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Autore: Myddr    13/06/2015    1 recensioni
2056 - la Terra è stata invasa e devastata dalle creature delle antiche mitologie. Soltanto la magia, padroneggiata da pochi sopravvissuti, è in grado di constrastare la loro avanzata, ma per quale motivo hanno dato inizio alla distruzione? A muoversi è solo il desiderio di guerra e sangue, o stanno cercando qualcosa?
Partecipa al concorso The Ancient Tales.
Genere: Azione, Fantasy, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipa al concorso The Ancient Tales.


I
 

Mi risveglio dopo chissà quanto tempo, tasto la fondina, estraggo la pistola, mi tiro a sedere con uno scatto. Ho il fiato corto, scandaglio con lo sguardo l'ambiente buio attorno a me. È notte, fuori dall'edificio diroccato un lampione piegato emette una luce intermittente e un insistente ronzio.
Mi stropiccio gli occhi e mi costringo ad alzarmi. Ogni muscolo grida vendetta, ma un passo dopo l'altro mi avvicino alla finestra del capannone. Nel buio, i palazzi ancora restati in piedi, quelli più alti, brillano sinistri alle pochi luci restate, dando l'impressione di una minaccia incombente. Beh, sono certo che loro torneranno da un momento all'altro, così come se ne sono andati.
Quando era iniziata la fine dell'umanità? Sollevo il bavero dell'impermeabile e ripercorro con la mente l'ultimo decennio. Nel 2056 la razza umana era destinata a grandi cose, a conquistare lo spazio. Si parlava di fondare decine di colonie su Marte, ormai quasi del tutto terraformato. Si parlava di clonare la specie umana per creare un'infinita e infaticabile quantità di operai che, lavorando al posto nostro, ci traghettassero in un'epoca d'oro fatta di incalcolabile ricchezza e benessere. E si discuteva su quanto tutto questo fosse etico, i nostri problemi erano soltanto decidere quanto in fretta questi cloni avrebbero dovuto acquisire lo status di “essere umano”.
Poi erano arrivati loro. Le creature delle storie antiche. Fantasmi, djinn, vampiri, demoni, mostri, tutta quella merda. Qualcuno giurò addirittura di aver visto un leviatano. Sì, proprio come quello biblico, un grande serpente che, emerso dal Pacifico, aveva trascinato sul fondo innumerevoli isole‑città. La diceria circola ancora.
Loro non ci avevano portato la magia, né avevano reso favolosa la nostra vita. Ci avevano portato la guerra, lo sterminio, la distruzione. Chi riuscì a partire per Marte si salvò... ok, forse: le comunicazioni si erano interrotte appena qualche giorno dopo, quando sulla Terra tutto si fermò. Loro avevano iniziato a fare a pezzi ogni tecnologia, ben pochi luoghi erano riusciti a conservare qualcosa: un po' di elettricità, un tablet funzionante, una lavatrice, un cacciavite sonico. E così, la stessa umanità pronta a conquistare lo spazio, era tornata con gli occhi fissi sulla punta dei piedi, arrancando per tirare a campare.
-Ti sei addormentato ancora durante il turno di guardia.- constata la voce scocciata di Rev, quella che si spaccia per mia sorella.
-No.-
-Sì. Hai i segni del cartone sulla faccia.-
Mi schiaffo una mano sul viso, massaggiando la riga che mi segna la guancia, cercando di farla scomparire. Mi da uno scappellotto, sbuffo infastidito.
-Per tua fortuna non è successo niente.-
-E cosa doveva succedere?- ironizzo facendo spallucce e ripongo nella fondina la pistola al plasma.
-Non so, scegli una puntata a caso di Supernatural e trova un'idea. Cosa poteva succedere secondo te?- cerca di darmi un'altra manata, ma la anticipo scacciando il suo braccio. Ho trent'anni e questa tizia, dieci anni più piccola di me, mi tratta come un moccioso -Ora muovi il culo, Yao deve finirti il tatuaggio magico. Così a metà rischi grosso, se incanalasse male la magia...-
-Sì, sì, un'altra puntata di Supernatural.- bofonchio strattonando l'anello della pesante botola che protegge la Cantina. Ormai la chiamiamo così. È dove viviamo, ci organizziamo, riposiamo. Una specie di casa, anche se ai più piace pensarla come un rifugio e una base. Altri invece la vedono come un letamaio, e come dargli torto?
Appena rivelo le scale, mi investe la familiare zaffata di sudore, umido, olio per motori, odore di cibo vecchio e di spezie, tanta puzza di spezie. Prima mi piacevano le spezie, passavo giorni in casa a giocare ai videogiochi mangiando cibo indiano. Ora, dopo un decennio di guerra, mi disgusta: il cuoco pakistano cucina solo quello.
Man mano che scendo, il vociare dei miei compagni d'arme si fa sempre più insistente. Qualcuno sta litigando. Sorrido leggermente, i litigi sono all'ordine del giorno, abbiamo imparato a farci gli affari nostri e ormai nessuno si impiccia più nelle questioni che non lo riguardano. È la regola alla base della convivenza con così tanti sconosciuti.
-Ti spacco le ali se lo ripeti ancora!- ruggisce un uomo corpulento, con il collo taurino e i capelli rasati.
-Prima dovresti prendermi. Piantala di darmi della puttana, riparliamone da amici.- sollevando lo sguardo noto una donna esile, con braccia alate di piume nere, zampe d'uccello al posto delle gambe e un inquietante sorriso da cui spuntano denti affilati. Seduta tranquilla su una sgangherata trave del soffitto, penzola le zampe burlandosi del suo aggressore.
-Non ci dovresti neanche stare qua, io ti chiamo come voglio.-
-Credevo che avessimo risolto la questione.- sussurro a quella che si spaccia per mia sorella.
-È un'arpia.- mi risponde sufficiente.
-E allora? Ci aiuta.- ribatto infastidito.
-Immagino che non tutti siano entusiasti come te nel vedere il covo occupato da una che spunta dritta da World of Warcraft.-
-Il problema è che lei fa parte dei nemici, in teoria.- commenta James intercettandoci prima che possiamo infilarci non visti in una porta laterale.
-Il mio professore preferito!- esclama Rev gettando le braccia al collo del nero. Gli stampa un bacio sulle labbra, lui si imbarazza, io mi schiarisco la voce: stessa prassi, ogni volta.
-Lo so che farebbe parte dei nemici, ma questo non toglie che ci ha aiutati.- gli ripeto per la centesima volta.
-Senza ancora averci spiegato il perché.- James allontana la mia finta sorella e mi fronteggia sicuro. Ricambio il suo sguardo deciso con supponenza. In guerra i vaneggiamenti degli uomini di lettere sono inutili, servono aiuti veri e raramente arrivano dai libri.
-Ascolta, lo so. Questo posto lo hai trovato tu e sei stato sempre tu a raccoglierci e mettere in piedi questa specie di comunità.- cedo e abbasso gli occhi. Gli sputerei in faccia, detesto lui e la sua paranoia, ma io, Rev e gli altri abbiamo bisogno di un posto sicuro, di un tetto sopra la testa e di due o tre pasti al giorno, anche se puzzolenti di spezie -Però...-
-Però per ora non ha fatto nulla di male.- conclude rapida mia sorella. Il professore indurisce l'espressione e la fissa incerto.
-Dove stavate andando?- eccolo che inizia con il solito terzo grado.
-Da Mr. Manhwa.-
-Da Yao.- la correggo. Mi piace quando ogni cosa ha il nome giusto, odio gli stupidi soprannomi.
-Fammi vedere.- ordina James. Con un'insolita intraprendenza per il pavido cagasotto quale è, mi afferra il braccio e fa scivolare indietro la manica dell'impermeabile.
-Dai professorino, è tutto a posto.- Rev, con tono chiocciante, cerca di intromettersi fra noi, ma lui non molla. L'avambraccio è fasciato, inizia a svolgere le bende senza che io muova un solo muscolo. Alla fine rivela la pelle e i tribali incompleti che Yao sta lentamente disegnando.
-Vi avevo chiesto di smetterla.- la voce del capo della Cantina è irritata, non mi impaurisco e sostengo lo sguardo. Ha bisogno della nostra protezione tanto quanto noi abbiamo bisogno del suo cibo.
-Funzionano, questo è tutto.- strappo il braccio dalla sua presa, mi caccio in tasca le bende e abbasso la manica.
-Non mi importa se funziona o non funziona, la magia è una cosa con cui non dovete scherzare. E visto che non posso strapparvi di dosso quella che già vi siete fatti tatuare, esigo che cerchiate di limitarne l'uso.-
-James, Izaak sta solo cercando...-
-Va bene, non è il posto per discutere.- taglia corto il nero -Andate da Yao, fra cinque minuti vi raggiungo.- promette ignorando la delusione sulla faccia di Rev.
Restiamo soli e torniamo a camminare in silenzio per il lungo corridoio, lei odia quando James mette in dubbio la fiducia che ha in me, e io odio vederla giù di morale. E adesso odio James ancora di più, merda.

 
NdA
Iniziare a scrivere una storia è un processo che richiede tante cose, non solo voglia di fare o di partecipare a un concorso. Per me è dare vita a un mondo, capirne le problematiche, scoprirne i personaggi e i problemi, ma soprattutto decidere cosa voglio raccontare. Cosa raccontare è una domanda ingannevolmente ingenua: significa decidere la trama, ma soprattutto - e questo per me è primario - decidere quali valori voglio esaltare o uccidere, quali desidero far convivere fianco a fianco e di quali, invece, farò a meno per questa storia. Non sono mai stata brava a scegliere le trame, a questo aspetto del processo creativo ci ha sempre pensato (per le grandi linee) la persona con cui collaboro (felicemente) da anni. E... beh, neanche lei sceglie le trame. Quello che facciamo è sempre più simile allo scoprirle, sia che ci stiamo occupando di un libro, che di un racconto più o meno breve - e con i racconti abbiamo ancora qualche problema, per questo abbiamo colto al volo l'opportunità di The Ancient Tales, che ci ha offerto un enorme spunto narrativo, a riprova del fatto che bastano pochi particolari per scatenare la creatività.
Questo racconto, La sposa del Leviatano, è un racconto di prime volte: prima volta per la prima persona singolare, prima volta per la narrazione sporcata dai pensieri e dai giudizi di un personaggio (di solito ci manteniamo sempre super partes e raramente ci sbilanciamo in giudizi, lasciando al lettore il compito di dare sentenze), prima volta per il tempo verbale presente (che ci ha causato non pochi impicci, portandoci a revisioni multiple e incrociate). Non è la prima volta per un concorso, per fortuna.
È capitato poche altre volte, che io e V. scrivessimo così tanto in così poco tempo. Nove capitoli, quasi cinquanta pagine... in tre giorni. In 8 ore di lavoro siamo arrivate a quasi 13'000 parole. Non so se per noi sia un record, ma so che quando ho messo l'ultimo punto dell'epilogo mi faceva male il cervello. La soddisfazione è grande, perché è quella di riuscire a comporre, in appena tre giorni, un racconto con un'ambientazione pensata e dei personaggi vividi, pur scrivendo di getto e lasciando che fossero proprio i personaggi a raccontarci, ancora una volta, la loro storia.
   
 
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