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Autore: beat    10/01/2009    3 recensioni
Era meglio dormire.
Dormire e sognare, piuttosto che vivere nel presente, nella realtà.
Nella realtà della guerra.
[...]
“Le campane sono la musica degli angeli”
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LE CAMPANE


Un terribile frastuono.
Un fulmine.

Marco si svegliò di soprassalto.
Si riaddormentò quasi subito.

Era meglio dormire.
Dormire e sognare, piuttosto che vivere nel presente, nella realtà.

Nella realtà della guerra.
Quanto tempo era passato dall'inizio del conflitto?

Marco non lo ricordava.
Preferiva non ricordarlo.
Non ricordare quanti raccolti aveva saltato, quante semine, quante mietiture.

Lui era un contadino.
Non un soldato.

Non gli era mai piaciuto combattere.
Non era nemmeno un granché come soldato.

A lui importava solo di coltivare il suo campicello.

Glielo aveva lasciato suo padre quel campicello.
L'unica cosa buona che avesse mai fatto per lui.
L'unica cosa buona che avesse mai fatto in tutta la sua vita.

Picchiava sua madre, a quanto ricordava. Era ancora piccolo, allora.
Suo padre beveva. E quando beveva picchiava sua moglie.
Una volta aveva picchiato anche Marco.
A nulla erano valse le suppliche della madre, nel disperato tentativo di proteggere il suo unico figlio dalla furia del padre.

“Qualcosa avrai fatto, te le meriti!” - diceva questo quando li picchiava.

L'unico insegnamento che Marco aveva appreso dal padre.
Qualcosa di male doveva averlo fatto. Anche se non se ne rendeva conto.

Forse era quello che il prete chiamava “peccato”.
Tutti commettono peccato, anche quando non se ne rendono conto.
Forse, allora, lo stesso vivere è peccato.

Marco non capiva la religione.

Credeva in Dio, certo.
Ma non capiva quello che dice il parroco.
Don Davide si chiamava. Era un vecchietto energico che pronunciava i suoi sermoni ad alta voce, forse che così si sarebbe fatto capire meglio anche da chi non lo seguiva o non capiva.

Comunque Marco non capiva.

Forse era davvero stupido come dicevano quelli del paese.
Ma sua madre diceva che non era stupido.

Sua madre era una donna buona.

Somigliava tanto alla donna il cui ritratto era appeso nel centro del muro sopra il loro camino.
Teneva in braccio un bambino, quella donna. Il bambino aveva il cuore circondato da spine.
Maria, la donna del ritratto. Gesù, il suo bambino.

Era buono Gesù.
Talmente buono che salverà tutti gli uomini.

O almeno così diceva la madre di Marco.
Marco ci credeva.

Ma era perplesso su come potesse quel bimbo avere il cuore con le spine. E lo era ancor di più sul fatto che un bambino con il cuore con le spine potesse salvare tutte quelle persone.
Perché nel mondo c'erano davvero tante persone.

Lui non lo sapeva.
Ma sua madre diceva che era vero: per cui per Marco era vero.
Tutto quello che sua madre diceva era vero.

Sua madre non aveva mai detto una sola bugia.
Era una donna buona.
Buona e bella come la Maria madre del bambino con il cuore con le spine. Ma non gli facevano male quelle spine?

Se lo era chiesto spesso Marco.
A lui le spine facevano male.
Quando aveva preso in mano una rosa da regalare a sua madre, si era punto.
Il sangue rosso aveva macchiato i petali rossi. Era una bella rosa. Profumata.
A sua madre era piaciuta tanto.

Forse, dal Paradiso, le era piaciuta anche la rosa che Marco le aveva portato al funerale.
Questa volta però era una rosa bianca.
La madre di Marco era morta poco prima dell'inizio della guerra.

Che cosa strana che era la guerra.

Marco non se la aspettava così.
A dire il vero non se la aspettava proprio.
Non ne aveva mai sentito parlare.

A dire il vero non aveva mai sentito parlare di tante cose.

Le uniche cose che sapeva erano quelle che gli aveva insegnato sua madre.
Non era mai andato a scuola e non capiva quello che diceva Don Davide.
E non parlava con i ragazzi della sua età.
Non li conosceva neppure.

Quando suo padre era morto Marco aveva solo otto anni.
Da allora lui e la madre non avevano avuto più molti contatti con tutto ciò che non era il loro campo. Andavano in paese solo per vendere il raccolto.

Ma erano felici.
Marco era felice.

Lavorava sodo tutto il giorno, tutti i giorni.
Non si ammalava mai e non importava il tempo che c'era. Anche con la grandine c'era lavoro da fare.
E lui lavorava.

Anche dopo la morte della madre aveva continuato a lavorare.
Non c'era motivo per smettere.
Solo, quando sentiva i rintocchi di una campana, si fermava, qualunque cosa stesse facendo, e pregava.

“Prega per me, mio dolce Marco – gli aveva detto in punto di morte sua madre – prega per me quando sentirai le campane.”

Avevano un suono così dolce le campane del paese.
Alla madre di Marco piaceva la musica.

“Le campane sono la musica degli angeli” - diceva a Marco.

Anche gli angeli, per Marco, erano un concetto non chiaro.
Come mai degli uomini avevano le ali?

Spesso, da bambino, Marco nascondeva le uova.
Sperava di trovare un giorno un uovo di angelo.
E magari quell'angelo sarebbe diventato l'angelo custode suo e di sua madre.

E li avrebbe protetti per sempre.

Forse, se avesse trovato un uovo di angelo ora non sarebbe in guerra.
Forse non ci sarebbe stata nemmeno la guerra.
Era davvero brutta, la guerra.

Marco non la capiva.

Come mai il bambino con il cuore circondato dalle spine, il buon Gesù bambino, quel bimbo che salverà tutti gli uomini, anche se gli uomini sono tantissimi, come mai fa combattere gli uomini, in modo che si uccidano l'un l'altro?
E' brutta la guerra. Sono brutte un sacco di cose.
Perché il buon Gesù le permette?

Forse è perché è ancora un bambino.
Magari quando crescerà sarà più bravo.

Intanto a Marco non resta che farsi il segno della croce, sentendo il lontananza i rintocchi di una campana.

“Bimbo Gesù, salva mia madre”.




   
 
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