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Autore: SonyTH    12/06/2015    0 recensioni
Sono Claire e sono una ragazza, una ragazza sola. Non sono sempre stata sola. Una volta avevo un amico, era il mio migliore amico, ma poi è morto. Adesso dicono che sto diventando pazza e i dottori pensano che scrivere potrebbe farmi bene.. quindi lo faccio, ma so che mentono perché adesso lui non c’è più, e non c’è più bene in questo mondo.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sono Claire e sono una ragazza, una ragazza sola.
Non sono sempre stata sola. Una volta avevo un amico, era il mio migliore amico, ma poi è morto.
Adesso dicono che sto diventando pazza e i dottori pensano che scrivere potrebbe farmi bene.. quindi lo faccio, ma so che mentono perché adesso lui non c’è più, e non c’è più bene in questo mondo.
Ricordo che era bella la vita quando c’era lui a farmi compagnia. Ci divertivamo insieme.
Le persone non volevano mai stare con noi perché pensavano fossimo degli “sfigati”, ma a noi non interessava la loro opinione. Stavamo bene comunque.
La mattina ci vedevamo a scuola, per la ricreazione. I pomeriggi li passavamo a casa sua, vedevamo dei film e mangiavamo pop corn. La sera andavamo in giro per il paese e il sabato mangiavamo la pizza.
Sono felice di scrivere, perchè a lui piaceva quando scrivevo. Diceva che scrivevo bene. Diceva che da grande sarei diventata una scrittrice famosa e che lui avrebbe disegnato le copertine dei miei libri.. perchè lui disegnava bene.
Molte volte mi aveva fatto dei ritratti, ma mia madre li ha bruciati tutti perché non voleva che io stessi male guardandoli. Io sapevo che a mia madre non piaceva più Stephen da quando era morto, sapevo che voleva che io non restassi troppo legata a lui e sapevo che qualche giorno avrebbe fatto qualcosa di brutto alle mie-sue cose, quindi iniziai a portare sempre con me il ritratto più bello che avevo; e quella è l’unica cosa che ancora ho di Steph. Adesso è attaccato con lo scotch sul muro sopra al mio lettino, e quando sono triste lo guardo, così sorrido. I dottori dicono sempre che è molto bello.
E’ appena arrivata Juliet, la mia dottoressa. Juliet ha trentaquattro anni ed è bella. E’ alta, magra, ha dei non troppo lunghi capelli biondi e degli occhi azzurri che mi ricordano il mare.
Una volta ero andata al mare con Stephen, e quando la guardo negli occhi penso a quel giorno. Penso a quando ho fatto finta di star per annegare e a quando lui era venuto di corsa a salvarmi. ” 

*

Era l’ultima domenica di agosto e l’estate stava per finire, così Claire decise di chiamare il suo migliore amico,all’ultimo minuto come sempre, dicendogli che entro dieci minuti doveva essere pronto perché sarebbero andati al mare. 
Dopo tante e tante preghiere che Claire fece a telefono, riuscí a convincer l´amico.
Presero l’autobus delle nove e quindici e durante il viaggio ascoltarono un pò di musica, musica decisa da Claire però, perchè quel poverino di Stephen non riusciva mai a vincere contro quell’insistente dell’amica. 
Arrivati in spiaggia posarono i teli sulla spiaggia bollente e Claire si mise subito in bikini. – Yeahh, l’ultimo bagno dell’anno! Sbrigati, lumaca che non sei altro. Veloce, su suuu! – cantilenò. 
– No dai Clè. Prima riposiamoci un pò, stiamo un pò sdraiati a prenderci il sole e poi andiamo a fare il bagno. Oppure tu vai e io- – Shhhhh! Zitto e vieni in acqua! Se non sei dentro entro due minuti vengo ad ucciderti! Ci vediamo bellissimo! – disse Claire, o meglio, gridò, visto il tono costantemente alto e squillante della sua voce e, un secondo dopo, l’amico non la vide più che era già a mollo. 
Fece una nuotata in apnea, fece una capriola e non vedendo Stephen arrivare decise di fargli uno scherzo. “Steeph, sto ann-” “Steeee-” Non appena il ragazzo sentì la voce dell’amica chiamarlo in quel modo, pensò subito fosse uno scherzo; visto quanto lei si divertiva sempre a prenderlo in giro e visto quanto fosse brava a recitare, ma poi vide che non tornava a galla e, per sicurezza, si tuffò in acqua raggiungendola il più velocemente possibile. 
Quando fu di fronte all’amica, sentì un nodo alla gola. Era lì, con gli occhi chiusi e non si mosse di un millimetro quando lui arrivò; non fece il minimo movimento.. In quel momento, Stephen, pensò alla cosa più terribile che potesse succedere se non si fosse dato una mossa e fosse rimasto ancora lì, immobile, senza far nulla perchè distratto dai suoi pensieri. 
La prese in braccio portandola a riva e, una volta usciti dall’acqua la distese sulla spiaggia. 
Si guardò intorno ma non vide nient’altro che la spiaggia deserta occupata solo da quei, da laggiù minuscoli, teli che appartenevano a loro due. Si sentì scoppiare il cuore e – Ci sei cascatooooo! – rise Claire alzando una parte del busto e aspettandosi un ceffone, che non tardò ad arrivare e che la fece sussultare. 
Stephen la guardò come volesse ucciderla. – Lo capisci quanto sei stupida, almeno? – chiese mentre si allontanava da lei. 
– Eddai, stavo scherzando, scemo. Dai, vieni qua e abbracciami. – – Abbracciati da sola. – – Va bene, tanto lo so che mi vuoi bene. – Concluse facendogli una linguaccia, dopo di che si diresse verso il suo telo e si coricò per prendere un pò di sole. 

Stephen la raggiunse soltanto una decina di minuti più tardi e, dopo il suo arrivo, stettero a parlare di quanto lei l’avesse fatto spaventare, di quanto fosse stupida, e di come, senza pensarci due volte, lui l’avrebbe uccisa se avesse rifatto di nuovo una cosa del genere.


*

 ” Penso a quel giorno e sorrido, ma la voce di Juliet mi riporta subito alla realtà. Mi ha appena chiesto se avessi scritto qualcosa sulla nostra “casa”. A lei piace chiamare così questo posto, ma secondo me non è una casa. Ricordo casa mia, lì c’eravamo solo io, mamma e papà, ed era tutta colorata; questo posto invece è tutto bianco. Io preferisco chiamarlo ospedale, perchè ci sono i dottori e i dottori stanno negli ospedali. ” – Basta scrivere Claire, ci sono qui i tuoi genitori e vogliono vederti. Che ne dici, vieni? – E’ sempre Juliet a parlare. Annuisco alla sua richiesta e mi dirigo verso la stanza in cui si trovano i miei genitori. 
" Non vedevo mamma e papà da due settimane. Prima venivano piú spesso, ma papà l’ultima volta aveva detto che sarebbero partiti per un posto e io non li avevo più visti fino ad oggi. Il nome di mamma é Bethany, ha i capelli castani con delle meches bionde e quasi cinquant’anni; papà invece si chiama Richard ed è un insegnante di filosofia. "

Passammo tutto il pomeriggio a parlare. Parlammo del tempo, della nostra vecchia vita e di tante altre cose, poi ad un certo punto papà disse che doveva dirmi una cosa importante e che dovevo ascoltarlo attentamente, quindi, dopo aver fatto finto la piú seria che potessi imitare, feci esattamente ciò che aveva detto. 
“ Claire, piccola. Dopo sei mesi,potrai finalmente tornare a casa con noi.. fra qualche giorno”. Queste erano state le parole esatte che erano uscite dalla sua bocca subito prima che avesse sorriso con trentadue, e anche più, denti. 
All’inizio fui un pò scossa, non sapevo cosa dire. Stavo bene lì e mi piaceva Juliet, ma non volevo ferire mamma e papà con una risposta negativa, quindi decisi di stabilire delle regole. 
Regola numero uno : nessuno doveva parlar male di Stephen. Regola numero due : nessuno doveva litigare con nessuno. Quando mamma e papà dissero che queste regole andavano bene, feci anch’io un sorriso e dissi che ero d’accordo, che sarei tornata a casa. In quel momento, per un’attimo, vidi che nei loro occhi apparve un pizzico di speranza, speranza che avevano perduto tempo prima. Mi videro come la vecchia Claire, ne fui sicura, come quando ancora sapevo ragionare. In realtà, anche in quel momento, sapevo ancora ragionare nonostante mi trovassi in un ospedale. Nella mia testa ragionavo perfettamente. Facevo delle frasi quasi mai insensate e a volte anche complesse; il problema era che quando dovevo parlare. Mi bloccavo e non riuscivo.. 
Il problema, il vero problema, era Stephen. Non che lui fosse mai stato un problema, ma quando il suo nome, il suo ricordo e il suo viso si facevano spazio nella mia testa, BOOM , tutto esplodeva. 

– Allora aspetta un attimo qui che noi parliamo con la dottoressa Juliet, va bene tesoro? – 
-Sì, va bene.- diedi un bacio ad entrambi per salutarli e mi appostai davanti la porta per origliare la loro conversazione che, sapevo già, riguardasse me e la mia specie di pazzia. La prima voce che sentii fu quella di Juliet. – Vi riassumo in poche parole la situazione, signori Shepard. Vostra figlia oltre a soffrire di depressione, come sapete già, ha anche subito un grandissimo trauma, per questo motivo non riesce più a ragionare come una volta. Al centro della sua vita mette il suo amico morto, e vede come una minaccia chiunque parli male di lui, e in casi come questi potrebbe anche diventare pericolosa. Inoltre, è molto instabile e non deve mai restare sola perchè potrebbe farsi del male. Nonostante tutto, grazie alle pillole, la situazione è migliorata notevolmente, quindi dovrà continuare a prenderle anche quando tornerà a casa. Due pillole di Clonazepam ogni giorno dopo pranzo. Domani alle sei del pomeriggio potrete passarla a prendere. – 

Dopo qualche minuto la porta si aprì. – Claire, torniamo in stanza? – 
– Sì, Juliet. -Strinsi la mano della dottoressa e mi incamminai attraverso il lungo corridoio e, presa dalla noia, mi guardai un pò intorno. C’erano ragazzi più piccoli di me, adulti e anziani.
Alcuni erano calmi, alcuni chiacchieravano con altri, altri sembravano davvero dei pazzi. 
C’era un’uomo che gridava come lo stessero torturando, ma in realtà era solo. C’era una ragazzina che strappava le lenzuola. 
C’era un ragazzo.. che mi fece fermare il cuore. In un primo momento mi fermai e lo guardai con gli occhi quasi fuori dalle orbite e la mascella che più aperta sarebbe arrivata al pavimento. Sentii Juliet che mi chiamava, ma in quel momento la sua voce era solo un ronzio rispetto al battito del mio cuore. Feci un passo; ne feci uno più grande, iniziai a correre e mi precipitai su quel ragazzo. Lo toccai, gli toccai il viso, il corpo, lo toccai tutto, poi lo strinsi e mi misi a piangere. 
Vidi arrivare dei dottori e capii che volevano portarmi via da lui. Strinsi la presa, lo strinsi più forte che potei, gli affondai le unghia nella carne come fanno i gatti con i propri padroni quando non vogliono lasciarli andare. Continuai a piangere, volevano portarmelo via. Stavano cercando di portarmelo via, un´altra volta. Non volevo lasciarlo, non volevo far vincere loro, non avevano il diritto di separarci un´altra volta, non era giusto. Sentii un pizzico, uno stupido dottore mi aveva iniettato qualche stupido sedattivo. Non volevo che succedesse, ma non ebbi più il controllo del mio corpo. Non ebbi più forza. Le dita scivolavano sempre piu´via dalla sua carne, e piano piano anche le mie gambe crollarono. Tutto cio´che mi restava era la mia voce, così gridai. – Stephen. Steeph. Tornerò. Tornerò da te. Te lo prometto Steph. Mi dispiace tanto. -
  
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