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Autore: noelia    17/06/2015    0 recensioni
Ci sono momenti che segnano la vita di ogni persona.
Questi momenti, rappresentano il passaggio da una vecchia ad una nuova realtà. La maggior parte delle volte, il passaggio avviene in modo terribilmente veloce e violento, segnandoti nel significato più letterale della parola.
Rebeka Kane viene catapultata in una realtà diversa da quella che era abituata a vivere, da quando una terribile notte un incidente porta via la sua migliore amica. E questa realtà lascia nuovamente posto ad un'altra quando a distanza di quasi due anni, nella sua quotidianità da brillante apprendista della Saint Martin's University di Londra, inciampa in un incontro del tutto inaspettato. La nuova realtà che Rebeka si troverà ad affrontare, sarà una realtà sbagliata, proibita. Ogni cellula del suo corpo urlerà: "Traditrice!".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
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«Siamo qui oggi riuniti per celebrare la morte di Annabelle Hussian» sentenziò il parroco in veste nera, con tono solenne e rispettoso.
Il rumore della pioggia e dei tuoni, che rimbombavano raccapriccianti nel cielo autunnale, parvero per qualche istante soverchiare il rumore dei pianti disperati e dei singhiozzi che riecheggiavano nell’ intima cappella.
Sedeva in prima fila Louise Burney, dall’aria impassibile, lo sguardo ieratico, perso nel vuoto e nel dolore di chi perde un figlio. Nei suoi occhi non vi era il minimo accenno di una lacrima. Louise aveva lasciato la sua anima e il suo cuore sull’asfalto di quella strada mortale, a parare dal freddo il corpo moribondo ed irriconoscibile della sua bambina.
Alla sua sinistra occupava il posto Ronald Hussian, che guardava di sottecchi sua moglie, nella speranza di qualcosa… Un battito di ciglia, un movimento delle dita che, invece, parevano atrofizzate. Come il suo cuore, del resto. Ronald nel mentre di quel desiderio nascondeva le lacrime. Gli occhi gli bruciavano, tantissimo. Ma ogni qualvolta il suo corpo minacciasse di crollare lui alzava gli occhi al cielo, e assurdamente gli si parava davanti allo sguardo il sorriso della sua piccolina. Brillante come pochi, e radiante come un raggio di sole in piena estate.
In quegli istanti Ronald Hussian avrebbe pagato oro, diamanti, tutto ciò di più prezioso al mondo pur di rivedere quel sorriso, eppure, sapeva che nessuna pietra al mondo avrebbe potuto ridare l’unica cosa che spetta una volta sola: la vita.
Sophie e Jocey, le loro figlie, avevano invece scelto un posto alquanto insolito per la cerimonia. Sedevano ai piedi della bara di legno massiccio, tenendo al petto i loro inseparabili orsetti di peluche, che talvolta parevano in procinto di esplodere per quanto fossero tenuti stretti tra le loro piccole e candide manine.
Piangevano forte, non curandosi del rumore che stessero provocando, o del fatto che il loro lamento potesse superare la voce del prete.
Piangevano come tutti. Piangevano proprio come piangeva la nonna Mary, gli zii, i vicini, le allieve della scuola di piano in cui Annabelle aveva cominciato a prendere lezioni un paio d’anni prima, le maestre dell’asilo nido, e quelle delle elementari, e la cameriera della tavola calda a cui era solita andare dopo le lezioni con Rebeka.
     Rebeka.
Rebeka Kane, famosa in tutta Holmes Chapel per la sua lunghissima chioma nero corvino, era nascosta nella penombra dell’edificio, con il volto rintanato nel petto di Edward Hill. Proprio non ce la faceva a guardare verso quell’altare adorno di fiori bianchi e candele accese. Non ce la faceva a pensare alla parola “morte” se associata a quella “Annabelle”.
Annabelle non era morte. Annabelle era l’emblema della giovinezza, dell’ingenuità, della timidezza, della spontaneità. Annabelle era una persona speciale, ma più di tutto, Annabelle era la sua migliore amica, e adesso era morta.
A quel pensiero urlò più forte, con una conseguente pressione del viso sulla camicia inzuppata di Edward. La testa le scoppiava, e il cuore pure. Di dolore. Incredulità. Rimorso. Non avrebbe mai dovuto trascinarla a quella festa. Non avrebbe dovuto lasciarla andare. Era una tortura.
     «La morte non è altro che il passaggio alla vita eterna» riuscì a captare dopo qualche minuto di pianto ininterrotto tra quel groviglio di parole confuse pronunciate dal prete. «Annabelle non ci ha lasciato la notte di due giorni fa, figli miei!» continuò più convincente padre Joseph, alzando il tono della voce. «Annie è qui con noi, lei ci sta ascoltando… Lei sta ascoltando le mie parole, i vostri pianti. Annabelle veglierà sempre sulle nostre vite!»
     «NO!» urlò Rebeka nell’angoscia, lasciando che il suono rotto dal pianto si disperdesse tra il cotone dell’indumento su cui scaricava il suo dolore da un tempo che le sembrava infinito.
Edward le afferrò la nuca, staccandola finalmente dal proprio petto. Si guardarono negli occhi qualche istante.  Era così strano. Guardarsi negli occhi in una situazione così… Era strano, e straziante.
     «N-Non ce… Non ce l-la… La fa-»
Senza attendere un minuto oltre il suo amico la trascinò lungo quei pochi metri che portavano all’esterno della chiesa.
      Aria.
Rebeka tentò di tirare un respiro. Non ci riuscì. Le lacrime e i singhiozzi erano più veloci di qualsiasi tentativo di inglobare aria.
      «Adesso tu devi respirare, mi hai capito? Respira» Ed le bloccò le spalle chinandosi di qualche centimetro per raggiungere l’altezza dei suoi occhi.
     Rebeka distolse lo sguardo.
La pioggia intanto cadeva indisturbata, più violenta che mai, come se la potenza del dolore racchiuso in quella chiesa fosse legato direttamente al cielo, e all’intensità con cui le gocce si schiantavano al suolo.
     «Signore, noi ti preghiamo affinché la nostra sorella ascenda nel Regno dei Cieli» si sentì dell’interno.
Il rumore dei pianti aumentò. Nello stesso istante una saetta bianca illuminò le nuvole nere come il catrame, seguita pochi secondi dopo da uno spaventoso tuono.
A riparare Rebeka e Ed dalla tempesta, non vi era altro che un metro di porticato in legno. Anche il paesaggio lì intorno pareva a lutto. Gli alberi, soprattutto, che sembravano piegarsi e rialzarsi come una schiena squassata dal pianto, o uno stomaco in preda alle convulsioni.
Tra quello che sembrava essere il dipinto della disperazione, a Rebeka parve di vedere una sagoma pochi metri più avanti, nel fulcro del diluvio, immobile sotto un salice piangente.
Cominciò a correre riuscendo a sfuggire alla presa di Edward.
Le gocce d’acqua erano come aghi di pino sul suo corpo esile e stanco. Avrebbe giurato che l’acqua le stesse facendo male, ma niente le fece più male di ciò che i suoi occhi videro arrivata ai piedi di quell’albero solitario.
     Si bloccò di colpo.
Guardò il ragazzo dai capelli castani per qualche frazione di secondo. Ci vedeva bene, o quelle che uscivano dai suoi occhi erano lacrime? “No” pensò subito sentendosi una sciocca. Doveva essere la pioggia… Eppure guardandoli meglio sembravano arrossati. Harry Styles la osservò in silenzio, con aria quasi sommessa.
Doveva averla riconosciuta. Sì, doveva averlo fatto per forza.
     “Reb, mi ha sorrisa, ti rendi conto?”
     “Reb, mi ha chiesto se volevo una mano!”
     “Reb, oggi mi è passato accanto nei corridoi e… Mi ha guardata!”

     “Reb, credo di essermi innamorata”.
Le scene vorticarono nella mente di Rebeka come un fiume in piena. Come se stesse guardando all’interno di un calderone fatto di immagini e ricordi. Un senso di nausea la costrinse a riaprire gli occhi, barcollante e con un terribile nodo alla gola. D’un tratto gli mollò uno schiaffo, meravigliandosi subito dopo del suo gesto.
Harry Styles sbatté le palpebre, portandosi lentamente una mano sul punto dolorante della guancia.
Rebeka riprese col pianto, nascondendo il viso fra le mani. La situazione restò così, immobile, per un minuto o forse due. Lei piangeva, il ragazzo di fronte la guardava impassibile, con le mani lasciate pendere pesanti lungo i fianchi, e qualche metro più lontano Ed, che osservava il tutto confuso, e privo di forze per avvicinarsi.
     «Mi dispiace… Tanto» sibilò finalmente Harry, con voce la voce rotta.
Rebeka alzò i suoi enormi e arrossati occhi neri sul ragazzo. Lo fissò qualche secondo, poi scosse il capo. «T-Tu… Tu non capi… Tu non capisci… Tu n-non sai» gli occhi nel vuoto, un tono di voce insolito. «Annabelle…» di scatto si bloccò,  lasciando che le lacrime cadessero indisturbate. Non avrebbe dovuto farlo, non era ancora il momento. Fu preda delle vertigini, e cominciò a sentirsi male più di quanto non si sentisse già.
    Harry la guardò con uno sguardo misto tra dolore e sorpresa, ma prima che potesse aggiungere qualcosa, Rebeka si sentì afferrare il polso e trascinare via. Così, con Ed al suo fianco, si confuse tra la tempesta d’acqua.
 
 
 
 
 
 
   
 
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