Far away one shot
FAR AWAY
Nickelback
This time, this place
Misused, mistakes
Too long, too late
Who was I to make you wait
Just one chance, just one breath
Just in case there's just one left
'Cause you know, you know, you know
Piove.
Piove troppo forte, per essere un giorno di giugno. Piove così
tanto che quasi le mie lacrime si confondono con la pioggia. Le mie
mani sfiorano il legno bagnato di questa panchina, non mi interessa se
potrei ferirmi, tutto quello che voglio, in questo momento, è che
la pioggia mi travolga e io smetta di essere ciò che sono.
Perché sono un mostro, orrendo, brutale, sono il mostro che ti
ha ferita e ti ha fatta andar via. Ti ricordi quando ci siamo visti, la
prima volta? C'era sole, quel giorno, c'era troppo sole per essere un
giorno di novembre. Le pozzanghere a terra riflettevano i raggi di
luce, e mentre ne osservavo uno, sei arrivata tu. I miei amici non me
l'avevano detto, credevo che saremo stati da soli, ma per qualche strana
ragione tu eri lì. E io non capivo, non ti avevo mai vista.
Sembravi una bambina, non eri vestita bene e lo sapevi, avevi i capelli
in disordine e il trucco sbavato, per non contare gli occhiali storti
sul naso. Continuavo a chiedermi chi tu fossi e perché ti
trovavi davanti a me, così piccola e disordinata, chi eri? Non
sapevo cosa stava succedendo, e il sole ancora bruciava sulla tua pelle
troppo chiara, odiavo da sempre le ragazze pallide, non mi erano mai
piaciute. Poi hai alzato gli occhi da terra, e ho visto quanto grandi
fossero rispetto al naso, piccolo e all'insù. Gli occhiali non
mi permettevano di capirne il colore, ma vedendoti mi sono immaginato
che potessero essere verdi. Non ricordo il motivo, ricordo solo che i
tuoi occhi erano verdi. Un verde chiaro, tra l'altro, non uno dei
soliti verdi. Tu non eri una delle solite
ragazze, non lo sei mai stata. Non ne avevi motivo. Quando ti ho vista,
la prima volta, non sapevo nulla di te. Ho solo visto i miei amici
iniziare a prenderti in giro per qualche strano motivo che non riuscivo
a capire, li ho sentiti chiedermi di unirmi a loro, in fondo eri solo
una delle tante continuavano a dire, non valevi la pena di un singolo
rimorso. Loro erano abituati a fare così, non guardavano in
faccia a nessuno e doveva essere così anche per me. Mi ricordo
di aver passato la mano sul legno della panchina proprio come sto
facendo ora, e di averti guardata. Tu hai abbassato lo sguardo, avevi
paura di me, ed era giusto così. I ciuffi disordinati ti sono
caduti sugli occhi e tu li hai spostati con la mano, e allora ho visto
che i tuoi occhi erano verdi. Mi sono avvicinato a te, tu tremavi e non
mi guardavi negli occhi, i tuoi occhi fissavano il mio tatuaggio sul
braccio, e quando ti ho stretto il polso tu hai avuto un sussulto,
pensavi che ti stessi per fare qualcosa. Invece ho detto ai miei amici
di smetterla, mi sono messo davanti a te e ti ho fatto da scudo col mio
corpo, ti tenevo dietro di me e ho allontanato i tre ragazzi che avevo
di fronte, loro hanno pensato che fossi diventato matto e mi hanno
lasciato stare. Poi mi sono girato verso di te, non avevi lacrime e non
avevi più paura, i tuoi occhi erano semplicemente arrabbiati. Ti
sei liberata dalla mia presa e mi hai mandato a quel paese, correndo
via subito dopo. Io sono rimasto lì, ti ho guardata scappare via
e ho registrato nella mia mente ogni tuo dettaglio. Avevi le scarpe
slacciate e sgualcite, dei jeans con una tasca bucata, una maglietta
impossibile da vedere coperta a sua volta da una felpa viola, ho
ipotizzato che potesse essere di tuo fratello, perché saresti
entrata lì dentro almeno cinque volte. E poi, accidenti, quegli
occhiali ti stavano malissimo. I tuoi occhi verdi dovevano essere visti
da tutti, non potevi tenerli nascosti dietro quelle lenti spesse dal
contorno nero. Mi chiedevo chi eri, qual era il tuo nome, perché
eri scappata via e non mi avevi ringraziato, perché avevo quel
desiderio di rivederti e perché avevo quella certezza che ci
sarei riuscito. Ho passato la mano sul legno della panchina un'ultima
volta e ho sorriso leggermente, ho alzato gli occhi verso il cielo e
poi me ne sono andato con le mani in tasca, ho pensato che saresti
stata bene e che se qualcuno ci aveva fatto incontrare, beh, l'avrebbe
sicuramente rifatto se gliel'avessi chiesto con convinzione. Non sapevo
nemmeno il tuo nome, la tua età, dove abitavi, se fossi vera o
meno. L'unica certezza era che ti avrei rivista, prima o poi. Ti avrei
cercata.
That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
And you'll never go
Stop breathing if I don't see you anymore
Quando ti ho rivista, poi, era passata appena una settimana dal nostro
incontro. Novembre si era fatto più grigio, anche se il sole
continuava a farsi vedere, ogni tanto. Frequentavi la mia stessa
scuola, eppure non ti avevo mai vista. Tu, però, avevi visto me,
e ne ero sicuro. Quando ti ho vista, ho capito perché non avevi
più paura: tu mi conoscevi già, probabilmente sapevi
anche il mio nome e la mia età, sapevi cosa facevo e cosa no, e
sapevi di poterti arrabbiare, avresti anche potuto colpirmi con una
sberla ma sapevi che non avrei reagito. Uno dei ragazzi della squadra
mi ha chiamato, e mi ha chiesto chi stessi guardando. Io ho messo
nell'armadietto la giacca da quarterback, ho salutato tutti quanti e mi
sono diretto verso di te, che stavi silenziosamente leggendo un libro
sulle scale esterne nell'attesa che arrivasse qualcuno a prenderti. Ti
ho rivolto un sorriso, e tu mi hai guardato appena, non riuscivi ancora
a guardarmi negli occhi, ma non avevi paura. Forse avevi solo un po' di
timore, ma mi hai lasciato sedere accanto a te, ascoltando solo il
rumore dei nostri respiri. Cos'avevi di diverso? Perché ti
trovavo diversa? Non riuscivo a capire cos'avessi di speciale, tu, con
quegli occhi verdi che mi guardavano di sottecchi mentre io guardavo te
e leggevo qualcosa nel tuo libro, era un romanzo rosa, penso. Una
macchina nera ha parcheggiato davanti alle scale, tu hai chiuso di
scatto il libro e ti sei allontanata senza dire altro. Allora mi sono
alzato, ho corso verso di te e ti ho fermata di nuovo, ti ho chiesto il
tuo nome, e tu hai fatto un sorriso e me l'hai finalmente detto,
così finalmente sapevo a chi stavo pensando tutto il tempo. Ti
stava bene, quel nome, più di quanto ti stessero bene quegli
occhiali enormi. Poi sei salita in macchina, ho seguito con lo sguardo
il tuo corpo venire coperto dal nero, mi sono immaginato la tua voce
mentre salutavi chi ti era venuto a prendere, ho sorriso perché
quella voce mi piaceva. Mi piaceva terribilmente tanto. Mi era piaciuta
anche quando mi avevi mandato a quel paese al nostro primo incontro,
vicino a questa panchina che ora è completamente bagnata. I miei
capelli, i miei occhi, i miei vestiti, tutto il mio corpo è
bagnato, in questo momento. La pioggia scende e non si vuole fermare,
è come se qualcuno da lassù mi riversasse addosso tutte
le lacrime che hai pianto per colpa mia.
On my knees, I'll ask
Last chance for one last dance
'Cause with you, I'd withstand
All of hell to hold your hand
I'd give it all, I'd give for us
Give anything but I won't give up
'Cause you know, you know, you know
Quando ti ho vista per la seconda volta,
non ho esitato. Sono corso da te, tu stavi sfilando un libro
dall'armadietto e hai preso paura quando sono ti sono arrivato dietro,
ed è finito tutto per terra. Mi ricordo di averti sorriso ed
aver raccolto poi il tuo libro, mentre il tuo viso si concentrava in una
smorfia poco gentile. Non ti piacevo per niente, ero per te il
contrario di ciò che tu eri per me. Eri un'attrazione
fortissima, per te ero come un magnete avente la tua stessa carica. Hai
cercato di fare un sorriso e hai preso il libro dalle mie mani,
tossicchiando per cacciare via l'imbarazzo, anche se non vedevo
perché tu dovessi essere imbarazzata. Eri stupenda, in tutto il
tuo disinteresse. Non avevi nemmeno pettinato i capelli, gli occhiali
erano evidentemente sporchi e la scollatura del maglione era storta e ti
lasciava scoperta un'intera spalla. Ma tu non te ne curavi, e dopo
avermi fatto un cenno mi hai superato per allontanarti da me. Io,
però, non volevo lasciarti andare. Mi sono girato con la paura
di averti già persa, ti ho seguita e ti ho stretto il polso in
una presa, ti ho sorriso per rassicurarti e i tuoi occhi si sono fidati
di me, il tuo sguardo si è ammorbidito e il rossore sulle tua
guance è sparito. Così mi sono schiarito la gola, e ti ho
chiesto se potevo sedermi accanto a te, in mensa, all'ora di pranzo. Tu
hai annuito, hai sistemato distrattamente la spallina che cadeva troppo
bassa e mi hai detto dove ti avrei trovata. Ero felice, perché
avevo la certezza che ti avrei rivista. E poi, era bello guardarti
mentre sparivi tra la folla, non curandoti di chi ti veniva addosso,
con lo sguardo perso chissà dove e le braccia serrate attorno a
quel libro che pochi istanti prima avevo raccolto.
Quando ci siamo rivisti, a pranzo, eri più tranquilla. Ti ho
chiesto della tua giornata, quale materia ti piacesse di più e
quale di meno, se preferivi stare attenta o prendere appunti, se volevi
una mano con matematica - strano a dirsi, ero il primo della classe in
matematica -, se ti facesse piacere che io fossi lì e se ci
saremmo potuti rivedere di nuovo. Tu rispondevi tranquillamente, ridevi
alle mie battute e nascondevi il lato difensivo che mi avevi mostrato
diversi giorni prima. Non ti ho chiesto del perché tu fossi
lì, due settimane prima, e non ti ho chiesto cosa volessero i
miei amici da te, continuavo a ripetermi di dare tempo al tempo e di
dare tempo a te, soprattutto. Così ti ho salutata lasciandoti il
mio numero, ti ho pregato di chiamarmi e la sera stessa ho ricevuto la
tua telefonata, avevi appena finito la doccia e non avevi sonno,
abbiamo parlato fino a notte fonda. Cosa diavolo c'era in te che mi
faceva diventare matto? Era forse la tua voce, o i tuoi occhi verdi, o
i tuoi capelli?
Due sere dopo quella telefonata, ho preso coraggio e ti ho invitata a
cena. Ti ho promesso che ci saremo divertiti e che avremo fatto tutto
ciò che volevi fare tu, e allora hai accettato. Ero al settimo
cielo, e non mi succedeva da almeno un anno. Mi sono perfino pettinato
i capelli e messo il dopobarba di mio padre, ho preso in prestito la
sua macchina e sono venuto a prenderti sotto casa. Eri bellissima, e
non avevi nulla di diverso dal solito. Eri sempre
bellissima.
Ti ho accompagnata in macchina, sono salito e sono partito
alla volta del centro della città. Eri più silenziosa del
solito però, il tuo sguardo era perso fuori dal parabrezza e
fissavi le macchine passare senza nemmeno rendertene conto. Così
ho cambiato meta, e non ti avrei più portata a ballare. Ho preso
la strada opposta e ho imboccato una strada che avevo percorso poche
volte, ma sapevo dove portava, e volevo arrivare lì. Non ho
neanche acceso la radio, mi piaceva il suono dei tuoi respiri. Dei
nostri respiri. I tuoi capelli coprivano il viso di lato, e non
riuscivo a vederlo bene, dovendo tenere gli occhi sulla strada, ma ero
sicuro che qualcosa non andasse. Non ti conoscevo abbastanza per
poterlo dire con certezza, ma ad occhio e croce era così: tu non
stavi bene, non avevi il solito sorriso e gli occhiali erano appesi al
colletto della maglietta. Perciò ho parcheggiato e ti ho aperto
la portella, sorridendoti, e tu hai tentato di fare lo stesso mentre
scendevi e appoggiavi i piedi a terra. Poi hai guardato stupita il
suolo: sembrava la prima volta che vedevi la sabbia. Hai alzato gli
occhi verso di me e io ti ho presa in braccio, eri veramente leggera.
Troppo leggera. Ti ho portata fino alla riva, tu ti eri accovacciata al
mio petto stringendo la mia maglietta tra le dita. Mi sono seduto
tenendoti stretta a me, e una volta seduto ti ho sistemata in modo che
tu stessi comoda. Mi sono chiesto come avessi potuto pensare che tu
fossi una tipa da discoteca, tu non eri come me, affatto. Ti stringevi
a me come una bambina sebbene non mi conoscessi nemmeno, ascoltavi le
onde infrangersi contro la battigia e restavi in silenzio. Restavo in
silenzio anche io, ma non perché non avessi nulla da dire o
fossi in imbarazzo. Semplicemente sapevo che se tu avessi avuto voglia
di parlare l'avresti fatto, quindi non mi restava che aspettare. Ma
tanto io ti avrei aspettata, sempre, non mi interessava del tempo che
scorreva, a me interessava il tempo che trascorrevo insieme a te. Ti ho
stretta ancora di più, ti ho un dato un bacio sulla fronte e ho
sentito il tuo respiro abbandonare la realtà ed entrare pian
piano nel mondo dei sogni: stavi dormendo e io ero il ragazzo
più felice del mondo. Non so precisamente quanto tempo sono
rimasto lì, a spostare i ciuffi che ti finivano sul naso, a
guardare la tua espressione mentre dormivi, ad ascoltare il tuo respiro
mescolarsi al rumore delle onde del mare. So solo che era mattina quando
hai riaperto gli occhi e mi hai sorriso, felice di essere lì, in
quel momento, insieme a me. Ti ho chiesto come stavi e tu mi hai fatto
sentire la tua voce dopo parecchie ore, e poi ci siamo avviati verso la
macchina. Mi hai raccontato il sogno che avevi fatto, sorridevi e
ridevi come se nulla fosse, eri allegra. Ti ho riportata a casa e mi
hai detto che ci saremo rivisti poche ore dopo, a scuola, e che mi
avresti aspettato davanti alla mia classe. Ho sempre odiato l'inverno,
ma quel novembre mi piaceva veramente tanto.
That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
And you'll never go
Stop breathing if I don't see you anymore
Dicembre è stato un mese
particolarmente freddo, passavamo ore al telefono e dicevamo sempre di
essere sotto le coperte per la temperatura troppo bassa. Non ci piaceva
stare distanti e così ogni sera ci chiamavamo, durante le
vacanze ci siamo visti parecchie volte. Ho saltato anche diversi
allenamenti, ma non mi importava molto, ormai tu eri all'ordine del
giorno. Stavi seduta a gambe incrociate sul tavolo e mi raccontavi
delle tue vacanze, di quando sei stata in Florida o di quando hai
passato una settimana in Grecia; mi parlavi di cosa avresti voluto fare
nel futuro e mi chiedevi sempre di prepararti il latte al cacao. Ti
piaceva un sacco, e il latte doveva per forza essere caldo, non ti
piacevano le cose fredde. Ti prendevo la mano e tu ti lamentavi dicendo
che era troppo fredda, ma non allontanavi la tua, volevi quel contatto
tanto quanto me. Adoravo metterti la tazza di latte caldo sotto il naso
e vedere i tuoi occhiali appannati, mi divertiva il modo in cui
strofinavi le lenti sulla maglietta mentre facevi delle smorfie, ti ho
fatto tante foto. Mi portavi a casa tua solo se era vuota e non capivo
perché, tu avevi già conosciuto i miei genitori. Mia
mamma si era affezionata subito a te, ti trovava una ragazza adorabile,
e mio papà, la sera dopo, mi ha raccomandato di prendermi cura
di te, di non lasciarti andare perché me ne sarei pentito. Ma io
questo lo sapevo già, non trovavo il senso del suo discorso.
Casa tua era piccola, ma aveva il suo fascino. La tua camera era
interamente coperta di fotografie vecchie e libri, mi sono sorpreso
quando mi ha detto che non avrei trovato nemmeno un computer. Mi hai
risposto solo che per te era inutile, poi hai cambiato argomento e mi
hai chiesto se sarei rimasto a cena da te perché non sarebbe
rientrato nessuno prima delle dieci e non volevi restare da sola.
Allora abbiamo fatto la pizza insieme, mi hai insegnato a fare il
pomodoro e a pulire bene le mensole, prima non lo sapevo fare. Non mi
raccontavi mai dei tuoi genitori, della tua famiglia, eppure dovevi
averne una per forza. C'era un letto matrimoniale sempre disfatto in
casa, ma quasi sembrava che tu fossi figlia di nessuno. Però io
non te lo chiedevo, avevo imparato che se non toccavi un argomento era
perché odiavi parlarne, e farti stare male era l'ultima cosa che
volevo.
Quella sera poi non è arrivato nessuno fino alle undici, quando
mia mamma mi ha chiamato per ordinarmi di tornare a casa. Ti ho dovuta
lasciar da sola, tu mi hai rassicurato che andava tutto bene, ma era
chiaro che ti dispiaceva. Ho lasciato casa tua a malincuore, ma ti ho
promesso che il giorno dopo sarei venuto a prenderti e saremo andati a
scuola insieme. Ero ansioso, la mattina dopo, e non capivo la ragione.
Dovevo solo passare a prenderti, eravamo stati varie volte in macchina
insieme, non ci trovavo niente di nuovo. E poi ti ho vista: hai gridato
un ciao a qualcuno e hai chiuso la porta dietro di te, alzando poi lo
sguardo sorridendomi. Ti ho aperto la portella e ti ho sorriso anche io,
sentendo lo stomaco brontolare: era strano, avevo fatto colazione da
appena mezz'ora. Non ci ho dato peso, ho acceso la radio e ho guidato
fino a scuola, ma i miei amici mi stavano aspettando fuori dal
cancello. Sapevo che avrebbero detto qualcosa di cattivo, ma non volevo
lasciarti sola. Così ho intrecciato la mia mano con la tua e
sono arrivato davanti a loro a testa alta, salutandoli come al solito.
Tu hai abbassato lo sguardo, ti sei avvicinata a me e hai sopportato la
pressione del momento, ma per fortuna non hanno detto niente e si sono
dileguati con una scusa ridicola. Mi hai guardato negli occhi per
qualche istante, ancora il mio stomaco ha brontolato e poi hai sorriso,
camminando verso l'atrio principale. Ti ho lasciata davanti alla tua
classe, e sono venuto a prenderti quando è suonata l'ultima
campanella. Siamo andati fuori senza badare a chi ci guardava e poi
bisbigliava qualcosa, siamo saliti nella mia macchina e tu hai posato
la mano sulla mia, ferma sulla marcia. Mi hai chiesto di non portarti a
casa, non avevi voglia di tornarci e volevi stare con me. Ho annuito,
tu hai sorriso e hai fatto sorridere anche me. E' stato in quel momento
che ho capito che non mi sarebbe importato dove saremo finiti,
l'importante era stare con te. Ho capito perché ai miei occhi
eri così speciale: mi piacevi. Mi piacevi in un modo strano, non
era la semplice attrazione che provavo ogni volta, con te sentivo di
essere in sintonia ad un livello più profondo: ti fidavi di me e
io mi fidavo di te, sentivo di essere a casa solo con tua presenza e
non accettavo vederti andar via senza di me. Per questo ho guidato fino
al parco lì vicino e siamo rimasti lì tutto il
pomeriggio, ignoravo anche le chiamate dei miei genitori, non mi
importava più di molto. Volevo stare con te.
Passo la mano su questa panchina e guardo il cielo, sentendo le gocce
di pioggia scorrere fino al mento. O sono lacrime? Mi manchi.
So far away
Been far away for far too long
So far away
Been far away for far too long
But you know, you know, you know
Gennaio e febbraio sono passati in
fretta, tu ed io eravamo diventati inseparabili. I miei genitori ti
chiedevano spesso di fermarti a cena tu accettavi e a tavola te ne
stavi zitta ad ascoltare i loro discorsi, intervenivi solo
se ti facevano qualche domanda e ti pulivi la bocca aggraziatamente col
tovagliolo dopo il dessert di ogni sera. Quando c'era la minestra e ti
sia appannavano gli occhiali io scoppiavo a ridere e mia mamma mi
riprendeva dicendo che ti stavo mettendo in imbarazzo, ma tu sorridevi
e rassicuravi mia madre dicendo che lo facevo sempre. Una sera siamo
saliti in camera mia e abbiamo iniziato a guardare un film, ma ci siamo
addormentati entrambi. Eravamo sul letto, la mia schiena era appoggiata
alla testiera e tu eri appoggiata al mio petto, mia madre dev'essere
entrata e deve aver chiamato mio padre, perché la mattina dopo
mi ha chiesto se avessimo fatto qualcosa.
Io l'ho guardato, stranito, e gli ho chiesto se aveva mangiato qualcosa
di strano. Lui è scoppiato a ridere e insieme a mia mamma mi ha
detto che era evidente che ero innamorato di te, e che prima o poi
tu te ne saresti accorta. Ma come fare, per dirtelo? Non riuscivo a
capire cosa tu provassi verso di me, mi sembrava di stare in un limbo
senza una via d'uscita. Però ci eravamo promessi di dirci sempre
la verità, e io ti stavo dicendo una grandissima bugia
continuando a farti credere che ci fosse solo amicizia. Se lo avessi
scoperto da sola, in qualche modo, sarebbe stato decisamente peggio.
Così quella mattina stessa, dopo scuola, ho guidato fino a
questo parco, e ti ho portata fino a questa panchina. Ti ho fatta
sedere ma io sono rimasto in piedi perché ero troppo agitato: a
dirla tutta, non sapevo nemmeno perché ti avevo portata proprio
lì, dove tutto era iniziato in malo modo. Forse ero grato a quel
giorno di novembre in cui ti ho conosciuta e in cui, sono sicuro, tu mi
hai odiato. Forse mi odiavi anche in quel momento, perché odiavi
la suspance in generale. Continuavo a camminare avanti e indietro,
strofinandomi la mano sul collo, senza trovare le parole adatte per
dirti ciò che provavo. Balbettavo continuamente qualcosa di
incomprensibile, cercavo parole che non venivano. Ti sei alzata,
stupita del mio comportamento, e mi hai appoggiato una mano sulla
spalla. Sono innamorato di te,
ho mormorato nel secondo dopo. Credevo di aver parlato troppo piano, ma
tu mi avevi sentito fin troppo bene. Hai spalancato gli occhi da dietro
gli occhiali e sei arrossita, come se ti fossi appena scottata. Ti
avevo forse bruciata? Hai iniziato a balbettare anche tu, a me veniva
da ridere ma ho cercato di rimanere serio e ho spostato i ciuffi
davanti agli occhi con la mano, provando a farti credere che ero
tranquillo. Hai sistemato anche tu i capelli davanti alla fronte, hai
soffiato un ciuffo che arrivava sul naso e poi mi hai guardato con la
stessa intensità di quattro mesi prima, quando stavi per
mandarmi a quel paese. Sembravi arrabbiata. La tua risposta mi ha
spiazzato del tutto, poi, perché mi hai semplicemente detto che
non poteva essere e che ti stavo prendendo in giro. Io ti ho fatto
notare che non mi sarei fatto così tanti problemi a parlare se
avessi voluto prenderti in giro, e tu hai scosso la testa e hai
ridacchiato istericamente. Eri carina. Hai alzato gli occhi di nuovo, e
mi hai ripetuto che non poteva essere. Mi hai anche detto che non
potevo, come per minacciarmi, ma il tuo tono era incredulo. Pensavi
davvero che ti stessi prendendo in giro. Così è stato il
mio turno di scuotere la testa, e ti ho dato dell'emerita idiota con
tanto di smorfia. Perché, diciamocelo, te lo meritavi. Io ti
parlavo dei miei sentimenti per la prima volta e tu credevi che ti
stessi prendendo in giro, eri proprio un tipetto interessante, non
trovi? Tu ti sei offesa, ma avevi le guance rosse e sapevo che in fondo
stavi pensando a ciò che era appena successo. Piano piano
cominciavi a crederci, il tono della tua voce si abbassava sempre di
più e i gesti frenetici diminuivano di secondo in secondo. Ti ho
chiamata per nome, e tu ti sei zittita, guardandomi negli occhi. Avevi
capito. Potevo muovermi verso di te e tu saresti rimasta ferma.
Così ho preso coraggio, e dopo essermi ripetuto un centinaio di
volte che in fondo si trattava di te, che stavo facendo la cosa giusta,
che sarebbe andato tutto bene e che se così non fosse stato
avrei riportato tutto come prima, ho appoggiato una mano sulla tua
guancia e mi sono chinato su di te, dandoti un bacio sulle labbra. In
quel momento ho sentito le gambe tremare e lo stomaco contorcersi, il
che è stata la conferma che sì, ero fottutamente
innamorato di te. All'inizio non hai reagito, ho pensato di aver
combinato un disastro, di essere stato un completo imbecille. Ma poi
hai preso vita, e timidamente hai risposto al bacio. Quindi era vero,
stava succedendo tutto davvero. Io ero innamorato seriamente per la
prima volta. Eri la mia prima verità. Quando ci siamo
allontanati, hai sorriso e hai scosso la testa, dicendomi che con te
avrei avuto solo problemi, che non ti conoscevo, che non sapevo nulla
di te. Allora ti ho pregato di farmi entrare nel tuo mondo, ti ho detto
che avrei sopportato ogni cosa e che non ti avrei mai abbandonata.
Allora hai semplicemente annuito e io ti ho abbracciata, sentendoti mia
per la prima volta. Tu mi hai preso la mano, mi hai fatto sedere sulla
panchina e hai iniziato a raccontarmi cosa si nascondeva dietro a tutta
quella finta indifferenza. Mi hai detto che i tuoi genitori ti avevano
abbandonata da piccola e vivevi con i tuoi zii, che a loro volta
però erano sempre via per lavoro e non avevano tempo per te. Mi
hai detto che quattro mesi prima eri venuta lì alla panchina
perché dovevi dare die soldi ai miei amici, soldi dei debiti che
tuo padre aveva lasciato in giro e che i miei amici dovevano portare a
persone nascoste. Mi hai detto che stavi tanto male e che non volevi
far star male anche me, che avresti fatto del tutto per farmici
ripensare e lasciarti da sola, pensavi che sarebbe stato meglio
così, pensavi che fosse l'unica soluzione. Allora ti ho presa
per le spalle e ti ho guardata negli occhi: non volevo consolarti o
farti sapere che ci sarei stato, perché quello lo sapevi
già da qualche mese. Ho assottigliato gli occhi e ti ho detto
che ti amavo, e in tutta risposta tu mi hai detto che trovavi sicurezza
solo nei miei occhi azzurri. Era forse il tuo modo di dirmi che mi
amavi? Ho preso il tuo viso tra le mie mani e ti ho baciata di nuovo:
sarei stato il padre di cui avevi sempre avuto bisogno, il fratello,
l'amico, il fidanzato. Ti avrei tenuta sempre sotto la mia ala, non
saresti mai sfuggita via. O almeno, così credevo. In quel
momento, non sapevo ancora i guai in cui sarei stato solo un mese
dopo, portandomi a perderti. Le nuvole si infittiscono, continua a
piovere e non ho l'ombrello. Tu sei sempre stata il mio ombrello sotto
la tempesta, ora è giusto che io mi bagni. Credo sia la
punizione minore che io mi possa meritare. Intanto, amore mio, ti
aspetto.
That I love you
I have loved you all along
And I miss you
Been far away for far too long
I keep dreaming you'll be with me
And you'll never go
Stop breathing if I don't see you anymore
Eravamo tutto ciò di più
bello che io avevo. Non ci comportavamo da fidanzatini, non stavamo
sempre lì a baciarci o ad abbracciarci, nemmeno avevamo fretta
di fare qualcosa, per noi era importante solo essere insieme. Eravamo
come due fratelli, ci comportavamo da migliori amici: facevamo tutto
fuorché essere melensi e tutto miele. Eppure, ci amavamo. Amavo
te come nessun altro prima, tu amavi me come se fossi la tua sola luce
nel buio. Ed era così. Eri da sola, completamente da sola ed io
ero felice di doverti togliere il peso della solitudine dalle spalle.
Ti amavo così tanto,
eri il mio primo pensiero la mattina e il mio ultimo pensiero alla
sera. Mi hai fatto conoscere i tuoi zii, che per te erano come i tuoi
genitori, e abbiamo fatto incontrare le nostre famiglie. Avevo appena
diciotto anni tu ne avevi appena diciassette, ma eravamo seri su ogni
cosa che facevamo, su ogni decisione che prendevamo. Abbiamo fatto
incontrare le nostre famiglie, si sono subito piaciuti. Non capisco
ancora come tua zia abbia potuto mangiare l'orrendo polpettone di mia
mamma, ma mi divertiva vederla contenta dopo la prima critica positiva
ricevuta. In genere, io e papà mangiavamo sempre al bar prima di
tornare a casa. I miei genitori ti adoravano, eri come una seconda
figlia. I tuoi zii mi invitavano spesso a cena da te, mi sono anche
fermato a dormire diverse volte. Nella notte ti stringevi a me come una
bambina, ti attorcigliavi i miei capelli tra le dita e ti addormentavi
solo se sapevi che io ero lì, accanto a te. Ed era così,
io non avevo alcuna intenzione di lasciarti. Perché avrei
dovuto? Eri la cosa più bella che mi potessi capitare. Il nostro
allontanamento, almeno, non è stato volontario. Io non avrei mai
voluto arrivare a quel punto, dove guardarti in faccia era diventato
difficile. Ma mi avevano costretto, e tu non lo sapevi, non potevi
saperlo, che lo stavo facendo per te. Ti amo, ti amo, ti amo.
Eri, e sei, la mia vita. Ma ne sei uscita con più
facilità di quanto pensassi, mi hai guardato negli occhi per
l'ultima volta con le lacrime che ti rigavano le guance e ti sei
allontanata senza girarti, stavi voltando le spalle al tuo passato.
Sono davvero il tuo passato? Guardati intorno e dimmi se sei capace di
pensarmi come un estraneo, come qualcuno di cui non riesci a fidarti.
Quando i miei amici mi hanno detto la verità sui tuoi genitori,
quella che tu mi avevi tenuto nascosto nonostante tutto ciò che
avevamo passato, ho dovuto allontanarmi da te. Con me vicino, avresti
corso il pericolo di essere raggiunta da altre persone che di certo non
ti volevano bene. A mia insaputa, ero diventato uno di loro. Ero
diventato la prima persona che avrebbe potuto farti male in un
qualsiasi momento. Era questo che avrei voluto per noi due? No, te lo
giuro. Avrei voluto stringerti la mano in pubblico, consolarti se ne
avessi avuto bisogno, abbracciarti quando avevi paura. E mi era stato
vietato. Ti amavo così tanto da doverti stare distante, non
potevo nemmeno dirti del perché di quella distanza. E
così ti sei allontanata anche tu, mi hai chiesto di parlarmi a
questa maledetta panchina per l'ultima volta, e quando sono arrivato,
stavi già piangendo. Avevi gli occhi di chi era straziato, di
chi non ce la faceva più. In quel momento mi sono arrabbiato
tanto, è stata la prima volta: se tu mi avessi detto tutto fin
da subito, non sarebbe successo niente di tutto questo. Allora abbiamo
alzato la voce, agitavamo i pugni all'aria ed eravamo a pochi
millimetri di distanza, con le guance arrossate per lo sforzo e neanche
più un filo di voce in gola. Eravamo diventati dei mostri. Ci
urlavamo addosso per la prima volta senza pesare le parole che usavamo,
nemmeno ci ascoltavamo. Ricordo solo la tua ultima occhiata e la tua
figura allontanarsi passo dopo passo, mentre tutto attorno a me si
faceva buio. Stavo affondando. Tu mi avevi affondato. Eri stata la mia
zattera in mezzo al mare e in pochi attimi sei diventata l'ancora che
mi ha trascinato sul fondo. Ti amo. Ora sono passati due mesi, la
scuola finirà domani, tu mi manchi ogni giorno di più. A
scuola non alzo più lo sguardo, ti vedo passare con la solita
indifferenza e fai finta di non vedermi. Mi odi davvero tanto. Mi odi
per averti fatto credere che sarei rimasto per sempre, ma il problema
è che ci credevo anche io, e tu te ne freghi. Tu pensi che io
non stia male, pensi che la mia vita proceda esattamente come prima. Tu
l'hai cambiata, la mia vita. Mi hai fatto capire che c'è
qualcosa di meglio, che c'è sempre una via d'uscita, che non
saremo mai davvero finiti. Ora sono qui, sotto la pioggia, ma ho ancora
una possibilità. Voglio solo rivederti un'ultima volta e
parlarti prima che inizi l'estate e io non possa più
incontrarti. Voglio dirti cosa ne sarà di me, cos'è
successo in questi due mesi, e voglio dirti che ti amo. Tu devi
saperlo. Perché sarà l'ultima volta in cui mi vedrai.
Forse anche io ho omesso qualcosa, e ora che ti ho già persa e
non mi resta altro da perdere, tanto vale dirtelo. Afferro il
cellulare, anche se lo schermo si bagna, e ti invio un messaggio. So
che verrai. So che, in fondo, sai di avere bisogno di me. Il tuo
istinto ti dice che hai bisogno di me. E tu, per stavolta, lo
ascolterai. Ti amo, e ti aspetto.
I wanted
I wanted you to stay
'Cause I needed
I need to hear you say
That I love you
I have loved you all along
And I forgive you
For being away for far too long
So keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Believe it
Hold on to me and never let me go
Keep breathing
'Cause I'm not leaving you anymore
Le gocce di pioggia scendono dai ciuffi
che ho davanti alla fronte, riesco persino a vedere un ciuffo che
arriva a metà del naso, penso di doverli tagliare. Anche i tuoi,
però, non scherzavano. Ti sono sempre piaciuti i capelli lunghi,
su di te stavano bene. Stanno bene. Però ti piacevano anche i
miei, anche se non erano comunque più lunghi della media. Ma,
ora che devo partire, che senso ha tenerli lunghi? A me danno fastidio.
Non so se mi diano fastidio perché fanno caldo o perché
mi legano al tuo ricordo, ma forse è la seconda. E' capace di
uccidermi. Tu sei capace di uccidermi allo stesso modo in cui io potrei
essere capace di uccidere te. Ma, a volte, penso di averlo già
fatto. Non ti vedo più come prima, la tua pelle è
diventata trasparente - bianca lo era già. Sento dei passi
dietro di me, e mi giro. Sapevo che saresti arrivata. Non ci metto
molto a riconoscerti anche se hai il cappuccio calato sugli occhi e i
capelli raccolti. I tuoi occhi verdi sono sempre gli stessi. Vitrei, ma
gli stessi. Ci guardiamo, sento ancora il cuore battere. Aspetto questo
momento da due mesi. Non posso sprecare questi momenti, non
ritorneranno più. Tu, io, non ritorneremo più. Per te,
per me, è nettamente meglio così. Non ci faremo
più male. Niente più bugie, niente più storie
nascoste, niente più segreti. Niente più baci, niente
più sorrisi, niente più vita. Cosa sto facendo? Ti togli
gli occhiali, li strofini contro la felpa e poi li riponi in tasca, non
vuoi avere barriere. Sfili anche il cappuccio, e lasci che i tuoi
capelli si inumidiscano pian piano. Ho smesso di piangere nell'istante
che ti ho vista, sei ancora in grado di calmarmi. Pensavo non ci
potesse riuscire più nessuno. Guardi per un attimo le tue
scarpe, e poi alzi lo sguardo verso di me, chiedendomi con decisione
cosa voglio da te. Allora ti guardo anche io, e ti intimo di non fare
tanto la dura con me. Non ne hai bisogno, tu non sei così.
Allora arrossisci e ti scusi, dicendo che stai andando fuori di testa.
Ti capisco, sono nella tua stessa situazione. Ti prendo la mano:
è gelida, come al solito. Devo dirtelo. Ora o mai più.
Sicuramente mi odierai di più, ma ormai non c'è
più nulla che posso fare. Allora prendo fiato, e ti dico che mi
trasferisco. La tua prima domanda è il perché della mia
decisione, non sei scossa. Ti spiego che ho terminato i miei quattro
anni di liceo e non voglio più avere nulla a che fare con la
vita che conduco qui, devo allontanarmi dai miei amici e da te,
perché in caso contrario succederebbe il finimondo. Ho diciotto
anni, continuo a spiegarti, è ora che mi faccia la mia vita.
Forse mi sono spiegato male e tu stai capendo che voglio una vita senza
di te, mentre io voglio una vita senza vederti soffrire. E' chiedere
troppo? Ora non stai capendo. Mi guardi con occhi cupi, ma non piangi.
Cosa ti è successo? Preferirei le tue lacrime a questa tua
inespressività. Tu non sei così, devi ritrovarti. Ti
prego: urla. Chiedi aiuto. Ci sono qui io, per l'ultima volta. Posso
aiutarti. L'ho sempre fatto. Ti chiamo per nome e ti prendo per le
spalle, devi sapere che io non sono cambiato. Se sono con te, sono
sempre lo stesso. Sospiro, le parole mi muoiono in gola. Ti prego, non
guardarmi così. O, se devi guardarmi, guardami con i tuoi occhi
allegri, sorridenti, non con questo nero che li abita. Voglio rivedere
la vera te, perché mi manchi. Apro la bocca per finire il mio
discorso, manca l'ultima frase. Ma tu alzi di scatto la testa e mi dici
che vuoi venire con me. Ti guardo, confuso, ma tu sei seria. Sai
veramente ciò che hai appena detto. Scuoto la testa, non
può essere. Questa volta sono io a non crederci. Sfuggi dalla
mia presa, ti allontani di qualche passo e ripeti ciò che hai
appena detto: vuoi venire con me, vuoi capire cos'è successo,
vuoi ricominciare ad essere la mia ragazza, dici che ti manco, non vuoi
lasciarmi andare. Prendo fiato, e ti ribadisco che me ne vado per non
dover più fare i conti con la realtà che sto vivendo qui:
non voglio più vedere i miei amici, non posso più
condurre un'esistenza condannata dalla preoccupazione verso di te, devo
sapere che starai bene e che nessuno potrà più ricondursi
a te, io sarei un mezzo troppo semplice da utilizzare. Ed ecco che
finalmente la prima lacrime riga la tua guancia, ora sei la stessa
ragazza che sei mesi fa si è addormentata tra le mie braccia.
Inizi a singhiozzare e ripeti che vuoi venire con me, che mi odi ma non
mi odi più di quanto mi ami, che non riesci più a dormire
e che hai bisogno di me. Devi capire che ti porterei via, allora
sussurro, deciso, che non posso portarti via dalla famiglia che hai. So
che magari non è esattamente una famiglia per te, ma loro ti
vogliono bene e venire via con me vorrebbe dire abbandonare le uniche
persone che ti sono state sempre accanto. Allora scuoti la testa, e mi
dici che gliene parlerai, e che loro capiranno. Dici che mi conoscono e
non avrebbero problemi a lasciarti andare, è da tanto che ti
dicono di partire e cambiare aria, puoi farlo, se vuoi. Perché,
allora, non te ne sei mai andata, se potevi? Altri segreti da
nascondere? Chi sei, tu? Chi ho davanti a me? Mi prendi la mano, e
l'appoggi sul tuo petto, mi fai sentire che il tuo cuore sta battendo
veloce quanto il mio. Ti guardo negli occhi, tu vuoi davvero venire via
con me. Vuoi scappare da qui quanto lo voglio io. Allora sorrido,
perché non so dirti di no. Non ci sono mai riuscito. Tu capisci,
e piangi ancora più forte, ma ora sei contenta. Mi abbasso
all'altezza dei tuoi occhi, e ti ripeto ciò che ti ho detto
tanto tempo fa: ti amo. Sorridi tra le lacrime e lo ripeti anche tu,
fiondandoti dopo tra le mie braccia. Ora, questa pioggia, non mi
dà più fastidio. Ora che qui ci sei tu, non ho più
paura. Ce ne andremo da qui, siamo grandi abbastanza. Andremo lontano,
viaggeremo ovunque, ci conosceremo di più. Sono pronto ad amarti
ancora di più di quanto già non faccia, voglio che tu ti
fidi di me a tal punto di riuscire a parlare senza che io te lo chieda,
e so che per te vuol dire tanto. Ma se per me tu lasceresti indietro
tutto, allora vuol dire che ne valgo la pena, no? Allora te lo dico
ancora e ancora, che ti amo, e che voglio che tu sia pronta ad
affrontare questa avventura. Mi faccio promettere che tu mi racconterai
tutto di te: non lo esigo subito, magari ci metterai dei mesi, ma
l'importante per me è sapere cosa nascondi sotto la tua facciata
indifferente. Tu annuisci, e in cambio mi chiedi di spiegarti
perché mi sono allontanato da te senza un'apparente ragione.
Magari il nostro non è un rapporto vero, lo vediamo anche noi
che non ci conosciamo. Ma è qualcosa che va oltre la fiducia
reciproca, la nostra è forza allo stato puro: stiamo insieme pur
non sapendo niente di noi. Questa, per me, è fiducia. Mi fido di
te, e ripongo la mia vita nelle mie mani. Sono certo del fatto che
saremo sempre io e te, andremo via, molto lontano, ma saremo tu ed io. Sempre.
Angolo autrice
Devo la pubblicazione di questa storia a mia sorella, che mi ha spronata a farlo.
E' stata scritta di getto, senza riflettere troppo e ascoltando quella canzone un migliaio di volte.
Quindi grazie e complimenti se siete arrivati fin qui, avete tutta la mia stima :')
Ale xx