quindi il resto del pomeriggio a chiacchierare con loro, che sembravano essere molto attratte dalla mia loquacità e dal mio modo di parlare. Mi raccontarono ogni singola sfaccettatura della loro vita. Scoprii infatti, che Nicole era al campo da un anno per una propria scelta, concernente il suo desiderio di libertà da dei genitori decisamente troppo protettivi e soffocanti per uno spirito libero come lei, e che Paris era molto simile a me. Difatti, entrambe amiamo la tecnologia e l’aria aperta, ragion per cui, abbiamo deciso di visitare questo campo estivo. Parlare con loro, ha davvero alleggerito il mio animo, ma al calar della sera, capii che qualcosa in me non andava. Sentivo letteralmente la presenza di un enorme peso sul cuore, che non tardai a collegare alla presenza della Delacour al campo. Così, sdraiandomi sul mio letto e iniziando a riflettere, capii che c’era soltanto una cosa da fare. Affidarmi alla protezione e all’anonimato che il mio blog mi offriva. Accesi quindi il mio portatile, e dopo essermi velocemente collegata ad Internet, iniziai a scrivere un nuovo post, nel quale mi liberavo delle mie frustrazioni e della rabbia che provavo nei confronti della Delacour. Sin da quando l’ho conosciuta, quella donna mi ha sempre trasmesso una sensazione di mediocrità e falsa gentilezza, che utilizza al solo scopo di mascherare la sua innata crudeltà. Non scorderò mai il glaciale sguardo che mi rivolse quando mi chiese di entrare nel suo tetro ufficio. Ad ogni modo, so bene che la mia permanenza qui al campo si protrarrà fino alla fine dell’estate, perciò, ora come ora, chiudere gli occhi e abbandonarmi ad un sonno profondo, nella speranza di dimenticare, è l’unica delle mie possibilità.
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo III


La luce dopo il buio


Un nuovo giorno sta per avere inizio, ed io mi sveglio dopo una lunga notte nella camera che divido con le mie due amiche. Apro lentamente gli occhi, vedendo che una delle due mi si sta avvicinando. “Alzati e sorridi.” Dice, sorridendo. Sbadigliando, mi strofino pigramente gli occhi, indice del mio sonno. “Paris, che ore sono?” chiedo, ancora frastornata dalla luce solare che mi colpisce il viso. “Le otto del mattino. Ora alzati, o faremo tardi.” Risponde, aprendo la finestra ancora chiusa e lasciando che una ventata d’aria fresca riempia la stanza. “Tardi per cosa?” chiesi, sbadigliando per la seconda volta. “Per la colazione.” Proruppe Nicole, saltando giù dal suo letto con velocità inaudita. “Mi vesto e arrivo.” Risposi, faticando a mettermi in piedi e raggiungere il bagno. Dopo una veloce doccia, indossai la mia divisa, seguendo le altre campeggiatrici al piano di sotto, dove la Delacour ci aspettava per il pasto più importante della giornata. Camminavo a fatica in quel fiume di ragazze, e benché tutte camminassero ordinatamente, venni spinta più volte. Scrutando con gli occhi sgranati la fila indiana davanti a me, cercavo gli sguardi di Paris e Nicole, alle quali avevo in mente di aggregarmi dopo averle trovate. Durante il mio cammino alla loro ricerca, urtai involontariamente una ragazza, che mi rivolse uno sguardo arcigno e carico d’odio. Notando la mia goffaggine, Nicole mi si avvicinò, afferrandomi per un braccio e salvandomi letteralmente da quella situazione. “Ma cosa combini?” mi redarguì, guardandomi negli occhi. “È stato un incidente.” Biascicai, nel tentativo di giustificarmi. “Sai chi è quella ragazza?” mi chiede, con una sottile e pressochè impercettibile vena di rabbia nella voce. Non risposi, fissando Nicole con sguardo indagatore, nella speranza che fosse lei a dirmelo. “Quella è Alexa Reed. Meglio starle lontano.” Mi avvertì, ricominciando a camminare. Dopo alcuni minuti, giungemmo finalmente nell’ampia sala da pranzo, dove la signora Delacour ci aspettava, mostrando calma e compostezza mai viste prima. Mi sedetti ad un tavolo assieme alle mie amiche, e consumai il mio pasto senza proferire parola. Ne masticavo ogni boccone con espressione disgustata, poiché il sapore non era certo dei migliori. Quando finalmente arrivai all’ultimo, provai un profondo senso di sollievo. Sapevo bene che anche quel supplizio era ormai giunto alla fine. Ebbi quindi cura di rispettare le regole del campo, secondo le quali, ogni singola campeggiatrice avrebbe dovuto lasciare la sala da pranzo nello stesso istante. Pazientai per alcuni minuti, allo scadere dei quali mi alzai, guadando letteralmente il fiume di ragazze davanti a me. Rimanendo in tutta sicurezza accanto a Paris e Nicole, salivo le scale che portavano al piano superiore, e quindi al nostro dormitorio. Durante il cammino, iniziai a sentirmi davvero strana. Era come se ad ogni passo le mie gambe si indebolissero. Faticavo a seguire le mie amiche, e la mia vista si stava annebbiando. Non volendo che si preoccupassero, chiamai a raccolta le mie forze, scegliendo di continuare a camminare. Una volta raggiunta la mia stanza, mi abbandonai sul mio comodo letto, sprofondando in un tormentato sonno privo di sogni dopo solo qualche minuto. La mia pennichella durò ben poco, poiché venni svegliata più volte da una strana e inspiegabile sensazione di bruciore alle guance. Ero davvero accaldata, e avevo il respiro corto. Ad ogni modo, non dicevo una parola. Utilizzando il mio buon senso, riconobbi nel mio malessere i sintomi della comune febbre, e combattendo contro la stessa, tentai di riaddormentarmi. Il mio sonno si interruppe dopo poche ore, ed io aprii gli occhi non appena mi svegliai. Guardandomi attorno, notai che la porta della stanza era stata aperta, e che qualcuno mi aveva posato uno straccio bagnato sulla fronte. Guardando quindi in direzione della porta, vidi Paris e Nicole entrare quasi contemporaneamente. “Ti sei svegliata!” disse la prima, sorridendo e mostrando evidente felicità nel vedermi in piedi. “Che mi è successo?” chiesi, ancora leggermente confusa dalla precedente concatenazione di eventi. “Ti è solo venuta la febbre.” Chiarì Nicole, riuscendo a strapparmi un sorriso. Procedetti quindi ad annuire restando in silenzio, e bevendo alcuni sorsi d’acqua da un bicchiere posto sul comodino accanto al letto. “Presto starai meglio.” Disse una voce a me del tutto sconosciuta. Colta di sorpresa, mi voltai subito in direzione del mio misterioso interlocutore, notando un ragazzo che non avevo mai visto prima. Confusa dalla sua presenza, guardai le mie amiche, nella speranza che una delle due rompesse l’assordante silenzio creatosi nella stanza. “Lui è Ethan.” Esordì Nicole, pronunciando il suo nome con leggera enfasi. “È il figlio della Delacour.” Continuò Paris, aggiungendo un misero dettaglio alla sua descrizione. In quel preciso istante, compresi di trovarmi in una posizione di netto stallo, così decisi di abbozzare un debole ma convincente sorriso. Improvvisamente, notai che Ethan aveva spostato il suo attento sguardo su di me, e studiava il mio ora pallido volto come un intricato rompicapo. “Gradirei che ci lasciaste da soli, ragazze.” Disse, rivolgendosi alle mie due amiche, che non poterono fare altro che obbedirgli lasciando subito la stanza. Fu questione di un singolo attimo, ed io mi ritrovai da sola con Ethan. “Non mi dici nulla?” disse, continuando a guardarmi negli occhi, che ora apparivano spenti data la mia condizione fisica. “Sono nuova qui.” Trovai il solo coraggio di dire, rimanendo conseguentemente muta come un pesce. “Come avrai capito, sono il figlio della proprietaria.” Continuò, sempre evitando di staccare il suo sguardo da me. Venendo colta da un’improvvisa timidezza, non proferii parola né posi domande, e dopo qualche minuto dalla fine della nostra conversazione, Ethan dovette andarsene, avendo ad ogni modo cura di salutarmi e lasciandomi completamente da sola nella mia stanza. Improvvisamente, venni pervasa da una strana aura di calma e soavità. Ethan ed io ci eravamo appena conosciuti, e non avevamo parlato molto, eppure, qualcosa dentro di me mi diceva che in lui c’era qualcosa di misterioso e celato alla vista di qualunque altra persona. Passai la giovane e lunga notte a pensare a lui, e a ciò che il nostro fortuito incontro avesse potuto significare. Fissavo con sguardo perso il soffitto della mia stanza, arrivando prima di addormentarmi, ad una semplice conclusione. Qualcosa nella mia mente era scattato come una molla, convincendomi che in lui e nei suoi occhi così azzurri e profondi, c’era la luce dopo il buio.





 
 
Capitolo IV


Ingiustizie e falsità


Apro lentamente gli occhi, e mi sveglio nella mia stanza. Un nuovo giorno qui al campo estivo è appena cominciato, con il sole che si leva alto nel cielo e si fa strada fra le nuvole bianche come il cotone. Scendo velocemente giù dal letto, indossando quindi la mia divisa. Le mie amiche dormono ancora beate, e guardandole, comprendo che stavolta è il mio turno di svegliarle. Mi avvicino quindi ai loro letti, e con il leggero tocco della mia mano, riesco a far in modo che anche loro escano dal loro stato di dormiente incoscienza. Dopo essersi messa in piedi, Paris posa su di me il suo leggermente contrariato sguardo. “Hai restituito il favore, vero?” Dice Nicole, che al contrario di lei ora sorride. “Vero.” Mi limito a rispondere, lasciando sfuggire una risatina che faticai a trattenere. Terminando in quel momento la nostra conversazione, io e le mie due amiche ci trasformiamo in affaccendate casalinghe, iniziando quindi a rifare i nostri letti con cura e precisione assolutamente maniacali. Subito dopo, tutte e tre fissammo il nostro sguardo sulla porta della stanza, preparandoci a varcarla per scendere al piano di sotto. Ci toccò scendere l’una accanto all’altra, un numero imprecisato di scalini. Affrontavo questo percorso lentamente, avendo sempre cura di non intralciare la strada alle mie amiche. Dopo qualche minuto, giunsi finalmente all’ultimo scalino. Mi accinsi quindi a scenderlo, ma venendo distratta da qualcosa che solo io credevo di aver visto, inciampai e caddi in terra, suscitando la preoccupazione di Paris e Nicole. “Stai bene?” mi chiesero all’unisono, evidentemente preoccupate. “Si.” Risposi, vedendo subito un’espressione di felicità e sollievo materializzarsi sui loro volti. “Devi aver visto male o qualcosa del genere.” Disse Paris, mentre mi cingeva un braccio intorno alle spalle. Trovai gentile tale gesto, poiché nonostante fossi caduta da un punto non poi così alto, le gambe mi facevano davvero male. Stringendo i denti, mi lamentavo per il dolore, e senza volere, suscitai la preoccupazione della Delacour, tranquillamente seduta in sala da pranzo. Semplicemente guardandola, capii che attendeva il nostro arrivo, ma la sua espressione così scura e accigliata cambiò di colpo non appena mi vide. “Santo cielo! Cosa le è successo?” urlò, preoccupatissima per me. “È caduta mentre scendeva le scale, signora.” Rispose Nicole, facendo le mie veci. “Povera cara!” disse infine la Delacour, prendendomi per mano e conducendomi lontano dalle mie amiche. In quel momento, la mia confusione era visibile, e mi chiedevo il perché di tale gesto, pur mantenendo un perfetto e religioso silenzio. Mi lasciai quindi condurre ad un tavolo molto distante dagli altri, che poi scoprii essere quello dove la Delacour soleva far colazione tutte le mattine. Mi sedetti senza parlare, consumando come al solito il mio pasto, stavolta consistente in un’invitante tazza di latte e cereali. Subito dopo la colazione, stavo per alzarmi e raggiungere le mie amiche, quando sentii una forte stretta al braccio. Mi voltai per scoprirne la causa, scoprendo che a tenermi stretta non era altri che Alexa, la ragazza che avevo casualmente incontrato giorni prima. “Dove credi di andare?” chiese, facendo uso del suo velenoso e pungente sarcasmo. Paralizzata dal dolore e dalla paura, non risposi, limitandomi a guardarla negli occhi. Quasi ignorandomi, Alexa mi tirò forte un braccio, riportandomi al cospetto della Delacour, la quale, in genere, è l’ultima a lasciare la sala da pranzo. “Signora, credo che la signorina Davis abbia qualcosa da mostrarle.” Disse, somigliando, con quel tono così mellifluamente giulivo, alla prediletta della preside. “Splendido!” rispose la stessa, chiedendomi poi di condurla nel mio dormitorio, dove Alexa le aveva detto di andare. In preda alla confusione, deglutii facendole strada. Ogni passo verso la mia camera sembrava una tortura, un infinito supplizio che ero costretta a sopportare. Ad ogni modo, non dissi nulla, e una volta arrivata davanti alla porta, la aprii, entrando quindi nella mia stanza. Feci qualche passo in avanti per avvicinarmi al letto, e mi guardai intorno, incrociando lo sguardo di Alexa, la quale, con rapide occhiate e cenni del capo, continuava ad indicare il mio computer, appoggiato sulla solida scrivania in legno. Muovendomi quindi in direzione dello stesso, decisi di accenderlo, rimanendo esterrefatta da ciò che vidi subito dopo. Sullo schermo, troneggiava un file che non avevo mai visto prima, e cliccandoci, venni subito reindirizzata ad una delle pagine web che componevano il mio blog personale. Sulle prime, rimasi in silenzio, non riuscendo a capire nulla di quanto stesse accadendo. Fissando il mio sguardo sul computer, notai la presenza di un nuovo post. Le nere lettere che ne componevano le parole, erano grandi quanto insetti, ed io non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo. Non osai leggerne una singola riga, e quando provai a spegnere il computer, venni fermata dalla Delacour, che, incuriosita da quelle scritte, si avvicinò, iniziando a leggere mentalmente ogni singola parola presente in quella pagina web. Non riuscivo a capire. Non avevo altro che confusione in testa, e le gambe ancora indolenzite mi tremavano. In quel momento, trattenevo il fiato, ponendomi al contempo mille domande. Non avevo la minima idea di chi avesse potuto scrivere quel post, colmo di cattiverie nei riguardi della Delacour, ma avevo la certezza di essere completamente innocente. In fin dei conti, ricordavo benissimo di aver cancellato l’unico post che la riguardava, e tale situazione, bastava ad allontanare i sospetti da me. Ad ogni modo, la mia confusione non accennava a diminuire. “Chi ha osato scrivere tali atrocità?” tuonò la Delacour, in evidente collera. “Esma.” Sentii prontamente rispondere. Istintivamente, posai il mio incredulo sguardo su Alexa, che ora mostrava un sorriso malizioso e compiaciuto al tempo stesso. Con voce tremante, biascicai qualche parola, tentando in ogni modo di giustificarmi e accusando giustamente Alexa dell’accaduto. Sfortunatamente, finii per cacciarmi in guai ancora più grossi, poiché la Delacour, che si fidava ciecamente di quella vipera di Alexa, non volle credermi. “Nel mio ufficio, subito!” Disse, con la voce ancora visibilmente corrotta dalla rabbia. In quel momento, ero davvero a pezzi, così, delusa, e con la coda fra le gambe, decisi di seguire la preside in silenzio, raggiungendo il suo lugubre e tetro ufficio. Fra un passo e l’altro, ascoltavo il battito del mio cuore, accelerato a causa della paura, e mi chiedevo che cosa mi sarebbe accaduto una volta entrata. Ad ogni modo, mi ritrovai costretta a farlo, temendo per la mia incolumità. Tenevo lo sguardo vigile, e con occhi sgranati, fissavo la Delacour. Improvvisamente, la vidi avvicinarsi alla sua scrivania e frugare in un cassetto. Non sapevo cosa stesse cercando, né cosa avesse in mente, ma rimasi sconcertata dall’oggetto che vidi nelle sue mani pochi secondi dopo. Difatti, brandiva con rabbia una frusta di cuoio, e tenendola saldamente in mano, mi si avvicinò. Il sangue che scorreva nelle mie vene era ormai congelato, ed io rimanevo immobile, salvo poi iniziare ad indietreggiare in cerca di protezione. Per una manciata di secondi, la distanza che mi separava da lei rimase uguale, ma tale e vana speranza venne tradita quando mi trovai letteralmente con le spalle al muro. In quel momento, smisi di muovermi, tremando inconsciamente come una foglia. Il silenzio più completo aleggiava nell’ufficio, e il mio cuore batteva così forte da poter essere sentito a chilometri di distanza. “Su il maglione!” Urlò la Delacour, rompendo il silenzio come si fa con un fragile e vitreo bicchiere. Deglutendo sonoramente, obbedii, mostrando quindi alla preside la mia ormai nuda schiena. Il terrore che provavo mi accorciava il respiro, portandomi ad ansimare e piangere. Intanto la frusta saettava in aria, producendo un sibilo sinistro. Sobbalzavo per ogni colpo ricevuto, riuscendo perfino a sentire la mia pelle lacerarsi, e avendo l’occasione di vedere alcune ferite aprirsi e del sangue sgorgare. Nel mero tentativo di non gridare, chiusi gli occhi, soffocando ogni volta l’impulso di farlo. Finalmente, dopo un tempo che mi parve letteralmente infinito, le percosse cessarono, e io fui libera di tornare nella mia stanza. Camminavo lentamente negli ampi corridoi, e il dolore che provavo era tale da quasi immobilizzarmi. Lottai contro lo stesso per alcuni minuti, fino a quando non raggiunsi la mia destinazione. Aprii lentamente la porta, senza neppure accorgermi del tremore che aveva ormai preso possesso delle mie mani, quasi conferendo loro una vita propria. Una volta entrata, feci qualche passo in direzione del mio letto, decidendo quindi di sedermici sopra. Mantenevo un perfetto silenzio, e senza proferire parola, guardavo le mie amiche, scorgendo la somma preoccupazione dei loro sguardi. “Cosa ti è successo?” chiese Paris, incredula e spaventata.” Non ebbi la forza né il coraggio di rispondere, limitandomi ad abbassare lo sguardo. “È stata la Delacour.” Dissi con un filo di voce.” “Lei punisce frustando.” Aggiunse Nicole, erudendo l’amica. In quel preciso istante, vidi il terrore negli occhi della povera Paris, che intanto aveva ricominciato a tremare. Era ancora pomeriggio inoltrato, ma ad ogni modo decisi di liberarmi della divisa e indossare il mio pigiama, con la ferma intenzione di addormentarmi, sperando che il mio sonno cancellasse tutte le brutture di quella giornata. Le mie palpebre si chiusero quasi automaticamente. Il dolore mi indeboliva, e a causa dello stesso scivolai in un sonno profondo. Poco tempo dopo, venni svegliata dalla Delacour in persona, che mi ordinò di alzarmi e seguirla nuovamente nel suo ufficio. Durante l’intero tragitto non dissi una parola, tentando con tutte le mie forze di sfuggire al suo sguardo e ai suoi occhi inveleniti. Quando finalmente entrai nell’ufficio, notai una porta alla quale non avevo mai fatto caso. Facendo qualche passo in direzione della stessa, la Delacour la aprì, e mi spinse violentemente, portandomi quindi ad attraversarla. Subito dopo, richiuse la porta. Intanto, ero finita in ginocchio, e il freddo che sentivo mi arrivava fino alle ossa, impedendomi di muovermi. Quando mi voltai, vidi che la porta era ormai chiusa. Attorno a me regnava il buio più totale. Non riuscivo a vedere nulla, e anche attendere perché i miei occhi si abituassero all’oscurità, fu inutile. Rimanevo quindi immobile come una marmorea statua, nella vana attesa e speranza di qualcuno che mi aiutasse. Le ore passavano, e degli spiragli di luce iniziavano a filtrare dal sudicio vetro dell’unica finestra presente in quella stanza. Alla disperata ricerca di conforto, volgevo il mio sguardo verso il sole, esprimendo un unico desiderio, ossia quello di essere salvata. Dopo alcuni minuti, uno scatto spezzò la mia concentrazione, facendomi sobbalzare e voltare verso la porta, che ora si apriva lentamente. Tremando, temevo il peggio, ritrovando la calma appena un secondo dopo. Ad aver aperto la porta, era stato Ethan. Non appena lo vidi, tentai di alzarmi e corrergli incontro, ma lui fu più veloce di me, raggiungendomi per primo. “Puoi stare tranquilla, Esma. È tutto finito.” Disse, con voce calma e suadente. Grazie a quelle parole, ritrovai tutta la sicurezza che credevo di aver ormai perso per sempre, e in un attimo mi ritrovai stretta in un suo abbraccio. Dopo alcuni secondi, Ethan mi prese per mano, sfiorando le mie lunghe e affusolate dita. “Seguimi.” Disse, abbassando di colpo la voce. Guardandolo negli occhi, mi limitai ad annuire, lasciandomi pazientemente condurre fuori da quella stanza. Rimanendo in silenzio, Ethan mi accompagnò fino al corridoio che conduceva alla mia camera. “Devo andare.” Disse, lasciandomi la mano. Incrociando il suo sguardo, lo pregai di restare, venendo tuttavia ignorata. “Mi dispiace.” Si limitò a rispondere, sparendo quindi nell’ampio corridoio. Rimasta completamente sola, abbassai lo sguardo, continuando a camminare fino a raggiungere la mia stanza. Vi entrai a malincuore, non degnandomi neppure di salutare le mie amiche. “Esma! Grazie al cielo sei qui!” disse Nicole, felicissima di rivedermi. Un istante dopo, seguì in fortissimo abbraccio, a causa del quale, credetti di soffocare. “Per fortuna stai bene!” aggiunse Paris, avvicinandosi. Accettando anche il suo abbraccio, mi sedetti sul letto, ignorando il lento e pacato scorrere dei minuti. Quasi istintivamente, posai il mio sguardo sul pigiama che avevo addosso. Era ormai lercio, ma non potevo farci niente. Mi toccò sdraiarmi e dormire, trovando nel silenzio della notte una sincera compagnia, che mi proteggeva dal rumore causato dalle falsità che scorrono come sangue nelle vene della gente.
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo V


Regole ferree


Un nuovo giorno inizia lentamente, ed io sono ancora nel mio letto, persa in uno stato di inspiegabile dormiveglia. Il silenzio viene rotto dal soave canto di un uccellino, che ora vola nell’azzurro e terso cielo che osservo dalla mia finestra. Alzandomi dal letto, noto la strana assenza di Paris e Nicole nella stanza. Sono intanto occupata ad inforcare gli occhiali, pensando al contempo al possibile motivo della loro assenza. Ipotizzo quindi che si siano svegliate prima di me, e procedo ad indossare la mia divisa, per poi scendere le scale e raggiungerle al piano di sotto. Cammino lentamente, scendendo i gradini della scala con cautela, volendo evitare di scivolare e cadere come qualche giorno prima. Raggiungendo quindi l’ultimo scalino, poggio finalmente i piedi per terra, accorgendomi di un mio madornale errore. Difatti, mi sono svegliata tardi, e sono quindi in forte ritardo per la colazione. Sperando che nessuno mi noti, raggiungo lentamente le mie amiche, venendo sfortunatamente fermata dalla Delacour, che alla mia vista, assume un’ espressione esternante tutta la sua rabbia. “È in ritardo, signorina Davis.” Sibila, tenendo il suo glaciale sguardo fisso su di me. “Mi scusi.” Trovo il coraggio di biascicare, mentre le mie gambe tremano. “Vada a sedersi.” Ordina, dandomi le spalle. Scivolando quindi nel mutismo più completo, mi avvicino a Paris e Nicole, le quali, non tardano a salutarmi. “Va tutto bene?” chiede Nicole, apparendo visibilmente preoccupata. “Si.” Mi limito a rispondere, consumando il mio pasto come ogni mattina. Fra un boccone e l’altro, mi guardo nervosamente intorno, sperando di non incrociare lo sguardo della preside. Per mia fortuna, ciò non accade, e due occhi azzurri come il cielo incontrano i miei, di un verde pari a quello della fresca erba. Seduto ad un tavolo in fondo alla sala, infatti, c’è Ethan, il quale, mi rivolge subito un amichevole saluto con un gesto della mano. Quasi a volerlo imitare, ricambio con discrezione. Alcuni minuti dopo, noto che i piatti delle mie amiche sono ormai vuoti, e che l’unico ancora pieno risulta essere il mio. Non volendo far adirare la Delacour, che ora cammina per la sala con passo stizzoso,  mi affretto a vuotarlo, per poi alzarmi e ricongiungermi alle mie amiche, ora impegnate a salire le scale per tornare al loro dormitorio. Salgo ogni scalino con decisione, mostrando senza volere una fretta incredibile. Improvvisamente, sento che qualcuno mi afferra il braccio, rischiando di farmi cadere. Voltandomi, scopro che si tratta di Paris. “Perché tanta fretta?” chiede, dubbiosa. “Ho da fare.” Mento, ignorandola e accelerando ancora di più il passo. Quando finalmente arrivo nella mia stanza, inizio freneticamente a cercare in uno dei cassetti della scrivania. Ricordo, infatti, di averci conservato un foglio di carta con sopra scritto l’indirizzo e-mail di Ethan. Lui stesso, conosce la madre come il palmo della sua mano, e sa che il campo è diviso in due diverse sezioni, una maschile e l’altra femminile. Per questa ragione, io e lui non possiamo avere contatti, ma ad ogni modo, tale limitazione non ha impedito ad un meravigliosa amicizia di sbocciare. Dopo alcuni minuti di ricerca, riesco a trovare quel famigerato foglio, e accendendo il computer con velocità inaudita, accedo alla mia posta elettronica, iniziando quindi a scambiarmi e-mail con Ethan. In questo momento, lui è la cosa più importante per me. La sfilza di regole che vigono nel campo non hanno alcun senso, e ai miei occhi non sono altro che mera e semplice lettera morta. Ora come ora, le mie dita si muovono freneticamente sulla tastiera del computer, ed io non  riesco a staccare gli occhi dallo schermo. I minuti presto si trasformano in ore, delle quali non mi accorgo minimamente. Sfortunatamente, la batteria del mio portatile finisce per scaricarsi, motivo per cui, mi trovo costretta a spegnerlo e lasciare che la batteria si ricarichi autonomamente. Per tale ragione, non mi resta altro da fare che uscire dalla mia stanza e raggiungere le mie amiche, sedute di nuovo in sala da pranzo, ma intente a scrivere nervosamente delle complicate istruzioni su dei quaderni. Senza proferire parola, decido di sedermi accanto a Nicole, la quale, pur notandomi, mantiene la concentrazione. Estraendo quindi un quaderno dalla mia borsa, inizio a prendere appunti riguardo allo scrupoloso dettato della Delacour. “Di cosa parla?” chiedo a Paris, seduta dietro di me. “Regole.” Sussurra, non staccando gli occhi dal suo quaderno. Voltandomi, riprendo in mano la penna, iniziando a scrivere in maniera chiara, ogni concetto espresso dalla preside. In poco tempo, riempii due intere pagine del mio quaderno di regole e norme. Le stesse, non erano mai state infrante fino ad oggi, ma mentre rileggevo mentalmente quella lista, mi convinsi quasi automaticamente, che qualcosa presto o tardi sarebbe cambiato. Secondo una delle norme a cui avevo prestato attenzione, gli studenti che avessero in qualunque modo disobbedito, sarebbero stati severamente puniti. Leggere quella frase mi fece letteralmente accapponare la pelle, poiché ripensai alla punizione ricevuta tempo prima. Il solo pensiero mi provocò un dolore lancinante alla schiena, a causa del quale, finii per scivolare giù dalla sedia, non riuscendo più a rialzarmi. Subito dopo, per qualche strana ragione, chiusi gli occhi. Sapevo bene di non essere entrata in uno stato di incoscienza, ragion per cui, riuscivo ancora a sentire il battito del mio cuore, che si affievoliva sempre di più. Tentavo in tutti i modi di rimettermi in piedi, pur non riuscendoci. Ogni tentativo risultava vano, perciò mi arresi, limitandomi a rimanere sdraiata e immobile sul pavimento. Lentamente, persi i sensi. Rinvenni solo alcune ore dopo, rimanendo sorpresa da ciò che vidi al mio risveglio. La stanza nella quale mi trovavo non era la mia, e accanto a me, c’era Ethan. “Finalmente ce l’hai fatta.” Disse, abbozzando un lieve sorriso. “Dove sono?” chiesi, scoprendomi preda di un’incredibile confusione mentale. “Ti trovi nella mia stanza.” Rispose, facendo sparire ogni mia incertezza. Mettendomi quindi a sedere sul letto, lo guardai negli occhi. Lo svenimento mi aveva privato delle mie forze, così come aveva fatto con la mia perspicacia. “Ti ho vista svenire, così ho avvertito mia madre e ti ho portato qui.” Continuò, aggiungendo un importante dettaglio a quella spiegazione.” “Ti ringrazio.” Gli dissi, abbozzando un sorriso e tentando di rimettermi in piedi. La mia debolezza me lo impedisce, e a causa della stessa, rischio di cadere. Quasi ad aver previsto l’accaduto, Ethan mi si avvicinò, cingendomi un braccio intorno alle spalle. In quel preciso istante, i nostri passi si sincronizzarono, e assieme a lui, varcai la porta di quella stanza. Rimanendo in silenzio, lasciai che mi conducesse di nuovo nel mio dormitorio. Mentre camminavo, guardavo Ethan negli occhi. Si comportava in modo davvero strano. Era come se qualcosa lo spaventasse, ed io non riuscivo a capire di cosa potesse aver paura. Ogni suo passo appariva felpato, e il suo respiro mi giungeva irregolare. Le sue mani tremavano, e tale situazione, mi fece arrivare alla soluzione di questo complicato enigma. Ora come ora, potevo avere la certezza che lui non volesse farsi vedere con me. “Nessuno deve saperlo.” Sussurrò, quando finalmente arrivai davanti alla porta della mia stanza. Stranita, lo guardai, sperando che si spiegasse meglio, ma vidi quella speranza infrangersi come vetro davanti ai miei occhi. Mi limitai quindi ad annuire, bussando ed entrando lentamente nella mia camera. Subito dopo, nei pochi istanti che mi concessi per chiudere la porta, il mio sguardo incrociò nuovamente quello di Ethan, che sorrise debolmente. Alcuni preziosi secondi passarono, e allo scadere degli stessi, mi ritrovai al centro della stanza. Tentando quindi di nascondere la mia espressione evidentemente confusa, feci qualche passo in direzione del mio letto, finendo per sdraiarmici con estrema lentezza. Affondai quindi il viso nel cuscino, senza accorgermi che delle fredde lacrime lo stavano bagnando. L’unica a notarlo, è la mia amica Nicole. “Alzati.” Mi chiese. “Cosa ti è successo?” “Non lo so.” Risposi, con gli occhi ancora velati di lacrime. “Ti va di parlarne?” Proruppe Paris, con un tono che mostrava tutta la sua preoccupazione. Respirando profondamente, sciolsi il nodo che si era creato in fondo alla mia gola, e annuii. In quel momento, le mie amiche tacquero, aspettando che io riprendessi a parlare. “Si tratta di Ethan.” Esordii, ignorando lo scorrere di una lacrima sul mio viso. Subito dopo aver parlato, spostai il mio sguardo su Nicole, notando la sua espressione alquanto sorpresa. Non ebbi neanche il tempo di completare il mio discorso, poiché distratta da un’intrusione di Paris. “Quel ragazzo prova qualcosa per te.” Mi disse, in tono calmo ma serio. “Lo pensi davvero?” chiesi, quasi a volere una conferma riguardo a quelle parole. “Si, ho visto quanto ti vuole bene.” Rispose, sorridendo. “Non credo.” Dissi, scuotendo lievemente il capo. “Devi svegliarti, Esma. Non sarebbe arrivato a soccorrerti se non ti avesse amato.” Rispose Nicole, guardandomi con aria seria. In quel momento, colsi nel tono della sua voce, una sottile vena di rabbia. “Hai ragione.” Mi limitai a risponderle, andando quindi a sedermi alla scrivania per accendere il mio computer. Da alcuni giorni a questa parte, lo utilizzo solo per controllare la mia posta elettronica. Ho ormai smesso di aggiornare il mio blog, ben sapendo che quell’hacker di Alexa potrebbe tornare alla carica, e mettermi di nuovo nei guai. Posando gli occhi sullo schermo del mio portatile, mi accorsi di aver ricevuto una nuova e-mail, leggendo l’indirizzo del mittente, capii che era da parte di Ethan.“Mi dispiace per ieri, guarda nella tua stanza.” Questo il testo dell’e-mail che avevo ricevuto. La stessa, mi confuse, ragion per cui decisi di fare quanto richiesto. Controllai quindi ogni angolo della mia camera. Cercai freneticamente nei cassetti della scrivania, e perfino nell’armadio. Stavo per arrendermi e gettare la spugna, quando mi accorsi che restava solo un posto dove cercare, ovvero sotto il mio letto. Quasi istintivamente, mi inginocchiai, notando la presenza di una piccola scatola al di sotto dello stesso. La raccolsi lentamente da terra, e dopo averla poggiata sulla scrivania, decisi di aprirla. Con mia grande sorpresa, scoprii che conteneva una piccola ma capiente chiavetta USB. Spinta dalla curiosità, l’afferrai, procedendo ad inserirla nella porta apposita del mio computer. Semplicemente cliccando, aprii una cartella, così da visualizzare i file che conteneva, scoprendola completamente vuota. Stringendomi quindi nelle spalle, la estrassi dal mio computer, decidendo di rimetterla a posto. Dopo averlo fatto, mi lasciai cadere sul mio letto, e presi in mano il mio cellulare. Lo utilizzai per poco tempo, e poiché mi sentivo davvero stanca, decisi di sdraiarmi e tentare di dormire. Sapevo bene che un buon sonno ristoratore era quello che ci voleva per schiarirmi le idee. Da quando ho messo piede in questo campo estivo, tante cose nella mia vita sono cambiate, e la stessa non sarà mai più quella che era, poiché condizionata da una sfilza di regole ferree.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo VI


Un segreto non più tale


Il canto di un uccellino solletica il mio udito, e a causa dello stesso apro gli occhi, facendo ricominciare il mio solito e ripetitivo ciclo di attività. Anche oggi mi tocca vestirmi e raggiungere le mie amiche al piano di sotto, dopodiché consumare la mia colazione e stare attenta a non mettermi nei guai con la preside. Una routine di questo genere darebbe noia a chiunque, ma io ho finito per abituarmici, e inoltre c’è un altro motivo per cui ho deciso di continuare a vivere in questa monotonia: Ethan. Negli ultimi tempi, si è mostrato davvero gentile nei miei confronti, e riflettendo, mi chiedo se le mie amiche Paris e Nicole non abbiano ragione. Esiste infatti una remota possibilità che lui sia davvero innamorato di me. Ora come ora, comprendo di avere solo un modo per capirlo. Sfortuna vuole, che io sia troppo timida per parlargli, ragion per cui, mi trovo costretta ad escogitare un nuovo sistema. Facendo uso della mia saggezza, scelgo di mettere da parte questa preoccupazione, e dedicarmi ai miei doveri di campeggiatrice. Così, assorta nei miei pensieri, scendo lentamente le scale che portano al piano inferiore, con la conseguente e ferma intenzione di raggiungere la sala da pranzo. Vi arrivo in pochi minuti, procedendo a sedermi accanto alle mie amiche. Entrambe, mantengono un silenzio di tomba, e per alcuni secondi, me ne chiedo il perché. Questo mio interrogativo trova risposta appena un attimo dopo, poiché voltandomi, noto che la Delacour è impegnata a passeggiare nervosamente per l’intera sala. Quest’azione, è ormai divenuta per lei una sorta di rituale. Difatti, non pone fine a quell’andirivieni fin quando non decide che ogni cosa è a posto, e che nessuno manca all’appello. Mantenendo a mia volta un religioso silenzio, osservo le mie amiche, prestando particolare attenzione ai loro occhi colmi di terrore, che ha proceduto con l’impadronirsi dei loro puri e innocenti animi. Distrattamente, lascio che la mia spilla finisca in terra. Non ho neppure il tempo di chinarmi e raccoglierla, poiché il rumore metallico prodotto dalla stessa, allerta la preside, che non tarda ad alzarsi e raggiungere il tavolo dove sono seduta. Chinandosi lentamente, raccoglie la spilla al mio posto, e la esamina attentamente. “Appartiene a qualcuna di voi?” chiede, tacendo subito dopo. A tale domanda, non segue una risposta, poiché nella sala cade il silenzio. In questo preciso istante, ammetto di voler alzarmi e rispondere, ma rinuncio a farlo poiché Nicole, con un rapido gesto della mano, me lo impedisce. Deglutisco sonoramente, attendendo in silenzio. La Delacour è ancora intenta ad esaminare quella spilla, e nessuno osa disturbarla. “Davis!” la sento tuonare, riuscendo a percepire la sua collera. Quasi istintivamente, mi alzo in piedi, rispondendo con velocità inaudita. “Sono io.” Finisco per biascicare, paralizzata dal terrore. “Ho la netta sensazione che questa le appartenga, signorina.” Dice, porgendomi lentamente la spilla. Scoprendomi ancora incapace di muovere un singolo passo, mi limito ad annuire, riprendendo in mano quel piccolo e scintillante oggetto. “Che non accada mai più.” Mi ammonisce, voltandomi conseguentemente le spalle. In quel preciso istante, il mio sguardo si fissa sulla preside nell’atto di allontanarsi, e dopo pochi secondi, qualcosa di completamente diverso entra nel mio campo visivo. Con mia grande sorpresa, scopro che Ethan sta per fare il suo ingresso in sala da pranzo. Non oso muovermi né fiatare, pur non potendo evitare l’incrocio dei nostri sguardi. Intanto, il mio cuore perde un battito, e la distanza che mi separa da lui diviene sempre minore. Di punto in bianco, le mie emozioni mi paralizzano, e scopro con sommo stupore che Ethan ha intenzione di sedersi accanto a me. “Non ti spiace, vero?” chiede, spostando lo sguardo dai miei occhi al solido tavolo in legno. “Per niente.” Rispondo, scuotendo il capo e regalandogli un sorriso. Sentendosi sollevato dalla mia risposta, Ethan si siede subito, sfiorandomi quindi una mano. “Piaciuto il regalo?” chiede sorridendo, nel mero e semplice tentativo di attaccare bottone. “Si.” Mi  limito a rispondere, guardandolo negli occhi. Subito dopo, vengo distratta dall’irritante suono di una campanella. Da ormai qualche giorno, la Delacour ha preso l’abitudine di richiamarci all’ordine attraverso l’uso della stessa. Sospirando, mi rimetto in piedi, ricongiungendomi con le mie amiche, che sembrano davvero ansiose. Il loro comportamento mi stranisce, ma decido di non proferire parola, continuando il mio cammino verso la mia stanza. Una volta entrata, mi siedo subito davanti al mio computer, scoprendo qualcosa di davvero inaspettato. Controllando la mia posta elettronica, notai di aver ricevuto una nuova e-mail da parte di Ethan. “Ti devo parlare. È qualcosa di davvero importante.” Questo il suo messaggio, che non fa altro che confondermi. Tenendo gli occhi fissi sullo schermo del computer, non ho idea di come rispondergli. Anche se a malincuore, decido di non farlo, finendo per spegnere il computer e andare a letto. Ad ogni modo, non riesco a dormire, poiché tormentata da un unico pensiero concernente Ethan. Difatti, non posso fare a meno di chiedermi perchè mostri comportamenti e pareri così discordanti in mia presenza. Inoltre, se ha davvero deciso di parlarmi, e ha ammesso che si tratta di qualcosa di davvero importante, credo che la cosa migliore da fare sia assecondarlo, e lasciare che trovi da solo il coraggio di farlo. La mia profonda e innata timidezza mi impedisce di fare il primo passo, ragion per cui la mia stanza diventa il mio rifugio, a cui accedo in completa e totale libertà, certa di non essere disturbata da nessuno. Emettendo un lugubre sospiro, chiudo gli occhi per alcuni secondi, che lentamente diventano minuti, poi ore. Mi addormento senza accorgermene, e il mio sonno è tranquillo. Le ore scorrono come acqua cristallina, e un improvviso rumore mi inquieta, facendomi scivolare nel terrore. I miei occhi si aprono, e sono indice del mio stato d’allerta. Mi metto quindi a sedere sul letto, posando il mio sguardo sulla finestra della stanza, che lentamente si apre. Quasi inconsciamente, inizio a tremare, e il mio sguardo si posa sulle mie amiche, che dormono beatamente, ignare di tutto. Alcuni secondi dopo, scorgo una figura nel buio, e mi avvio verso l’interruttore della luce, con l’intenzione di premerlo e soffocare l’oscurità che sembra inghiottirmi. Stranamente, non ho la forza né il tempo di muovere un passo, poiché vedo che il buio viene squarciato dalla luce di una torcia elettrica. A tenerla in mano, è Ethan. “Che cosa ci fai qui?” gli chiedo, sussurrando debolmente. “Devo parlarti.” Risponde, apparendo alquanto serio. “Non qui e non ora.” Replico, mostrando il lato collerico del mio carattere. A quel punto, Ethan non può fare altro che arrendersi al mio volere, e mantenere il silenzio. “Ci vediamo domani.” Dice, sfilandosi la giacca e sdraiandosi sull’unico letto libero nel mio dormitorio. Mi si addormenta quindi accanto, e anch’io scivolo nel sonno più profondo, allietata dalla sua presenza. Le ore notturne passano, venendo soppiantate da quelle diurne e dall’arrivo dell’alba. Mi svegliai con il primo raggio di sole, scoprendo, non appena aprii gli occhi, che Ethan se n’era andato durante la notte. Dopo essermi alzata, mi vestii svogliatamente della mia divisa, scendendo subito le scale. Raggiungendo subito il piano inferiore, mi misi subito alla ricerca di Ethan. Dopo alcuni minuti di ricerca, lo trovai seduto in sala da pranzo, solo come non lo avevo mai visto. “Che hai?” gli chiesi, avvicinandomi e sedendo accanto a lui con sguardo preoccupato. “Dobbiamo smettere, Esma.” Disse, con un tono che lasciava trasparire tutta la sua tristezza. Lo guardai senza parlare, mostrandogli la mia confusione. Non sapevo a cosa si riferisse, e speravo che si spiegasse meglio. “Basta e-mail.” Chiarì, tacendo subito dopo. Stranita dalle sue parole, chiesi spiegazioni, ma lui sembrò ignorarmi, ed evitò di rispondere. Difatti, mi diede le spalle, alzandosi e lasciandomi completamente sola. “Parlami.” Lo pregai, prima che potesse andarsene. “Lasciami da solo.” Rispose, quasi stizzito e infastidito dalla mia preghiera. In quel momento, venni sopraffatta da un inspiegabile dolore, e tornai subito nella mia stanza. Quella mattina, saltai la colazione, chiudendomi a chiave nella mia camera. La tristezza mi aveva ormai pervasa, e non avevo alcuna voglia di reagire. Scivolai quindi nella più completa solitudine, e in un tetro e cupo silenzio che decisi di rompere facendo appello alla mia forza d’animo. In quel preciso istante, mi resi conto di una cosa. Ethan era cambiato, e un motivo legato ai suoi comportamenti doveva forzatamente esistere. Sapevo di dover esaminare a fondo questa faccenda, così da far luce su quest’apparentemente irrisolvibile mistero. Facendo quindi qualche passo in direzione della porta ancora ermeticamente chiusa, afferrai con un gesto deciso la chiave, e facendola girare all’interno della serratura, l’aprii. Ignorando completamente lo scatto che ne seguì, iniziai a camminare dirigendomi verso la stanza di Ethan, che si trovava a pochi passi dall’ufficio della preside. Quasi istintivamente, rallentai il passo, fino a fermarmi e rimanere perfettamente immobile di fianco alla porta. Dopo alcuni secondi la sentii scattare, e feci del mio meglio per nascondermi, desiderando di scomparire per sempre. Il mio desiderio non divenne realtà, e iniziai inconsciamente a tremare come una foglia. La porta si aprì appena un istante dopo, e fu allora che vidi Ethan. Il suo corpo si era notevolmente irrigidito, camminava lentamente, e aveva le guance solcate da innumerevoli lacrime. Dando retta al mio cuore, fui mossa a compassione, motivo per il quale, decisi di avvicinarmi. In quel momento, le nostre mani si sfiorarono, e lui si voltò verso di me. “Cosa vuoi?” mi chiese, con voce corrotta dalla rabbia e dal dolore. “Voglio solo aiutarti.” Risposi, guardandolo negli occhi. “Non c’è nulla che tu possa fare.” Disse, accelerando il passo che teneva e allontanandosi da me. Stranita dalle sue parole, mossi qualche passo in avanti con l’intenzione di seguirlo, venendo distratta da un improvviso scatto della porta, ora di nuovo aperta. Con il cuore in gola, vidi la Delacour venir fuori dal suo ufficio e posare il suo arcigno sguardo su di me. Avvicinandosi, mi afferra per un braccio, e il mio sangue gela a causa delle velenose parole che pronuncia. “Sarebbe meglio lasciarlo da solo, signorina.” Disse, confondendomi ulteriormente. Non sapendo cosa rispondere, mi limitai a fissarla con occhi colmi di terrore, rabbrividendo alla sola vista del suo malizioso e mellifluo sorriso. “So tutto di voi due.” Aggiunge, facendo aumentare la mia confusione. Divenendo quindi preda delle mie stesse emozioni, decido di voltarmi, dirigendomi velocemente verso la mia stanza. Durante il tragitto, mi imbatto in Alexa, e confesso segretamente di odiarla, rivolgendole un eloquente e malevolo sguardo. “Tu! Che cosa hai fatto a Ethan?” finisco per urlare, ponendo inaudita enfasi su quell’interrogativo. “Niente.” La sento rispondere, guardando quella sua biforcuta lingua muoversi. “Sei una sporca bugiarda!” le rispondo, sentendo una più che motivata rabbia crescermi dentro. “Sai Esma? Prima che tu arrivassi, la vita qui al campo era meravigliosa, ed io non lascerò che una novellina allontani Ethan da me.” Disse, lasciandosi poi sfuggire un acida e sarcastica risata. Io l’ascoltavo, rimanendo perfettamente immobile, ma persi il controllo non appena la sentii pronunciare quel nome. Difatti, le corsi incontro, e sferrandole un pugno la feci cadere per terra. In quel momento, anche la mia reputazione non aveva importanza. Quello che per me contava, era raggiungere la mia camera, e lasciarmi Alexa alle spalle. Quando finalmente vi entrai, mi sedetti davanti al mio computer, nel tentativo di rilassarmi e dimenticare quanto era appena accaduto. Dopo una manciata di secondi, mi accorsi di stare premendo i tasti con forza incredibile, e stringendo i pugni, inspirai a fondo, sperando di calmarmi. Fortunatamente, ci riuscii in poco tempo. Poco dopo, sentii la porta della mia camera aprirsi, e vidi le mie amiche entrare. Paris decise di sedersi sul suo letto, volendo chiaramente evitare di disturbarmi, e Nicole notò la tensione che mi pervadeva, ponendo quindi la più ovvia delle domande. “Che ti succede?” mi chiese, sedendosi accanto a me e poggiando una mano sulla solida scrivania. “È colpa di Alexa.” Risposi, mantenendo la concentrazione e facendo scivolare le mie lunghe e affusolate dita sul mouse del computer. “Brutta storia.” Intervenne lei, guardandomi. “Cosa ti ha fatto?” chiese Paris, incuriosita. “Mi ha definita un ostacolo fra lei ed Ethan.” Risposi, abbassando la testa. “Hai reagito?” chiese, sperando che le fornissi più dettagli. “No.” Dissi, mentendo a me stessa e fingendo una compostezza in realtà non provata. “Devo dirti una cosa.” Proruppe Nicole, alzandosi in piedi. Rimanendo immobile, la guardai, invitandola a continuare la frase lasciata in sospeso. “Sono qui da un anno, e so molto sul conto di Alexa. Non è innamorata di lui, ma ti vede come una rivale. Ethan ne ha passate tante, e anche ora non è al settimo cielo, ma fidati, e non demordere.” Disse, lasciandomi letteralmente senza parole. Dopo averla ascoltata parlare in religioso silenzio, posai il mio sguardo al panorama visibile appena fuori dalla finestra. Il sole è appena tramontato, e l’oscurità ha annerito il cielo. Sospirando, mi avvicino quindi al mio letto,  mi infilo il pigiama, e lascio che le mie calde coperte mi avvolgano, fungendo da scudo contro la mia stessa confusione mentale. Grazie alle mie amiche, ho capito che Ethan non è un ragazzo come gli altri, e che la sua vita è costellata di segreti e difficoltà. Ad ogni modo, non ho la minima idea di che giorno sarà domani, dato che uno degli stessi, ora non è più tale.
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo VII


Realtà strazianti


Un nuovo giorno è in procinto di iniziare, ed io mi sveglio lentamente da un sonno tormentato e privo di sogni. In questa radiosa mattinata estiva, le mie amiche hanno il volto illuminato da un sorriso, mentre io mi sento come se l’intero mondo fosse appena collassato, schiacciandomi inesorabilmente sotto il suo peso. Difatti, anche compiendo sforzi sovrumani, non avrei mai potuto immaginare il tipo di vita che Ethan è costretto a vivere, rimanendo a stretto contatto con la Delacour, con la quale, ha un legame di sangue. Ultimamente, seppur scaturendo da ragioni diverse, i nostri sentimenti sono davvero simili. Entrambi, proviamo infatti una tristezza quasi disarmante. Anche oggi, ho deciso di saltare la colazione, così da rimanere chiusa nella mia stanza e aver modo di riflettere. Ora come ora, sono pigramente seduta sul mio letto, e il mio computer giace sulle mie gambe, che non oso muovere per evitare che cada. Lo schermo emette una forte luce, e sembra che neppure la colorata immagine presente sullo stesso, riesca a migliorare il mio pessimo umore, strappandomi un sorriso. Il mio volto è ora cupo, e contratto in una smorfia dimostrante la mia tristezza. Visto il mio attuale stato d’animo, ho anche rinunciato ad aggiornare il mio blog, poiché sento di non avere neppure la forza di farlo. Sospirando, appoggio il portatile sulla scrivania, e raccogliendo tutto il mio coraggio, sguscio fuori dalla porta della stanza, dirigendomi lentamente verso quella di Ethan. So bene di stare inequivocabilmente contravvenendo al regolamento dettato dalla preside, ma ciò non mi tocca, poiché Ethan è davvero troppo importante per me. Un incontro puramente casuale ci ha avvicinato, e ha fatto sì che una splendida amicizia nascesse. Inoltre, malgrado il mio essere estremamente timida, tendo a formare legami molto solidi con le persone, arrivando grazie alla mia sensibilità, a capire come si sentono, e comportarmi di conseguenza. Per questa semplice ragione, ho deciso di raggiungere Ethan nella sua stanza, e provare a parlargli. Camminavo lentamente nel corridoio, e dopo pochi passi, raggiunsi la sua camera. Trovando la porta chiusa, decisi di bussare, e fui felice quando la stessa venne aperta da Ethan in persona. “Come ti senti?” gli chiesi, dopo averlo salutato. “Bene.” Si limitò a rispondere, fallendo nel misero tentativo di nascondere la sua evidente tristezza. Dopo alcuni secondi, lo vidi sedersi accanto al suo letto, e assumere un’espressione pensosa. Provando istintivamente pena per lui, mi sedetti al suo fianco, cingendogli un braccio attorno alle spalle. Ad ogni modo, il mio tentativo di confortarlo fallì, poiché lui si ritrasse inaspettatamente. Mi limitai quindi a guardarlo con occhi colmi di stupore, apparendo leggermente spaventata. “Scusa.” Mi disse, riavvicinandosi subito a me. “Mia madre ha scoperto tutto.” Aggiunse, guardandomi a sua volta negli occhi. A quelle parole, sussultai letteralmente. “E adesso?” chiesi, sperando che perdonasse la mia ignoranza. “Ho trasgredito le regole, e lei ha preso una decisione orribile. Lo ascoltavo parlare, senza neanche tentare di interromperlo, e invitandolo a continuare con leggeri movimenti del capo. “Secondo lei, c’è solo una cosa da fare.” aggiunse, facendomi gelare il sangue nelle vene. Mantenevo un religioso silenzio, attendendo pazientemente che completasse il suo discorso. “Andrò in Francia dai miei nonni.” Ammise, abbassando conseguentemente lo sguardo. “Ma è meraviglioso! Tu ami viaggiare!” risposi, mostrandogli tutta la mia felicità. “No, Esma. Se parto non tornerò più.” Disse, apparendo perfino più freddo della candida e luccicante neve dicembrina. Dopo aver ascoltato quelle parole, mi avvicinai quasi istintivamente, e lo strinse nel più forte degli abbracci. I pochi istanti che passai fra le sue braccia parvero positivamente infiniti, e per tale ragione, avrei davvero voluto che il tempo si fermasse. Purtroppo, anche questa mia preghiera venne tristemente ignorata, ed io non potei fare altro che arrendermi a tale evidenza. Colta da un momento di improvvisa ma motivata tristezza, mi rimisi lentamente in piedi, per poi dirigermi verso la porta della sua stanza, aprirla, e andar via, lasciando Ethan in compagnia della sua stessa e mera solitudine. Ogni mio passo era ora una sofferenza, che mi trovai ad ogni modo costretta a soffocare, non volendo apparire debole ai suoi occhi. Ad ogni modo, dopo un tempo letteralmente infinito, raggiunsi la mia stanza, e sedendomi sul letto, lasciai che tutto il mio dolore venisse lentamente trasferito all’interno del mio blog. Lo stesso, è una sorta di diario, letteralmente colmo di frasi che esprimono impeccabilmente i miei sentimenti. La notizia che ho appena ricevuto è davvero incredibile, poiché non avrei mai potuto pensare che la Delacour potesse essere capace di adottare misure così drastiche. A quanto sembra, il suo unico scopo è allontanare Ethan da me. Ad ogni modo, sembro non aver voce in capitolo, pertanto non posso in alcun modo impedirlo. Parlando con Ethan, ho scoperto che alla sua partenza mancano due mesi, e anche se questo lasso di tempo risulta essere relativamente lungo, non credo di poter in alcun modo sopportare il lento scorrere del tempo ben sapendo cosa mi aspetta. Concedendomi quindi qualche minuto per riflettere, sono giunta ad una singola e semplice conclusione. Sono ben consapevole di non poter fermare il tempo, ma so che la mia buona stella ha deposto un asso nella mia manica. Per questa ragione, ho deciso di passare ogni momento del mio tempo libero con lui, così da poter pensare ai giorni trascorsi al  suo fianco prima della sua imminente partenza. Ora come ora, non mi resta altro da fare che mantenere la calma, e accettare lentamente questa realtà così straziante.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo VIII


Le ragioni del cuore


Per opera di un semplice soffio di vento, un altro mese è stato portato via dalla mia vita, ed io non ho potuto avere reazione dissimile dal rimanere completamente immobile e in balia degli eventi. Inevitabilmente, il tempo che manca alla partenza di Ethan si sta riducendo, così come le mie possibilità di parlargli. Dopo il nefasto intervento di Alexa, io e lui non siamo neanche più autorizzati a scambiarci e-mail, consuetudine nata durante i miei primi mesi qui al campo estivo, e ora svanita come pioggia lentamente asciugata dal sole. Ad ogni modo, ho la mente occupata da un vago e positivo presentimento, secondo il quale, qualcosa oggi cambierà. Rimanendo fedele alla mia ormai schematica routine giornaliera, mi sono svegliata piena di energie, e dopo essermi accuratamente preparata indossando la mia divisa, ho avuto cura di raggiungere le mie amiche in sala da pranzo per la colazione. Animata da una felicità e una gioia mai provate prima, ho sceso ogni scalino a gran velocità, fino a raggiungere la mia destinazione. Subito dopo, mi sono messa a cercare le mie amiche, e non trovandole, ho deciso di accomodarmi ad un tavolo libero in fondo alla sala, consumando il mio pasto in un perfetto e religioso silenzio, rimanendo tuttavia facile preda degli sguardi della preside, impegnata nella sua nervosa ma consueta passeggiata all’interno della sala stessa. Senza proferire parola, tentavo di evitarla, sentendomi sollevata quando alla fine fu lei ad ignorarmi. Intanto, continuavo a guardarmi intorno, prefiggendomi un nuovo obiettivo, ossia quello di trovare Ethan. Ultimamente, ho avuto modo di pensare al diverbio che ha inasprito il nostro rapporto, e ho deciso di voler rimediare. Fortunatamente, i nostri sguardi si sono incrociati dopo pochi minuti, e lui mi si è subito avvicinato, scegliendo di sedersi accanto a me. “Scusami per ieri.” Esordì, guardandomi negli occhi. Concentrando il mio pensiero sul suo sguardo colmo di dolore e risentimento, non risposi, limitandomi a sorridere. “Va tutto bene. In fondo ho sbagliato anch’io.” Dissi, nel mero tentativo di alleviare i suoi sensi di colpa, che a mio dire, lo tormentavano letteralmente. Dopo aver sentito le mie parole, Ethan sorrise, sfiorandomi leggermente la mano. Le parole non gli servirono, poiché ora anche il suo sguardo era complice del messaggio che stavo ricevendo. Senza ombra di dubbio, voleva parlarmi, ed io accettai silenziosamente la sua muta proposta. Passai quindi il resto del tempo parlandogli, e scoprendo la miriade di aspetti che la mia vita ha in comune con la sua. Difatti, Ethan è un amante della tecnologia proprio come me, pur essendo largamente più esperto in materia. Ad ogni modo, subito dopo aver fatto colazione, mi assicurai di non allontanarmi da lui, lasciandomi pazientemente condurre nella sua stanza. Aspettando che aprisse la porta, mi scambiai con lui una veloce occhiata d’intesa, fantasticando in quel mentre sul tema della nostra imminente conversazione. “Siediti.” Chiese, indicandomi il suo letto. Rimanendo in silenzio, decisi di obbedire, vedendolo imitarmi qualche istante dopo. “Che succede?” domandai, aspettando silenziosamente una risposta. “Devi farmi una promessa, Esma.” Disse, guardandomi negli occhi. Disorientata dalle sue parole, lo guardai senza capire. In quel preciso istante, Ethan mi si avvicinò, prendendomi quindi per mano. “Promettimi che non mi dimenticherai.” Continuò, avvicinandosi ancora di più e stringendo le mie mani con forza ancora maggiore. Avevo ascoltato le sue parole in completo silenzio, e le stesse continuavano a confondermi. Sapevo che Ethan era in procinto di partire per la Francia, e che alla sua partenza ora mancava appena un mese, ma ad ogni modo, non riuscivo a capire perché mi avesse rivolte quelle parole così piene di significato. Ad ogni modo, incrociai nuovamente il suo sguardo, e abbracciandolo, realizzai il suo desiderio. Ora come ora, Ethan sapeva che il suo ricordo sarebbe rimasto per sempre impresso nella mia memoria, e che la distanza che avrebbe finito per separarci sarebbe stata unicamente materiale. Dopo alcuni secondi, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, ed io decisi di alzarmi in piedi, con la ferma e precisa intenzione di lasciare la sua stanza. Solo pochi passi mi separavano dalla porta chiusa, e il mio cammino venne bruscamente arrestato. Voltandomi, scoprii che Ethan mi aveva di nuovo preso per mano, e che ora mi aveva regalato un ampio e luminoso sorriso. Uscendo dalla sua camera, mi richiusi la porta alle spalle, per poi avviarmi verso il mio dormitorio. Lo raggiunsi in poco tempo, e non appena vi entrai, mi lasciai cadere sul letto, chiudendo gli occhi e lasciandomi travolgere da un turbine di pensieri. Ero di nuovo preda di un’indescrivibile confusione, a causa della quale, non riuscivo neppure a riflettere lucidamente. Sapevo bene che viaggiare e visitare ogni angolo del mondo era sempre stato uno dei sogni di Ethan, ma al contempo ero consapevole di ciò che sarebbe accaduto dopo la sua partenza. Sarei rimasta da sola, e mi sarei sentita incompleta. Per qualche ragione non riuscivo a decidere quale fosse la cosa migliore, così mi rilassai, scegliendo di dar retta alle ragioni del mio cuore. Compresi quindi che quella notte qualcosa sarebbe cambiato. Lasciandomi guidare dai miei sentimenti, al calar della sera lasciai il campo, scegliendo di scappare e rifugiarmi nel luogo più sicuro, ovvero la vicina chiesa. Fuori pioveva, ed io continuavo a correre, tenendo con me la mia borsa, all’interno della quale, stavolta custodivo un libro. Poco tempo dopo, raggiunsi la chiesa, e mi sedetti su una delle panche. Subito dopo, iniziai a pregare, sperando che quel fatidico giorno non arrivasse mai. Ogni mio intervento era risultato vano, e per tale ragione non mi restava altro che affidarmi ai consigli celesti. Pregai per ore, ma alla fine mi arresi, scivolando in un sonno profondo e stranamente tranquillo. Mi ero ormai arresa all’evidenza, ma non avevo alcuna intenzione di perdermi d’animo. Rimasi in quella chiesa fino al mattino seguente, e quando mi svegliai ritrovai il mio libro accanto a me, proprio dove lo avevo lasciato prima di addormentarmi. Ad ogni modo, un altro particolare aveva colpito e catturato la mia attenzione come un affamato leone farebbe con un’indifesa gazzella. Sia Ethan che le mie amiche stavano entrando. Ad essere sincera, ero alquanto sorpresa, ma decisi di non provare a nascondermi. In fin dei conti, ero rimasta fuori per una notte intera, e il fatto che mi stessero cercando, era perfettamente comprensibile. Ad ogni modo, il tombale silenzio presente nella chiesa si ruppe come vetro quando sentii Ethan chiamare il mio nome. Istintivamente, scattai in piedi come una molla, scegliendo quindi di avvicinarmi a lui. L’abbraccio che seguì quell’istante fu fortissimo. “Cosa ci fai qui?” chiese, apparendo evidentemente serio e preoccupato. “Non ce la facevo, Ethan. Non potevo vederti andar via così.” Risposi, sentendo le guance bruciare e gli occhi velarsi di lacrime. “Mi dispiace, ma il viaggio è stato anticipato.” Disse, facendo inconsapevolmente aumentare la mia tristezza. “A quando?” chiesi, guardandolo negli occhi. “Ad oggi.” Rispose, allontanandosi lentamente da me. “Mi dispiace tantissimo.” Aggiunse, dandomi le spalle e avviandosi verso l’uscita della chiesa. In quel momento, le mie emozioni ebbero la meglio su di me, rendendomi completamente cieca e incapace di rispondere delle mie azioni. Lasciandomi le mie amiche alle spalle, iniziai a correre, con l’intenzione di seguire Ethan. Non sapevo dove stesse andando, né quale fosse la sua destinazione, ma nonostante tutto continuai a seguirlo. Corsi inconsciamente per circa un chilometro, e mi fermai quasi contemporaneamente a lui. Avevamo entrambi appena raggiunto la stazione, e fu lì che decisi di fare ciò che avrei dovuto molto tempo prima. Mi avvicinai ad Ethan, e afferrandogli un braccio lo costrinsi a voltarsi. Lui mi guardò negli occhi, e in quel preciso istante vidi una lacrima rigargli il volto. Poco dopo sentii un fischio, e compresi che un treno stava per passare. Lo stesso arrestò la sua corsa, in modo che Ethan potesse lentamente salirvi. Mantenendo il silenzio, e con un nodo in gola, lo guardavo allontanarsi, restando allibita da ciò che vidi subito dopo. Con mia grande sorpresa, Ethan si voltò. “Ti amo, Esma.” Disse, stringendomi in un abbraccio e lasciando che un bacio coronasse quel momento. Quasi istintivamente, chiusi gli occhi. Avrei voluto rispondere, e dirgli che anche io lo amavo, ma per qualche strana ragione, scelsi di tacere. Per l’ennesima volta, dovetti tristemente arrendermi all’evidenza. Avevo provato con tutte le mie forze ad evitare il peggio, ma il dado era ormai tratto, ed io non avevo più modo di intervenire. Quel pomeriggio, tornai al campo estivo assieme a Paris e Nicole, le quali, avevano assistito all’intera scena. Entrambe, cercarono di consolarmi per tutta la durata del viaggio, pur non riuscendoci. Ad ogni modo, quando finalmente raggiunsi la mia stanza, mi chiusi a chiave, scegliendo di lenire il dolore che provavo nell’unico modo possibile. Decisi di rifugiarmi nuovamente nell’anonimato offertomi dal mio blog, unico posto al quale sapevo di poter accedere senza provare timore. Passai la lunga notte facendo scivolare lentamente le mie dita sulla tastiera del mio computer, finendo per addormentarmi davanti allo stesso. Appena un attimo prima di cadere nel sonno, mi concessi qualche secondo per riflettere, comprendendo di aver perso Ethan, ma di aver trovato qualcosa di davvero importante, ossia la verità. Finalmente ora sapevo che mi amava davvero, e se scoprirlo aveva questo prezzo, io l’avrei pagato, promettendo di rimanergli fedele fino al suo ritorno. Molti ragionano solo utilizzando la materia grigia, mentre io al contrario di quella gente, ho scelto di pensare seguendo le ragioni del cuore.
 
 
 


Capitolo IX


Il prosieguo della vita


Un’altra settimana passa lentamente, e parte di me sembra essere ormai sparita. Ora come ora, la mia tristezza è tale da aver fatto perdere importanza anche alle azioni più semplici e basilari. Affronto ogni giornata con il viso mesto e corrotto dal dolore. Paris e Nicole mi offrono un valido sostegno morale, che accetto rimanendo in silenzio. Il tempo scorre inevitabilmente, e i giorni sembrano letteralmente infiniti. Mi sveglio ogni mattina, e il mio umore non cambia. La monotonia che apprezzavo è ora divenuta odiosa, e nulla sembra valere alcuno sforzo. Secondo le mie amiche, dovrei imparare ad accettare l’assenza di Ethan, ma tutto ciò per me è impossibile. Insieme, io e lui abbiamo condiviso molte esperienze e momenti felici, e sapere che ora non possiamo più farlo, mi avvilisce. Ad ogni modo, ho deciso di provare a dar retta alle mie amiche, tentando di riaccendere il mio sorriso, ormai spento come la luce di una candela smorzata da un soffio di vento. Questa mattina mi sono svegliata, e ho raggiunto la sala da pranzo assieme a loro. Nella stessa, aleggiava la solita cupa e lugubre atmosfera degna di un cimitero, ma essendo pervasa da un grande ottimismo, decisi di ignorare tale dettaglio, consumando il mio pasto come di consueto e discutendo animatamente con le mie amiche. Ad ogni modo, pur provando a dimenticarlo, non riuscivo in alcun modo a smettere di pensare ad Ethan. Trovo incredibile il fatto che sia stato costretto ad andarsene e lasciarmi completamente da sola proprio dopo avermi dichiarato i suoi sentimenti. Rieccomi quindi nella posizione di stallo che non occupavo da lungo tempo. Continuavo a concentrare il mio pensiero e le mie energie su di lui, quando improvvisamente un rumore di passi mi distrasse, spezzando la mia concentrazione come una vecchia e arrugginita catena metallica. Con velocità inaudita, mi voltai verso la fonte di quel rumore, scoprendo che un ragazzo stava lentamente facendo il suo ingresso in sala da pranzo. Aveva i capelli rossi e gli occhi di un castano mai visto. I suoi comportamenti rispecchiavano alla perfezione quelli di Ethan. Difatti, anche lui scelse di sedersi in un tavolo in fondo alla sala, ed era così timido da non avere il coraggio di parlare con nessuno. Esisteva tuttavia un unico particolare che rendeva quel ragazzo dissimile da Ethan. Proprio come me, lui amava leggere, e per questa ragione portava sempre con sé un libro. Mi concessi alcuni secondi per guardarlo negli occhi, e notai che il testo che ora teneva sul tavolo, era caduto per terra. Il libro cadde con un tonfo, ma nessuno si degnò di raccoglierlo. Vedendo come le altre ragazze lo ignoravano, venni mossa a compassione, e decisi di alzarmi e aiutarlo. Raccolsi quindi quel tomo da terra, e procedetti a restituirglielo. Quando rialzai lo sguardo lui ne approfittò per ringraziarmi, ed io gli sorrisi. Dopo alcuni secondi, decise di presentarsi, dicendomi di chiamarsi Richard. Dopo avergli regalato un secondo sorriso, decisi di allontanarmi, tornando quindi a sedermi accanto alle mie amiche. “Sei stata gentile.” Disse Paris, guardandomi negli occhi. “Ti ringrazio.” Le risposi, rivolgendo nuovamente il mio sguardo verso Richard. Aveva appena finito di mangiare, ed era intento a leggere. Sembrava che la lettura stesse lentamente assorbendo tutte le sue energie, poiché nulla sembrava essere in grado di disturbarlo. Ad ogni modo, decise di alzare gli occhi dal suo libro per un singolo istante, unicamente per salutarmi. Ricambiai il suo gesto con un cenno della mano, e ciò che accadde poco dopo mi sconvolse. Richard aveva posato il suo libro sul tavolo, e si stava lentamente avvicinando a me. “Posso sedermi?” chiese, posando il suo sguardo su di me. “Certamente.” Risposi, avvicinandogli una sedia. Trovando il mio gesto davvero gentile, Richard non potè fare a meno di sorridere. Dopo alcuni secondi, Richard iniziò a pormi svariate domande, ma una in particolare catturò la mia attenzione. “Ti piaccio?” mi chiese, tacendo subito dopo. Continuando a guardarmi, attendeva una risposta, eppure io non riuscivo a dargliela. “Sei una bella persona. Risposi, sperando che la sua autostima non subisse un crollo pari a quello di un palazzo in via di demolizione. “Grazie.” Disse, mostrando un ampio sorriso. “Ci vediamo più tardi.” Aggiunse, alzandosi e tornando a sedersi al suo posto. Posando lentamente il mio sguardo su di lui, non risposi, limitandomi a salutarlo con un cenno della mano. Non appena Richard si fu allontanato, Nicole mi guardò negli occhi, indicando quindi Richard con un cenno del capo. “Ti piace, non è vero?” chiese, punzecchiandomi volutamente. “Sta zitta!” dissi, scoppiando a ridere e arrossendo. “A noi puoi dirlo.” Intervenne Paris, apparendo visibilmente seria e curiosa. “Credo di sì.” Risposi, abbassando conseguentemente la testa.” “Perché non gliel’hai detto?” chiese Nicole, con aria interrogativa. “Come avrei potuto?” risposi, ponendole una seconda domanda. “Hai ragione.” Proruppe Paris, decidendo di difendermi. A quelle parole, sorrisi, scegliendo di consumare la mia colazione così da poter tornare nella mia stanza. Vi arrivai in pochi minuti, e mi sedetti davanti al computer, sperando di aver ricevuto almeno un’e-mail da Ethan. Con mia grande sorpresa, ne notai una. Dopo quanto era successo con Richard, non avrei davvero voluto aprirla, ma venendo tradita dai miei sentimenti, ci cliccai sopra. La stessa, appariva come una sorta di lettera d’amore. Difatti, era composta da frasi che riflettevano i suoi sentimenti nei miei confronti. Lui mi amava davvero, ed io potevo esserne finalmente sicura. Ad essere sincera, anche se la sua partenza è avvenuta appena una settimana fa, Ethan mi manca tantissimo. La nostra relazione andava a gonfie vele, ma l’amaro destino ha giocato le sue carte, facendo in modo che la stessa prendesse una piega alquanto incerta. Ora come ora, mi trovo in una posizione di netto e totale stallo. È come se il mio cuore sia ora diviso in due. Da un lato c’è Ethan, il mio fidanzato, e dall’altro Richard, un ragazzo davvero gentile e premuroso nei miei confronti. Sono ben consapevole di dover trovare una soluzione, e a tale scopo ho deciso di prendermi del tempo solo per me, così da poter riuscire a riflettere tranquillamente. Per questa ragione, ho ripetuto le stesse azioni del passato, scegliendo di chiudermi a chiave nella mia stanza e avere la mia stessa solitudine come unica compagnia. Ho passato quindi l’intera notte a riflettere, ammirando il cielo stellato fuori dalla finestra. Per qualche strana ragione, un astro brillava più degli altri, e aveva per me un significato. Quella stessa e lucente stella, riportava alla mia mente il pensiero di Ethan. Guardando il cielo, iniziai un soliloquio colmo di realismo, secondo il quale, date i miei sentimenti per lui, non avrei mai potuto tradirlo. Mi svegliai la mattina dopo, cin un pensiero fisso nella mente. Dovevo assolutamente parlare con Richard, e dirgli tutta la verità su Ethan e me. Ad ogni modo, sapevo che non avrei potuto parlare di qualcosa di così importante di fronte alle altre collegiali, ragion per cui, decisi di condurlo nella mia stanza subito dopo la colazione. “Cosa devi dirmi?” chiese, dopo avermi raggiunta. “Richard, devi sapere una cosa.” Esordii, respirando quindi a fondo. “Io e te non possiamo stare insieme.” “Perché?” continuò, apparendo dubbioso e confuso. “Sono fidanzata.” Ammisi, guardandolo negli occhi. “Non posso starti lontano, Esma.” Disse, avvicinandosi subito a me. Rimanendo perfettamente immobile, non risposi, assistendo ad una scena che non dimenticherò mai. Richard fece qualche passo in avanti, e dopo avermi preso per mano, mi baciò. In quel preciso istante, non sapevo davvero in che modo reagire. Sapevo bene di non amarlo, ma per qualche strana ragione, non riuscivo a staccarmi da lui. Fu questione di pochi attimi, e una valanga di azione si susseguì. Nello spazio di un momento mi ritrovai sdraiata sul letto, con Richard che continuava a stringermi e baciarmi. In quel preciso istante, mi stava mostrando tutto il suo amore, ed io non sapevo cosa fare. Delle lacrime mi bagnavano il viso, poiché ero consapevole di stare tradendo il mio fidanzato, e al contempo sapevo di non poter controllare ciò che mi accadeva. Il tempo continuava a passare, ed io finii per passare un’intera notte con Richard. Non avevo idea di ciò che sarebbe accaduto con l’andar del tempo, ma ero sicura di una cosa. Il mio incontro con Richard aveva appena segnato il prosieguo della mia vita.
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo X


Eventi inaspettati


Tre lunghi mesi sono appena passati, sparendo dalla mia vita come nubi spazzate via dal vento che sibila come un serpente. Anche oggi, ho preso una decisione davvero importante, legata ad una mia recente scoperta. Difatti, ho finalmente trovato un nesso fra l’amore che Richard prova per me e la notte che abbiamo trascorso insieme. La stessa, ha infatti portato alla mia gravidanza. Avendo ormai compiuto vent’anni, dovrei essere felice riguardo alla mia condizione, ma stranamente non lo sono. La mia prossima mossa sarà quella di parlare con Richard, e comunicargli la lieta novella. Ho deciso di non poter aspettare, scegliendo oggi come giorno utile per farlo. Per tale ragione, ho di nuovo fatto in modo che lui mi raggiungesse nella mia stanza, approfittando di quel momento per dirglielo. Ad ogni modo, proprio oggi qualcosa è andato storto. È tutto cominciato questa mattina, durante la colazione. Stavo lentamente consumando il mio pasto, rimanendo inconsciamente intrappolata in una spirale di noia e consuetudine, quando ho iniziato a sentire dei forti dolori allo stomaco, a causa dei quali, sono stata costretta a correre in bagno. Una volta arrivata, ho finito per rimettere, rendendomi conseguentemente conto della mia condizione. Inizialmente, non ho voluto accettarlo, e continuavo a dirmi che non poteva essere vero, scoppiando a piangere e singhiozzare disperatamente. Ad ogni modo, proprio quando pensavo che non potesse esserci nulla di peggio, la nuda e cruda realtà si è presentata davanti a me. Quel che mi restava da fare, era raccogliere il mio coraggio, e informare Richard. A tale scopo, ho tentato più volte di rimanere da sola con lui, ma senza successo. Difatti, per qualche strana ragione, Richard sembrava distratto, e tentava in ogni modo di evitarmi. Il suo mutismo nei miei confronti mi insospettiva, e lo stesso mi portava a credere in una sua redenzione. Non potevo infatti fare a meno di pensare a cosa sarebbe potuto accadere con il passare del tempo, né a come avrebbe reagito alle mie parole. Decidendo quindi di non darmi per vinta, l’ho seguito mentre attraversava silenziosamente i corridoi del collegio, fino ad arrivare alla sua stanza. Evidentemente, Richard doveva non essersi accorto della mia presenza, poiché sussultò letteralmente non appena mi vide. “Cosa ci fai qui?” mi chiese, apparendo visibilmente dubbioso e al contempo preoccupato. “Dobbiamo parlare.” Gli dissi, tacendo subito dopo. Stranito dalle mie parole, Richard mi guardò negli occhi, invitandomi quindi a continuare. Proprio in quel momento, decisi di prolungare il mio silenzio. I comportamenti di Richard erano misteriosamente indecifrabili, ed io non avevo modo di prevedere la sua reazione. Tuttavia, compresi di non voler fargli perdere tempo prezioso, così inspirai a fondo, e glielo dissi. “Presto sarai padre.” ammisi, procedendo ad allontanarmi da lui. Dopo quelle parole, un enorme peso sembrò finalmente sparire dal mio cuore, ragion per cui, sorrisi debolmente, tornando a guardarlo negli occhi. “Dici davvero?” chiese, avvicinandosi lentamente ed evitando di staccare lo sguardo da me. Mantenendo il silenzio, mi limitai ad annuire, lasciandomi quindi sfuggire un secondo sorriso. “È meraviglioso.” Disse, abbracciandomi. Dopo aver osservato la sua reazione, rimasi letteralmente allibita. Non riuscivo infatti a credere a quanto stesse accadendo. Fino a quell’istante, credevo infatti che non avesse voluto restare al mio fianco, gettandomi via come un comune oggetto di cui disfarsi. Per mia fortuna, non è stato così. Difatti, ora davanti a me si schiariva un nuovo orizzonte, oltre il quale iniziava la mia storia con Richard. In questo preciso momento, non potrei essere più felice, comprendendo tuttavia di esserlo solo in parte. Difatti, anche se è passato del tempo, e la mia vita ha subito dei cambiamenti, dentro di me sento ancora di amare Ethan e so che quel che sta accadendo è una mera ingiustizia nei suoi confronti. Così, sentendomi letteralmente tradita dai miei stessi sentimenti, ora impegnati in un titanico ed impari scontro senza decifrabile fine, mi trovo a dover respirare a fondo, accettando quindi il lento prosieguo della mia vita e gli
inaspettati eventi che la stessa comporta.                                                                                          
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo XI


Normalità


Giorno dopo giorno, il tempo scorre, e non torna mai indietro, proprio come un instancabile viaggiatore, ansioso di raggiungere la sua meta. In religioso silenzio e immobilità statuaria, ho assistito al lento trascorrere di altre tre settimane. In questo seppur breve lasso di tempo, molte cose sono cambiate. Innanzitutto, sono giorni che per qualche strana ragione Alexa non si fa più viva, il che è davvero inspiegabile. Solitamente, rimaneva accanto alla Delacour per ore, seguendo ogni suo movimento e facendole praticamente da segretaria, ma di lei ora non c’è traccia nel collegio. Inoltre, sembra che qualcuno sia riuscito a installare un nuovo programma nel mio computer, e che lo stesso abbia finito per trasmettervi un virus. In circostanze normali, inizierei immediatamente a sospettare di Alexa, ma data la situazione, mi trovo costretta a dedurre che la colpa sia di qualcun altro. Ad ogni modo, nonostante la negatività che di questi tempi sembra letteralmente circondarmi, un motivato ottimismo mi porta a credere che qualcosa oggi risulterà essere completamente fuori dall’ordinario. Ora come ora, ho il viso pallido, e le palpebre pesanti, poiché la scorsa notte non sono riuscita a chiudere occhio. Difatti, ogni volta che mi addormentavo, finivo per avere una sorta di incubo riguardante Ethan. Inizialmente, non riuscivo a capirne il motivo, ma oggi credo di aver finalmente trovato la soluzione di questo complicato enigma. Lui mi manca molto, e il pensiero di averlo tradito mi fa stare davvero malissimo. So bene che non avrei mai dovuto farlo, e che è tutto accaduto a causa di uno stupido errore che avrei voluto evitare, ma sembra che il destino avesse altro in serbo per me. Ora come ora, rimanere ferma a rimuginare sul passato non mi servirebbe a nulla, ma comprendo di essere nuovamente finita in una posizione di stallo, ragion per cui, questa è l’unica delle mie possibilità. La solitudine che provo, mi ha portata a sviluppare delle nuove abitudini, che sfortunatamente non tutti riescono a comprendere. Da qualche giorno, infatti, controllo spesso il cellulare, tenendolo stretto in mano e sperando invano che squilli. Nella maggioranza dei casi, finisco per passare ore a fissarlo senza neppure accorgermene, rifiutando di accettare il fatto che nulla sarà più come prima. Le mie amiche continuano a consolarmi, ed io trovo davvero lodevoli i loro gesti, pur sapendo che il mero sostegno morale non riporterà indietro Ethan. La mia profonda tristezza, ha finito per trasformarsi in puro pessimismo, secondo il quale, la situazione continuerà a peggiorare. Con questo pensiero che vaga all’interno della mia mente, come una bianca nuvola sospinta dal vento, siedo sul letto nella mia stanza. Il mio cellulare giace sul comodino, poco lontano dalla scrivania, dove invece troneggia il mio portatile. Con il viso solcato da fredde lacrime e completamente nascosto dal cuscino, piango in silenzio, sperando di riuscire a rispondere ai richiami del sonno. La porta è chiusa a chiave, e nessuno può disturbarmi, ma improvvisamente il funereo silenzio presente nella mia stanza viene spezzato da una sorta di ronzio. Voltandomi verso la fonte di quel rumore, scopro che lo stesso proviene dal mio cellulare, che ora vibra incessantemente. Animata da un’inspiegabile curiosità, decido di prenderlo, e rispondere alla chiamata che il display segnala. Inconsciamente, esito nel farlo, ma agisco sapendo che a chiamarmi è Ethan. “Va tutto bene? Gli chiedo, non appena sento la sua voce. “Sì, sto bene.” Risponde, lasciandosi quindi sfuggire un risolino. “Ho buone notizie.” Aggiunge, in tono entusiastico. “Dimmi pure.” Lo esorto, chiedendogli di continuare. “Sto tornando da te.” Risponde, con un tono incapace di nascondere la sua immensa gioia a riguardo. “Quanto ti ci vorrà?” chiedo, ansiosa e preoccupata. “È questione di ore.” Risponde, concedendosi quindi una pausa dal discorrere. “Ti aspetterò” aggiungo, salutandolo e spegnendo il cellulare. In quel preciso momento, la gioia mi pervade, e mi abbandono ad un sorriso stendendomi sul letto. Rimango perfettamente immobile, e attendo. Un’ora passa velocemente, e vengo distratta da un rumore. Qualcuno sta bussando alla mia porta, ragion per cui, decido di alzarmi e aprirla. La stessa, si apre con un cigolio, e credo che la mia vista mi inganni. Non riesco a credere a quel che vedo, eppure realizzo che è la realtà. Ethan è proprio davanti a me, e mi stringe subito in un forte e romantico abbraccio. “Mi sei mancata.” Dice, regalandomi un sorriso e posando le sue labbra sulla mia fronte. “Anche tu.” Rispondo, stringendolo ancora più forte. “Che mi racconti?” chiede, sorridendomi. “Nulla.” Rispondo, guardandolo negli occhi. “È tutto tornato alla normalità.” Aggiungo, concludendo il mio discorso e sapendo di mentire.
 
 
 
 
 
 


 
 
 

Capitolo XII


Bugie intollerabili


Finalmente, dopo mesi di attesa, la mia vita sembra essere tornata alla normalità. Ogni singola tessera del mosaico che la compone ha finalmente trovato il suo posto, e tutto ciò che mi sta ora accadendo, lascia presagire che la positività dominerà ancora a lungo. Ethan è ora tornato dalla Francia, e siamo di nuovo insieme. Ad ogni modo, ho deciso di concedermi un attimo per guardarmi indietro e riflettere, comprendendo che parte del nostro rapporto si basa su una rete di bugie. Pensandoci, ora che è tornato non gli ho ancora rivelato nulla del mio passato con Richard, e vorrei davvero non farlo, ma capisco che se il nostro rapporto deve continuare, non può certamente reggersi sulle bugie e le falsità. Per questa ragione, ho deciso di provare a parlargli, e aprirmi come una porta su un mondo sconosciuto. Ad ogni modo, ho anche scelto di passare del tempo con le mie amiche, poiché da quando ho conosciuto Ethan, credo di averle in qualche modo escluse dalla mia vita, valorizzandone solo l’aspetto sentimentale. La nostra amicizia è davvero salda, e sono grata di averle conosciute. Paris e Nicole sono due ragazze stupende, e sapere che fanno parte ella mia vita mi rende davvero felice. Lentamente, mi sono alzata dal letto, scegliendo di attraversare gli ampi corridoi del collegio e cercarle. Non erano con me, ed io sentivo il bisogno di parlare con loro. Le mie ricerche si protrassero per alcuni minuti, allo scadere dei quali, le vidi entrambe uscire dall’ufficio della preside. “Cos’è successo?” chiesi, notando la mesta espressione dipinta sui loro volti. Nessuna delle due rispose, ed io mi limitai a seguirle fino al nostro dormitorio. Nicole scelse di parlarmi solo dopo esservi entrata. “Sto per andarmene.” Disse, singhiozzando e tentando di sciogliere il  nodo all’interno della sua gola, che le impediva di respirare. “Mi dispiace.” Risposi, avvicinandomi a lei e cingendole quindi un braccio intorno alle spalle. Andrò via fra una settimana.” Aggiunse, lasciando che un’amara lacrima le bagnasse il viso. Dopo quelle parole, Nicole tacque, e chiese espressamente di rimanere da sola. Paris ed io obbedimmo, uscendo quindi dalla stanza e richiudendo la porta alle nostre spalle. Quando arrivammo in corridoio, le nostre strade si divisero. Difatti, io andai subito a cercare Ethan, e lei si diresse nel grande e rigoglioso giardino situato dietro al collegio. Ad ogni modo, trovai Ethan completamente da solo nella sua stanza, e mi avvicinai per parlargli. Stranamente, anche lui mostrava una certa tristezza, e la stessa mi preoccupava non poco. “Stai bene?” gli chiesi, posando il mio attento sguardo su di lui. “No.” Rispose, dandomi le spalle. “Vuoi che ne parliamo?” continuai, sperando di aiutarlo a liberarsi dei grossi pesi emotivi che evidentemente trasportava. Alle mie parole,  Ethan sorrise, e si voltò nuovamente verso di me. “”Vedi, ho perso mio padre qualche anno fa, e mia madre sembra essere davvero provata dalla cosa. Era una donna gentile, ma il dolore l’ha corrotta.” Disse, sorprendendomi e facendo conseguentemente aumentare la mia preoccupazione. “Andrà tutto bene.” Lo rassicurai, abbracciandolo. “Anch’io ho qualcosa da dirti.” Aggiunsi, sperando nella positività della sua reazione. “Parla pure.” Disse, abbozzando stavolta un debole sorriso. “Sono incinta, ma il bambino non è tuo.” Confessai, vergognandomi come una ladra. “Cosa? E di chi è?” chiese, in evidente collera. “Non posso dirtelo.” Risposi, con voce tremante e rotta dall’emozione. Quelle tre semplici parole avevano appena aperto una voragine dentro di me, poiché un altro segreto si era insinuato fra le fessure e le crepe del nostro rapporto. Sapevo di amare Ethan con tutta me stessa, ma ero tuttavia consapevole di non poter continuare a mentirgli. ”È di Richard.” Continuai, abbassando conseguentemente il capo per la vergogna. In quel momento, sentii il mondo crollarmi addosso e schiacciarmi sotto il suo peso come un enorme macigno. Speravo segretamente che capisse e mi perdonasse, ma rimasi scioccata dalla risposta che mi diede alcuni istanti dopo. “Non crescerò un bambino che non è mio.” Disse, versando quindi del sale nella fresca ferita che intanto sentivo aprirsi nel mio cuore. Dopo le sue parole, mi arresi. Non riuscivo più a parlare, e non trovavo in me la forza di continuare quella discussione. Lasciai quindi la sua stanza sentendomi ferita e delusa, e avendo una singola e amara certezza, secondo la quale, il nostro rapporto si basava su una serie di bugie intollerabili.
 
 
   
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
Capitolo XIII


Gli sviluppi del dolore


Di giorno in giorno, il tempo passa, e le persone cambiano. Ognuna ha alle spalle una storia diversa, che giustifica il loro dolore e i loro trascorsi. Un altro mese è ormai giunto al termine, ed io sono in compagnia della mia stessa e amara solitudine. Dei profondi sospiri, segno della mia inequivocabile tristezza, sono ormai divenuti parte della mia quotidianità. Ora come ora, sono sola. Il dolore mi accompagna, e segretamente vorrei solo che sparisse. Sfortunatamente, la mia felicità è diventata invisibile, proprio come un nitido riflesso in uno specchio appannato dal vapor d’acqua. L’intera situazione mi sta cambiando, ragion per cui, ho deciso di prendere un’ardua e importante decisione. So bene di non poter tornare da Ethan, poiché il nostro rapporto si è ormai consumato come il più efferato dei crimini, e allo stesso modo non posso cercare conforto in Richard, poiché anche lui sembra essere sparito dal collegio. Intanto, il dolore mi cresce dentro, raggiungendo lentamente anche il mio giovane e fragile animo. Pigramente seduta sul letto nella mia stanza, fisso lo sguardo sulla porta, lasciandomi quindi andare ad un sospiro. Alzandomi in piedi, ammiro il mio riflesso nello specchio dell’armadio. I miei connotati non sono cambiati di una virgola, ma la mia persona ha subito un enorme cambiamento. Il dolore che provo, risulta per me essere venefico, e riflettendo, capisco che c’è un’unica cosa da fare. Non potendo sperare in alcuna forma di supporto morale, mi affido per l’ennesima volta al mio blog personale, accendendo il computer e iniziando a scrivere. Le parole si intrecciano lentamente fra loro, e per la prima volta dopo tanto tempo, provo una sensazione di indescrivibile sollievo. Ogni traccia del mio malessere sparisce lentamente, ed io ritrovo il coraggio di lasciare la mia stanza. Uscendone, incontro Paris, la quale, cerca in tutti i modi di evitare che io raggiunga la sala da pranzo. “Fammi passare.” Dico, aspettando che si sposti. “Non puoi.” Risponde. “È per il tuo bene.” Aggiunge, confondendomi. “Che vuoi dire?” le chiedo, sperando nella chiarezza di una sua prossima risposta. “C’è qualcosa che non dovresti vedere.” Dice, stimolando stavolta la mia curiosità. “Lasciami andare.” Continuo, spingendola leggermente così da poter avanzare. Lasciandomi Paris alle spalle, raggiungo le scale, scendendole con decisione. Non appena raggiunsi la mia destinazione, iniziai a guardarmi intorno, scoprendo qualcosa che mi lasciò letteralmente senza parlare. La scena alla quale ora assistevo, aveva dell’incredibile. Non avendo la forza di reagire o muovere un muscolo, rimasi immobile a guardare Richard baciare Alexa. In quel momento, potei sentire il mio cuore spezzarsi, e le lacrime inondarmi il viso come un fiume in piena. Finendo quindi nuovamente preda del mio dolore e della mia incredulità, decisi di scappare e tornare subito indietro. Le mie pupille erano offuscate dal pianto, ragion per cui, caddi una volta raggiunta la cima delle scale. Incurante del dolore, mi rialzai, entrando subito nella mia stanza. Una volta entrata, vidi Paris, che subito mi si avvicinò, tentando di confortarmi. Ritrovandomi incapace di rispondere delle mie azioni, l’allontanai, facendola barcollare. “Va tutto bene?” chiede, con voce calma ma al contempo preoccupata. “No.” Rispondo. “Nicole se n’è andata, Ethan mi ha lasciato, e Richard mi ha tradito!” finisco per urlare, senza rendermene conto. Posando il mio sguardo su Paris, noto che ha abbassato il capo, e che appare offesa. In quell’istante, torno ad essere me stessa, e procedo a scusarmi. “Non devi.” Risponde, alzandosi lentamente dal letto dove era seduta. “Se non ti spiace, ti lascerò da sola, in compagnia del tuo dolore.” Queste le ultime parole che mi rivolse appena prima di lasciare la stanza, richiudendo la porta alle sue spalle. La stessa, si chiuse con uno scatto, ed io mi ritrovai in completa solitudine. Mi concessi del tempo per pensare, concludendo che Paris aveva ragione, e che avevo allontanato da me l’unica persona che avesse cercato di aiutarmi. Mi sentivo una persona orribile, ma sapendo che non c’era nulla da fare per cancellare le mie azioni, accettai quella situazione, scegliendo di tacere, osservando quindi lo sviluppo del mio dolore.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XIV


Il coraggio ed il perdono


Il tempo non cessa di scorrere, portandosi via giorni, mesi ed anni. Un’intera settimana è appena trascorsa, ed io continuo a crogiolarmi nel mio infinito dolore. Quest’oggi, ho tuttavia deciso di armarmi di coraggio, e prendere un’ennesima ma importante decisione. Il mio rapporto con Ethan si è incrinato quando ha scoperto del mio tradimento, e vorrei davvero che in cuor suo riesca a perdonarmi. Riflettendo, ho capito di aver commesso degli errori, ai quali voglio rimediare. Ora come ora, siedo pigramente dietro alla mia scrivania e navigo in rete, nel mero tentativo di sconfiggere la noia che riempie le mie giornate. Poco tempo dopo, decido di uscire dalla mia stanza, dirigendomi quindi verso l’ufficio della preside. Lo stesso, è un luogo al quale non accedo sovente, ma è ora l’unico posto in cui posso recarmi per un consiglio. Mi avvicino lentamente alla porta, abbassando lentamente la maniglia ed entrandovi. “Signorina Davis! Cosa la porta qui da me?” chiese la preside, apparendo visibilmente sorpresa. “Sono qui per un consiglio.” Risposi, con un tono che lasciava trasparire la mia educazione. “Riguardo a cosa?” continuò la Delacour, ora incuriosita dalla mia richiesta. “Alla mia salute.” Ammisi, provando una leggera vergogna. “Mi segua.” Disse, ritornando seria. Silenziosa come un topo che si aggira furtivo in un’abitazione, annuii, iniziando a seguire i suoi passi. Lentamente, mi condusse nell’infermeria del collegio, dove mi lasciò subito dopo avermi affidata alle cure di una dottoressa. “La aiuti in ogni modo possibile.” La ammonì, prima di andarsene richiudendosi la porta alle spalle. Mi sedetti occupando una sedia vuota accanto alla scrivania della dottoressa, e subito dopo arrossii leggermente. Mi vergognavo come una ladra, ma al contempo sapevo che la decisione che stavo per prendere era la migliore. Dopo aver preso un profondo respiro e deglutito sonoramente, decisi di parlare, confessando tutto. “Vorrei abortire.” Dissi, abbassando il capo per la vergogna e lo spavento. “Dici sul serio?” chiese la dottoressa, in tono confidenziale.” In quel momento, mi limitai ad annuire, pregandola quindi di aiutarmi. “Sdraiati.” Disse, indicando un lettino posto appena dietro di me. Senza proferire parola, decisi di obbedire, assumendo la più comoda delle posizioni. Aspettai quindi le istruzioni dell’infermiera, così da capire quale fosse il prossimo passo da compiere. “Sta ferma e respira normalmente.” Continuò, appoggiandomi una mascherina sul volto. Fu quindi questione di pochi minuti, e finii per cedere all’effetto dell’anestesia. Mi svegliai dopo circa un’ora, rimanendo positivamente colpita dalle parole della dottoressa.  “È tutto finito.” Disse, sorridendomi. “Puoi tornare nel tuo dormitorio, informerò io la preside.” Continuò, accompagnandomi alla porta. L’ultima frase che pronunciò mi fece letteralmente rabbrividire. Non potevo assolutamente lasciare che la Delacour scoprisse tutto, ragion per cui, tentai più volte di impedirlo. “Lo farò io.” Continuavo a ripetere, nella speranza di essere ascoltata. Andai avanti con tale assurda preghiera per interi minuti, e finalmente vidi la dottoressa desistere. Lasciai quindi il suo studio, dirigendomi verso la mia stanza. Durante il cammino, vidi Ethan. Si aggirava guardingo per i corridoi, e non appena mi vide, mi salutò. “Ti stavo cercando.” Disse. A quelle parole, sorrisi spontaneamente, guardandolo negli occhi, che ora brillavano per la contentezza. “Possiamo parlare?” chiese, mostrandosi leggermente intimorito. “Certamente.” Risposi, annuendo e regalandogli un secondo sorriso. Subito dopo, Ethan mi prese per mano, e mi condusse nella sua stanza. Ad essere sincera, avevo altri piani per quel pomeriggio, ma decisi comunque di non ribellarmi, seguendolo senza fiatare. Quando arrivammo, mi fece sedere sul letto, imitandomi dopo qualche secondo. Fu questione di un attimo, e le nostre mani si unirono. Ci guardammo negli occhi, e la solennità di quel momento fu coronata da un bacio. Era passato del tempo dall’ultima volta in cui Ethan aveva mostrato questo tipo di comportamenti nei miei confronti, ed ero felice, ma anche timorosa. Dopotutto, ci eravamo lasciati, ed ero certa che nutrisse ancora dell’astio nei miei riguardi. Ad ogni modo, non riuscii ad oppormi a quanto stava accadendo, e lasciai quindi che i miei sentimenti per lui avessero la meglio su di me. Il nostro amore prevalse, e presto calò la sera. La luce della splendida luna illuminava i nostri caldi corpi, e sembrava che nulla potesse distrarci dal nostro amore. Ethan ed io eravamo finalmente insieme, e il silenzio, spezzato solo dal ritmico battito dei nostri cuori, regnava attorno a noi. Dopo alcuni minuti, ci lasciammo completamente andare, crollando spossati sul letto, l’uno fra le braccia dell’altra. Quella magica notte era stata meravigliosa, e un senso di sicurezza si faceva strada nel mio cuore. Avevo finalmente compreso la realtà e i suoi valori, fra cui l’importanza del coraggio e del perdono.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo XV


Falsa gentilezza


Come tutti sanno, io sono una ragazza semplice e gentile, che di tanto in tanto si stacca dalla realtà che vive, per poi abbandonarsi a tutta una serie di ragionamenti colmi di verità e filosofia. Secondo il mio pensiero, i cambiamenti e le novità sono quanto di più spaventoso possa esistere, poiché entrambi sono imprevedibili. Si crede di essere padroni indiscussi della propria vita, ma è solo ad un certo punto della stessa che si impara la verità. La vita, così come i momenti che la compongono, è mutevole, e potrebbe da un momento all’altro sfuggirci di mano, come una scivolosa saponetta. Per nostra mera fortuna, c’è un’unica strada da percorre per evitare che questo accada, ossia quello che porta all’esperienza. È solo vivendo che si apprende e si discerne il bene dal male. Le incertezze e le paure sono poi le peggiori nemiche, ed io non potrei che definire vero tale concetto, dando ragione alla mia voce interiore, che ho purtroppo fino ad ora deciso di nascondere ed ignorare, proprio come una vecchia ma tuttavia affascinante leggenda metropolitana. Altri cinque mesi sono passati, e alcune orribili giornate si sono fatte strada nella mia vita, finendo per sconvolgerla completamente. Credevo che finalmente il mio dolore avesse conosciuto la parola fine, ma tale convinzione non è evidentemente bastata a far sì che il mio desiderio si avverasse. È forse incredibile per me da dire, ma temo che la giornata odierna non sarà in alcun modo diversa da quelle appena trascorse. Ciclicamente, tutto si ripete, così come la mia ormai monotona routine giornaliera. Nel mero tentativo di differenziarla, ho deciso di concedermi la libertà di far colazione nel giardino del collegio. In fin dei conti, è primavera, e con il sole splendente e i fiori profumati proprio fuori dalla mia finestra, rimanere al chiuso sarebbe un vero peccato. Con quest’ottimistico pensiero in mente, mi avvio verso la mia destinazione, scoprendo al mio arrivo che molte altre collegiali hanno avuto la mia stessa idea. Tra le tante, riconosco quasi subito Paris, e mi avvicino così da sedermi accanto a lei. La stessa, accetta di buon grado la mia compagnia, e ride alle mie battute mentre consuma, assaporandone ogni boccone, il suo pasto. Quasi a volerla imitare, faccio lo stesso, seppur approfittandone per guardarmi attorno. Seduta su una panchina poco lontano da me, c’è Alexa, che ha gli occhi fissi su un libro, probabilmente ricevuto in prestito da Richard. Pur guardandola, non oso disturbare la sua lettura, poiché la considero una scortesia, o un gesto che ad ogni modo non gradirebbe. Improvvisamente, un acuto dolore allo stomaco mi costringe a rientrare, e a correre per i corridoi fino a raggiungere il bagno. Una volta arrivata, mi guardo subito allo specchio, notando un dettaglio a cui non avevo mai dato peso. Sembravo essere visibilmente ingrassata, e il mio stomaco continuava a protestare. Fortunatamente, il dolore non aumentava, ma era nel frattempo divenuto fastidioso. Tentavo di ignorarlo, ma fallivo miseramente. Intanto, i minuti passavano, ed io stavo sempre peggio. Rimasi quindi chiusa in quel bagno per un’intera ora, continuando a lamentarmi per il dolore. Pochi minuti dopo, finii per rimettere, e solo in quel momento mi resi conto della gravità della situazione. In qualche modo, doveva essere tutto collegato alla notte trascorsa con Ethan, e dopo quanto era accaduto, ne avevo la certezza. Chiamando quindi a raccolta le mie forze, e sforzandomi di assumere un’aria calma e noncurante, tornai in giardino, e mi misi subito sulle tracce di Ethan poiché dovevamo assolutamente parlare. Ignorai completamente la mia amica Paris, venendo tuttavia fermata da Alexa. La stessa, in uno slancio di generosità, si mostrò gentile, e mi salutò. Subito dopo, mi chiese se avessi voluto passare del tempo con lei. Visti i miei trascorsi, accettai con riluttanza, parlandole e discutendo animatamente. Poco tempo dopo, Alexa mi propose di scattarci una foto insieme. Stringendomi nelle spalle, accettai la sua proposta e la lasciai fare, vedendola prendere in mano il suo cellulare e scattare quella foto. Subito dopo, la salutai frettolosamente, ricominciando quindi a cercare Ethan. Lo trovai dopo alcuni minuti, notando che sedeva su una panchina accanto a Richard. Mantenendo il silenzio, gli tendo una mano così da aiutarlo ad alzarsi, e lo conduco di nuovo all’interno del collegio. “Dove mi porti? Chiede, spaesato e confuso. “Nella mia stanza.” Rispondo. “Dobbiamo parlare.” Aggiungo, facendomi seria. Dopo alcuni minuti raggiungiamo la mia stanza, ed io mi richiudo la porta alle spalle, assicurandomi previamente di non essere seguita. “Che hai da dirmi stavolta?” chiede, apparendo dubbioso. “Ethan, prometti di mantenere la calma.” Pregai, prima di ricominciare a parlare. Dopo aver ascoltato le mie parole, Ethan annuì, infondendomi sicurezza. “Io ti amo con tutta me stessa, e so che forse non mi crederai, ma… sono incinta.” Confessai, avvicinandomi conseguentemente a lui. “Sei seria? È la miglior notizia che abbia mai ricevuto!” Disse, finendo per divenire preda delle sue stesse emozioni. In quel momento, un copione sembrò ripetersi, e ci baciammo. Pochi istanti dopo, Ethan si sedette sul letto, prendendomi letteralmente in braccio. La mia felicità era incontenibile, e la mia immaginazione aveva ora tutto lo spazio possibile. Mi persi letteralmente negli occhi di Ethan, venendo distratta da un suono proveniente dal mio computer. Lo stesso, è segno che la batteria sta per scaricarsi, ragion per cui, lo metto subito in carica. Mentre sono nell’atto di farlo, apro accidentalmente una nuova pagina del mio blog, scoprendo che contiene un link mai visitato. Spinta dalla curiosità, ci clicco sopra, e rimango letteralmente senza parole. Scopro infatti, che il nostro collegio ha un sito internet dedicato, e che su una delle pagine web che lo componeva, era stato scritto un articolo che non lessi, poiché avevo posato lo sguardo su una foto presente su quella stessa pagina. Guardandola, scoprii che era la fotografia che Alexa mi aveva scattato, e che era differente a causa di un singolo ma importante particolare. Difatti, il mio ventre ormai gonfio si notava alla perfezione, rivelando la condizione che avrei voluto in ogni modo tenere nascosta. Improvvisamente, vidi Ethan avvicinarsi, e abbassai subito lo schermo del computer, chiudendo quindi la pagina web. Non riuscivo a credere a ciò che avevo appena visto. I miei occhi erano sbarrati e colmi di terrore. “Che ti succede?” chiese, guardandomi negli occhi. “Niente.” Dissi, minimizzando l’accaduto. “Dimmi la verità.” Continuò, stringendomi le mani. “Alexa.” Quel nome fu l’unica parola che riuscii a pronunciare. La rabbia che provavo mi aveva fatto scivolare nel mutismo, a causa del quale, non riuscii a dire altro. Ethan mi guardò senza capire, e io decisi che le mie azioni avrebbero parlato per me. Avvicinandomi quindi al mio portatile, riaprii quella pagina web, mostrandogli la foto. “Credi che sia stata lei?” chiese, spostando il suo sguardo su di me. “Assolutamente.” Risposi.” “Deve essere stata lei, mi odia dal giorno in cui mi ha vista, e io non la sopporto.” Continuai, sentendo un motivato astio crescermi dentro. “C’è solo una cosa da fare.” Continuai, mostrandomi seria. In quel momento, Ethan tornò a guardarmi, facendomi notare tutta la sua preoccupazione. Si aspettava una mia evidente risposta, ma io rinunciai ad accontentarlo. Avevo le idee chiare, ma sapevo che le mie intenzioni lo avrebbero distrutto.  Per tale ragione, tacqui, rimanendo al suo fianco e pensando ad Alexa. In quel momento, pensavo a lei e alla sua falsa gentilezza.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo XVI


Errori e decisioni


Lo splendere del sole da inizio ad una nuova e magnifica giornata. Finalmente tutto mi appare più chiaro, l’intero mondo sembra sorridermi. Ad ogni modo, credo ancora che la vita qui in collegio continuerà a riservarmi delle sorprese. Difatti, c’è la possibilità che la Delacour abbia scoperto quanto accaduto nei mesi scorsi, e questo non fa che avvilirmi. Per mia fortuna, Ethan ha promesso di starmi vicino in ogni occasione, e tale situazione si traduce in qualcosa di positivo per una ragazza come me. Sin da stamattina, la Delacour mi sembra davvero nervosa ed irrequieta, segno che lasciarla in pace e stare fuori dai guai è la cosa migliore. Il mio innato spirito di osservazione, mi ha permesso di individuare quei segnali nei comportamenti della preside senza che lei se ne accorgesse. La stessa, non ha staccato il suo sguardo da me per l’intera mattinata. Ad ogni modo, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a capirne il perché. Tentando di ignorarla, consumo il mio pasto come ogni mattina, e quando finalmente ho il permesso di alzarmi, non me lo faccio ripetere, abbandonando il posto che occupavo fino a poco tempo prima. Iniziando quindi a seguire la mia amica Paris, mi dirigo verso il mio dormitorio. In questo momento, vedo ogni passo come una salvezza dalle grinfie della preside. Il mio cammino viene tuttavia arrestato dalla Delacour in persona, la quale, prendendomi per un braccio, mi conduce in cima alle scale, per poi portarmi nel suo ufficio. “Io e lei dobbiamo parlare, signorina.” Esordisce, in tono serio e con l’occhio invelenito. Limitandomi ad ascoltare ciò che ha da dirmi, non oso proferire parola, sapendo che farlo sarebbe solo un modo per adirarla ulteriormente. Come ben sa, lei ha trasgredito le regole di questo collegio numerose volte, e per tale motivo, non mi resta che espellerla. “Quelle parole mi colpirono. Non riuscivo a credere a ciò che avevo appena sentito, ma sapevo che corrispondeva alla verità. Abbassando quindi il capo in segno di rispetto, annuii, alzandomi in piedi e lasciando il suo ufficio. Richiusi lentamente la porta, e mi diressi verso la mia stanza. Non appena vi entrai, ripresi la mia valigia dall’armadio, e dopo averla appoggiata sul letto, cominciai a riporvi le mie cose. Ogni oggetto che conservavo sembrava scomparire al suo interno, quasi come se finisse in una sorta di buco nero. Sospirando, richiusi la valigia, e afferrandola, mi avvicinai alla porta della mia stanza, ero sul punto di aprirla e uscire, ma venni letteralmente preceduta. Alzando lo sguardo, vidi Ethan di fronte a me. “Che stai facendo?” chiese, con aria interrogativa. “Devo andarmene. Ordini di tua madre.” Risposi, sperando di essere stata chiara ed esauriente. “Non puoi andartene.” Rispose, prendendomi le mani e stringendole come non aveva mai fatto prima. “Parlerò io con mia madre, ora vieni con me.” Aggiunse, conducendomi nuovamente nell’ufficio della preside, che ora aveva il volto scuro, segno evidente della sua immensa collera nei miei riguardi. Ethan varcò lentamente la porta, chiedendomi di non seguirlo. Obbedendogli, rimasi dietro di lui, sperando di carpire i dettagli della loro conversazione. Sfortunatamente, non capii molto di ciò che si dissero, ma notai con piacere che Ethan pronunciava diverse volte il mio nome. Aveva evidentemente scelto di prendere le mie difese, ed io trovavo il suo gesto davvero lodevole. I minuti scorrevano, e sembravano ore. Quando finalmente Ethan uscì da quell’ufficio, non potei evitare di porgli la più ovvia delle domande. “Com’è andata?” gli chiesi, aspettando una sua risposta. “Male.” Rispose, abbassando il capo. Provando istintivamente pena per lui, gli cinsi un braccio intorno alle spalle, guidandolo di nuovo all’interno della mia stanza. Quando vi giunsi, ripresi in mano la mia valigia, con la ferma intenzione di seguire gli ordini della preside e andarmene senza fare più ritorno. “Mi dispiace.” Dissi, allontanandomi da Ethan e dirigendomi verso l’uscita del collegio. Vi ero quasi arrivata, ma mi fermai per un attimo, decidendo di voltarmi. “Aspetta!” urlò Ethan, guardandomi negli occhi, ora offuscati dalle lacrime proprio come i suoi. Proprio in quel momento, mi immobilizzai, vedendolo correre verso di me. Quando mi ebbe raggiunta, mi abbracciò, procedendo a posare le sue labbra sulle mie. Accettai quel bacio mostrandogli tutto il mio amore, e lasciando che Ethan mi stringesse a sé. “Verrò con te.” Mi disse, facendo suonare quella frase come una solenne promessa. “E tua madre?” chiesi, dubbiosa. “Ho pensato a tutto.” Concluse, chiedendomi conseguentemente di aspettarlo. In quel momento, mi limitai ad annuire, vedendolo sparire nel corridoio per alcuni minuti. Allo scadere degli stessi, lo vidi tornare, notando che anche lui ora portava con sé una valigia. Ci dirigemmo quindi insieme verso l’uscita del collegio, rimanendo per tutto il tempo l’uno accanto all’altra. Mentre camminavamo, gli chiesi di nuovo di sua madre, sperando di non essere troppo indiscreta. “Le ho scritto una lettera.” Rispose, guardandomi negli occhi. Nel mero tentativo di tirarlo su di morale, abbozzai un lieve sorriso, da lui fortunatamente presto ricambiato. “Ora che faremo?” chiese, apparendo visibilmente preoccupato sia per me che per sé stesso. “Sta tranquillo, ho un piano.” dissi, sorridendogli nuovamente. Ripresi quindi a camminare, non accennando a fermarmi per alcun motivo. Dopo circa un’ora di cammino, raggiunsi la mia amata casa, e bussai alla porta, venendo accolta da mia madre. “Esma! Che cosa ci fai qui?” “Sono stata espulsa.” Confessai, entrando in casa e sedendomi sul divano. Poco tempo dopo, vidi Ethan imitarmi, e sedersi proprio accanto a me. “Chi è quel ragazzo?” chiese mio padre, confuso e sorpreso. “Lui è Ethan. Il ragazzo di cui vi ho parlato.” Ammisi, dicendo esclusivamente la pura verità. “C’è qualcos’altro che vorresti dirci?” proruppe mia madre, in tono sarcasticamente dubbioso. Mantenendo il silenzio, notai che non staccava gli occhi dal mio ventre, ormai gonfio per via della mia condizione, che ora non poteva più essere celata in alcun modo. “Presto sarete nonni.” Dissi, sorridendo e sperando che non si arrabbiassero. “Esma Davis! Dove abbiamo sbagliato nel crescerti?” tuonò mio padre, in evidente collera. “Non è colpa sua signore, ma in parte mia.” Disse Ethan, prendendo nuovamente le mie difese. “Lodevole da parte tua difendere nostra figlia.” Continuò mia madre, ora più calma e forse ammansita dalle parole del mio fidanzato. “Il vostro amore si nota davvero, e per questo motivo io e tuo padre abbiamo una sorpresa per te.” Concluse, rivolgendosi a me. “Cosa volete dire?” chiesi, spinta dalla curiosità. “Potrete restare.” Disse mio padre, in tono entusiastico. In quel momento, sentii il mio cuore gonfiarsi di gioia, e mi alzai per abbracciare i miei genitori. Non appena mi sciolsi dal loro abbraccio, anche Ethan ne approfittò per ringraziarli. Ad ogni modo, qualcosa mi diceva che le sorprese non erano finite, e che avrei presto assistito a dei cambiamenti. Al calar della sera, Ethan ed io ci ritirammo nella mia stanza dopo aver cenato, addormentandoci l’uno al fianco dell’altra. Poco prima di addormentarmi, sorrisi ripensando a quanto era appena accaduto. Avevo sperato nella clemenza dei miei genitori, e l’avevo ottenuta, poiché loro stessi avevano compreso la mia responsabilità riguardo ai miei errori e alle mie decisioni.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 


Capitolo XVII


Libertà di vivere


I giorni passano, scorrendo con una lentezza pari a quella della chiara acqua di un fiume. Un mese è appena giunto al termine, lasciando il posto all’inizio del seguente. Da qualche tempo a questa parte, sono tornata a casa dopo essere stata espulsa dal collegio che frequentavo. Visti i suoi sentimenti per me, Ethan ha deciso di seguirmi, disobbedendo alla madre e trasferendosi a casa mia. Per nostra fortuna, i miei genitori hanno anche accettato la mia gravidanza, e malgrado l’iniziale rabbia a riguardo, ora sono davvero entusiasti all’idea di diventare nonni. Gli stessi, dicono che dovrei farmi visitare da un dottore, così da avere notizie sulla salute del bambino, e anche se inizialmente preferivo non farlo, Ethan mi ha convinta. Mi sono quindi fatta accompagnare nello studio del nostro medico di famiglia, chiedendo di essere visitata. Notando la mia ormai evidente condizione, il medico ordinò un’ecografia, alla quale mi sottoposi senza protestare. Posando il mio sguardo sui risultati dell’ ecografia stessa, rimasi letteralmente allibita. Ero talmente felice da non credere a ciò che stavo vedendo. Ethan era al mio fianco, così come tutta la mia famiglia, che non esitò a regalarmi tutto il suo affetto dopo la notizia che avevo appreso. Con mia somma gioia, infatti, scoprii di portare in grembo un maschietto, che era fortunatamente il ritratto della salute. Difatti, dato l’enorme stress a cui il mio corpo è stato sottoposto fino ad ora, ho sempre pensato che la salute del bambino ne avrebbe risentito. Non appena tornammo a casa, mia madre appese un bellissimo fiocco azzurro alla porta. Quel fiocco, simboleggiava l’imminente arrivo in famiglia del nuovo nato, che avrei amato incondizionatamente. Secondo i referti medici, dei quali mi fido ciecamente, alla fatidica data manca appena un mese. Per tale ragione, Ethan ed io siamo davvero felicissimi. In tutto questo tempo, il nostro rapporto è stato condizionato da migliaia di insidie e difficoltà, ed ha anche rischiato di finire in più di un occasione. Difatti, durante il cammino che ha portato al nostro amore, abbiamo attraversato molteplici momenti bui e avversità, rappresentate anche dalla nostra vita in collegio. Ora che finalmente ne siamo usciti, seppur per motivi diversi, ogni cosa sembra essere tornata alla normalità. Il dolore che entrambi provavamo è finalmente scomparso e sta per essere soppiantato dalla felicità portata dal bambino che ora porto in grembo. Quella dolce creatura né è completamente all’oscuro, ma sarà parte integrante della nostra vita, e fonte principale della nostra felicità. Finalmente abbiamo entrambi smesso di soffrire, conoscendo una nuova gamma di emozioni positive, come l’amore che ci ha uniti e non ci ha permesso di separarci. Io e lui possiamo finalmente dirci liberi dalle ingiustizie, dal dolore e dalle difficoltà. Ora come ora, la strada per noi sembra essere completamente in discesa. Siamo consapevoli di aver conquistato la nostra libertà, paragonabile al silenzioso volo di una bianca e candida colomba. Siamo entrambi liberi di scegliere, pensare, agire e soprattutto, di esprimerci ed amare. Ci sentiamo entrambi capaci di qualunque cosa, ma quel che ai nostri occhi è maggiormente importante, è che ora siamo finalmente liberi di vivere e amare. Tale libertà ci era sempre stata negata, e sapere di averla finalmente conquistata, proprio come un terreno sconosciuto ed inesplorato, ci rende gioiosi e felici di essere vivi. Sappiamo bene quanto la vita stessa sia importante, ma i piccoli gesti che la compongono e caratterizzano, acquisiscono un’importanza ancora maggiore quando fra gli stessi, figurano anche i propri diritti, fra cui la libertà alla vita e all’amore.
 
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XVIII


Vette e traguardi


A volte, durante la vita, ci si sente come schiacciati da un grosso peso, e per quanto si prova, non si riesce a levarselo di dosso. Ethan ed io abbiamo ormai fortunatamente superato un periodo difficile, e possiamo dirci davvero felici, poiché quello odierno non è affatto un giorno come gli altri. Difatti, proprio oggi io e lui abbiamo accolto il piccolo Joshua nella nostra famiglia. Non appena l’ho visto, e ho avuto l’occasione di tenerlo fra le mie braccia, non ho potuto fare a meno di iniziare a piangere per la contentezza. Ad ogni modo, credo che qualcosa non vada in lui. Fortunatamente, è il ritratto della salute, ma non reagisce al dolore o agli stimoli con il pianto. Per questo motivo, sia io che Ethan siamo costretti a restare accanto alla sua culla per ore intere, controllandolo assiduamente. Ad ogni modo, so bene che il tempo continuerà a passare senza mai fermarsi, e spero che continuerà a regalarci infinite gioie. Come ripeto, un periodo della mia vita è stato buio come la notte, ma finalmente il cielo sembra essersi schiarito, e la luce ha ricominciato a predominare sulle mie giornate. Ora che il nostro piccolo Joshua ha fatto il suo ingresso nel mondo, noi due non potremmo essere più felici. Visti i nostri trascorsi, questo bambino è per noi una sorta di miracolo. Pensandoci, e concedendomi del tempo per riflettere, non avrei mai creduto di riuscire ad arrivare dove sono oggi, eppure è davvero successo. Alcune volte, mi chiedo se il destino di ognuno di noi non sia scritto nelle stelle. Forse Ethan ed io eravamo letteralmente destinati ad incontrarci, e le difficoltà che abbiamo superato rimanendo sempre l’uno al fianco dell’altra, erano forse delle ardue sfide che la vita ha deciso di proporci, per testare la nostra forza d’animo. Personalmente, non ho mai creduto di essere poi così bella o intelligente. Sapevo solo di piacermi per quella che ero, considerandomi semplice e gentile. Evidentemente, Ethan ha intravisto in me delle qualità che lo hanno portato ad innamorarsi di me. Ricordo ancora il giorno in cui l’ho incontrato per la prima volta. Sembrava il classico ragazzo studioso e privo di amici che soleva  restare da solo in un angolo in attesa di qualcosa o qualcuno di nuovo e stimolante. Da allora, tre anni sono letteralmente fuggiti, come un criminale che tenta di sottrarsi alla giustizia. “Che cosa sono per te?” gli ho chiesto questa mattina, mentre ero occupata a tenere in braccio Joshua. “Una bellissima ragazza padrona del mio cuore dei miei sentimenti.” Ha risposto, facendomi forse involontariamente arrossire. “Tu cosa mi dici?” ha azzardato, rigirandomi la domanda. “Il ragazzo che amo con tutta me stessa.” Gli ho detto, rendendolo felice e facendolo sorridere. Dopo quelle parole, ci perdemmo l’uno negli occhi dell’altra, arrivando a baciarci con passione inaudita. Dopo alcuni secondi, mi allontanai da lui, tornando ad occuparmi di Joshua, che ora aveva evidentemente bisogno di essere cullato. Lo presi quindi fra le mie braccia, iniziando a cantargli una canzoncina insegnatami da mia madre, sperando che si addormentasse. Per mia fortuna, il bambino rispose ai richiami del sonno dopo poco tempo, ed io decisi di adagiarlo nella sua culla, così che potesse dormire sonni tranquilli. Subito dopo averlo fatto, tornai da Ethan, che sosteneva di avere una sorpresa per me. “Devi vedere una cosa.” Mi disse, suscitando la mia curiosità. Senza proferire parola, lo invitai a continuare la frase lasciata in sospeso, sperando che mi fornisse qualche ulteriore e importante dettaglio. Pochi istanti dopo, vidi Ethan frugare nelle tasche dei suoi pantaloni, per poi estrarne un oggetto che riconobbi quasi subito. Non riuscivo a capire come lo stesso potesse essere finito nelle sue mani, ma sorrisi non appena vidi che teneva fra le dita la mia chiavetta USB. Guardandomi negli occhi, me la porse lentamente, chiedendomi di controllarne il contenuto. “C’è una sorpresa.” Aggiunse, sorridendomi. Subito dopo, mi diressi verso la mia stanza, raggiungendola in pochi minuti. Dopo esservi entrata, accesi il mio computer, inserendovi quindi la chiavetta. Quasi inconsciamente, lasciai che le mie labbra si dischiudessero in un sorriso, e fui ancora più felice quando cliccai sulla cartella che comparve sullo schermo. La stessa, conteneva una serie di fotografie ritraenti me ed Ethan, e sotto ad ognuna era presente una sorta di didascalia. Dopo averle esaminate attentamente, scesi le scale, scegliendo di ringraziare Ethan per lo splendido regalo. “Grazie.” Gli dissi, sorridendogli e abbracciandolo. “Te lo sei meritato.” Rispose, stringendomi forte a sé. “Tu credi?” chiesi, apparendo dubbiosa. “Tu hai provato dolore, e sapevo che riportare a galla dei preziosi ricordi ti avrebbe fatto sorridere.” Rispose, in tono calmo e pacato. In quel preciso istante, lo guardai nuovamente negli occhi, pronunciando una frase che rispecchiava perfettamente i miei sentimenti per lui. “Sei un ragazzo fantastico, e sono felice di averti incontrato. Senza di te non sarei chi sono oggi, e non avrei mai raggiunto queste vette e questi traguardi.” Dissi, con voce rotta dall’emozione. Sapevo bene di amarlo, e non perdevo mai occasione per dimostrarglielo. Come tutti sanno, gli attimi sono fuggevoli, e vanno giornalmente colti come freschi fiori primaverili. Malgrado i numerosi momenti di sconforto, Ethan ed io siamo sempre rimasti insieme, riuscendo quindi a raggiungere numerose vette e innumerevoli traguardi.
 
 


Capitolo XIX


La pura verità


Tre anni della mia vita sono letteralmente fuggiti, e tutto sembra andare per il meglio. Di recente, ho avuto l’occasione di rivedere la mia amata nonna, che era davvero felice di potermi finalmente rincontrare dopo tutto quel tempo. Parlandomi, mi ha chiesto del prosieguo della mia vita, rimembrando anche il giorno in cui sono nata, e lei mi ha vista venire al mondo. Mantenendo la calma, mi assicurai di soddisfare la sua curiosità, dicendole che avevo trovato l’amore della vita, e che avevo dato alla luce un bambino. Subito dopo, mi chiese anche delle informazioni riguardo alla mia attuale situazione, ed io l’accontentai, rispondendole che vivevo ancora con i miei genitori. A quelle parole, mia nonna sembrò preoccuparsi, ed io rimasi sbalordita da ciò che mi disse subito dopo. “Vi troverò una nuova casa.” Esordì, lasciandomi letteralmente senza parole. “Lo faresti davvero?” chiesi, stranita. “Come non potrei?” rispose, ponendo un interrogativo che non necessitava risposta. In quel preciso istante, venni pervasa da un’indescrivibile sensazione di felicità, e l’abbracciai, ringraziandola di tutto cuore. Subito dopo avermi dato questa lieta notizia, mia nonna fu costretta ad andarsene, asserendo di avere molto da fare. A mia madre era venuta l’idea di invitarla a casa nostra, e dopo circa un’ora, la sua cortese visita terminò. Inizialmente, i miei genitori non erano favorevoli alla proposta avanzata da mia nonna, poiché sostenevano che per una donna anziana come lei, una nipote appena sposata ed un bambino fossero un peso troppo grande da sopportare. Ad ogni modo, anche se non avevano tutti i torti, finii per trovarmi in completo disaccordo con loro. Difatti, mia nonna è sempre stata una persona gentile e premurosa, che in questo momento si stava mostrando per quella che era. Ad ogni modo, dopo innumerevoli discussioni e tentativi di far cambiare loro idea, ci riuscii, convincendoli ad accettare la proposta di mia nonna. Non appena l’intera situazione mi apparve più chiara, presi in mano il telefono, e decisi di chiamarla. Mi assicurai di andare dritta al punto, dicendole che i miei genitori erano ora d’accordo, e che io lo ero stato fin dall’inizio. Le parole che pronunciò non appena smisi di parlare, mi resero davvero felicissima. Mi disse, infatti, che a partire dalla settimana seguente, Ethan ed io ci saremmo trasferiti nella sua vecchia residenza estiva, ormai caduta in disuso data la sua età. In quel preciso momento, potei sentire il mio cuore gonfiarsi di gioia. Ringraziai sentitamente mia nonna, decidendo di porre fine alla telefonata e mettere Ethan al corrente della situazione. “Ci trasferiremo.” Gli dissi, in tono serio ma gioioso al tempo stesso. Ascoltandomi in religioso silenzio, non si servì delle parole per rispondermi, lasciando che un abbraccio rompesse il mio temporaneo silenzio. Pochi istanti dopo, ci sciogliemmo dal nostro abbraccio, dirigendoci quindi nella nostra stanza, con la ferma e precisa intenzione di cominciare a preparare le nostre valigie. Sapevamo bene che il trasloco era imminente, ragion per cui volevamo prepararci a dovere. Iniziai quindi a riporre nella mia valigia ogni oggetto di cui avrei potuto aver bisogno, ed Ethan finì per imitarmi, facendo lo  stesso. Quando finalmente fummo pronti, partimmo alla volta della nostra nuova casa. La raggiungemmo in poco meno di un’ora, procedendo a disfare i nostri bagagli. Ero impegnata a riporre i miei vestiti in un armadio, con il piccolo Joshua che dormiva nel suo passeggino accanto a me. Dopo alcuni minuti si svegliò, iniziando a piangere. Guardandolo, credetti che fosse affamato, ma quando non volle mangiare, compresi di sbagliarmi. Poco tempo dopo, capii che la noia era padrona del suo animo. Cercava evidentemente uno dei suoi giocattoli, che io non riuscivo a trovare. La stanza era in disordine, ed io riuscivo a malapena a muovermi, visto il caos che regnava. Per tale motivo, decisi di provare ad ignorare il pianto di Joshua. Ad ogni modo, prima che riuscissi a rendermene conto, i suoi lamenti cessarono. Mi voltai quindi verso di lui, scoprendo che teneva in mano il suo sonaglio, giocandoci come sempre. In quel momento, lasciai che la confusione mi pervadesse, andando subito in cerca di Ethan. Fortunatamente, lo trovai nella stanza accanto, notando che era intento a riordinarla. “Qualcosa non va?” mi chiese, notando l’espressione dipinta sul mio volto. “Joshua.” Esordii. “Era nel suo passeggino, e solo un secondo dopo aveva in mano il suo sonaglio. Com’è possibile?” continuai, completando il mio discorso con quella domanda. “È arrivato il momento per te di conoscere la verità.” Mi disse, confondendomi ulteriormente.” “Quale verità?” chiesi, dubbiosa. “Io e te non siamo normali, Esma. Siamo Psiconauti.” In quel preciso istante, lo guardai senza capire. “È la nostra realtà, e Joshua ne è la prova.” Disse, chiarendo ora ogni mio dubbio. “Forse i tuoi poteri non si sono ancora manifestati, ma lo faranno.” Continuò, lasciandomi senza parole. “Quando accadrà?” chiesi, con una vena di timore nella voce. “Guarda dentro di te e lo saprai.” Rispose, abbracciandomi. Dopo alcuni secondi, mi sciolsi dal suo abbraccio. Non riuscivo a capire perché, eppure ero felice. Amavo Ethan, e sapere di essere così simile a lui mi tranquillizzava, infondendomi una sensazione di calma e serenità. Ora come ora, so che potrò sempre fidarmi di lui, perché anche in questa situazione, non mi ha detto altro che la pura verità.
 
 
Capitolo XX


Nuove scoperte


È di nuovo estate, e sembra che ogni essere vivente oggi voglia esprimere la sua gioia a riguardo. L’aria e fresca, le giornate sono più lunghe e perfino la vita migliora. In questo preciso istante, tutto mi appare perfetto, e come in una nitida e colorata fotografia, nessun particolare è fuori posto. inoltre, sono venuta a sapere da mia madre che la mia vecchia amica Paris è da poco diventata mia vicina di casa. Per mia fortuna, nonostante i numerosi impegni che riempiono le mie giornate, sono riuscita a ritagliarmi del tempo per farle visita. La sua casa era davvero grande e accogliente, e non appena entrai Paris si sedette sul divano, invitandomi a fare lo stesso. Stringendomi nelle spalle, la imitai, iniziando quindi a parlare con lei. La nostra conversazione sembrò letteralmente durare in eterno, ma la cosa non mi toccava. Difatti, non la vedevo da più di un anno, e visto il solido rapporto di amicizia che abbiamo instaurato al campo estivo, la sua mancanza non ha tardato a farsi sentire. Parlandole, ho scoperto che la sua vita non è davvero cambiata, fatta eccezione per un dettaglio da lei stessa menzionato. “Mi sento diversa.” Mi ha detto, facendomi preoccupare. “Cosa intendi?” le ho chiesto, sperando che si spiegasse meglio. “Ogni cosa è diventata monotona.” Ha risposto, tacendo subito dopo. Guardandola negli occhi, verdi come un prato in primavera, provai una strana sensazione. Conoscendola, sapevo che era una persona davvero loquace, ragion per cui, il suo improvviso mutismo mi preoccupò. “Forse hai bisogno di distrarti.” Le dissi, rompendo il silenzio creatosi fra di noi. “Hai ragione.” Rispose, sorridendomi. Subito dopo, mi rimisi in piedi, dirigendomi verso la porta di casa. “Vai via?” chiese, apparendo triste e sconsolata.” “Se ti va posso restare.” Dissi, avendo la fortuna di vedere un sorriso illuminarle il volto. Tornando a sedermi, ricominciai a parlarle. Mossa da un’ improvvisa curiosità, Paris mi chiese informazioni riguardo alla mia vita, ed io risposi raccontandole ogni cosa nei minimi dettagli. Menzionai il mio felice matrimonio con Ethan, e il fatto di essere diventata madre del piccolo Joshua. “Lo sapevo.” Proruppe, non appena finii di parlare. “Come?” esclamai sorpresa. “Non avrei voluto dirtelo, ma ho scoperto una cosa.” Essendo ormai scivolata nel più profondo mutismo, effetto della mia confusione mentale, non rispondo, limitandomi a guardarla negli occhi. “Proprio come te, sono anch’io una Psiconauta.” Esordì, riprendendo a parlare dopo un silenzio durato per dei lunghi minuti. “Non è possibile! Ho sempre creduto che fossi un’umana!” finisco per rispondere, alterando forse inconsciamente il tono della mia voce. “Ti sbagliavi. “Tu non lo sai, ma ho il potere di entrare nella mente delle persone.” Disse, completando il suo discorso con un sorriso che mi fece letteralmente tremare. Dopo quanto mi era appena accaduto, avrei semplicemente voluto andarmene, così finsi di aver troppo da fare per stare con lei. “Devo andare.” Le dissi, dirigendomi per la seconda volta verso la porta di casa sua. Con mia grande sorpresa, Paris non rispose, lasciandomi fare. Una volta fuori da quella casa, mi richiusi la porta alle spalle, iniziando quindi a camminare verso la mia auto, che guidai fino al mio accogliente nido familiare. Quando vi giunsi, aprii la porta con velocità incredibile, andando subito alla ricerca di Ethan. “Cosa ti succede?” Chiese, notando che il mio volto era ancora provato dal terrore. “Si tratta di Paris.” Dissi, tentando invano di riprendere fiato. “Ha appena scoperto di essere come noi, e mi spaventa.” Continuai, con il corpo scosso da un irrefrenabile tremito. “Calmati.” Disse Ethan. “Andrà tutto bene.” Continuò, cingendomi un braccio attorno alle spalle. “Posso fidarmi?” chiesi, dubitando scioccamente delle sue parole. “Certo.” Rispose, sorridendo. In quel momento, riuscii finalmente a tornare ad essere me stessa, calmandomi di colpo. Dopo averlo abbracciato, salii le scale che portavano alla mia stanza, scegliendo di entrarvi e sedermi davanti al mio computer, riversando quindi la paura provata nel mio blog. Scrissi facendo scivolare velocemente le mie dita sulla tastiera, e sentendo che con ogni parola, la tensione si scioglieva come neve al sole. In breve tempo calò la sera, e mentre rimanevo sdraiata sul mio letto, capii una cosa. Per quanto strano avesse potuto sembrarmi inizialmente, conoscendo Ethan sono letteralmente entrata in un nuovo mondo, che ora non ha altro da offrirmi che innumerevoli occasioni e scoperte.  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo XXI


Gioie inattese


I giorni che compongono la mia ora rosea e felice vita, sembrano fuggire e sparire all’orizzonte, proprio come un povero animale spaventato che lotta per la sua stessa vita. Lentamente, altri cinque mesi si sono ormai volatilizzati, ed io so che non faranno più ritorno. Quella odierna, ha tutta l’aria di essere una giornata completamente fuori dall’ordinario. La stagione estiva è appena iniziata, eppure sento che qualcosa sta per cambiare. Ora come ora, guardo distrattamente il terso e azzurro cielo visibile dalla finestra della mia stanza. Un minaccioso vento si sta alzando, e il sibilo dello stesso somiglia inconfondibilmente ad uno straziante lamento. Dopo pochi minuti, comprendo di essere costretta ad allontanarmi, poiché un orribile mal di testa ora mi debilita. Stranita dall’intera situazione, mi dirigo verso il bagno, sperando che una rinfrescata sia quello che mi ci vuole. Inizio quindi bagnandomi i polsi, e notando nel farlo, la presenza di una sorta di ferita sulla mia mano destra. Credendo di essermi fatta male, insisto nell’insaponare e sfregare quel punto, scoprendo che quell’azione non mi è di alcuna utilità. Esaminando meglio quel segno sulla mia mano, scopro che ha la forma di un cerchio.  Ad ogni modo, esco dal bagno dopo alcuni minuti, tentando di non badare a quel dettaglio e tacendo quindi la mia scoperta. Mentre attraverso il corridoio, incontro Ethan, che prendendomi le mani, nota a sua volta quella strana ferita. “Che cos’è? Mi chiede, apparendo preoccupato. Non sapendo cosa dire,  mi servo dei miei eloquenti sguardi per mostrargli il mio smarrimento. “Non ne ho idea.” Rispondo, scuotendo il capo. “Lo hai sempre avuto?” continua, in tono serio. “No.” Confesso, lasciando che il panico e la paura si impadroniscano di me. “Seguimi.” Mi dice, stringendomi la mano e conducendomi nella nostra stanza. Non appena arriviamo, Ethan mi chiede di accendere il computer, ed io obbedisco senza protestare. Nel giro di pochi minuti, Ethan si affida alla rete, e trova un’immagine che raffigura lo stesso e identico segno che ho sulla mano. Leggendo attentamente un articolo correlato a quell’immagine, fa una scoperta, di cui ho davvero il terrore. “Ha un solo significato.” Mi informa, facendo crescere in me un senso di preoccupazione. Guardandolo negli occhi, lo invito a continuare la frase lasciata in sospeso. “Hai il potere di parlare alla natura.” Continua, assumendo ora un’aria seria. In quel momento, un ricordo legato all’ora appena trascorsa si fa strada nella mia mente. Ora è tutto più chiaro, e il malessere che avevo provato acquistava un senso. Rinfrancata dalle parole di Ethan, raggiungo velocemente il salotto. Sedendo tranquillamente sul divano, noto la presenza di mio figlio Joshua, seduto invece su una poltrona accanto al divano stesso. Mantenendo il silenzio, gli sorrido, iniziando quindi a cercare il mio libro preferito. Guardandomi intorno, scopro che è su una mensola poco distante da me. Mentre sono nell’atto di alzarmi e andare a prenderlo, qualcosa di completamente inaspettato accade. Il piccolo Joshua solleva una mano, e muovendola verso di me, mi porge il libro pur senza toccarlo. Sorridendo nuovamente, lo ringrazio, ben sapendo di dovermi ancora abituare ai suoi poteri di telecinesi. Mi abbandono quindi alla lettura, che sono costretta a sospendere dopo alcuni minuti, poiché un insopportabile dolore al fianco me impedisce di rilassarmi a dovere. Dando uno sguardo fuori dalla finestra del salotto, noto che la pioggia ha appena cominciato a scrosciare. Concentrando il mio sguardo sulla pioggia stessa, lascio subito andare quel libro, decidendo quindi di godermi quello spettacolo. Le gocce di pioggia battono sul vetro della finestra, bagnandolo inevitabilmente. È quindi questione di un attimo, ed io chiudo gli occhi. Inizio a naufragare in un mare di ricordi e pensieri, e li riapro dopo qualche secondo, scoprendo che il sole splende come mai prima di quel momento. La felicità mi pervade, e anche Joshua mi sorride. Ha soltanto tre anni, eppure sembra aver capito quello di cui sono capace. Avvicinandomi e prendendolo in braccio, lo conduco verso la sua camera, dove inizia felicemente a giocare. Chiudendo lentamente la porta, lo lascio da solo. Dirigendomi stavolta verso la mia stanza, vi entro e mi lascio cadere sul letto, scoprendo che Ethan è accanto a me. “Come ti senti?” chiede, attendendo una mia risposta. Pur comprendendo la sua domanda, decido di non rispondere, non volendo che si preoccupi. Ad ogni modo, Ethan sembra leggermi nel pensiero, e decide di stringermi a sé. “Hai solo bisogno di rilassarti.” Dice, baciandomi teneramente. Mantenendo il silenzio, annuisco, lasciando quindi che continui a parlarmi con voce suadente. Poco tempo dopo, la più buia delle notti cala su di noi, ed io sono tranquilla, poiché ho appena scoperto una nuova parte di me stessa, che si è rivelato essere, nonostante i lati negativi, una delle tante gioie inattese che in questi anni hanno caratterizzato la mia vita.
 
 
 
 
 
 
 
 


 
Capitolo XXII


Il piacere della solitudine


Una calma e tranquilla notte è appena trascorsa, e questa nuova e radiosa mattinata non è certo iniziata nel migliore dei modi. Difatti, per qualche strana ragione, non ho la forza di alzarmi, e il petto mi fa davvero male. Da quando si è svegliato, Ethan non ha fatto altro che riempirmi di premure, prendendosi assiduamente cura di me. Ad ogni modo, non ha ancora capito che genere di malanno abbia potuto colpirmi. Inizialmente, credevo di aver contratto una sorta di influenza, e anche Ethan ne sembrava convinto. Rimasi sdraiata a letto per ore, potendo alzarmi solo per mangiare e rimettere subito dopo. In breve, anche un lancinante dolore di stomaco si aggiunse ai miei sintomi, e raggiunsi presto il punto di rottura, tentando in tutti i modi di non scompormi né lamentarmi, poiché notavo che anche il mio piccolo Joshua entrava nella mia stanza, chiedendomi come mi sentivo. “Tutto bene?” chiedeva, apparendo davvero preoccupato. “Si.”  Rispondevo, accarezzandogli la testolina castana. In alcuni di quei momenti, ero costretta ad alzarmi ed andare in bagno, per poi inevitabilmente rimettere. I minuti passavano diventando ore, ed io non riuscivo a capire il perché dei miei sintomi. Soltanto poco tempo dopo, ossia quando il mio dolore di stomaco si intensificò, tutto mi apparve più chiaro. Difatti, con grande gioia mia e di Ethan, noi due stavamo per diventare nuovamente genitori. Tuttavia, volendo rendermi effettivamente conto della cosa, e appurare che il mio non fosse solo un mero errore, trovai la forza di alzarmi dal letto e farmi accompagnare da Ethan nello studio medico. Prima di farlo, mi assicurai di lasciare Joshua alle attente cure di mia madre, che promise di prendersi buona cura del nipote durante la mia assenza. Ad ogni modo, raggiungemmo lo studio medico dopo circa un’ora di viaggio, e ci ritrovammo fermi in sala d’attesa. Fortunatamente, il nostro turno arrivò in poco tempo, ed io venni visitata. Ethan decise di entrare nello studio assieme a me, volendo conoscere ogni dettaglio riguardante la mia presunta condizione. Non appena entrai, lasciai che il dottore svolgesse il suo lavoro. Lo stesso, ordinò una seconda ecografia, e anche in questo caso, non proferii parola, sottoponendomi alla stessa senza esitare. Ad ogni modo, notai che alla fine della procedura, l’espressione dipinta sul volto del medico non era delle migliori, così chiesi spiegazioni. C’è qualcosa che non va?” azzardai, con una vena di timore nella voce. “Signora Davis, lei è incinta, ma c’è un secondo problema.” Disse, preoccupandomi immensamente. “Di che si tratta?” chiese Ethan, facendo stavolta le mie veci. “Sua moglie ha un problema al cuore.” Rispose il medico, in tono serio. “È grave?” continuò Ethan, che ora sembrava sempre più preoccupato. “Fortunatamente no, ma non deve stressarsi.” Rispose, tacendo subito dopo. A quelle parole, Ethan si limitò ad annuire, prendendomi per mano e conducendomi fuori dallo studio medico. Evidentemente colpito dalla notizia almeno tanto quanto me, Ethan non proferì parola per tutta la durata del viaggio. Restava in silenzio, fissando la strada scivolare via come le lacrime ora presenti sul mio viso. Soffrivo in silenzio, domandandomi se la mia malattia avesse potuto avere ripercussioni sulla salute del bambino che portavo in grembo. Ad ogni modo, mi sedetti davanti al mio computer non appena arrivai a casa, con la ferma e decisa intenzione di trovare delle risposte ai complicati enigmi che ora mi tormentavano. Tenevo gli occhi fissi sullo schermo, muovendo lentamente il mouse e scorrendo le varie pagine web. Sfortunatamente, non trovai nulla di ciò che cercavo. Con fare sconsolato, decisi quindi di spegnere il computer, venendo tuttavia sorpresa da ciò che accadde non appena ci provai. Una blanda scarica elettrica mi attraversò la mano, provocandomi un insopportabile fastidio. Respirando a fondo, mantenni la calma, evitando che il panico divenisse padrone del mio fragile animo. Uscii quindi dalla mia stanza, decidendo di andare a sdraiarmi sul divano. In poco tempo, finii per rispondere ai richiami del sonno, venendo tuttavia svegliata da Joshua, che continuava a toccarmi una spalla. “Come stai?” chiese, non appena aprii gli occhi. In quel preciso istante, Ethan entrò in salotto, e chiese a Joshua di lasciarmi da sola. Mantenendo la calma e non volendo essere troppo duro con lui, gli spiegò che non mi sentivo bene, e che la cosa migliore da fare era darmi modo di riposare. Annuendo, Joshua si diresse verso la sua camera, chiudendo lentamente la porta. Per qualche strana ragione, non mi rivolse la parola per il resto della giornata. Ad essere sincera, ero davvero preoccupata, tanto da entrare nella sua stanza e tentare di confortarlo. Gli dissi che finalmente mi sentivo meglio, e che non aveva più ragione di rattristarsi. A sentire le mie parole, Joshua sorrise. “Sai una cosa? Avrai un fratellino.” Continuai, sperando di renderlo felice. Non appena finii la frase, Joshua mi abbracciò, ed io lasciai la sua stanza. Informai Ethan del mio stato di salute, e lui mi consigliò di rilassarmi. Sapendo che farlo non mi sarebbe servito a nulla, decisi di volere un secondo parere. Dissi quindi a Ethan che sarei uscita di casa in poco tempo, preparandomi quindi per uscire e andare a trovare la mia amica Paris. Raggiunsi casa sua in una decina di minuti, salutandola non appena vi entrai. “Posso parlarti?” le chiesi, con fare timoroso. Stringendosi nelle spalle, Paris annuì, accomodandosi sul divano. Dopo pochi secondi la imitai, decidendo di iniziare a parlare. “Presto avrò un bambino. Le dissi, tacendo unicamente per respirare. “È meraviglioso!” rispose, sorridendomi. “C’è un problema.” Chiarii, vedendo la sua espressione facciale mutare di colpo. “Che vuoi dire?” chiese, dubbiosa. “Il mio cuore.” Risposi, abbassando inconsciamente il capo. “Pensi di potermi aiutare?” Continuai, sperando nella positività della sua prossima risposta. “Ti basta darmi la mano.” Disse, porgendomi la sua. Decidendo di obbedire, afferrai le sue affusolate dita, stringendo quindi la presa. Pervasa quindi da un’improvvisa sensazione di pace, chiusi gli occhi, attendendo per circa un minuto. Allo scadere dello stesso, i miei occhi si riaprirono quasi automaticamente. “Soffri di una malattia.” Esordì Paris, riuscendo a tranquillizzarmi. Mantenendo il silenzio, aspettavo che riprendesse a parlare, così da ricevere ulteriori informazioni. “Si chiama Sindrome del Cuore Informatico.” Chiarì, facendo sparire ogni mio singolo dubbio. “Bada solo di non stressarti.” Concluse, abbracciandomi. In quel momento, non mi servii delle parole per ringraziarla, limitandomi ad annuire. Subito dopo, uscii dalla sua casa, raggiungendo la mia auto e dando inizio al viaggio di ritorno verso il mio nido. Vi arrivai in pochissimo tempo, e venni accolta da Ethan, che mi baciò sulle labbra. “Va tutto bene?” chiese, mostrandosi preoccupato. Quasi a voler ignorare la sua domanda, mantenni il silenzio, recandomi verso la mia stanza. Vi entrai lentamente, scegliendo di lasciarmi cadere sul letto. Chiudendo gli occhi, tentai di dimenticare tutto ciò che mi era accaduto, riuscendo per la prima volta a provare piacere nella mia solitudine.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXIII
 
Felicità apparente


Di giorno in giorno, il tempo sembra scorrere sempre più lentamente. Gli stessi divengono settimane, e infine anche lunghi e apparentemente infiniti anni. Otto mesi sono appena trascorsi, volando via dalla mia vita come una bianca colomba in fuga da uno scaltro bracconiere. Il tempo ha lenito le mie ferite emotive, dando modo alle stesse di cicatrizzarsi. Ora come ora, non provo altro che felicità, poiché la mia gravidanza ha continuato a progredire, risultando essere priva di problemi. Ad ogni modo, secondo il parere del mio medico, sarò costretta ad assistere alla prematura nascita del mio bambino. Tale notizia, preoccupa non poco sia me che Ethan, portandoci quindi a credere che la sfortuna finora evitata, ci abbia raggiunti, e rimanga nascosta nell’ombra in attesa di colpirci a tradimento. Ad ogni modo, sin dalle prime luci dell’alba mattutina, mi sento davvero strana. Continuo a venir sorpresa da imprevedibili conati di vomito, che mi trovo costretta a non poter soffocare, e il mio ormai consueto dolore di stomaco è diventato letteralmente insopportabile. Per questa ragione, Ethan mi ha convinta a vedere di nuovo il mio dottore, facendomi quindi visitare. Seppur controvoglia, ho deciso di dargli retta, lasciando quindi che mi accompagnasse in ospedale. Durante il viaggio, un acuto e lancinante dolore mi attraversò il corpo, e mi immobilizzò letteralmente. In quel preciso istante, tentai di resistere, pur fallendo nel mio intento. La mia sofferenza sembra non aver fine, e cessa solo non appena arrivo in ospedale. Non appena mi videro, i medici compresero che ero ormai entrata in travaglio. Venni quindi trasferita in una stanza, con il preciso ordine di rilassarmi e non muovermi. Seguii diligentemente le indicazioni dei medici, senza osare ribellarmi. Dopo circa un’ora, il dolore mi fece letteralmente urlare. A quel punto, un’infermiera mi raggiunse, decidendo subito di aiutarmi. Secondo il suo pensiero, ero finalmente pronta a dare alla luce il mio futuro figlio. Da quell’istante in poi, lasciai che il mio corpo svolgesse le sue naturali mansioni, potendomi quindi mostrare felice. Finalmente avevo l’occasione di tenere in braccio il mio bambino. Dopo alcuni minuti, anche Ethan entrò nella stanza, abbracciandomi subito dopo. Chiese quindi di tenere in braccio il neonato, ed io lo lasciai fare. In poco tempo, scelsi il nome perfetto per quell’innocente creatura. Dwayne. Mio figlio ora aveva un nome, ed era pronto ad iniziare la sua nuova e giovane vita alla scoperta della gioia e del mondo circostante. Quando tornai a casa assieme ad Ethan, venni pervasa da un’inspiegabile sensazione di tristezza. Sapevo bene che per fortuna mio figlio era il ritratto della salute, e ne ero felice, ma al contempo mi sentivo triste, essendo consapevole della mia condizione cardiaca, che in tutto quel tempo non aveva accennato a migliorare. Da quando ne è stato messo al corrente, Ethan non ha fatto altro che prendersi cura di me e tentare di farmi guarire, ed io non smetterò mai di ringraziarlo per  questo, ma ad ogni modo c’è qualcosa che io non gli ho ancora detto. Sono grata al fato per averci fatto incontrare, eppure in cuor mio so che quella che ora provo, non è altro che mera felicità apparente. Esiste inoltre la possibilità che il mio cuore non torni mai ad essere quello che era prima, poiché irrimediabilmente logorato dalla mia malattia. Ad ogni modo, so di dover approfittare di questi momenti di felicità, poiché la stessa potrebbe un giorno sfuggirmi di mano senza fare più ritorno, sparendo quindi con velocità inaudita.
 
 
 
 
 


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXIV


Il ritorno di un malessere


Con assoluta tranquillità, il tempo ha continuato a passare, senza mai neppure accennare a fermarsi. Lentamente, otto interi anni sono ormai giunti al termine. Guardando la mia immagine riflessa in uno specchio, non vedo più la gentile e calma ragazza che solevo vedere tempo addietro, ma una giovane donna con ancora tutta la vita davanti. Ad ogni modo, per qualche strana ragione, un presentimento mi porta a credere che con il tempo la vita continuerà a sorridermi. Armata quindi di volontà e ottimismo, ho dato inizio alla mia solita e ormai ripetitiva routine giornaliera, consistente nell’assidua cura dei miei due figli. Entrambi sono ormai diventati quasi completamente indipendenti, e Joshua, il maggiore, è sempre disposto ad aiutare il fratellino nelle attività di ogni giorno. Le ore che compongono questa giornata scorrono inesorabili, permettendo quindi alla luce solare di scomparire e venire letteralmente soppiantata dalle oscure tenebre notturne. Poco prima dell’imbrunire, Ethan ed io decidiamo di uscire per una passeggiata, scegliendo di portare con noi i nostri figli. Iniziando quindi a camminare, raggiungiamo in poco tempo il parco cittadino, luogo preferito dei nostri bambini. Gli stessi, corrono proprio davanti a noi, pur stando attenti a non allontanarsi troppo. Sia io che Ethan, abbiamo investito molto tempo nella loro educazione, e sembra che ora ogni azione ci ripaghi lentamente del tempo utilizzato. Sappiamo bene stesso non tornerà mai indietro, ma la cosa non ci tocca. Ora come ora, quello che davvero importa è il benessere della nostra intera famiglia. Cammino al fianco di Ethan da circa mezz’ora, e sento che il mio respiro si sta lentamente accorciando. Mantenendo la calma, taccio il mio male, non volendo far preoccupare Ethan e i bambini. Mi sforzo quindi di tenere il loro passo, accelerando di volta in volta. I minuti scorrono, ed io mi sento sempre più debole. I battiti del mio cuore stanno accelerando, e riuscivo a malapena a camminare. Improvvisamente, il buio mi circonda, ed io perdo l’equilibrio, cadendo rovinosamente sul solido marciapiede in cemento. Perdo quindi i sensi, non riuscendo più a muovermi. Non sento nulla se non il silenzio, palesemente rotto da un urlo di Ethan. Chiama il mio nome, e pur riprendendo conoscenza, non posso rispondere. Non ho infatti la forza di muovermi, e lui si trova costretto a chiamare subito un’ambulanza. Vengo soccorsa nello spazio di un momento, e mi risveglio in un arido e sterile letto d’ospedale. La mia famiglia mi è attorno, e con sguardo attento, noto i volti dei miei figli corrotti dal dolore e dalla preoccupazione. Nel tentativo di confortarli, sorrido. I miei occhi brillano, poiché so di essere salva. Un mio pensiero è rivolto ad Ethan. Difatti, se non fosse stato per lui e per il suo tempestivo intervento, ora non sarei qui, e non avrei modo di abbracciare i miei amati figli, frutto del nostro infinito amore. “Ha avuto un infarto.” Sento dire da uno dei medici presenti nella stanza. Appresa quella notizia, Ethan mi si avvicina, iniziando a stringermi la mano. “Ti amo.” Mi dice, guardandomi negli occhi. rimanendo in silenzio, mi limito a sorridergli, stringendo la sua mano con forza ancora maggiore. Sono ormai sveglia e vigile da alcuni minuti, ma avendo compreso la gravità di quanto mi è accaduto, risparmio le energie evitando di parlare. Fu questione di pochi minuti, e la mia famiglia fu costretta dai medici a lasciare la stanza. Rimasta sola, cerco una comoda posizione in quel letto, cadendo in un sonno profondo. Le ore passarono, e un nuovo giorno ebbe inizio. Mi svegliai quella mattina con un pensiero fisso nella mente. Anche se era passato solo un giorno, la mia famiglia mi mancava, e volevo davvero tornare da loro. Mi concessi quindi alcuni minuti per parlare con uno dei medici, chiedendogli quando sarei stata dimessa. Lo stesso, disse che non aveva la minima idea, e che tutto sarebbe dipeso da me e dal mio corpo. Continuavo a pensare alla mia amata famiglia, e un secondo pensiero si insinua nella mia mente. Non riesco a smettere di pensare alla triste realtà, secondo la quale, io non guarirò mai completamente. La colpa di tale situazione non è mia, ma bensì del mero ritorno di un incurabile malessere.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXV


La fortuna e l’amore


Tre mesi. Tre lunghi mesi sono passati dal giorno del mio incidente al parco. Per colpa dello stesso, ho rischiato di perdere la vita, ma grazie al mio amato Ethan, sono ancora viva. L’essere sopravvissuta ad un infarto, mi ha fatto capire quanto fragile la vita stessa possa essere. Per tale ragione, ho deciso di non lasciarmi mai più condizionare dalla mia malattia. A causa della stessa, è imperativo che io non mi stressi troppo, ma spero che la mia vita non diventi troppo movimentata. Ora come ora, ammiro il panorama visibile appena fuori dalla mia finestra, notando un particolare al quale non avevo mai fatto caso prima. Una tenera foglia verde sta spuntando proprio al centro di una crepa del marciapiede. Pensandoci, ho scoperto di voler diventare uguale a quella foglia, tentando di approfittare di ogni momento felice e superare ogni difficoltà. Il dolore ha caratterizzato vari anni della mia vita, ma ora ho scelto che allo steso deve esserci una fine. Per tale ragione, ho adottato una politica fondata sull’ottimismo, secondo la quale, la tristezza per me cesserà di esistere. Mi sono quindi concessa alcuni minuti per riflettere, arrivando ad una semplice conclusione. Ho infatti finalmente capito che il dolore faceva parte della mia vita per un semplice motivo. Difatti, mi lasciavo spesso corrompere dallo stesso, non riuscendo quindi a sopportarlo. Inoltre, sembra che la felicità e la fortuna mi stiano di nuovo sorridendo. Ho infatti scoperto di essere incinta per la terza volta. Ad ogni modo, stavolta ho deciso di non prendere alcun appuntamento con il mio medico di fiducia, poiché un’ecografia rivelerebbe sicuramente il sesso del mio futuro bambino, e almeno ora voglio che sia una sorpresa. Il tempo ora passa, ed io continuo a pensare. Navigo in un mare di esuli pensieri, che lasciano trasparire tutta la mia felicità. Ethan ha scoperto della mia gravidanza, ed è davvero felice al pensiero di diventare di nuovo padre. Continua a ripetere che non vede l’ora che questo bambino nasca, e perfino Dwayne e Joshua sono entusiasti all’idea di diventare fratelli maggiori. Difatti, hanno promesso di fare del loro meglio per aiutarmi a prendermi cura del mio futuro neonato. Inizialmente, credevo che l’arrivo di un nuovo membro in famiglia sarebbe stato causa di gelosie, ma fortunatamente non è stato così. Difatti, l’umore dei miei due figli è davvero alle stelle, e solo il tempo ci dirà come la situazione è destinata ad evolversi. Lentamente, ho continuato a dividermi fra i miei figli e il rapporto con Ethan. I mesi continuano a passare e l’ansia sale. La tensione si può letteralmente tagliare con un coltello. Ora come ora, mancano soltanto tre mesi all’arrivo del mio nuovo bambino. Mia madre sa tutto riguardo alla mia terza gravidanza, e sia lei che mio padre sono davvero felicissimi di diventare nonni per la terza volta. Mossa da un’insaziabile curiosità, ho chiesto loro che cosa ne pensano, e oltre ad avermi detto che la felicità li pervade, hanno aggiunto che desidererebbero davvero ardentemente una nipotina. Hanno inoltre chiarito di amare i loro nipoti con tutto il cuore, ma che un’adorabile femminuccia completerebbe il nostro quadretto familiare, che diverrebbe così ancora più perfetto. Mentre i mesi trascorrono, io passo il tempo a parlare con Ethan del bambino. Inoltre, grazie alla dialettica, è riuscito nuovamente  a convincermi ad andare dal dottore. Di questi tempi, la salute del mio futuro neonato mi preoccupa, e per  questa ragione, ho deciso di ascoltare il suo consiglio. Sono quindi tornata in ospedale, dove un’ennesima ecografia ha confermato la perfetta salute del bimbo che porto in grembo. Il medico sa bene che io ed Ethan vogliamo che il sesso del bambino sia una sorpresa, e non volendo rovinarcela, ha preferito non parlarne. Sono quindi stata mandata a casa con un’unica e singola certezza. Il mio bambino sta bene, e sarò pronta a metterlo al mondo fra circa tre mesi. Sin da quando abbiamo appreso questa meravigliosa notizia, Ethan ed io teniamo il conto dei giorni che ci separano dal veder nascere il nostro terzo figlio. La nostra felicità è letteralmente indescrivibile, e nell’attesa, ci meravigliamo di quanto la nostra vita sia perfetta, e di quanta fortuna e amore la stessa ci abbia concesso.


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXVI


Sorte e miracoli


Sin da quando sono venuta al mondo, ho potuto sentire il ritmico battito del mio cuore, unito all’incessante ticchettio del mio orologio biologico. Il quasi impercettibile rumore emesso dallo stesso, sta di giorno in giorno divenendo più forte, e tutto questo può significare soltanto una cosa. Il tempo che mi separa dal vedere nascere il mio futuro figlio sta per scadere. Difatti, tre lunghi mesi sono appena trascorsi, e proprio oggi, ho dato alla luce la mia amata bambina. Alyssa. La piccola, ha fatto il suo ingresso nel mondo, ed io non potrei essere più felice. Dopo aver avuto due figli maschi, infatti, non avrei mai neanche lontanamente potuto pensare di riuscire a dare alla luce una femminuccia. Secondo il parere dei miei genitori, questo dipende da un loro desiderio, mentre a mio avviso, si tratta di una mera e semplice questione di fortuna. Ad ogni modo, la cosa non mi tocca. Alyssa è da considerarsi una delle tante gioie che la vita ha deciso di concedermi. In lei non c’è assolutamente nulla che non vada, e saperlo mi libera da ogni preoccupazione. Ora come ora, spendo le mie giornate ad occuparmi di lei, pur sapendo di dover svolgere ogni singola mansione in maniera calma. Secondo i medici infatti, il minimo stress potrebbe ricondurmi in ospedale, ed io so per certo di non voler ripetere l’esperienza vissuta tempo addietro. Anche se ormai è trascorso molto tempo, il ricordo di quel giorno è ormai impresso nella mia memoria. Ricordo ancora il dolore provato, unito alla sensazione di smarrimento e alla confusione mentale che ne seguì. In questo preciso istante, un pensiero si è lentamente fatto strada nella mia mente. Ora che una creatura così giovane e indifesa come Alyssa dipende completamente da me, so di non poter assolutamente lasciarla da sola. Difatti, solo il cielo e le lucenti stelle sanno cosa accadrebbe in quelle circostanze, e venendo colta da un profondo senso di terrore a riguardo, decido di non pensarci. Nei rari momenti di tempo libero che riesco a ritagliarmi, aggiorno il mio blog personale, ora pieno di scritti riguardanti la mia meravigliosa famiglia. Ad ogni modo, per qualche strana ragione, delle piccole scariche elettriche mi attraversano il corpo ogni volta che tento di avvicinarmi al computer. Credendo nella possibile presenza di un calo di tensione, ho deciso di essere più cauta nell’utilizzarlo, seppur senza risultati concreti. Inoltre, secondo una mia forse inattendibile teoria, il mio problema cardiaco è direttamente collegato all’utilizzo del computer stesso. Grazie ad Ethan, ho potuto conoscere a fondo le mie radici, capendo quanto l’utilizzo della tecnologia possa a volte risultare dannoso. Per esserne completamente sicura, e confermare quindi i miei fondati sospetti, ho deciso di scansionare il contenuto del mio portatile, scoprendo qualcosa di letteralmente incredibile. Nel mio computer, si era infatti annidata una sorta di virus. Agendo di conseguenza, tentai subito di eliminarlo, ma malgrado numerosi tentativi, fallii miseramente. Decidendo quindi di gettare la spugna, mi arresi, scegliendo di smettere di utilizzare il mio computer. Notando un così brusco e repentino cambiamento nelle mie abitudini, Ethan mi guardò perplesso, e decise di chiedere spiegazioni a riguardo. “Che ti succede? Sembri diversa.” Mi disse, un giorno, guardandomi negli occhi. “Non toccherò più il mio portatile.” Risposi seria.” “Perché?” chiese, stranito dalla mia risposta. A quella domanda, tacqui, sperando che il mio silenzio si rivelasse abbastanza eloquente. Sfortunatamente, ingoiare il rospo non mi servì a nulla, e Ethan mi costrinse a rispondergli. “Credo che mi faccia star male.” Dissi, sforzandomi di non apparire amareggiata. “Forse hai ragione.” Rispose, prendendomi per mano. Dopo alcuni secondi, mi propose di andare a sdraiarmi in camera da letto, ed io non potei far altro che accettare la sua proposta. Sapevo infatti che si sarebbe preso cura dei bambini durante il mio riposo, e conclusi di non aver alcuna ragione di preoccuparmi. Quella sera, andai a letto senza cena. La tristezza sembrava avermi di nuovo corroso l’anima, causando la mia inappetenza. Tentando quindi di trovare un lato positivo a quanto era accaduto, mi addormentai pensando alla felicità che la mia amata famiglia portava giornalmente nella mia vita, dandomi sempre una ragione per tornare a sorridere. Poco prima di dormire, lasciai che un sorriso mi illuminasse il volto, e in quel momento, un ultimo e lieto pensiero concernente la mia sorte, mi attraversò la mente. Passai quindi una notte tranquilla, durante la quale, immaginai il mio avvenire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 
 
 
Capitolo XXVII


Abisso di sconforto


È mattina, e la luce solare si mostra dopo essersi celata alla mia vista per ore intere. La stessa, illumina ora la mia stanza, pulita e in perfetto ordine. Stropicciandomi gli occhi, sbadiglio, decidendo quindi di alzarmi. Dopo aver raggiunto il bagno, mi abbandono al caldo abbraccio di una doccia, lasciando che l’acqua mi scivoli lentamente sulla pelle. Poco tempo dopo, mi dirigo verso il salotto, dove trovo Ethan in compagnia dei nostri figli. Sono tutti impegnati a guardare la televisione, mentre la piccola Alyssa gioca tranquillamente sul tappeto. Intenerita da quella scena, rimango a guardare in silenzio. Un sorriso mi illumina presto il volto, e ogni pensiero negativo cessa di esistere. Concedendomi un attimo per guardarmi indietro, realizzo che un intero anno è quasi giunto al termine. Mentre mi ritrovo persa nei miei pensieri, vengo distratta dal suono della voce di mio figlio Dwayne. “Andiamo a trovare i nonni?” chiede, in tono calmo e pacato. In quel preciso istante, il mio sguardo incontra quello di Ethan, che subito inizia a scuotere il capo. “Non oggi.” Rispondo, tornando a guardare mio figlio. Alle mie parole, Dwayne non parla, scivolando nel mutismo. Ha soltanto otto anni, e fino ad ora non ha mai provato a sindacare le mie decisioni. Ad ogni modo, Ethan ed io abbiamo investito molto tempo nell’educazione dei nostri figli, e siamo felici di poterne constatare l’odierno risultato. I giorni passano, e la richiesta di Dwayne si fa sempre più insistente. Vuole molto bene ai miei genitori, ed io ne sono felice, anche se a dir la verità non ho mai avuto un buon rapporto con mio padre. Da quando sono diventata adulta e mi sono lentamente costruita una famiglia, si è dimostrato sempre più assente dalla mia vita, fino a scomparirne quasi del tutto. Per questa ragione, Dwayne non sa molto sul conto di suo nonno, e vorrebbe in cuor suo conoscerlo meglio. Dal canto mio, ho sempre deciso di impedirglielo, poiché mio padre sa davvero come divenire una persona arida e quasi priva di sentimenti. Negli ultimi anni, il nostro rapporto si è incrinato, ed entrambi abbiamo deciso di tagliare i ponti l’uno con l’altra. L’intera situazione, non vieta però a Dwayne di trascorrere del tempo con mia madre, la quale, essendo al corrente dell’intera faccenda, viene spesso a trovarci, evitandomi problemi di sorta. Ad essere sincera, mi sento davvero male vedendo mio figlio così triste al pensiero di non poter vedere suo nonno, ma per ora, Ethan ed io pensiamo che sia la cosa giusta da fare. Questa sorta di divieto si protrae ormai da settimane, ed è come se oggi qualcosa stia per cambiare. Un mero presentimento mi porta a formulare questo pensiero, e in un momento del genere, spero vivamente di non avere ragione. “Dovresti provare a consolarlo.” Mi ha detto Ethan, riferendosi con quelle parole a nostro figlio. “Forse hai ragione.” Ho avuto la sola forza di replicare, sentendomi letteralmente devastata dai sensi di colpa. In fin dei conti, se ora mio figlio è così chiuso e schivo, è solo colpa mia. Dopo aver discusso a lungo con Ethan, ho deciso di realizzare il desiderio di Dwayne. Ho quindi raggiunto la sua stanza, e guardandolo negli occhi, gli ho parlato con voce calma e tono tranquillo. “Andremo dai nonni.” Gli ho detto, avendo l’occasione di vederlo sorridere di nuovo dopo un così lungo lasso di tempo. Decidendo quindi di non volerne sprecare, sono subito salita in macchina, lasciando che lui e Joshua sedessero sui sedili posteriori. Il viaggio ebbe la durata massima di mezz’ora, ma il trascorrere del tempo sembrava non importare ai miei figli. Entrambi erano davvero felici all’idea di rivedere i nonni, tanto che neppure io potei fare a meno di sorridere vedendoli così contenti. Quando finalmente arrivammo, fui accolta in casa da mia madre, che subito abbracciò i nipotini. Subito dopo, Dwayne si interrogò su dove fosse il nonno, e pochi istanti dopo, lo stesso ci raggiunse nel salotto di casa. Non appena lo vidi, capii che in lui qualcosa non andava. Barcollava nel camminare, e aveva lo sguardo perso nel vuoto. Da quei semplici segnali, compresi che era visibilmente ubriaco. Evitando di fare commenti a riguardo, intrattenni una normale conversazione con lui. La stessa, sembrò procedere bene, almeno fino a quando non posò lo sguardo sul nipote. Dwayne non disse niente, limitandosi a guardarlo senza capire le sue intenzioni, e proprio in quel momento, l’alcool ancora presente nel corpo di mio padre ebbe la meglio su di lui. “Perché mi sta fissando?” chiese, con aria stizzita. Non parlai, limitandomi a guardare mia madre, nella speranza che conoscesse un modo per calmare i bollenti spiriti di mio padre. La stessa, rimase immobile e vittima di un eloquente silenzio. Poco tempo dopo, capii ciò che intendeva. Fingendo quindi di avere fretta, dissi ai bambini che era per noi arrivata l’ora di andare, ma quella mia mossa peggiorò solo la situazione. Difatti, mio padre fissò il suo sguardo su di me, e mi accusò di stargli mentendo. La sua lucidità aveva cessato temporaneamente di esistere a causa dell’alcool, e sapevo che negare sarebbe stato inutile. Iniziò quindi a urlare, e ad insinuare che andar via da casa sua sarebbe equivalso a portar via per sempre i suoi nipoti. Sentendo una giusta rabbia crescermi dentro, decisi di non scompormi e ignorarlo, violando la porta di casa nello spazio di un momento. Riportai i bambini a casa, e mi assicurai di rimanere da sola con Ethan. “Che è successo stavolta?” mi chiese, notando l’espressione dipinta sul mio volto. “Era di nuovo ubriaco.” Risposi, abbandonandomi conseguentemente ad un sospiro di mesto dolore e arrendevolezza. “So come ti senti, nessun bambino dovrebbe vivere in un contesto del genere.” Disse, nel mero tentativo di consolarmi. Tacendo, mi limitai ad annuire, lasciandomi quindi cadere sul letto. La sera era ormai calata, e le stelle punteggiavano il cielo. Mi addormentai con estrema difficoltà, tormentata dal dolore emotivo provato da mio figlio. Lentamente le settimane passarono, e un giorno, vidi l’unica cosa che un genitore non vorrebbe mai vedere. Sembrava essere un giorno come gli altri, ed ero come sempre occupata con le pulizie di casa. Decidendo di prendermi una pausa, entrai in camera di mio figlio, vedendolo steso sul suo letto. Aveva gli occhi chiusi e sembrava dormire, così decisi di lasciarlo da solo. Mentre mi avvicinavo alla porta, notai uno strano biglietto sul suo comodino. Spinta dalla curiosità, lo presi in mano e lo dispiegai, scoprendolo essere un messaggio. “Avevi ragione su tutto. Mi dispiace.” Queste le parole dello stesso, che mi confondevano e spaventavano allo stesso tempo. Stranita, posai lo sguardo su mio figlio, e gli presi la mano. In quel momento, mi accorsi di non riuscire a sentire il battito del suo cuore, segno che ci aveva ormai lasciati. Mantenendo il silenzio, uscii dalla stanza, incontrando subito Ethan. “Che cos’hai?” chiese, preoccupato. “Nostro figlio se n’è andato.” Confessai, provando dolore e venendo al contempo divorata dai sensi di colpa. Non riuscendo a credere a ciò che gli avevo appena riferito, Ethan chiese spiegazioni, ed io lo condussi subito nella stanza di Dwayne, mostrandogli quindi l’ormai esanime cadavere del nostro amato bambino. Pochi istanti dopo averlo visto, Ethan si accorse anche del biglietto, e leggendolo, rimase sconcertato. In preda alla tristezza, continuava a ripetersi che nulla di quanto era appena accaduto era possibile, e che non riusciva letteralmente a credere ai suoi occhi. Rimanendo accanto a lui, piangevo in silenzio, e non osavo muovermi. Poco tempo dopo, decidemmo entrambi di lasciare la stanza. Subito dopo averlo fatto, mi accorsi di un particolare non osservato in precedenza. La porta del bagno era rimasta aperta, e una flacone contenete del detersivo era ora privo del tappo di sicurezza. Fu questione di un attimo, e il mistero fu risolto. Mio figlio aveva deciso di suicidarsi bevendo della venefica candeggina. Il tempo continuava a passare, e la natura faceva il suo corso. Quel pomeriggio, assistetti al funerale di mio figlio in completo e religioso silenzio. Intorno a me c’era il resto della mia famiglia, addolorata almeno quanto me. L’unica persona a non sentirsi minimamente provata dalla cosa, sembrava essere mio padre, evidentemente abbruttito dall’alcool. Dopo la cerimonia funebre, nessuno di noi disse nulla. Anche Joshua mantenne il silenzio, ma sapevo che dentro di sé era profondamente addolorato per la prematura e immeritata morte del fratello. In quel momento, i suoi sguardi erano i più eloquenti che avessi mai avuto l’occasione di incrociare. Non ebbi la forza di parlargli, limitandomi a sedere sul divano e tenere in braccio Alyssa, placidamente addormentata e ignara di tutto. Lasciando il salotto, la portai nella sua culla, adagiandola lentamente in quella sorta di nido. Quella notte nessuno di noi riuscì a dormire. Le nostre menti erano occupate dal dolore, e tutti ci credevamo sprofondati in un profondo abisso di sconforto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo XXVIII


Cifre e calcoli


Cinque lunghi anni sono trascorsi dalla morte di mio figlio Dwayne, e la mia vita di madre è lentamente tornata alla normalità. I suoi fratelli Joshua e Alyssa sono ora cresciuti, riuscendo quindi a metabolizzare, seppur con tempi diversi, il dolore derivante da tale perdita. Quella odierna, sembra essere una giornata completamente ordinaria, che sta difatti iniziando come ogni altra. Il sole si sta levando alto nel cielo, e delle bianche nuvole lo incorniciano. Il terso e azzurro cielo è inondato dalla luce mattutina, ed io, che ora guardo fuori dalla finestra, esprimo silenziosamente la mia gioia a riguardo. Decidendo di sedermi sul divano del salotto, inizio a leggere uno dei miei romanzi preferiti. La mia lettura è ad ogni modo bruscamente interrotta dallo squillare del telefono. Venendo distratta, decido di rispondere. Per la prima volta in un incalcolabile lasso di tempo, la mia amica Paris ha deciso di telefonarmi, principalmente per avere mie notizie. Riaprendo quindi delle vecchie ferite ormai cicatrizzate, le racconto tutto, menzionando anche la morte di uno dei miei tre figli. A quella notizia, Paris trasale, ed io posso letteralmente sentire il battito del suo cuore accelerare dall’altra parte del telefono. Quel mero segnale ha un unico significato. È davvero preoccupata, e ha sicuramente qualcosa da dirmi. “Vieni a trovarmi, dobbiamo parlare.” Mi dice, facendosi improvvisamente seria. A quelle parole, rimango interdetta, non potendo far altro che rispondere in maniera positiva. Subito dopo, lasciai andare il telefono, e mi precipitai a casa sua. Prima di andare, ebbi cura di informare Ethan, che subito mi disse che si sarebbe preso cura dei bambini in mia assenza. Ad ogni modo, raggiunsi casa di Paris in poco tempo, e dopo aver bussato, aspettai pazientemente che aprisse la porta. Quando finalmente lo fece, violai l’uscio di casa, salutandola e sedendomi sul divano accanto a lei. “Devo dirti una cosa davvero importante.” Esordì, alzandosi lentamente in piedi e guardandomi negli occhi. “Ti ascolto.” Le dissi, aspettando che riprendesse a parlare. “Ho visto l’interno della tua mente, Esma. È un luogo freddo e oscuro visto il tuo passato, e c’è soltanto una cosa da fare.” Disse, facendomi provare una profonda sensazione di paura. “Cosa?” le chiesi, invitandola quindi a riprendere a parlare. “Potrei cancellare i tuoi ricordi, ma sarebbe rischioso.” Confessò, provando istintivamente pena per me. “Oppure potrei dirti la verità.” “Quale verità?” l’apostrofai, attendendo una risposta. “La tua salute sta peggiorando, e se vuoi salvarti, una persona da te amata dovrà confessarti un segreto.” Ammise, abbassando conseguentemente lo sguardo. Mantenendo il silenzio, la ringraziai, scegliendo di lasciare casa sua subito dopo. Raggiunsi la mia auto e tornare a casa in pochi minuti. Non volendo che si preoccupasse, tacqui ogni mia scoperta ad Ethan. Mi sdraiai lentamente sul letto sperando di addormentarmi, riuscendoci per pura fortuna. Dormii unicamente per poche ore, venendo svegliata da un acuto dolore al petto. Non appena mi svegliai, chiamai il nome di Ethan con quanto fiato avevo in gola, e lui mi rispose quasi subito, raggiungendomi all’interno della stanza. Non appena mi vide, capì quanto stava accadendo, ma sorprendentemente non si mosse. Mentre manteneva la sua immobilità, vidi una lacrima solcargli lentamente il volto. Sapevo bene che in cuor suo avrebbe davvero voluto aiutarmi, ma evidentemente sapeva che non c’era nulla che potesse fare. Era ormai notte fonda, e ogni ospedale della città era ormai chiuso. Ero quindi condannata a sopportare quel dolore, sperando in qualche modo di salvarmi dallo scomparire per sempre. Avevo ormai accettato la mia sorte, e giacevo immobile sul letto. Poco prima di spirare, guardai Ethan negli occhi per l’ultima volta, e gli dissi che lo amavo. Lentamente, le mie forze mi abbandonarono, ed io dovetti soccombere alla natura degli eventi. Nel mio eterno sonno, imparai una lezione. Noi Psiconauti, per quanto speciali e unici, non siamo altro che numeri in un complesso mondo di cifre e calcoli.


Bentornati! Questa era la storia di Esma. Scriverla mi è davvero piaciuto, e spero che vi abbia colpito Emmastory
   
 
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