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Autore: Gattina Pazza    14/06/2015    0 recensioni
Alice si è ferita accordando fiducia alla persona sbagliata.
Zane è il migliore amico di chi le ha fatto così male.
Alice vorrebbe solo dimenticare e vivere tranquilla,ben protetta dietro un muro impenetrabile.
Zane vuole conoscere Alice, e salvarla dalla sua solitudine.
Riusciranno i due a incontrarsi? O le difficoltà impediranno loro di sfiorarsi,
pur trovandosi a meno di un passo di distanza l’uno dall’altro?
***
-Che mossa?
-Mah, qualcosa del tipo: “chiedermi della mia vita dopo aver appena cercato di vendermi nuovamente al tuo carissimo amico” ti va bene come risposta?
-Io non sto cercando di venderti a nessuno, ragazzina. Voglio guadagnare la tua stima, fino a che non ti fiderai abbastanza di me da raccontarmi la tua versione.
-Cosa?
-Voglio sentirla. Hai ragione, io so solo quello che mi ha detto Damian, ma chi mi dice che non ci sia altro? O che lui mi abbia riferito solo quello che gli faceva comodo?
-Va bene, frena un attimo… E perché dovrebbe interessarti?
-Questo è un segreto, ragazzina. Ora vado davvero, perché temo che se ti rimarrò davanti ancora per un secondo mi ucciderai sul serio. Ma sarò qua anche domani, sappilo…
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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1. Discorsi sulle colazioni, ovvero come guadagnare la fiducia di una ragazza ferita
    
Mi chiedevo quando sarebbe venuto. Un po’ me lo immaginavo, che avrebbe cercato di approcciarmi, prima o poi; ero anche abbastanza curiosa del modo in cui l’avrebbe fatto. Ma, d’altra parte, speravo anche che almeno lui avesse un minimo di buon senso; e, dato come stavano le cose, non lo facesse mai. O, se proprio era così stupido da progettare una cosa simile, almeno che gli mancassero i coglioni per tentare (e dato che era uno dei migliori amici di Damian, ero convinta non potesse che condividere la sua codardia).
Ci incrociavamo ogni giorno in biblioteca. Io arrivavo alle tre, lui circa mezz’ora dopo e ormai era diventata quasi un’abitudine quella di passarsi di fianco lanciandosi sguardi furtivi. Succedeva che sedessimo in modo tale da poterci vedere e allora, anche se in modo discreto, ci tenessimo d’occhio entrambi (sentivo il suo sguardo fisso su di me e un paio di volte l’avevo pure beccato a fissarmi); altre volte eravamo sparsi nell’immensa soppalco della biblioteca adibito allo studio, ma in qualche modo ci capitava sempre di passarci accanto. E un po’ mi sentivo rassicurata dal fatto di vederlo ogni giorno lì.
Era un mercoledì della prima settimana di maggio. Lo ricordo ancora come se fosse ieri. Ormai la sala si era svuotata, dovevano essere le sette passate. Sapevo che sarei dovuta tornare, ma non volevo, anche perché il giorno dopo mi aspettava un‘interrogazione impegnativa ed ero certa che a casa non sarei riuscita a concentrarmi. E, siccome avevo sonno (la notte prima avevo dormito sì e no quattro ore e mezza) decisi di alzarmi per prendere un caffè alla macchinetta.
Mentre il dolce profumo di quel nettare senza cui non avrei potuto sopravvivere si spandeva nella saletta salendomi alle narici, qualcuno si appoggiò a braccia incrociate alla macchinetta,  affiancandomi.  –Ehi.
Alzai lo sguardo piuttosto irritata che qualcuno avesse invaso in modo così plateale il mio spazio vitale, convinta che fosse uno dei soliti tipi strani che giravano spesso in biblioteca. Innocui, ma abbastanza fastidiosi. E rimasi di stucco. Era lui. Quel… come diamine è che si chiamava? Damian me l’aveva detto non so quante volte.
-Ehi.- ripeté, dato che il primo approccio non aveva provocato nessuna reazione.
-“Ehi”.- ribattei sarcastica. Altro silenzio. Così mi decisi a domandare: –Posso fare qualcosa per te?
-Be’, in realtà…- ma qui si bloccò anche lui.
Alzai gli occhi al cielo e nel frattempo mi piegai per recuperare il caffè. –Allora io andrei.
-Aspetta.
Mi fermai per lanciargli un’occhiata perplessa. Sembrava un cucciolo perso nella neve. Così, capendo che se avessi dovuto aspettare lui (aveva già dato prova di abbastanza faccia tosta venendo a parlarmi) non ne saremmo mai saltati fuori, decisi di dargli una mano. –Hai un’aria familiare, in effetti. Ci siamo già visti da qualche parte?
-In realtà sì.- si mordicchiò un labbro. –Sei anche venuta a casa mia.
-Ero ubriaca?
-Non penso… anche se dato con chi eri sarebbe potuto essere benissimo.
-Strano che non mi ricordi. Quindi? Com’è che sono venuta a casa tua?
Un altro lungo silenzio. Qualcuno, dentro alla sala studio, tossì. Pregai con tutta me stessa che il ragazzo di fronte a me non pronunciasse la risposta giusta alla mia domanda, quella che entrambi conoscevamo benissimo e che fingevamo di non ricordare. –Ti ci ha portata Damian.- disse, dopo ancora qualche istante di esitazione.
-Ah.- resistetti per poco all’impulso di bestemmiare. 
-Non sapevate dove incontrarvi per fare quella ricerca di storia. E così, dato che viene spesso da me e non è raro che porti gente, una volta mi sono ritrovato in giro te.
-Ora torna tutta… Scusa, non sono molto brava a ricordarmi la gente, soprattutto se l’ho vista solo una volta. Pensavo semplicemente che fossi un tipo che incrocio ogni giorno in biblioteca.
-Nemmeno io sono bravo a ricordarmi la gente.
-Però di me ti sei ricordato.
-Be’, perché lui parla spesso di te.- Quella parola, la presenza che essa aveva evocato precipitarono tra di noi come petali da un albero di ciliegio appena colpito da una folata di vento… e ci caddero addosso con lo stesso peso di grandine gelata e violenta. Si accorse di aver appena detto qualcosa di molto sconveniente, data la situazione catastrofica che sussisteva attualmente tra me e “lui”; io mi limitai a guardarlo freddamente. –E poi, ci vediamo tutti i giorni in biblioteca.
-Già.- fu il mio unico commento. Quindi, con un gesto secco, gettai il bicchierino di caffè vuoto nel cestino e mossi qualche passo per tornare in sala. –Hai fatto bene a dirmi che ci conoscevamo, da sola non mi sarei mai ricordata. Ora, però, se non ti dispiace…
-Mi dispiace, in realtà.- Il tipo (di cui ancora non mi era riuscito di ricordare il nome) si frappose tra me e la porta.
-Oh, ci mancava solo il paladino della giustizia.- commentai, alzando gli occhi al cielo.
-Non voglio fare il paladino. Però lui…
-Lui, lui, lui. Sono stufa di parlare, di sentirmi dire o di pensare a lui. Damin è già abbastanza bravo a pensare esclusivamente a sé stesso da solo. Quindi non vedo perché dovrei perdere altro del mio prezioso tempo dietro ad uno come lui.
-Non è cattivo.
-No, non dico questo. Ma è un egoista, e questo forse è anche peggio.
-Non è così…
-Immagino che tu, essendo uno dei suoi migliori amici, sarai esattamente come lui. Se non peggio.
Un silenzio gelido calò su di noi. Rimanemmo a fronteggiarci così, immobili, senza dire nulla e senza che nessuno dei due accennasse al minimo gesto, di rabbia o scusa.
-Senti.- dissi quindi, un poco spazientita e con l’immagine del libro di latino che mi occupava la mente, ingrandendosi progressivamente man mano che mi ricordavo di tutto quello che dovevo ancora studiare. –Io non ho nulla contro di te, e non voglio sembrarti maleducata. Se mi dici “ehi” e poi vieni a parlarmi di quello che hai mangiato oggi a colazione, benissimo. Ti troverò noioso e cercherò di liberarmi in tutti i modi di te, ma lo farò rimanendo sempre carina e simpatica. Ma se mi dici “ehi” e poi mi tiri fuori quel pezzo di merda di Damian…- scossi la testa. -…lo capisci anche tu che è molto difficile che io rimanga carina e simpatica, no?
Lui… come diamine era che si chiamava? Ancora non riuscivo a ricordare… Be’, fatto sta che lui mi lanciò un lungo sguardo, rimanendo in silenzio. –Sei ingiusta con lui.
-Immagino.- replicai ironica, aspettandomi una risposta simile. –Probabilmente, dalla versione dei fatti fornita da Damian, sembrerà davvero che io sia una stronza. Ed è anche giusto così, perché è uno dei tuoi migliori amici. Ma non permetto a chi non ha sentito anche la mia versione dei fatti di giudicarmi.
Questo lo lasciò interdetto. Probabilmente avevo colpito nel segno. O meglio anche lui, di fronte all’evidenza schiacciante, non aveva il coraggio di ribattere (cosa in cui invece Damian era un maestro).
-Ora vado davvero. Latino non si prepara da solo.
Quindi, voltandomi, me ne andai. Nel mentre scossi ripetutamente la testa, stupita del fatto che, anche se avrei dovuto sentirmi irritata, non era affatto così; anzi, un po’ mi rallegrava che finalmente, dopo tanti giorni di osservazioni silenziosa, fosse venuto a parlarmi; anche se questo significava la perdita di quel rapporto fatto solo di sguardi a cui ormai mi ero abituata.
 
E il giorno dopo, con mia enorme sorpresa, me lo ritrovai di nuovo davanti. Questa volta non aveva aspettato che mi allontanassi per andare alla macchinetta, ma era venuto direttamente al tavolo a cui ero seduta. Gli lanciai uno sguardo piuttosto irritato. D’improvviso tutti i sentimenti che mi avevano animato il giorno prima erano scomparsi.
-Ma sei ancora qui?
-A quanto pare sì.- ribatté, appoggiandosi mollemente sul mio quaderno di fisica, che mi affrettai a spostare.
-Mi premuro di informarti che la mia posizione non è cambiata rispetto a ieri.
-Immaginavo.- Il suo sorriso luminoso non accennava a volersi spegnere. –Stamattina a colazione ho mangiato yogurt, pane tostato e marmellata.
-Come, scusa?
-L’hai detto tu, no? Se ti parlo di cosa ho mangiato, non mi sbrani. Era una promessa. E tu mi sembri una donna che mantiene quello che dice.
-Ah.- Cavoli, quel tipo mi aveva davvero messo sotto scacco.
-E tu cos’hai mangiato di buono?
-Una mela e un caffè. Molto caffè.
-Adesso si spiega perché sei così nevrotica.
-Invece tu non mangi nulla che spieghi la tua sfacciataggine.
-Colpito e affondato.- Il ragazzo di fronte a me, appoggiando le mani aperte sul libro (dopo che gli avevo sottratto il quaderno) mi sorrise. Il sorriso tipico da playboy, di chi è sicuro di piacere e vuole trasmettere a chi gli sta di fronte questo sentimento di fiducia. Molto irritante davvero. E tutto il contrario di Damian. Alto, magro senza sembrare uno stecchino, dai folti capelli castani e un sorriso bianchissimo. Quel ragazzo sembrava appena uscito da uno spot pubblicitario.
Con un gesto brusco gli tolsi il libro da sotto e presi a sottolinearlo ostinatamente a caso, per sottolineare la mia intenzione a non ascoltare una parola di più di quello che sarebbe uscito dalle sue labbra. –Non l’avrei mai detto, e detesto farlo… ma sei pure intelligente, tu per… per essere un maschio.
-Ammettilo. Stavi per dire “per essere un amico di Damian”.
-Be’, di sicuro ti dimostri suo degno compagno di stupidità, se continui a tirarmi fuori quel pezzo di merda sapendo benissimo quello che ti ho promesso ieri se l’avessi fatto.- Cominciai a sfogliare nervosamente il libro. Quel tipo (di cui continuavo, maledizione, a non ricordarmi il nome) mi rendeva nervosa. Forse perché, inconsciamente, si era fatta strada in me l’idea che prima di venire lì, o subito dopo essere uscito dalla biblioteca, avrebbe visto Damian; e l’immagine di un possibile incontro con lui che vedevo riflessa nel ragazzo di fronte a me mi spaventava.
-Pensi davvero che sia una strategia vincente quella di ringhiare e minacciare di morte chiunque ti parli di Damian? Prima o poi dovrai affrontare l’argomento.
-Di solito i miei amici hanno il buon gusto di non menzionarlo nemmeno in mia presenza e spero continuino così ancora a lungo.
-Sì, ma la città è piena di amici di Damian.
-Sì, ma finora tu sei stato l’unico abbastanza sfacciato (o stupido) che ha avuto il coraggio di venirmi a parlare.
Il tipo questa volta non trovò nulla da rispondere. Anche se avrei dovuto essere soddisfatta della mia vittoria e non lo ero, finsi comunque un’aria compiaciuta, riabbassando gli occhi sul libro.
-Com’è andato latino?- domandò all’improvviso lui, che ancora non dava il minimo cenno a volersi levare di torno.
-Scusa?
-Stavi preparando latino ieri, giusto?
-Ah, sì…
-Com’è andata?
-Abbastanza bene, grazie.
-Ottimo.- Questa volta, dopo il sorriso da playboy, il tipo si alzò dal tavolo, stiracchiandosi. –Adesso mi tolgo davvero dai coglioni.
-No, carino, adesso tu resti e mi spieghi che diamine era sta mossa.- borbottai, alzandomi a mia volta in piedi. Probabilmente parlai a voce troppo alta, perché metà della sala si voltò nella nostra direzione a fissarci.
-Che mossa?
-Mah, qualcosa del tipo: “chiedermi della mia vita dopo aver appena cercato di vendermi nuovamente al tuo carissimo amico” ti va bene come risposta?
-Io non sto cercando di venderti a nessuno, ragazzina. Voglio guadagnare la tua stima, fino a che non ti fiderai abbastanza di me da raccontarmi la tua versione.
-Cosa?
-Voglio sentirla. Hai ragione, io so solo quello che mi ha detto Damian, ma chi mi dice che non ci sia altro? O che lui mi abbia riferito solo quello che gli faceva comodo?
-Va bene, frena un attimo…- Alzando le mani per fargli cenno di rallentare perché non lo seguivo più, mi avvicinai di un passo a lui. –E perché dovrebbe interessarti?
-Questo è un segreto, ragazzina.- E detto questo mi passò una mano tra i capelli, così rapidamente che quando realizzai quello che aveva appena fatto, lui si era già allontanato di due passi. –Ora vado davvero, perché temo che se ti rimarrò davanti ancora per un secondo mi ucciderai sul serio. Ma sarò qua anche domani, sappilo…
-Aspetta!
Ancora una volta, avevo parlato troppo forte e tutta l’attenzione della sala era tornata a concentrarsi su di noi. Ah, andassero al diavolo! –Com’è che ti chiami?
-Stai scherzando? Davvero non te lo ricordi?
Alzai gli occhi al cielo e incrociai le braccia sul petto. Mamma avrebbe detto che era un gesto che proclamava la mia insicurezza in ogni declinazione possibile e immaginabile. -No, non sto scherzando.
-Pazzesco…
-Allora, me lo dici sì o no? Sai, non fraintendermi, non ti voglio aiutare nel tuo piano malato di guadagnare la mia fiducia… ma se davvero vuoi avere la minima chance, il sapere il tuo nome, sarebbe un buon inizio, non credi?
Per un attimo e, detesto ammetterlo, solo per quell’attimo le mie parole sembrarono averlo destabilizzato. Poi scoppiò in una sonora risata che, se possibile, ci attirò ulteriori maledizioni ed insulti in ogni lingua del pianeta. Che ragazzo problematico. –Zane.- disse quindi, ancora col sorriso sulle labbra. –Zane Flanders, ragazzina. Vedi di non dimenticartelo.
-Oh, qualcosa mi dice che mi renderai impossibile farlo…- mormorai, così piano che Zane non avrebbe udito nemmeno se si fosse trovato a un centimetro da me. –E difficilmente il mio istinto si sbaglia.
Rimasi ancora qualche istante in piedi, pensierosa. Certo che quella storia aveva preso davvero una strana piega. Non solo mi ritrovavo con un ex che dire stronzo era fargli un bellissimo complimento; ora pure il suo migliore amico (che a detta di Damian stesso era un bel fenomeno in quanto a comportarsi da figlio di puttana) aveva preso a ronzarmi attorno e le sue intenzioni, ovvero di saggiare il campo per il suo degno compare, erano più che chiare. E in tutto questo, dovevo pure preparare l’interrogazione di fisica. E io non ci capisco nulla, di fisica. Mi passai una mano sul viso.
Oh sì, quello si preannunciava proprio un bruttissimo ultimo mese di scuola.
   
 
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