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Autore: Ina_W    14/06/2015    0 recensioni
Forse ci si deve avvicinare alla morte per arrivare alla vita; e forse una risata aiuta più di un pianto. Ma c'è chi non vuole essere aiutato . . . come nel caso di Sharon.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sharon era senza fiato; la pelle del viso, ormai senza alcun dubbio tumefatta, le provocava un dolore intenso e sordo. Poggiò la mano sul cemento freddo del muro accanto a lei per riuscire a respirare. Tossì un paio di volte e del sangue le finì sulle scarpe, nuove per altro. Sentì uno scalpiccio dietro di lei e si rannicchiò per terra, terrorizzata. Scrutava febbrilmente nel buio, gli occhi praticamente ciechi. Riusciva solo ad aspettare che quegli esseri la raggiungessero e ponessero fine alla sua inutile esistenza. I passi si fecero più forti. Qualcuno sghignazzò compiaciuto e poi tre orride figure si stagliarono contro l’entrata del vicolo. A Sharon sfuggì un singhiozzo disperato. Cercò di asciugarsi il naso con la manica della felpa mentre allo stesso tempo strisciava lungo il muro fino a nascondersi dietro un cassonetto. Lo zampettare di un topo la fece quasi urlare, rischiando di rivelare la sua posizione già precaria. Sharon chiuse gli occhi e ripensò  all’ultima persona con cui aveva parlato. Quello sconosciuto che l’aveva urtata e che le aveva chiesto scusa così gentilmente . . . chissà se si sarebbe ricordato di lei quando avrebbe sentito la notizia della sua scomparsa. Sharon percorse ancora a ritroso la sua serata: la sua migliore amica le aveva dato buca per stare con il ragazzo, ma Sharon non se l’era presa. Aveva invece chiamato suo fratello per farsi venire a prendere ma lui non rispondeva, sicuramente era in giro a ubriacarsi. Infine aveva chiamato sua madre che era stata capace di dirle solo: “sei voluta uscire? Cavoli tuoi”. E aveva candidamente attaccato. Sharon cercò di trattenere le lacrime. Ogni volta che otteneva qualcosa, il destino trovava sempre il modo di fargliela pagare. In questo caso neanche capiva cosa aveva fatto di male. Non era neanche particolarmente contenta, figurarsi felice. Il destino non aveva nessun motivo apparente per cercare di pareggiare i conti. E ovviamente, pensò amaramente, il destino deve sbagliare i calcoli proprio con me. Passi pesanti. Battute volgari. Sharon tremava. Alla fine si sentì stanca dentro. Aveva passato la vita rannicchiata negli angoli più bui che era riuscita a trovare, non era intenzionata a spendere così anche la morte. Così si alzò tremante, asciugandosi gli occhi rabbiosamente. Risate più sguaiate da parte dei tre energumeni.
- Senti cocca, cerchiamo di concludere in fretta, eh? – biascicò quello più vicino al cassonetto, la faccia nascosta dalle tenebre. Il secondo rovesciò il cassonetto con una spinta poderosa e lo schianto metallico vibrò nelle viscere di Sharon, facendola sussultare appena. Il terzo tizio la agguantò per un braccio mentre lei rimaneva immobile e veniva sbatacchiata come una bambola di pezza.
- Ehi sembra addormentata, ragazzi – fece notare con voce graffiante il ceffo che reggeva la ragazza. – Non si dimena neanche un po’- aggiunse perplesso, dandole una scrollata. Sharon contava mentalmente, aspettando.
- Ah fatti da parte, incapace – intervenne il tizio che aveva rovesciato il cassonetto. – Non può essere addormentata, l’abbiamo appena riempita di botte.
Tolse Sharon dalle mani del suo compare, che assunse un’espressione perplessa, e spinse la ragazza contro il muro, l’alito acido che le aggrediva le narici. Sharon chiuse gli occhi e attese.
- Volevi scappare eh? – chiese l’uomo. Gli altri due si misero a ridere. – Avanti, rispondi – biascicò cantilenando. Sharon rimase muta. – Ho detto rispondi! – urlò l’energumeno a due centimetri dal suo volto. Sharon sollevò le palpebre e lo sfidò con lo sguardo, la cosa peggiore da fare. Lui la sbatté al muro, una, due volte. Poi la lasciò andare e Sharon stavolta rimase in piedi, usando il muro come sostegno. Tremava ancora e le facevano male le spalle. Valutò la situazione: tre energumeni contro una ragazzina malconcia e gracile. Non vedeva vie di uscita e forse non ne voleva. Certo riusciva a immaginare modi più eroici e pittoreschi di morire, ma a lei attenzioni e teatralità non erano mai andate a genio. Una porta si chiuse violentemente da qualche parte. Sharon respirava piano e con fatica, la bocca arida. Le venne da ridere quasi: a volte aveva assaporato la visione di un mondo senza di lei, un mondo con una persona sofferente in meno. Ma non aveva mai avuto il coraggio di attuare le sue fantasie, perché dopotutto era una delle persone più masochiste della terra e non voleva davvero abbandonare il dolore. Sorrise, implacabile nei suoi ragionamenti contorti in modo così sbilenco da risultare giusti. E alla fine, mentre gli energumeni si avvicinavano e se la passavano, sballottandola a destra e a manca, pensava che non era un brutto modo per morire, al buio, senza avere piena consapevolezza del mondo e delle colse che facevano più male, proprio per la loro forma, alla luce del sole. Del resto, l’unica cosa ancora vagamente orripilante era il profilo dei tre aggressori, che risultava palesemente umano. Purtroppo è sempre questa specie a sputare sentenze, fatte di parole e azioni, che modificano la condizione di altri individui, senza davvero averne il potere ma usandolo di fatto. Sharon era una ragazza sveglia; persino in punto di morte rimuginava su elucubrazioni filosofiche. Le scappò una risata mentre uno di quei brutti ceffi tirava fuori un coltello dalla cintura dei jeans. Sharon continuò a ridere incontrollata. L’energumeno armato vacillò. La più profonda paura umana è quella della pazzia. E i tre scapparono a gambe levate. Sharon si abbandonò contro il muro freddo e tossì di nuovo sangue sulle sue scarpe. Si rialzò e uscì dal vicolo tendendo una mano sul muro. Si scostò i capelli dal viso sudaticcio e cercò di capire dove si trovava. Aveva cercato di seminare i suoi aggressori finendo in un quartiere sconosciuto. Imprecò a denti stretti e cercò di leggere alla fioca luce dei lampioni la via che stava percorrendo. Fortunatamente, o sfortunatamente, la conosceva. Peccato, si era bruciata la possibilità di morire assiderata su un marciapiede anonimo. Si prese un attimo per riflettere; alla fine il suo desiderio di farla finita le aveva salvato la vita. Il destino, oltre ad essere negato nel pareggiare i conti era anche un asso dell’ironia a quanto pareva. Sharon percorse un paio di chilometri a piedi e raggiunse la via di casa sua. Si preparò mentalmente ad affrontare sua madre e spinse il piccolo cancello arrugginito che dava sul giardino di casa. Entrò tossendo un’altra volta, schizzando sangue sull'orgoglio di sua madre: il divano. La diretta interessata la stava aspettando alzata.
- Ce l’hai fatta – esordì glaciale. – La prossima volta cerca di tornare più tardi, tranquilla.
Sharon le passò davanti senza una parola, facendole sgranare gli occhi.
- Cosa ti è successo? – strepitò la madre alzandosi di scatto dal suddetto divano.
- Cavoli miei, no?
Un anno dopo
Sharon era morta. Alla fine, il destino era stato clemente con lei, decidendo di porre fine in modo quasi indolore alla sua esistenza, pressurizzandola tra un furgone andato fuori strada e un muro. L’unica cosa riconoscibile sul cadavere fu il viso, congelato nel sorriso più follemente felice della storia del mondo.  Angolo autrice: Salve a tutti! Allooora premetto che questa è stata la mia prima storia pubblicata qui e che l'ho scritta di getto e di notte... può risultare alquanto depressa e riconosco che non ha molto senso... però io ci ho provato. Sarebbe davvero gratificante ricevere qualche recensione, negative o positive che siano, poiché sto pensando di pubblicare un'altra storia e sarebbe inutile farlo senza sapere cosa ne pensate voi ;) a presto!
   
 
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