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Autore: deductea    12/06/2015    0 recensioni
In un'Inghilterra le cui strade sono percorse quotidianamente da troppe persone, in un'Inghilterra costantemente avvolta in un cocktail di fumi di infinite industrie e locomotive, in un'Inghilterra dove ciò che conta maggiormente sono il denaro, le industrie, ed il possesso, dove una persona innamorata di un'altra del suo stesso sesso viene condannata ai lavori forzati o alla prigionia, in questa rigida Inghilterra vittoriana, Sherlock Holmes e John Watson credono in un valore molto più grande di tutti quelli ammirati in quel periodo, un valore che va oltre il possesso e che per questo motivo la gente superficiale non capiva. Si tratta di un valore che i due non potranno mai possedere e che li porterà perfino ad infrangere la legge.
Genere: Angst, Fluff, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Baker Street, 1892


In una fredda mattina di novembre il dottor Watson dopo aver terminato la colazione, si fermò come suo solito di fronte a una delle tante finestre che casa sua aveva, stesse identiche finestre che caratterizzavano tutte le architetture del centro della città e che il dottore poteva ammirare guardando il palazzo di fronte al suo.
Stando in piedi davanti a quella alta finestra egli poteva osservare la vita della Londra vittoriana scorrere sotto i suoi piedi: vedeva una strada molto ampia punteggiata dalle infinite carrozze che trasportavano ricchi e poveri londinesi, entrambi accomunati dal fatto di esser stufi di quella caotica vita di città. Watson accennò un sorriso alla vista di quelle nere carrozze perché il caso di Jefferson Hope tornò vivido a riempire i suoi ricordi: era stata quella la prima occasione in cui aveva potuto osservare Sherlock Holmes in azione, ma anche la prima occasione in cui i loro due universi si erano inevitabilmente scontrati, nel 1887.

I lati della grande strada erano affollati da donne, bambini e uomini; le prime si facevano largo tra la folla avanzando verso il centro della città nei loro lunghi ed ampi abiti promossi dalla moda del momento, seguite dai tre/quattro figli che camminavano e si rincorrevano attorno alla madre, tagliandole la strada e creando una confusione generale. Questa vista fece tornare nella mente del dottore il problema dell'enorme crescita demografica e vi fece apparire immagini di palazzi che soltanto pochi anni prima non erano altro che piccole case capaci di ospitare solo una famiglia. La velocità dello sviluppo e dell'avanzamento della tecnologia spaventarono il dottore a tal punto da fargli domandare cosa Londra e il mondo sarebbero diventati quando egli fosse morto. Gli uomini camminavano distaccati dalle donne e dai bambini e si dirigevano malvolentieri verso il proprio impiego all'interno della città. C'era anche chi doveva prendere il treno per raggiungere le industrie costruite nelle periferie della grande città. L'industria: la grande innovazione del secolo. Il dottore alzando lo sguardo poteva vedere un leggero fumo in lontananza che saliva dalla locomotiva verso il cielo tingendolo di bianco; i binari conducevano la macchina verso chissà quali destinazioni.
John Watson si girò sospirando e si avviò verso il soggiorno, dove non sapeva che il suo singolare coinquilino lo stava aspettando.
Sherlock Holmes aveva l'abitudine di alzarsi molto tardi al mattino, tranne quando, come era accaduto quella notte, rimaneva in piedi non potendo chiudere occhio. Il detective aveva passato tutta la notte a pensare a come poter comportarsi più come un amico che come un collega con John Watson e più il detective pensava a lui, più egli desiderava che i due fossero qualcosa di più che amici. Nessun incontro nella sua vita lo aveva sconvolto così tanto come quello avuto con John Watson e dopo 5 anni stava pensando alle prime mosse da compiere per fargli capire ciò che provava realmente.
Il dottore entrò nella piccola sala e sussultò non appena lo vide seduto sulla sua poltrona, intento a fumare la sua amata pipa.
«Buongiorno, signor Holmes.» disse timido.
«Salve, dottor Watson, la stavo aspettando.» rispose il detective.
«Mi dica, per quale ragione?»
«Voglio che lei legga il quotidiano che la nostra padrona di casa ci ha consegnato qualche ora fa.»
Watson si accomodò sulla sua poltrona dove su un bracciolo vi era stato posto il giornale di quella mattina. Era il Times ovviamente, giornale famosissimo in tutto il mondo, nonché il primo che in Europa aveva fatto uso della linotipia e aveva quindi potuto eliminare i precedenti giornali formati da 8 pagine o poco più. La prima copia del Times con questa tecnica innovativa era stata pubblicata appena due anni prima, nel 1890, ma il giornale aveva subito raggiunto una fama internazionale.
«Non vedo niente che potrebbe catturare la sua attenzione, signor Holmes.» disse il dottore quando finì di leggere.
«Proprio così dottor Watson, esattamente nulla. Ultimamente non c'è nessun caso che richiami la mia attenzione o addirittura nessun caso in generale su cui poter indagare.»
«Bhé, se non altro in questi giorni non avrà bisogno della sua cocaina o della sua morfina per riordinare le troppe idee.» Il dottore tentò di nascondere una risata quando terminò di parlare, ma quando anche Holmes iniziò a sorridere, le risate di entrambi diventarono più vivaci e riempirono l'aria della stanza che era stata resa densa dal fumo della pipa.

Sherlock Holmes era un uomo dalla alta statura e molto magro, non mangiava mai quando doveva trovare la soluzione ad un mistero e nei giorni dedicati ai suoi casi non pensava ad altro. Proprio per questo motivo era noto tra la gente come una persona che non si lasciava mai influenzare da alcun tipo di emozioni che avrebbero potuto interporsi tra lui ed il suo lavoro, era conosciuto come la logica fatta in persona, estremamente chiuso in se stesso e non esattamente il personaggio adatto ad alcun tipo di relazione, come una persona scontrosa, egocentrica, incapace di provare sentimenti ed inconsapevole delle bellezze che la Terra potesse offrire. A suo malgrado però, perfino Sherlock Holmes non poteva essere una macchina perfetta, il suo universo infinitamente razionale doveva adesso convivere con un primo assaggio di irrazionalità perché perfino nel suo cuore dimenticato qualcosa si era mosso: il suo cuore aveva battuto veramente per la prima volta, per la prima volta aveva battuto per qualcuno e quel qualcuno si chiamava John Watson. Il viso del detective era di forma allungata ed era caratterizzato da un naso aquilino, ma ciò che inquadrava più di tutto la figura di Sherlock Holmes era il suo modo di fare, di camminare, di muovere le mani, di prendere e maneggiare la sua lente di ingrandimento ed il suo modo di parlare, con quel suo forte accento inglese, era il punto debole di tutti gli stranieri e anche di alcuni inglesi stessi.
John Watson era un uomo di intelligenza media che Sherlock Holmes sperava di far diventare più intelligente facendolo assistere a tutte le sue formidabili deduzioni. Era un uomo di statura bassa, non troppo magro e portava i baffi come dettato dalla moda maschile del periodo. Era una persona che teneva conto dei sentimenti delle persone e soprattutto di quelli dei loro clienti, spesso opponendosi alle decisioni troppo meccaniche e formali di Holmes. John Watson era stata la prima persona capace di fargli capire il vero significato della parola “relazione” ed il dottore era una delle poche persone che si distaccava dalla massa per smentire quelle voci che giravano sul conto del suo amico, perché anche lui era uno dei pochi che in fondo trovava Sherlock Holmes attraente.

«Bene, quindi mio caro Watson, perché non andiamo a raggiungere i londinesi nelle loro noiose e monotone vite in una passeggiata mattutina?» disse Holmes che aveva appena finito di fumare e si stava alzando dalla sedia per raggiungere il suo cappotto, cappello e guanti.
«Certo, mi farebbe molto piacere scambiare due parole con lei.» rispose Watson un po' sorpreso ed imbarazzato da come il coinquilino lo aveva appena chiamato.
«Bene allora, avviamoci.»
I due amici si avviarono camminando l'uno accanto all'altro, stando attenti a non sfiorarsi, scambiandosi qualche parola su fatti di attualità.
Attraversarono il parco più vicino al 221B e sentirono una banda suonare in lontananza. Il parco era come sempre affollato e Holmes non riuscì a fare a meno di “giocare alle deduzioni” deducendo attraverso pochi elementi la situazione familiare della vittima o la sua prossima direzione. Watson era divertito e allo stesso tempo spaventato dalla persona che aveva a fianco ed il detective lo guardava e rideva ogni singola volta che il dottore gli faceva un complimento. Era esattamente la stessa situazione che si presentava ai maghi, i quali a fine spettacolo erano ripagati dalla vista delle facce sorprese del pubblico, da quegli occhi spalancati e da quelle bocche aperte. Ma per Sherlock Holmes la cosa era leggermente diversa perché John Watson era il suo intero pubblico, in lui si trovavano tutte le espressioni di sorpresa che potevano ripagare tutte le sue insolite e geniali deduzioni, era lui l'unica persona che si complimentava con il detective e che lo trattava come un essere vivente, non avendo mai pensato che anche il suo amico fosse una delle tante macchine inventate nel loro secolo. Gli unici “meraviglioso” e “fantastico” che Sherlock Holmes udì mai furono pronunciati dalla voce di John Watson, e per questo il detective gli fu infinitamente grato.

«Grazie, dottor Watson, grazie davvero.» disse sincero il detective guardando il dottore negli occhi.
«Signor Holmes, non credo di capire il motivo per cui lei mi stia ringraziando.»
«Dottor Watson, il fatto che lei non capisca non mi sorprende affatto.» disse Holmes ridendo.
I due proseguirono la loro passeggiata passando davanti a numerosi luoghi, molti dei quali erano il simbolo della città, nonché dell'intera Inghilterra.
Arrivarono davanti al parlamento dove poterono osservare la famosa torre dell'orologio e si sedettero vicino al ponte altrettanto famoso.
«Cosa ne pensa della politica, signor Holmes, crede che la nostra regina stia facendo un buon lavoro?»
«Dottore, lei dovrebbe ormai conoscere i miei limiti culturali e sapere che la mia conoscenza della politica è scarsa. Mi piacerebbe però sapere cosa ne pensa lei di questa nostra regina. Si chiama Vittoria, non è così?»
«Mister Holmes, almeno il nome dovrebbe conoscerlo! Sì, si chiama Vittoria e devo riconoscere che sotto il suo regno l'Inghilterra si è accresciuta molto economicamente ed è grazie a lei se la rivoluzione industriale ha avuto origine proprio nel nostro paese e se abbiamo conquistato così tante nuove colonie. Noto però che vi è una profonda lacerazione nella società inglese. C'è una enorme differenza tra poveri e ricchi ed è osservando i bambini che lei può accorgersi di ciò che sto cercando di dire. Soltanto pochi figli di pochi ricchi possono andare a scuola ad istruirsi mentre i figli delle famiglie che possiedono meno denaro sono costretti ad andare a lavorare nelle miniere di carbone, o a scivolare sotto le moderne macchine per recuperare rocchetti di cotone, e mi creda quando dico che morirei sul colpo se un bambino costretto a lavorare come spazzacamino mi entrasse in casa passando per il camino per chiedermi se necessito del suo servizio. Per non parlare del problema della prostituzione e di quella famosa legge sugli omosessuali. In conclusione, credo che questa società non conosca il vero valore delle cose.»
«Capisco, mi devo congratulare con lei dottore, mi ha veramente aperto la mente.»
John Watson si girò dando le spalle al suo interlocutore benché fosse un gesto molto maleducato, perché le sue guance si erano improvvisamente tinte di un rosso chiaro e non voleva assolutamente fare capire al detective i suoi veri sentimenti, proprio in quel momento che era appena stato toccato l'argomento “omosessualità”. Se invece il dottore non si fosse girato avrebbe visto il detective mordersi il labbro, pentito del suo comportamento così diverso ed improvviso verso una sola persona in particolare. Sherlock Holmes pensò che anche chi di più stupido potesse esistere al mondo avrebbe potuto capire i suoi sentimenti, ma entrambi avevano paura ed entrambi non sapevano nulla dell'altro.
«Dottore, non crede che a questo punto sarebbe meglio incamminarci verso Baker Street e desinare?»
«Sono pienamente d'accordo, signor Holmes.»

I due si avviarono verso la strada del ritorno e decisero che non avrebbero percorso la stessa strada dell'andata, ma che avrebbero tracciato un anello, raggiungendo Baker Street dal centro città.
L'elevata statura di Holmes lo faceva avanzare con molta velocità e costringeva il povero John Watson a fare più passi e ad aumentare la velocità per potergli stare dietro.
Le strade del centro erano sempre molto affollate, ma a quell'ora lo erano ancora di più e spesso i due amici non potevano proseguire l'uno a fianco all'altro, ma erano costretti a procedere in fila, passando tra due persone. La figura slanciata del detective gli permetteva di inoltrarsi velocemente tra la folla, ma spesso il dottore rimaneva indietro, intrappolato in qualche labirinto di cappotti e bastoni da passeggio.
«Signor Holmes... per l'amor del Cielo, mi aspetti!» Il detective all'udire di quelle parole si voltò e tornò indietro di qualche passo per aspettare il suo amico.
«Prenda la mia mano, altrimenti si perderà definitivamente.» Holmes non era del tutto sicuro della mossa azzardata che aveva appena fatto, il suo viso era diventato rosso di imbarazzo per la prima volta dopo anni e per questo motivo non guardò John Watson negli occhi. Teneva lo sguardo basso, fisso sulla mano destra del dottore. Watson aveva invece un'espressione di sorpresa dipinta in volto e fissava quello del detective, sbatteva le palpebre per autoconvincersi che quello non fosse un sogno, ed involontariamente la mano che il detective stava guardando iniziò a tremare. Sherlock Holmes non abituato a questa attesa imbarazzante, allungò di poco il braccio e le due mani si toccarono: quella dalle dita affusolate accoglieva perfettamente quella dalle dita leggermente tozze, e la seconda riusciva perfettamente a stringere la prima. Il detective alzò finalmente lo sguardo ed incontrò quello sorpreso del dottore, al quale rispose con un ampio e più unico che raro sorriso.
I due proseguirono con passo ancora più veloce tra la folla, attenti a non farsi notare. Nessuno dei due parlò, non ce ne era bisogno.

Rientrarono nel 221B, entrambi con il cuore molto più sconvolto e pesante di qualche ora prima. Si diressero entrambi in soggiorno e videro che la padrona di casa era ancora in cucina a preparare il pasto.

L'atmosfera di imbarazzo che si era creata tra i due stava aumentando ora che dovevano stare insieme in una piccola stanza, stanza che in quel momento sembrava più piccola di quanto non lo fosse mai stata. Entrambi si tolsero il cappotto, cappello e guanti per cercare di placare quell'improvviso calore interiore che provavano, nessuno aveva ancora detto una parola e nessuno voleva farlo in quel momento.
I due si avvicinarono verso una finestra della stanza e osservarono il paesaggio, vista che agli occhi del dottore sembrava sempre uguale, ma che agli occhi del detective sembrava sempre in mutamento.
Sherlock Holmes era arrabbiato, arrabbiato con se stesso per aver fatto una mossa più azzardata dell'altra nel giro di 2 ore e si sentì per la prima volta deluso di se stesso ed incapace. Mentre il detective si stava mordendo il labbro inferiore guardandosi la punta delle scarpe, John Watson si girò e lo guardò in viso, deciso a confessare tutto ciò che da 5 anni gli scompigliava il cuore. Entrambi si guardarono, le due iridi studiarono la sfumatura di azzurro mai notata dell'altro e i due uomini si avvicinarono. Quando erano abbastanza vicini da poter percepire l'ansia e la paura dell'altro, gli occhi di entrambi si posarono sulle labbra della persona che avevano di fronte, chiaro indizio del loro prossimo desiderio. John Watson esaudì questo aspettato e proibito desiderio pochi istanti più tardi, egli posò le sue sottili labbra sopra quelle più carnose di Holmes riuscendo a comunicare ciò che da 5 anni non era stato capace di esprimere, vi depositò tutta la paura, ansia ed angoscia che aveva accumulato e fu felice di averlo fatto, ora non aveva più niente da nascondere.
«No... io non... ho appena fatto una cosa illegale, illegale per l'amor del Cielo! Non mi riconosco più, signor Holmes, la prego di perdonarmi, non so cosa mi sia preso, le porgo le mie scuse.» disse il dottore non appena la legge che vietava l'omosessualità tornò a martellargli la mente facendogli abbassare lo sguardo e facendolo allontanare il più possibile dal detective. Quest'ultimo invece era rimasto in piedi, immobile, sorpreso di poter essere amato ed apprezzato da qualcuno. Per una volta il grande consulente investigativo avrebbe voluto violare la legge e comportarsi da criminale. Si voltò, prese per un braccio il suo complice e lo baciò a sua volta.
«Non oggi, mio caro Watson, non domani, tra qualche secolo...se saremo fortunati.» disse il detective Sherlock Holmes con le labbra ancora premute su quelle del dottor John Watson.

 

 

   
 
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