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Autore: haev    16/06/2015    6 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.

I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Hospital For Souls; Bring Me The Horizon
 
II
 
Rion si chiedeva spesso per quale motivo la maggior parte degli studenti stesse fuori da scuola la mattina presto, a gelare.
Capiva chi fumava, ma chi non faceva quell’attività così rilassante, perché mai avrebbe dovuto restarsene fuori con la mani infossate nelle tasche e i denti che battevano? Il calorifero nelle classi avrebbe solamente giovato a loro favore, invece preferivano starsene lì a creare nuvolette di vapore con il fiato.
La ragazza passò davanti all’entrata come un fantasma con il viso coperto dal cappuccio della felpa e la mani che cercavano un po’ di caldo nella giacca.
Rion adorava il freddo, la faceva tenere sveglia, cosa che le serviva molto in quel periodo poiché tornava a casa tardi la sera e doveva assolutamente rimanere viva durante le ore di lezione.
Una volta passato l’ingresso della scuola e dopo aver girato nella curva che dava alla palestra, si ritrovò nel retro. Non era un posto molto grande e in pochi andavano lì per parcheggiare la macchina, c’erano solamente bidoni della spazzatura e un tanfo tremendo, ma a Rion non importava granché. Lei l’unica cosa che volesse era un posto in cui fumare da sola la mattina e la massa di studenti davanti a scuola non era di certo la solitudine che lei cercava.
Forse molte volte era proprio lei stessa che andava a cercare un po’ di solitudine, era come se fosse allergica alle persone, ma lei si ripeteva ogni giorno che stava bene così com’era, senza amici, amore o qualcosa su cui contare, ma molte volte alludeva al fatto che traeva quelle conclusioni solo perché non aveva mai avuto amici o un ragazzo.
Accese tranquillamente la Marlboro sentendo nelle sue orecchie il suono stridulo della campanella che annunciava l’ora di lezione, alzò gli occhi al cielo e iniziò ad aspirare più voracemente dalla sigaretta, di certo, non ne avrebbe sprecata una solo perché la lezione era iniziata.
 
Louis entrò nel cancello della scuola più incazzato che mai, dopo aver salutato come consuetudine la sorellina, era salito in macchina e aveva aspettato suo padre, il quale aveva tardato e quindi quando il ragazzo arrivò a scuola trovò l’ingresso deserto.
Louis si guardò intorno e sorrise vedendo gli alberi che circondavano l’edificio: erano gli stessi che c’erano nella sua vecchia scuola, alberi con le foglie a forma di stella, che in quel periodo dell’anno erano totalmente spogli, senza foglie ne germogli verdi. Sembravano quasi che volessero su di loro tutte le calamità del pianeta, come se chiamassero da tutti i loro pori la pioggia, la neve, il vento.
Come se volessero sentire il mondo, per poi fiorire di nuovo.
Lo sguardo azzurro del ragazzo corse alla scuola, trattenne un cipigio inorridito: le pareti grigie con gli infissi rosso sbiadito, le finestre sporche e le luci accese in svariate classi le davano l’aspetto di un carcere. Suo padre gli aveva detto che era una delle scuole migliori della zona, quindi era palese che assomigliasse a una prigione, ma il ragazzo si era aspettato qualcosa di meglio.
Louis, non avendo voglia di entrare subito per incontrare la preside, decise di fumarsi una sigaretta.
La tirò fuori dal pacchetto e fu felice di notare che fosse l’ultima, il ragazzo adorava cambiare marca di sigarette ogni tanto, trovando quella che gli sembrasse più buona e aveva fatto cilecca con quest’ultime, sembrava di fumare aria, tanto che in un solo giorno ne aveva fumate quasi quindici per soddisfarsi.
Il tabacco leggero gli entrò nei polmoni placando l’ira interiore e le sue gambe iniziarono a muoversi per il cortile.
Si accorse che nonostante la scuola sembrasse un carcere, il cortile era accogliente. Vi erano diversi tavoli in legno in cui, molto probabilmente, gli studenti pranzavano oppure durante la primavera ripassavano o facevano ricerche, il ragazzo notò anche un bar che però a quell’ora era chiuso.
Camminò in mezzo a quegli alberi e quelle foglie fino a giungere al retro della scuola, come prima, si inorridì. Il puzzo era acidissimo e vi erano molti bidoni della spazzatura, ma la cosa che più lo sorprese fu una ragazza appoggiata al muro lercio.
Louis si chiese perché mai andasse a fumare proprio lì, nello schifo più totale, piuttosto che andare nel davanti della scuola come tutti gli studenti.
Però, osservandola, si rese conto che fumava con trasporto, quasi quanto lui. Lei viveva di fumo, adorava il tabacco scendergli nella trachea e distruggere i polmoni, fumava per vivere.
La ragazza fece un gesto fulmineo con la testa e lo fissò con gli occhi di brace, quasi come se l’avesse interrotta in qualcosa di sacro.
Quegli occhi verdi lo inchiodarono al selciato, tanto che la sigaretta gli rimase tra le labbra.
La ragazza alzò un sopraciglio e Louis, dopo riaver afferrato la sigaretta ed essersi ripreso, disse: «Stavo facendo un giro.»
La ragazza annuì e continuò a fumare, guardandolo di sottecchi, Louis capì al volo che voleva che lui se ne andasse, ma era l’ultima cosa che voleva fare.
Prima di tutto perché non aveva la minima idea di dove andare e poi perché si ricordava di quella ragazza. Aveva gli stessi lineamenti di quella della sera prima che gli aveva offerto una sigaretta, ricordava che non aveva proferito parola e il suo volto era brusco.
«Da quanto tempo è iniziata la lezione?» chiese Louis.
«Cinque minuti.» rispose tranquilla Rion, dopo aver buttato fuori il fumo.
Louis annuì e guardò al suolo, alzando le sopraciglia. Quella ragazza non era per niente loquace, si chiese se tutte in quella fottuta città fossero così.
«Ci siamo già visti, vero?» domandò per attaccar discorso.
Rion parve agitarsi, ma fu una frazione di secondo, che Louis captò molto bene, poi il viso e il corpo della ragazza ritornarono come prima, «Non credo, o meglio, io non ti ho mai visto.»
«Mi sono trasferito qui ieri sera. – Disse. – Non mi hai offerto una sigaretta?»
«Ti sarai confuso con qualcun altro.» disse facendo un sorriso muto.
Rion spense la sigaretta e passò accanto a Louis, diretta verso la classe.
«Aspetta, mi diresti dov’è la presidenza? Questo posto è enorme.» esclamò il ragazzo allargando le braccia.
Rion ci pensò un po’ su e costatando che non aveva la minima voglia di ascoltare il prof. di inglese, ritornò indietro e aspettò che Louis finisse la sigaretta.
 
L’interno era peggio dell’esterno, tutto l’abitacolo era grigio. Non vi era nemmeno una macchia di colore, se non i vestiti che portavano i ragazzi. I cartelloni appesi alle pareti, erano bianchi e neri, Louis si sentì soffocare in quel luogo, si chiese come avrebbe fatto a passare sei mesi in quel lurido posto.
Non che fosse sporco, anzi, i pavimenti risplendevano sotto la luce al neon, ma era la troppa omogeneità che costringeva Louis a soprannominarlo come un posto lurido.
Mentre il ragazzo seguiva Rion per una scala che portava al piano superiore, si guardò in giro e si rese conto che non c’era molto da vedere. Tutto era grigio. Le porte dovevano essere bianche, ma avevano così tanti anni che si erano ingrigite, la pareti erano un grigio chiaro e alcuni tavoli sparsi negli atri erano grigio scuro.
A Louis parve di trovarsi in un manicomio, di certo quel posto non avrebbe agevolato la sua voglia di studiare, che era assai scarsa.
Le sopraciglia del ragazzo rizzarono in su quando si presentò davanti a lui una porta verde scuro, gli sembrò quasi un miracolo, le porte di un paradiso.
Sulla parete c’era una targhetta con scritto ‘presidenza’.
Rion bussò alla porta un paio di volte, poi attese tranquilla, Louis la osservò: teneva ancora il cappuccio della giacca, ma poté notare le sue gambe magre rinchiuse nei jeans neri e il fondoschiena della ragazza, annuì soddisfatto e fece un mezzo sorriso: se non fosse stata così silenziosa, ci avrebbe provato con lei.
Poi si ricordò degli occhi verdi, benché l’avesse vista solo una volta, si era sentito nudo sotto il suo sguardo. Era come se quella ragazza avesse compreso tutta la sua rabbia in un battito di ciglia e la cosa era strana per Louis, perché erano praticamente diciannove anni che cercava di trovare una cazzo di spiegazione a tutta quell’ira, e ora, quella ragazza era come se l’avesse compresa.
«Avanti.»
Rion posò le mani sulla maniglia ed entrò lentamente, senza fare il minimo rumore.
«Buongiorno, preside. – Salutò cordiale, facendo due passi all’interno della stanza. – Lui è un nuov…» Rion non fece in tempo a terminare la frase che sentì un rumore sordo dietro di sé, si voltò e vide la borsa di Louis per terra.
Il ragazzo era rimasto così tanto contagiato dai numerosi colori che c’erano nella stanza, quali il rosso delle tende, il marrone della scrivania, il verde della giacca della preside e l’azzurro del cielo fuori dalla finestra, che si lasciò sfuggire la cartella di mano, guardandosi intorno in estasi.
Si chiese come facessero i ciechi a non poter vedere niente, lui era quasi morto vedendo solamente il grigio per soli cinque minuti.
«Tutto bene?» chiese una voce pimpante e leggermente ironica.
«Sì, scusate.» mormorò il castano abbassandosi per prendere i libri.
Mentre raccoglieva la borsa e sistemava i libri, scrutò la preside.
Era una donna sulla sessantina, i capelli biondi, molto probabilmente tinti, erano raccolti in uno chignon molle, dal quale spuntavano alcuni ciuffi ribelli. Il viso, marcato da qualche ruga per la vecchiaia, era solamente coperto da uno lieve strato di fondotinta, per il resto era al naturale, niente ombretto, matita o rossetto. Indossava un cardigan nero e un vestito verde scuro, la calzamaglia le copriva le gambe magre.
Il suo atteggiamento sembrava autoritario, di una persona che esigeva rispetto, ma al contempo sembrava comprensiva e buona. Appariva una preside a favore degli studenti.
Louis sorrise pensando che almeno la scuola sembrava diretta da una persona capace.
«Non ti preoccupare, so per certa che questo grigio può dare alla testa.» rispose tranquilla la preside, sedendosi alla scrivania.
Louis proruppe in una risata nervosa e si chiese come avesse fatto a leggergli nella testa.
«Dicevi, signorina Lee?»
«E’ un nuovo studente.» rispose Rion.
Louis memorizzò il cognome, poi si mise un post-it in testa ricordandosi di chiederle il suo nome, voleva sapere qualcosa in più su quella ragazza.
«Oh, capisco. Devi essere il signorino Tomlinson, vero?»
Louis annuì sorridendo e una volta alzato, strinse la mano alla preside.
«Bene, accomodatevi, sì, rimani anche tu signorina Lee.»
Rion piuttosto di sedersi si appoggiò alla parete e incrociò le braccia al petto, la preside non oppose resistenza all’atteggiamento della ragazza, anzi recò tutta la sua attenzione al nuovo studente.
«Bene, signorino Tomlinson, io sono Dina Stuart, la preside di questa scuola. – Si presentò. – Come immagino che già sappia, è un liceo e questo è il tuo ultimo anno. – La preside prese delle carte. – Tuo padre ci ha mandato le tue ultime pagelle e ho notato che hai avuto un calo l’anno scorso, tanto che non hai preso la licenza liceale.»
«Sì, in effetti, è stato un anno duro, per questo mi hanno bocciato.»
«Capisco, voglio che tu sappia che sei hai qualche problema, puoi contare su di me e sui tuoi professori, cercheremo di aiutarti nei limiti del possibile.»
Louis pensò che non potevano fare nulla per convincere suo padre a non farlo diventare un direttore immobiliare, ma ugualmente sorrise e rispose: «Grazie mille.»
La preside ricambiò il sorriso e consegnò un foglio al ragazzo: «Questi sono i tuoi orari, ora dovresti avere inglese.»
 
Rion si rizzò sulla schiena e allungò il collo per poter vedere gli orari del ragazzo, la maggior parte coincidevano con i suoi.
L’unica materia che non avevano in comune era informatica, che Rion non faceva, ma la sostituiva con latino.
Un senso di inquietudine iniziò a entrarle dentro, quel ragazzo aveva infranto la sua quiete quotidiana. L’aveva riconosciuta, ma lei aveva divagato il discorso e lui sembrava averci creduto, sperò vivamente che non le avrebbe chiesto una seconda volta se era davvero lei la ragazza che gli aveva offerto una sigaretta.
Lui non doveva ricordarsi di lei, assolutamente. Lei doveva essere invisibile, ‘una delle tante’, non doveva lasciare nessuna traccia.
Perché se qualcuno avesse scoperto qualcosa nei suoi riguardi, lei sarebbe stata semplicemente fottuta e non avrebbe potuto aiutare la persona che amava di più in quel momento.
«Signorina Lee, mi pare di capire che hai gli stessi orari del signor Tomlinson, lo accompagneresti in classe?»
«D’accordo.»
«Sono sicura che il professore Pettifer ti sta aspettando, o sbaglio?» disse risoluta la preside.
Rion fece il solito sorriso muto e ammise: «Non sbaglia.»
«Arrivederci, ragazzi.»
«Salve.» risposero all’unisono e poi uscirono.
«Ma la preside conosce tutti i suoi alunni?» domandò Louis, aveva notato che non ci aveva impiegato molto a riconoscere Rion e in quella scuola ci saranno stati almeno mille studenti.
«E’ molto interessata agli studenti, non so se li conosca tutti, però si interessa molto di noi.»
«E come mai sembri di casa in presidenza?» chiese Louis salendo le scale e immergendosi nuovamente nel grigio.
«Ritardi, il prof. di inglese è un rompicoglioni, vedrai che scenata fa quando entriamo.» disse e giunse davanti a una porta.
Senza prendersi la decenza di bussare, Rion entrò e disse: «Buongiorno.»
«Signorina Lee, come mai così in ritardo oggi?» domandò il prof. posandosi le mani sui fianchi e guardando la studentessa con una nota di sarcasmo.
Per tutta risposta Rion si spostò di lato e fece entrare Louis, il professor Pettifer cambiò immediatamente atteggiamento.
Il viso coperto da un pizzetto ben curato si trasformò in un sorriso che rivolgeva a pochi studenti, la mani si unirono tenendo comunque stretto il gessetto e le spalle magre, coperte da un cardigan si abbassarono.
Rion ne approfittò per andarsene al posto ed evitare la ramanzina giornaliera, lanciò uno sguardo all’orologio e notò che era quasi passata un’ora tra la sigaretta e l’incontro con la preside.
Rion lanciò un’occhiata alla classe: alcuni approfittarono di rispondere ai messaggi al cellulare, per nulla interessati a quello che stava succedendo; altri ragazzi squadravano Louis per capire se era degno di entrar a far parte della compagnia o uno da prendere per il culo; le ragazze erano tutte concentrate sul viso del ragazzo, Rion, guardandolo bene, doveva ammettere che aveva un qualcosa di affascinante.
Il viso era marcato dai lineamenti accentuati, la guance erano scavate, il mento ricoperto da una leggera peluria. Il naso era piccolo, così come le labbra che erano piccole e fini, leggermente screpolate. Gli occhi erano due pozzi azzurri, sembrava che una parte dei ghiacciai fosse stata imprigionata lì dentro, quanto erano chiari. I capelli erano un casino unico e Rion pensò che esprimessero il casino che aveva in testa, perché aveva subito capito che Louis aveva qualcosa contro il mondo, forse solamente rammarico, ma poteva essere anche rabbia. Perché il fatto di fumare così voracemente, il fatto di camminare piano, di tenere lo sguardo serio e sorridere a comando, di avere quegli occhi così accesi e spenti al tempo stesso, il fatto di tenere le gambe, fasciate da un paio di jeans blu, sempre tese, come se volesse scappare e la mani nelle tasche dei pantaloni, erano tutte cose che facevano di Louis un ragazzo che avesse qualche sentimento negativo nei confronti del mondo.
«Cosa ne dici di presentarti ai tuoi compagni?»
Il ragazzo sorrise raggiante e disse: «Ciao coglioni, sono Louis.»
Rion si appoggiò alla parete sorridendo.
 
Louis si accomodò al suo banco, in seconda fila nella parte destra della classe.
A occhio e croce contò circa una ventina di studenti e tutti gli fecero buona impressione, non che fosse molto interessato a conoscerli per bene, aveva sempre odiato i compagni di classe. Non riusciva ad avere amici all’interno della propria classe poiché sapevano sempre tutto, anzi volevano sapere sempre tutto. Louis era dell’idea che non doveva essere costretto a dire qualcosa di suo, ma era lui che sceglieva a chi dirlo e soprattutto cosa dire.
Nonostante ciò, quella classe gli piaceva e benché avesse appena preso una nota per ‘un dialogo poco corretto’ sapeva di essersi dato un posto nella classe.
Era quello il difficile di cambiare scuola, dovevi farti accettare da persone che si conoscevano da anni e molte volte non era facile. Nonostante Louis fosse sempre incazzato, era capace di essere molto loquace e divertente, quindi, avrebbe sfoggiato quella parte di sé con i suoi compagni.
Diede una piccola occhiata alla classe: c’erano più ragazzi che ragazze, quest’ultime sembravano abbastanza tranquille, solo una aveva una maglietta scollata che dava alla poca immaginazione, ma non per questo doveva essere necessariamente una troia. Il resto sembrava semplice, ragazze alla mano, che studiavano tutti i giorni e il sabato sera uscivano per svagarsi un po’, tra queste vi era anche Rion.
Louis passò lo sguardo ai ragazzi, alcuni dovevano essere studenti modello, le mani prendevano quasi fuoco sul banco per cercare di prendere appunti riguardo quello che stava dicendo il professore. Altri fissavano la lavagna imperterriti, nella speranza che potesse scoppiare da un momento all’altro e uccidere il prof. Pettifer, Louis posò lo sguardo sul suo compagno di banco.
Aveva i capelli biondi con riflessi più chiari e scuri, le guance erano paffute e rosee, la bocca era inespressiva, leggermente storta all’ingiù. Gli occhi marroni fissavano il professore, captando quello che fosse importante ricordare e cosa si poteva cancellare, la fronte era corrugata nell’ascolto. Le mani erano affondate nei jeans chiari e un piede batteva un ritmo indefinito sul pavimento.
Quando Louis si era seduto il ragazzo gli aveva rivolto un cenno con il mento, al quale Louis aveva risposto con un sorriso tranquillo, menefreghista nei confronti della nota.
«Ehi, come ti chiami?»
«Maxie, tu Louis?»
Louis annuì e tirò fuori un foglio, dove vi disegnò cinque righe vicine tra di loro, Maxie si sporse e mormorò: «Suoni?»
Le sopraciglia di Louis andarono verso l’alto, non si sarebbe mai aspettato che qualcuno riconoscesse il suo scarso tentativo di fare un pentagramma, «Sì, il piano, tu?»
«La chitarra. – Rispose a bassa voce. – Cazzo, grande. Nessuno in questa classe suona qualcosa.»
«Dici sul serio?»
«Si, cristo. – E alzò gli occhi al cielo. – Ci sta che non suoni niente, ma non conoscono nemmeno un po’ di musica.»
«Mi stai dicendo che tutti ascoltano la musica che danno alla radio?» disse Louis, sconvolto.
Maxie annuì con vigore e disse: «Tutti, gli chiedi chi è Kurt Cobain o Elvis Presley e questi manco sanno di chi parli, ma dio santo.»
Louis sorrise, Maxie gli piaceva di già.
Adorava la musica quanto lui e in più suonava uno strumento, Louis non riusciva a capire chi non potesse vivere di musica, come faceva? Come faceva ad andare avanti? Poteva avere amici che ti comprendevano e ti consigliavano, ma come potevi semplicemente tirare avanti con quella musica tutta uguale che parla solo di libertà, sesso e soldi? Erano rare le canzoni popolari che ti entravano dentro.
Louis non disprezzava la musica che c’era in voga in quel momento, in fondo era il primo che la ballava quando andava in discoteca, ma riteneva quasi improbabile che David Guetta oppure Avicii potesse rallegrarti il morale o darti forza per andare avanti.
Louis viveva per la musica e molte volte si autoconvinceva che era la musica a tenerlo in vita, a dargli la forza per affrontare la giornata.
La musica era vita, amore, tristezza, comprensione. Era l’arcobaleno dopo una tempesta, il primo raggio di sole che sorge al mattino, era la cioccolata calda bevuta sul balcone d’inverno, era i dettagli di una vita troppo triste e trascurata per far sì che viva da sola.
«Tu componi?» chiese Louis, disegnando una chiave di violino, fece una smorfia quando vide il lavoro finito: aveva una grafia orribile.
«Nah, faccio schifo. Una volta ho provato e sembrava una canzone stile ‘nella vecchia fattoria ia ia oh’, una merda.»
Louis sorrise e trattenne una risata: «Cosa suoni?»
«Adoro gli Avenged Sevenfold, ma suono un po’ di tutto, specialmente il rock degli anni ’80 e ’90, dio adoro quel periodo.»
«Smells like teen spirit.» mormorò Louis.
«Oh cristo, sì!» esultò Maxie.
«LUKE!»
«Scusi, prof.» mormorò Maxie alzando una mano.
Louis sorrise e mormorò: «Luke?»
«Sì, lo so. È un cognome del cazzo, ma che ci posso fare? I genitori mica si scelgono.»
Louis non poté che essere d’accordo e visto che il professore continuava a gettare occhiate a lui e Maxie, il ragazzo iniziò a scarabocchiare qualche accordo, fissando una schiena dall’altra parte della classe.
Forse Maxie avrebbe saputo dargli delle risposte.


Spazio autrice.

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera! 
Eccomi qui, come promesso, anche se effettivamente volevo aspettare un po' a pubblicare il nuovo capitolo, perché ero in dubbio: ho avuto solamente due misere recensioni nel primo (e grazie alle due che hanno recensito, vi voglio bene). Okay, non pretendo un numero esorbitante di recensioni, ma un racconta-storie, specialmente insicuro come me, deve sapere come la pensano i suoi lettori. Questo, riguardo anche alle messe nelle preferite, seguite, etc...
Ciò mi fa pensare che la storia non vi piace, una volta ho letto che il primo capitolo deve colpire e io mi sento una merda perché ho paura di non averlo fatto nel modo corretto. 
Quindi: DATEMI UN SEGNO PER FAVORE. VI SUPPLICO. 

Tornando alla storia, ho due cose da chiedervi/dirvi (e qui vi pregherei di essere onesti).
-Come avrete notato, spero, Maxie dice molte volte 'cristo', so per certa che non è una bestemma, ma a me una bestemmia sfiorerebbe quanto un complimento, dato che sono atea, MA, magari a qualcuno/a di voi dà fastidio. Quindi, vi dà fastidio? Se sì, vi chiedo cortesemente di dirmelo, perché per vostro rispetto, cercherò di far dire qualche altra imprecazione a Maxie. 
Ah, tra l'altro, il nome di Maxie è stato preso da uno dei personaggi di Skins (serie TV che vi consiglio assolutamente di guardare), ma solo il nome e non l'aspetto, giusto appunto, ho una foto del mio Maxie ideale nel PC, volete vederla? MH? LO SO CHE VI ATTIRAA.

E ANCHE RION, LO SO.

Ohw, cosa ve ne pare della scelta dei nomi? Boh, per me sono importanti. 

Seconda questione: nell'ultima parte, ho messo un pensiero di Louis sulla musica, beh, è un mio pensiero, non che Louis William Tomlinson la pensi come me, eh. Volevo farvelo notare, e VOI COSA PENSATE DI QUELLA BENEDETTA COSA CHIAMATA MUSICA? DAI, MI PIACEREBBE SAPERLO.

Terza domanda: CHE CAFFO FA RION? Voglio sentire le vostre ipotesi. 

Bene, non avrei altro da dire. 
Non so quando aggiornerò, ma sicuramente, sarà a fine settimana.

LASCIATE UN SEGNO.
E LA FORZA SIA CON VOI. (Cit: StarWars alias amore perenne della vita di Giada)

Grazie per essere giunti sino a qui.

Giada.
  
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