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Autore: COLFER90    14/06/2015    2 recensioni
Cosa sarebbe successo se le porte del finto ascensore non si fossero aperte dopo il bacio di Kurt e Blaine? Sue sa che il loro amore non si è mai spento, per questo decide di prolungare un pochino la loro permanenza lì dentro per far fare ai klaine il “passo successivo”.
Piccolo finale alternativo, diciamo che ho sempre sognato che le cose andassero così e voglio condividerlo con voi in questa one shot! Enjoy :)
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sue Sylvester | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Le loro labbra si staccarono, dopo un bacio che era durato forse più del necessario ed entrambi ne erano consapevoli.
Kurt era scosso e senza fiato, con le guance arrossate e le labbra lievemente più carnose. Fissò Blaine negli occhi, rivolgendogli uno sguardo vulnerabile che gridava debolezza e impotenza. Blaine lo fissò a sua volta, i suoi occhi verdi spalancati e la bocca ancora aperta per riprendere fiato. Si scoprì preoccupato per Kurt, raramente aveva visto in quello stato i suoi occhi, sempre così vivi e brucianti di passione per qualsiasi cosa. Quella situazione gli ricordò il loro primo incontro e la loro chiacchierata in quella sala della Dalton. In una frazione di secondo, Blaine vide passare in un flash tutta la loro storia, fatta di alti e bassi, di canzoni e dolori, di baci e sfioramenti di mani.
Non aveva mai smesso di amarlo, e tutto ciò che voleva fare in quel momento era stringerlo per non lasciarlo più, per proteggere Kurt, il suo Kurt, che aveva stupidamente tentato di rimpiazzare con il ragazzo che gli aveva rovinato la vita per anni. Pensandoci, non riusciva a credere di aver fatto una cosa del genere: si sentì un mostro.
I muscoli del suo viso si tesero quando si rese conto che nel frattempo il tempo stava passando, che Kurt aveva abbassato lo sguardo e che le porte del finto ascensore erano ancora sigillate nonostante il bacio che si erano scambiati con anche troppo coinvolgimento, considerando la loro situazione sentimentale.
Kurt non riuscì più a sopportare tutto e, per scaricare quella tensione opprimente, fece l’unica cosa che si era promesso di non fare, l’unica cosa che odiava fare in presenza di qualcun altro: si mise a piangere. Approfittò del fatto che Blaine avesse iniziato a tirare inutili pugni contro la porta per allontanarsi e accasciarsi a terra appoggiato alla parete più distante da lui, cingendosi le ginocchia con le braccia e nascondendo il viso bagnato di lacrime.
Blaine non ci mise molto a sentire i suoi singhiozzi silenziosi. Si precipitò vicino a Kurt, inginocchiandosi alla sua altezza. Gli mise le mani sulle spalle costringendolo a guardarlo in faccia e gli disse con la massima dolcezza possibile:  

“Kurt, ehi, ce la faremo ad uscire da qui. Per favore non piangere, odio vederti soffrire.”

Cercò di asciugargli una lacrima con il polpastrello ma Kurt si ritrasse, il suo viso era una maschera di dolore. Si alzò in piedi e gli diede le spalle, asciugandosi le lacrime che tuttavia continuavano a cadere copiosamente. Blaine lo seguì, aspettando pazientemente che gli rivolgesse la parola. Dopo un breve momento di riflessione in cui cercò di ricomporsi, Kurt si girò verso Blaine e si fece sempre più vicino, tanto che potevano sentire sulla guancia l’uno il respiro dell’altro.
Con la voce incrinata e gli occhi acquosi, iniziò a parlare cercando di mantenere un tono fermo. Decise di non fermarsi, di dirgli tutto ciò che teneva dentro da mesi e che aveva duramente cercato di reprimere con tutte le sue forze. Le frasi uscirono un po' scollegate tra loro, ma in quel momento per Kurt sarebbe stato impossibile costruire un discorso sensato.

“Non sto piangendo perché siamo ancora chiusi qui dentro, è l’ultimo dei miei problemi. Io piango perché non ce la faccio più, Blaine. Sono stato un idiota, ti ho lasciato scivolare via, tu che sei la miglior cosa che mi sia capitata. Quando te ne sei andato da New York, la mia vita è stata così miserabile, vuota e deprimente. Non faccio un sorriso sincero da mesi. Non ho mai avuto il coraggio di chiamarti. Sono troppo orgoglioso e per colpa mia è finito tutto… Sono tornato qui a Lima cercando di riportarti nella mia vita, ma in quel locale …”

Abbassò gli occhi per singhiozzare, implorando la sua mente di scacciare le immagini di quella sera, di non pensare a Karofsky insieme a Blaine e al pianto disperato che aveva fatto chiuso in quello squallido bagno.
Nel frattempo, anche gli occhi di Blaine iniziarono ad inumidirsi. Prima che Kurt riprendesse a parlare, cominciò lui:

“Io sono stato un mostro, Kurt. Ho cominciato a frequentare Dave per farti male, nella speranza che tu mi vedessi con lui prima o poi. Questa immagine era l’unica cosa che mi teneva legato a lui. Ma poi quell’immagine è diventata reale, ed è stato il momento più brutto della mia esistenza. So che hai pianto in quel bagno, Kurt. Mi è bastato sentire il modo in cui è cambiato il tuo respiro e il tuo tono di voce prima di voltarti. Io non ho mai smesso di amarti, Kurt, mai.”

“Nemmeno io, Blaine. Noi ci apparteniamo, e lo abbiamo sempre saputo. Mi … mi manchi da morire.”

Blaine mise da parte la vergogna e l’orgoglio, cominciando a piangere come troppo spesso aveva fatto negli ultimi mesi. Con la voce rotta, sospirò:

“Mi manchi così tanto Kurt. Io, io piango …”

“… ogni notte fino ad addormentarmi. Anche io, Blaine.” Disse Kurt completando la sua frase.

Si guardarono negli occhi. Questa volta fu Kurt ad allungare una mano verso il viso di Blaine, sfiorando con tocco leggero una lacrima. Blaine fece lo stesso. Rimasero per qualche istante con le mani di uno sul viso dell’altro, lasciando che fossero i loro occhi a parlare.
La flebile voce di Kurt risuonò nell’ascensore:

“Ti amo, Blaine.”

Le sue labbra si distesero in un sorriso speranzoso, quasi come se avesse paura di un suo rifiuto. Blaine colse immediatamente questa sfumatura nell’incurvatura delle sue labbra, e si affrettò a rispondere, con non meno amore nella voce:

“Ti amo, Kurt. Ti prego, dimentichiamo il passato…”

Kurt annuì. Sospirò, liberandosi finalmente di quel macigno che gli aveva schiacciato il cuore per molto tempo.
Si protese verso Blaine.
Annullarono la fastidiosa distanza che c’era tra loro e crollarono uno nelle braccia dell’altro, in un abbraccio desiderato fino nelle viscere, i corpi quasi prossimi a fondersi in uno solo. Un abbraccio che gridava ogni emozione possibile e immaginabile. Si comunicarono perdono, dolore, voglia di dimenticare, felicità, colmando finalmente un vuoto che li aveva tenuti lontani in quei mesi che erano sembrati anni. Blaine affondò il viso tra i capelli di Kurt, inspirando il suo profumo fino a sentirlo nel sangue. Kurt invece lasciò un bacio sul collo di Blaine, chiudendo gli occhi per assaporare ancora di più il contatto con la sua pelle.
Si appartenevano. Non avrebbero mai potuto smettere di amarsi, nemmeno volendolo. Sciolsero parzialmente la stretta solo per baciarsi. Rispetto al bacio di pochi minuti prima, la passione triplicò, così come la durata. Fu pieno di desiderio e serenità.
Kurt, con le mani di Blaine a stringerlo con delicatezza dietro la testa, si sentì protetto e amato.
Blaine, con le braccia di Kurt a cingergli saldamente le spalle, si sentì di nuovo a casa.
Si staccarono un attimo solo per sorridersi, e fu in quel momento che le porte dell’ascensore si aprirono. La voce metallica di Sue risuonò tonante:

“Siete così adorabilmente prevedibili, miei cari Klaine. Sapevo che sarebbe bastato solo un piccolo prolungamento del tempo qui dentro e che uno dei due (avevo scommesso proprio su di te, Porcelain) sarebbe crollato psicologicamente. Grazie a me avete finalmente parlato e adesso siete di nuovo insieme. Questo era il bacio che aspettavo. Avrete tempo di ringraziarmi, ora scappate prima che richiuda le porte.”

Kurt e Blaine non se lo fecero ripetere due volte. Le loro mani si cercarono automaticamente e si strinsero con sicurezza. Corsero fino in auditorium, senza mai lasciare la presa, continuando a ridere e inciampare come due ubriachi, perché sì, erano ubriachi di felicità. Una volta arrivati, sudati e traballanti, tutti si voltarono. Notarono subito i loro vestiti dimessi, i capelli in disordine, ma soprattutto, le loro dita intrecciate e i sorrisi stanchi ma raggianti che avevano stampati in faccia. Non ci fu bisogno di parole né di spiegazioni. Sapevano già tutto. 
   
 
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