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Autore: The Writer Of The Stars    18/06/2015    4 recensioni
Seguito della mia precedente one shot "Good riddance", consiglio perciò la lettura di quast'ultima per comprendere meglio ciò che segue.
Dedicata a SkyDream che mi ha "involontariamente" ispirato questo seguito. ;)
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”A volte aveva quasi paura di dirlo. Temeva che in realtà lei ad Heiji non mancasse più come sperava e aveva paura di svelargli ciò che invece per lei non si era mai spento. Non voleva metterlo in difficoltà con dichiarazioni improvvise, magari non ricambiate. Non voleva costringerlo a dire ciò che non pensava, preferendo tenersi tutto dentro e soffrire in silenzio.
Dio, quanto odiava il suo spirito altruista"
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kazuha Toyama | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a SkyDream, che mi ha fatto venire l’ispirazione. Tutta per te, cara. ;)
 
( https://www.youtube.com/watch?v=-TV8R0eAlsI –canzone)
 

Kazuha sbatté per due volte le palpebre prima di tornare a fissare il soffitto immacolato. Buttò uno sguardo stanco alla radiosveglia riposta sul comodino, abbandonandosi ad una smorfia di frustrazione; le 4,30.

Erano le 4,30 di notte e lei non era ancora riuscita a chiudere occhio. E fortuna che quei giorni non aveva lezione all’università, altrimenti si sarebbe presentata in facoltà con le fattezze di uno zombie. Perché non era la prima notte che le capitava.

Inizialmente aveva dato la colpa al cambiamento di stagione, agli sbalzi di temperatura insopportabili di quell’ uggioso mese di luglio.

Poi il problema erano diventati i rumori. Londra è una città che non dorme mai, specialmente in centro. Abitare proprio in un minuscolo appartamento nel centro di Covent Garden non aveva dunque giovato alla quiete notturna di Kazuha, ma si era ripetuta che infondo le sarebbe potuta andare peggio; avrebbe potuto trovare casa a Camden Town, ad esempio.
Con un sospiro esasperato si portò a sedere sul minuscolo lettino concessole. Si portò la testa fra le mani, scuotendola con veemenza. Che senso aveva dare la colpa al tempo o al rumore notturno quando il problema non stava là fuori, ma dentro di lei?

Si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra della sua stanza. Osservò per diversi attimi le gocce di pioggia infrangersi contro il vetro freddo della finestra, le stille d’acqua percorrere la lunghezza del vetro con celerità, gettandosi verso il basso. Come stava facendo lei .

Le piaceva la pioggia, l’aveva sempre amata, anche se era abituata a quella di Osaka. La pioggia di Londra è diversa. Ha qualcosa in più e qualcosa in meno rispetto alle altre, c’è una malinconia palpabile e manca della consapevolezza che presto finirà. La pioggia di Londra non dura pochi attimi, ma vite intere.

Kazuha osservò con occhi stanchi la vita al di là di quel vetro bagnato, scoprendo macchine sfrecciare veloci alle luci intermittenti dei semafori notturni, combriccole di ragazzi uscire da pub scarsamente illuminati con un tasso alcol emico decisamente superiore alla norma. A lei non era mai piaciuto bere, non era mai entrata in un pub. Di solito era Heiji quello che prendeva un po’ di birra ogni tanto, magari per festeggiare la risoluzione di un caso particolarmente difficile, e lei andava a rubare furtiva qualche sorso dal calice che lui le porgeva divertito.  Se solo Heiji fosse stato lì con lei …

Eccolo il problema! Lo aveva ammesso a sé stessa, finalmente.

Non si trattava del tempo nero e nemmeno dei fastidiosi rumori a cui, francamente, aveva ormai fatto abitudine. Il problema era Heiji.

Non si vedevano da due anni. Fisicamente, si intende.

 I primi tempi era come se non si fossero mai separati. Ogni giorno entrambi si sedevano alla scrivania con il portatile davanti e passavano ore a chiacchierare tra di loro attraverso una semplice webcam, parlando di tutto senza in realtà dire niente.

I primi mesi se lo dicevano sempre, almeno una volta al giorno.
“Mi manchi …” e poi chiudevano la chiamata, sentendo gli occhi inumidirsi.

Poi era successo qualcosa. Heiji aveva intrapreso gli studi per entrare nella polizia e da quel giorno, a poco a poco, le chiamate avevano smesso di durare ore, le volte in cui si sentivano non erano più giornaliere ma settimanali, per poi divenire mensili, fino a scomparire quasi del tutto. E di questo Kazuha non se ne era capacitata. Avevano anche smesso di dirsi “mi manchi” a poco a poco, e non perché non fosse vero, ma il fatto è che l’orgoglio di entrambi, inutile e meschino, li aveva portati ad una sorta di isolamento secondo il quale dovesse essere sempre l’altro a fare la prima mossa. Non c’era più la spontaneità di sempre.

Erano tre mesi che non si sentivano, e l’ultima chiamata portava con sé la durata di nemmeno dieci minuti di tempo.
“Scusa, Kazuha, ma devo proprio andare ora.” L’aveva liquidata lui quella volta. E nient’altro, solo quello.

Nessun “mi manchi”. A volte aveva quasi paura  di dirlo. Temeva che in realtà lei ad Heiji non mancasse più come sperava e aveva paura di svelargli ciò che invece per lei non si era mai spento. Non voleva metterlo in difficoltà con dichiarazioni improvvise, magari non ricambiate. Non voleva costringerlo a dire ciò che non pensava, preferendo tenersi tutto dentro e soffrire in silenzio.

Dio, quanto odiava il suo spirito altruista.
 
 

“Good morning! Do you want to order something?” Kazuha sobbalzò sul posto, udendo la voce maschile dall’accento tipicamente inglese richiamarla. Voltò leggermente il capo, mettendo su un sorriso finto in direzione del cameriere dell’accogliente tavola calda dove si era rifugiata per sfuggire all’ennesimo temporale estivo. Passandosi una mano sul viso pensò a quanto orribili dovessero risultare le sue occhiaie, simbolo di quell’ennesima notte insonne, malamente mascherate col fondotinta e si sentì tremendamente schifata da sé stessa e dal suo orgoglio di donna che si stava frantumando giorno per giorno.

“Yes, please. I’d like an hot chocolate.” Rispose con un piccolo sorriso stanco.

“Cream?”

“A little, please.”

“All right.”

Kazuha osservò il ragazzo allontanarsi con la propria ordinazione, scrutandolo leggermente. Aveva gli occhi color cioccolata e i capelli rossicci, un po’ scompigliati. Era indubbiamente un ragazzo carino, ma non le interessava. Non le era mai interessato nessuno che non fosse Heiji. In facoltà aveva conosciuto alcuni suoi compagni di corso che si erano mostrati molto carini e interessati a lei, ma la verità era che nessun paio di occhi azzurri avrebbero mai potuto sostituire quelli blu oceano di Heiji. Ovunque andasse gli occhi di Heiji erano con lei. Li sentiva al suo fianco, dietro di lei, dentro di lei. In quelle notti in cui non aveva chiuso occhi le era capitato quasi sempre di abbandonarsi ai ricordi, ai flashback dei momenti passati insieme. La brezza di quelle calde sere d’estate era tornata a solleticarle la pelle diafana mentre la valigia dei ricordi, stracolma da non riuscire quasi a chiudersi, stava poggiata sempre lì, sullo stipite del suo cuore.

Ogni notte, prima di andare a dormire, si affacciava sempre alla finestra, passando cinque minuti a fissare il cielo alla ricerca della loro stella. Heiji le aveva promesso che avrebbe fatto lo stesso per non dimenticarsi di lei, ma ogni notte sentiva di avere il bisogno di affacciarsi e stare con gli occhi puntati verso il cielo per tutto il tempo necessario che la sua malinconia e nostalgia di sentirsi chiamare “piccola” dalla sua voce non si assottigliasse.

Chissà se lui se la ricordava ancora la stella …

“Excuse me ,Miss, here’s  your chocolate.” Sorrise al cameriere che le porgeva la cioccolata calda, poggiandola sul tavolo in legno.

“Thanks.” Rispose, prima di buttare uno sguardo veloce alla strada di fronte al locale. Aveva scelto quel posto, quello vicino alla vetrata, perché le piaceva osservare la pioggia cadere da dietro il vetro freddo di una finestra. Con fare annoiato avvicinò il dito sottile alla lastra di vetro, prendendo a scarabocchiare ghirigori senza senso sulla condensa formatasi dal contatto dell’acqua con il freddo della superficie vitrea. Annoiata, spostò poi la sua attenzione sulla tazza in ceramica colma di cioccolata fumante, dove uno spruzzo leggero di candida panna spiccava tra tutto. Afferrò la tazza con entrambe la mani, sentendo il calore invaderle lentamente le membra a quel contatto. Affondò lo sguardo all’interno della tazza, fissando con inspiegabile interesse i giochi di luce e calore prodotti dal vapore fumante che saliva verso l’alto, persa in quell’attimo di serena solitudine e apparente pace interiore.

“Ehm ehm, excuse me, can I sit here?”  Kazuha si bloccò di scatto, spalancando gli occhi. Quella voce l’avrebbe riconosciuta tra mille. Voltò il capo con una lentezza esasperante, trattenendo il respiro.

“H –Heiji?”balbettò a mezza voce, spalancando gli occhi smeraldini. Dinanzi a lei, stretto in un paio di jeans scuri e in un giubbetto nemmeno troppo pesante, Heiji Hattori sorrideva furbetto, osservandola da sotto la visiera del suo immancabile cappello.

“N- non è possibile, ma …”

“Allora non sai solo parlare inglese come credevo!” esclamò divertito il ragazzo, sorridendo leggermente. Kazuha lo fissò immobile. Sentì d’un tratto gli occhi inumidirsi e le spalle tremare vistosamente, in un riflesso incontrollato. D’istinto si alzò in piedi gettandosi a capofitto tra le braccia di Heiji e lui, quasi si aspettasse di certo tale reazione, la accolse prontamente, stringendola a sé con forza e possessività. Erano due anni che non la stringeva così a sé.

“Ehi ehi, piccola che ti prende? Sono qui, perché piangi?” sussurrò con dolcezza Heiji, carezzandole piano il capo. D’altro canto Kazuha, incurante degli sguardi incuriositi degli altri clienti del locale e dei camerieri, singhiozzava violentemente, inondando di lacrime il petto del ragazzo. In circostante normali la Kazuha di sempre non si sarebbe lasciata andare a tale gesto in un luogo così affollato, ma le circostanze, sapete, non erano affatto usuali.

“Idiota …” si lasciò sfuggire tra un singhiozzo e l’altro ed Heiji, udendola, si lasciò andare ad una risata sincera e commossa, ridendo come non rideva da due anni.
 
 

“Allora …” Heiji afferrò la tazza di caffè appena ordinata, soffiandovi leggermente sopra per favorire il raffreddamento della bevanda.

“Quando sei arrivato?” gli chiese Kazuha ancora euforica e sconvolta per la sorpresa ricevuta.

“Ieri sera tardi. Sarei voluto passare a trovarti, ma non volevo svegliarti … così ho preferito farti una sorpresa stamattina.” Spiegò sorridendo,senza sapere che in realtà Kazuha non aveva chiuso occhio proprio per causa sua.

“Non hai idea di quanto sia felice, insomma, non mi aspettavo proprio di vederti qui!” esclamò Kazuha euforica, abbandonando la tazza di cioccolata di cui aveva bevuto solo metà. Heiji le sorrise prima di concedersi un altro sorso di caffè.

Kazuha lo osservò, mordendosi involontariamente il labbro inferiore. Era venuto a trovarla, e la cosa l’aveva  risollevata da quel baratro di tristezza nella quale stava sprofondando ma … non glielo aveva detto. Forse si era sentito in imbarazzo, averla davanti dopo due anni di lontananza. O forse … forse non provava nulla.

“Mi sei mancato.” Gettò fuori Kazuha d’un tratto. Heiji alzò di scatto gli occhi dalla tazza, fissandola serio. Si scrutarono per diversi attimi e Kazuha notò che in quei due anni, Heiji non era cambiato di una virgola. Anche lei in realtà era rimasta uguale, stesse forme gentili, stessa chioma color cioccolato raccolta in un nastrino colorato, stessi occhi verdi come lo smeraldo.

“Anche tu, non sai quanto.” Ammise Heiji annuendo impercettibilmente, sorridendole piano. Kazuha ricambiò il sorriso, sentendosi avvampare, come ogni volta con Heiji; inutile, certe cose non cambiano mai.

“Vorrei parlarti di una cosa.” Esclamò Heiji dopo attimi di silenzio. Il ragazzo allungò le braccia sul tavolo, ricercando le mani di Kazuha. In un gesto inaspettato strinse le mani candide della ragazza di fronte a sé tra le sue, sorridendole piano. Kazuha arrossì sorpresa, osservando le sue manine candide intrecciate con quelle grandi e scure di Heiji. Le era mancato quel contatto.

“Ultimamente sono stato molto distante al telefono e durante le nostre chiamate, credo te ne sia accorta anche tu.”  Cominciò, prendendo a disegnare con il pollice circonferenze immaginarie sul dorso della mano pallida della ragazza. Kazuha annuì pensierosa, sentendo l’ansia montarle dentro.

“Il fatto è che sono stato molto impegnato per una questione un po’ complessa e volevo parlartene di persona.”
Kazuha lo osservò allarmata. Che cosa stava per dirle? Aveva forse trovato una ragazza? Si era fidanzato con qualcuna che non fosse lei …?

“D – di che si tratta?” chiese con voce strozzata, in attesa. Heiji abbassò lo sguardo per alcuni secondi, sospirando profondamente.

“Come sai sono riuscito ad entrare nella polizia di Osaka e …”

“E …” lo incitò Kazuha, sentendo l’angoscia divorarla.

“Ho chiesto il trasferimento qui a Londra.” Confessò, puntando gli occhi blu in quelli verdi di Kazuha. La ragazza lo fissò sconvolta,certa di non aver capito bene. Impiegò diversi attimi per realizzare ciò che Heiji le aveva effettivamente rivelato, senza riuscirci comunque pienamente.

“C – come scusa?” balbettò incredula. Heiji accennò un minuscolo sorriso nervoso.

“Ho chiesto di poter lavorare con la polizia di Londra e mi è stato concesso il trasferimento … sei contenta?” chiese timoroso. Kazuha fissò per diversi attimi il vuoto dinanzi a sé, cercando di collegare tutto ciò che aveva appena sentito. D’un tratto si alzò di scatto in piedi, precipitandosi per la seconda volta tra le braccia di Heiji che stavolta, non aspettandosi tale reazione, la sorressero traballante.

“E me lo chiedi pure? Certo che sono contenta!” esultò stritolando Heiji in un abbraccio colmo di tutte le emozioni impossibili da esprimere a parole. Heiji ridacchiò felice, ricambiando la stretta.

“Ma come mai hai fatto una scelta del genere? Voglio dire, addirittura qui a Londra, come …” chiese confusa sciogliendo l’abbraccio ma restando comunque legata ad Heiji, fissandolo sorridente a pochi centimetri dal suo viso.

“La facoltà di Medicina durerà almeno sette anni se non più, e se ho rischiato di impazzire dopo due anni lontano da te, cosa potrebbe succedere sapendoti lontana migliaia di chilometri per il resto della mia vita?” confessò sorridendo timidamente, in evidente imbarazzo.

“E poi … non è detto che finita l’università ce ne andremo di nuovo. Possiamo restare qui, o andare dove vuoi tu. Ma io verrò con te. Non ti lascio più.” Concluse serio, guardandola negli occhi. Kazuha sorrise commossa, stringendo le labbra nel tentativo di non piangere.

“Devo prenderla come una specie di dichiarazione?” chiese ridacchiando tra le lacrime di gioia. Heiji le sorrise furbetto, prima di avvicinarsi sempre maggiormente al suo viso, azzerando così le distanze tra loro. In un attimo, Kazuha si ritrovò le labbra del ragazzo poggiate sulle sue in un bacio tenero, dolce ma al tempo stesso profondo, colmo di tutte le dichiarazioni scontate o i “ti amo” banali che avrebbero solo rovinato l’atmosfera, rendendola troppo stucchevole per entrambi.

“Beh, prendila come vuoi … tanto credo tu abbia capito il senso.” Esclamò Heiji sorridendo leggermente, staccandosi leggermente dalle labbra di Kazuha. Kazuha gli sorrise, posandogli un altro bacio delicato sulle labbra e abbracciandolo per l’ennesima volta, sentendo che non si sarebbe mai stancata della sua stretta possessiva e delicata al tempo stesso.

“Baka!” esclamò ridendo, stringendosi a lui e beandosi di quel profumo di cannella e della risata di Heiji.
Forse quella notte, cullata dalla voce di Heiji e dal lontano ticchettio della pioggia, sarebbe riuscita ad addormentarsi, senza immaginare più il ragazzo dall’altra parte del mondo col volto premuto alla finestra a chiedersi se stesse bene o no.
 

Si erano aspettati a vicenda, attenendo l’uno l’orgoglio e la coscienza dell’altro, promettendosi sempre che, non importava come o quando, si sarebbero ritrovati, volta dopo volta. Si erano promessi di essere sempre l’ancora di salvezza dell’altro, di aiutarsi a risalire insieme, volta dopo volta.

Si erano promessi silenziosamente di amarsi sempre, per tutta la vita. E avevano mantenuto quella promessa, volta dopo volta …
 
"If you're lost you can look and you will find me, time after time. If you fall I will catch you, I'll be waiting, time after time ..."


Nota autrice:
E c’è, il seguito c’è!! Non è colpa mia eh, è stata SkyDream a mettermi in testa l’idea di un seguito,prendetevela con lei. XD Sto scherzando ovviamente, cara Sky, senza di te questi due poveri Cristiani sarebbero rimasti a piangere l’uno per l’altro dall’altra parte del mondo. Applausi a lei, per favore. ;)
Ah, se vi state chiedendo per quale motivo Kazuha risulti lobotomizzata nell’ordinare una cioccolata calda in pieno luglio prendetevela con me, che l’anno scorso in Inghilterra ordinavo cioccolate calde in tutti i bar proprio nello stesso mese … ma fidatevi, quando piove ci sta sempre bene. :)
Alla prossima!

TWOTS

Ps: credo sia chiaro, in ogni caso vi inserisco comunque la traduzione dei dialoghi in inglese.
-“Buongiorno , vorrebbe ordinare?”
“Sì grazie, vorrei una cioccolata calda.”
“Panna?”
“Poca, grazie.”
“Perfetto.”
“Ecco a lei la sua cioccolata”.
“Grazie.”
“Mi scusi, potrei sedermi qui?”
   
 
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