Pozzanghera.
Era sempre rimasta lì, solitaria, sul
ciglio della strada.
La vedevo sempre, quand'ero bambina.
Si riempiva e si svuotava.
Mi sembrava di sentire i suoi lamenti
nei giorni di caldo torrido, e le sue risa quando la pioggia
sommergeva quel piccolo angolo d'inferno nel quale vivevo.
Mi avvicinai più volte per guardare
cosa ci fosse dentro, ma la paura mi aveva sempre bloccata.
Una volta ci buttai un sasso, che
appena fu a contatto con la superficie liquida, la distrusse, cadendo
a fondo.
Temevo di fare anch'io la fine del
sasso, di cadere nel fondo di quella pozzanghera che mi chiamava.
Mi aveva sempre chiamata. Mi aspettava.
Aspettava che facessi un passo falso e piombassi dentro di lei. Non
vedeva l'ora di risucchiarmi.
Ed io ero sempre attenta a non
inciamparvici.
Un
giorno camminavo con noncuranza,
inzuppata dal temporale che infuriava sulla mia testa.
Quel giorno stavo lentamente morendo.
Ero sempre riuscita a rialzarmi, quando cadevo; anche quando mi
deridevano, in un modo o nell'altro riuscivo a rimettermi in piedi.
Quel giorno no. Avevo annunciato al
mondo che mi sarei pugnalata fino ad avere il corpo pieno di buchi.
Volevo macchiare le strade del mio
sangue nero.
E fu così che,
scalciando l'ennesima pietra che ostacolava il mio desiderio di
morte, misi il piede sinistro in una pozzanghera.
Sbuffai
indispettita: perché stavo perdendo tempo in quel modo?
Dovevo agire in
fretta.
Dovevo liberarmi
di quella pesantezza all'altezza del petto.
Ritrassi fuori il
piede e la riconobbi: era lei.
Mi aveva aspettata per tutto quel tempo. Sapeva che prima o poi sarei
caduta. Non desiderava altro.
Mi chinai e affondai le mani in quell'inchiostro che penetrava tra le
pieghe della pelle.
Era il mio corpo stesso a desiderare quel veleno letale.
Mi sciacquai il viso con quell'acqua putrida, che mi corrose il viso
di bambina che mostravo per piacere agli altri. E lentamente sorgeva
un volto diverso, più affusolato e sinistro, con lo sguardo
truce.
Lo vidi riflesso nella pozzanghera: quella ero io.
Non poteva essere nessun altro.
Ricopersi di quella fanghiglia anche i capelli e le braccia.
Mi strappai di dosso i vestiti e ricoprii anche gambe, pancia, petto
e piedi.
Ridevo. Ridevo di ciò che stavo diventando.
Finalmente qualcosa che mi renda giustizia, pensai.
Io ero proprio così. Non avevo gli occhi
azzurri, non avevo i
capelli biondi e non avevo la pelle candida e lentigginosa. Ero nera.
Neri gli occhi, neri i capelli, la pelle grigiastra come quella di un
ratto.
Eppure...
Eppure...
Eppure... Continuavo a ridere.
E più annerivo, più finalmente trovavo un senso a
quell'esistenza
troppo pallida e smunta.
Raccolsi quell'acqua tra le mani e la bevvi.
Il dolore al petto si dissolse.
Lentamente capii. Quella pozzanghera mi chiamava perché era
la mia
vera essenza.
Aveva atteso tutto quel tempo, fino a che non avessi capito quanto
ero sola e infelice.
Ora non lo ero più.
Sorrisi.
Immersi completamente la testa nella pozzanghera e attesi con
impazienza di annegare dentro me stessa.