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Autore: Sorella_Erba    18/06/2015    2 recensioni
Il mattino è un momento della giornata in cui ci si lascia andare a constatazioni tanto ovvie quanto terrificanti.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Errore di calcolo.

 

Lo specchio rimandava un’immagine del tutto inverosimile; gli avrebbe addirittura fatto accusare – e finalmente – quel buon vecchio whiskey d’annata di cui le sue scorte non potevano fare a meno, se solo i suoi occhi insonnoliti l’avessero inquadrata pochi istanti prima.

La testa bionda accanto alla sua si scosse in un moto di diniego, presumibilmente a rimarcare quanto un mugugno impastato aveva mancato di esprimere; poi scomparve dallo specchio, lasciando intravedere le raffinate piastrelle di ceramica importate direttamente dall’Italia che decoravano il muro del suo bagno. Il rumore degli sciacqui coprì per un momento quello dell’acqua corrente.

L’orario disumano contribuiva a scavare d’irritazione l’espressione già stanca e lo sguardo lanciatogli dai suoi stessi occhi, che lo inchiodavano trucemente dall’altra parte dello specchio – le gioie del frequentare un soldato del dopoguerra ancora in attività: sveglia all’alba, un’abbondante omelette per colazione e jogging per risvegliare muscoli che, di certo, avrebbero agguantato al volo l’idea di trascorrere gran parte del finesettimana a oziare nel tepore confortante delle coperte. «Central Park al mattino è il posto perfetto per sgranchirsi le gambe, Tony» un dannato cazzo, Rogers, avrebbe dovuto rispondergli mesi e mesi fa, la prima volta che si era svegliato con le gambe attorcigliate fra le coperte più pruriginose del materasso più duro su cui avesse mai avuto la sventura di dormire. Il lato positivo era che, almeno per quella volta, avrebbe evitato i chilometri di corsa e affanno che separavano Brooklyn da Manhattan. Convenne fra sé e sé di invitarlo più spesso a trascorrere le notti libere a casa sua, assodata l’impossibilità di demolire i consueti piani della mattina dopo. Intaccare la disciplinata routine di Captain America. Sarebbe stato più semplice creare un’armatura capace di compiere il giro del mondo in meno di dodici ore.

Dal suo lato del doppio lavabo afferrò lo spazzolino elettrico su cui spremette con veemenza del dentifricio che, in parte, finì a sporcare il rubinetto aperto.

«Tony, l’acqua scorre» lo rimproverò Steve. Era ritornato nel riflesso, accanto a lui, e gli occhi gli lampeggiavano di disapprovazione mentre si passava l’asciugamano sulla bocca.

«Tranquillo, nonno, la grande depressione è finita da un pezzo.»

Steve rispose con un mero sbuffo che omaggiava la sua pazienza nei confronti delle continue punzecchiature. Non era facile abituarsi a ignorarlo, Tony ne era cosciente; era circondato da poche, preziose persone leali per un motivo preciso. Vivere di vizi sin dall’adolescenza poteva indebolire il carattere, ma il vecchio Howard aveva lavorato su quel fronte impartendo dure lezioni di morale che avevano visto protagonisti il biasimo e la conseguente freddezza nei confronti del suo unico figlio ed erede. Il distacco provoca errori. Tony tuttavia non si sentiva mai nel torto quando ricorreva a commenti sprezzanti per ripararsi dalla riprovazione che persino chi lo conosceva poco e male non esitava a sbattergli in faccia.

Steve sembrava aver maturato una distinta indulgenza verso quasi tutto quello che, accidentalmente o meno, gli era sfuggito di bocca, in quei mesi di passeggiate, inviti a cena e notti insonni che spesso erano terminate in sospiri tremuli e sazi, con i raggi dell’alba a tentare di penetrare le imposte socchiuse delle alte e caratteristiche finestre del quartiere di Brooklyn in cui Rogers viveva. Che fosse una cosa voluta? Sicuramente.

Tony staccò lo sguardo dal riflesso di Steve e lo puntò sul proprio. Lo spazzolino gli ciondolava mollemente da un lato della bocca e le profonde riflessioni mattutine non mitigavano le rughe del suo sguardo crucciato. Poteva essere un’attività divertente, indugiare con le fantasticherie sui particolari sentimenti che smuovevano di continuo il cuore umano, leggere le delicate sfumature che mutavano il valore di un’emozione e lo stato di una relazione fra due individui. Questo tuttavia fino a quando non scattava, puntuale, il campanello d’allarme che lo scuoteva e lo avvisava di quanto pericolosamente avesse lasciato crescere il livello di intimità. Bastava un istante di distrazione per capitombolare e Tony non voleva illudersi. Eppure, l’intenzionalità della condiscendenza di Steve lo aveva sorpreso e riscaldato dentro; non poteva vederla come una minaccia, non da parte sua.

Avvertì la pressione di due dita sul solco pensieroso che gli increspava la fronte e sussultò per la sorpresa. Dovette sbattere più volte le palpebre prima di accorgersi che il polso di Steve gli stava coprendo parte della visuale che lo specchio rinviava.

«Continua a fare il muso sin dalla mattina e nemmeno le tue preziose creme per il viso potranno aiutarti nella lotta contro il tempo» ghignò Steve, massaggiandogli la fronte.

«Spassoso, Steven. Vuoi che rida? Ci tieni così tanto a sentire la mia risata sarcastica? Tanto credo sareste soltanto tu e qualche sfortunato uccello a poterla ascoltare a quest’ora infame.»

«Cielo, che senso. Ho appena sentito la pelle afflosciarsi proprio qui.»

«Non tutti abbiamo avuto la fortuna di finire congelati e conservare la pelle liscia come il culo di un bambino per decenni.»

«Tutta invidia, Stark.» Steve avvicinò il viso al suo e gli baciò il punto arrossato su cui le sue dita avevano insistito. Gli circondò il collo in un abbraccio morbido e lo guardò negli occhi dallo specchio, sorridendo, una tempia appoggiata contro lo scompiglio castano che erano i capelli di Tony al mattino.

Un moto di agitazione improvviso gli attorcigliò lo stomaco e Tony si sentì costretto ad abbassare lo sguardo per un momento, prima di risalire lentamente, quasi valutando in numeri la distanza fra le braccia di Steve, strette attorno a lui, e il suo pettorale destro, poi il centro del torace, e infine il punto in cui approssimativamente batteva il suo cuore. Stavolta colse il movimento della mano che scioglieva l’intreccio delle braccia e che, cauta, scendeva nella direzione in cui si erano soffermati i suoi occhi poco prima. Tony deglutì un groppo fastidioso mentre il palmo caldo di Steve si  sistemava sul suo petto per confortare il battito trepidante che segnalava un ennesimo, imprevisto progresso del loro livello d’intimità. Per quanto tempo aveva distolto lo sguardo? Quanto aveva lasciato maturare un sentimento che gli era sembrato solo uno dei tanti capricci da soddisfare? Il robusto torace premuto contro la sua schiena dolcemente cominciò a suggerirgli un ritmo quieto e rassicurante di ampi sospiri da seguire; gli ricordava il pigro assopirsi dei loro respiri dopo aver fatto l’amore.

Steve non parlava, si limitava a osservare il riflesso di Tony struggersi silenziosamente. Le ombre delle emozioni che si manifestavano fra i solchi delle rughe indicavano lo sconquasso interiore e la paura, il terrore di accettare ciò che non era altro che una svista, scongiurata da sempre. Era la variabile accidentalmente non calcolata, la x trascurata che aveva scombinato un’equazione lunga una vita. La dolcezza della contraddizione matematica lo scrutava attraverso occhi azzurri scuriti dalla penombra del suo bagno. Steve apparteneva a un’epoca che aveva già da tempo consumato i suoi anni e terminato il suo corso. Se non era, quella, una coincidenza decisamente buffa. Una linea temporale distorta – recisa e poi ricucita all’orlo di una totalmente diversa – e l’imprevedibilità causata da un mero errore di calcolo, ed ecco il risultato.

L’abbozzo di un sorriso sulla bocca di Tony venne accolto da una fila perlacea di denti che gli rispondeva dall’altra parte dello specchio, poco più in alto del suo naso. Cinse con le dita il polso poggiato contro la sua clavicola e strinse, forte, reggendosi a quella parvenza di stabilità che l’illogicità gli stava buffamente offrendo.

 

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L’ho finita alle 4. L’ho riletta con un filo di bava che mi penzolava dalla bocca e rischiava di finire sulla tastiera, e ho pure gli occhi secchi per il sonno. Ma l’ho finita. E sono anni che ho il blocco e la paura di riprendere a scrivere. Liv/pata/darkrin mi sta riportando con la manina sulla vecchia via e mi ha whatsappato dei prompt, uno dei quali, molto poetico, “lavarsi i denti”, ha ispirato le pippe mentali di Stark che ho appena terminato; magari una buona dose di bottarelle da parte di Steve gli risolvono definitivamente l’impiccio.

   
 
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