Libri > Percy Jackson
Segui la storia  |      
Autore: _Liar_    17/06/2015    2 recensioni
Dal testo:
"(...)per ora la mia unica medicina si trovava in cima a quella collina, dove regnava indisturbato il pino di Thalia. Il Vello d’Oro scintillava beato sul ramo più basso - seppur anche quello fiacco, dato che alle nove di mattina è tutto dannatamente fiacco -, il drago che faceva da guardia sonnecchiava pigramente. Non appena mi avvicinai aprì appena un occhio per guardarmi, per poi richiuderlo con fare assonnato. Io non ci feci neanche caso. Riscesi la collina e mi avviai verso casa.
Ah, dimenticavo, il mio nome è Eric Shane e sono un Mezzosangue. Sono un fan della noia, dell’ironia e della vita solitaria, ma a quanto pare le Parche non sono d’accordo.
"
"– Eric... e ora che succede? – chiese Mia piano, come se avesse paura della domanda.
Boccheggiai più volte prima di rispondere, e quando lo feci scoprii la mia voce rauca e provata: – Io... non lo so, Mia. Davvero... io non lo so...
"
Genere: Angst, Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Nuova generazione di Semidei, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Introduzione



La monotonia è più distruttiva di quanto sembri, ma è anche meno noiosa di quanto chiunque possa pensare. La strada asfaltata che vedevo scorrere sotto i miei occhi era del solito color grigio topo con qualche occasionale striscia bianca, veniva inghiottita come se niente fosse dal parabrezza dell’auto di mio padre con un ronzare metallico e un vibrare costante. Le cuffie nelle orecchie davano sempre le stesse canzoni con il volume decisamente troppo alto, ma questo non mi dava fastidio. Quel genere di musica spacca timpani mi piaceva e più il volume era alto più era facile ignorare i miei pensieri. Chissà quante volte quell’MP3 mi aveva salvato, ormai avevo perso il conto.
Spostai distrattamente lo sguardo fuori al finestrino e vidi il sole nascente delle nove di mattina brillare fiaccamente nel cielo, di un azzurro altrettanto pallido e fiacco, quasi monotono. Le sterpaglie ingombre di spazzatura lungo la strada di certo non aiutavano e persino le nuvole sembravano perdere quell’allegro bianco che le contraddistingueva. Insomma, il paesaggio non era particolarmente rinvigorente, specie per uno come me che di entusiasmo ne ha poco e niente. Gettai un rapido sguardo a mio padre che, come sempre vestito di tutto punto, proprio in quel momento sbirciò l’orologio e fece un ampio movimento con il petto che identificai come un sospiro. Sospirai anch’io e ripresi a fissare la strada per una decina di minuti circa. Spesso mi chiedevo se con la musica così alta potessi diventare sordo. Uno scappellotto non molto gentile mi raggiunse la nuca di’improvviso, io guaii un “Ahi!” e mi voltai interrogativo verso mio padre. Lui mi guardò con un cipiglio severo e mi strappò via l’auricolare dall’orecchio, e solo in quel momento mi accorsi di quanto davvero il volume fosse alto, si sentiva benissimo anche a distanza.

– Che hai? – domandai stranito al suo indirizzo, spegnendo l’MP3
– Non mi parlare con quel tono – borbottò lui brusco. Fui tentato di chiedere quale tono ma decisi che era meglio non contraddirlo, mio padre non era esattamente la persona apprensiva e socievole che chiunque vorrebbe. – spegni quei cosi e parliamo.
Ancora una volta scelsi saggiamente di non fargli notare che li avevo già spenti, non avevo proprio voglia di discutere in quel momento. Quel paesaggio trasmetteva tutto meno che energia. Era come il disegno sbiadito di un bambino delle elementari, quelli che facevo anch’io a mio padre e ai quali lui degnava di scarso interesse.
– Di cosa vuoi parlare? – chiesi, cercando di non trasparire troppo la noia.
– La scuola. Come va?
Dovresti già saperlo. – Tutto a posto… le solite insufficienze a letteratura, arte…
 Eric non dovresti avere insufficienze.
– Sono dislessico – lo dissi con un tono più brusco di quanto volessi. E infatti mio padre mi guardò male.
Okay, forse avevo esagerato un po’, sì ma… Ero stanco di sentirmi ripetere sempre le stesse cose e dover continuare a ribadire le mie difese. Mio padre era un uomo diligente e preciso, era un investitore, possedeva tante di quelle azioni di diversi settori che probabilmente la villa di Miami dove abitavamo era modesta per le sue tasche, ma tanto non c’era mai, a lui cosa cambiava? A parte questo era sempre molto impegnato e soprattutto chiuso, non eravamo tanto diversi caratterialmente, e questo mi spaventa. Non fraintendetemi, non odio mio padre ma vivere con lui è come vivere sotto dittatura, è così pignolo e preciso da non accettare nessun tipo di sbaglio, neanche da me, il che è abbastanza ridicolo. Fisicamente invece, abbiamo in comune solo qualche tratto del viso e la carnagione tendente all’olivastro, nulla di più. Spesso mi dava uno strano effetto portare il suo cognome.
– Lo so, per questo ti devi impegnare molto di più – replica lui, secco. Ma dai, – dobbiamo impegnarci più a correggere i nostri errori che ad esaltare ciò che abbiamo azzeccato.
– Se non facessimo errori, non saremmo umani.
– Ma tu non sei un comune umano, Eric. Sei un semidio, per questo…
– Gli déi non sono perfetti.
– Eric, per favore, smettila di interrompermi… Dicevo, appunto perché non sono perfetti, unendosi agli umani possono diventarlo.
Scossi la testa, davvero credeva che la perfezione esistesse?  – Noi semidei ereditiamo anche i difetti, oltre che ai pregi. I figli di Hermes sono cleptomani, quelli di Ares hanno seri problemi di gestione della rabbia, tanto per fare un esempio.
Mio padre non rispose, e io feci per rimettere le cuffie quando lentamente fermò la macchina. Guardai fuori e mi accorsi finalmente che eravamo arrivati. Scesi in mezzo al grande spiazzale d’erba e aspirai a pieni polmoni l’aria fresca che non sapeva di mare come quella di Miami. Dopo un po’ anche quella ti stanca. Mi sentivo quasi a casa…

– Bene, Eric. Siamo arrivati – esordì mio padre, ma non mi guardò neanche, stava scrivendo un messaggio dal telefono. – Chiamami ogni tanto, fatti sentire e comportati bene. E soprattutto vedi di farti dare una mano dai tuoi fratelli per quelle carenze che hai a scuola…
Repressi l’istinto di roteare gli occhi e mi limitai ad annuire. – Certo, va bene. Ci vediamo a Luglio.
Feci per incamminarmi verso la collina del Campo Mezzosangue quando mio padre mi posò una mano sulla spalla: – Eric, aspetta…
Mi girai lentamente e, per uno schifosissimo secondo, mi illusi che avesse da dirmi davvero qualcosa di importante. E invece disse: – Forse ci trasferiamo.
Inarcai un sopracciglio. – Dove?

– Ancora non lo so, ma Miami è troppo lontana.
Annuii, cercando di inghiottire l’amaro boccone dell’illusione che mi ero creato da solo. – Okay, va bene… Fammi sapere dove. – Lui annuì scorrendo lungo la rubrica, e allora decisi di correre il rischio e incalzare: – Quindi hai… altro, da dirmi?
Lui scosse la testa mentre portava il telefono all’orecchio, mi sorrise come spesso faceva con i suoi clienti. – No, vai pure. E’ estate, divertiti ma non esagerare.
Tranquillo, non c’è il rischio.
Annuii nuovamente e mi decisi a voltargli le spalle. Non mi aspettavo mi dicesse chissà cosa, ma almeno un… che so, “mi mancherai”, “sono contento di avere un figlio semidivino”, “rendi onore a tua madre”, o anche un semplice e formale “ci rivediamo a Settembre”. Già, a Settembre. Perché in quel mese ci saremmo rivisti, e lui prima non aveva fatto una piega quando avevo detto Luglio. In realtà avevo intenzione di risentirlo per il mio compleanno - a Luglio, per l’appunto -, magari anche per vedere un po’ che combinava, ma lui probabilmente non aveva neanche ascoltato. La sua compagnia mi opprimeva così tanto che ormai faticavo persino a parlargli senza dire qualcosa di sbagliato o senza sperare nell’impossibile. O semplicemente senza reprimere i miei istinti sarcastici, a quanto pare sgarbati per lui, ma che io utilizzavo tranquillamente ogni giorno. Fino ad ora avevo retto ma stavo iniziando a cedere, forse quel trasferimento ci avrebbe davvero aiutati. Forse l’esclusione del paesaggio estivo che vedevo dal terrazzo di casa mia mi avrebbe davvero convinto a rassegnarmi, ma per ora la mia unica medicina si trovava in cima a quella collina, dove regnava indisturbato il pino di Thalia. Il Vello d’Oro scintillava beato sul ramo più basso - seppur anche quello fiacco, dato che alle nove di mattina è tutto dannatamente fiacco -, il drago che faceva da guardia sonnecchiava pigramente. Non appena mi avvicinai aprì appena un occhio per guardarmi, per poi richiuderlo con fare assonnato. Io non ci feci neanche caso. Riscesi la collina e mi avviai verso casa.
Ah, dimenticavo, il mio nome è Eric Shane e sono un Mezzosangue. Sono un fan della noia, dell’ironia e della vita solitaria, ma a quanto pare le Parche non sono d’accordo.



















 

Spazio della bugiarda

Buondì popolo di EFP :)
Come va la vita? Come on guys, the summer is here!
No, non chiedetemi cos'ho, sono un po' emozionata...
ho grandi progetti per questa storia la cui introduzione è piuttosto corta, lol.
Veniamo a noi, ho in mente tanti di quei sequel e disastri per il nostro Eric...
Ma la colpa diamola alle Parche, tanto è sempre colpa loro, no? u.u
Dicevo... Datemi un parere, people, siate gentili...
A chi interessa nel prossimo conosceremo meglio Eric,
il mio adorabile Eric. E dato che io lo adoro, beh... Deve soffrire.
Sorry not sorry guys u.u
Fatemi sapere che dite...



 

-L



 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Percy Jackson / Vai alla pagina dell'autore: _Liar_