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Autore: polytlas    18/06/2015    0 recensioni
❝ Sentiva un potente e piacevole soffio al cuore ogni volta che William faceva un passo.
Riuscì a sentirlo battere forte di felicità dopo secoli. Forse, in realtà, per la prima volta.
́
→ a fairytale;
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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A tutti i sognatori.









Far Far.





Far far, there's this little girl
she was praying for something to happen to her
everyday she writes words and more words
just to speak out the thoughts that keep floating inside
and she's strong when the dreams come cos' they
take her, cover her, they are all over
the reality looks far now, but don't go.















Quel giorno c’era il sole. I suoi raggi penetravano attraverso il vetro della finestra riscaldando le grandi mura della casa.
Halley riuscì subito ad avvertirne il calore sulla pelle, e si ritrovò a distendere le labbra in un timido sorriso: quel dolce tepore che le lambiva il viso la metteva il buon umore.
Chissà che colore doveva avere.
Non le era dato saperlo, almeno non in quel momento.
Ma allora quando?, si domandava ogni giorno.
Erano sedici anni che aspettava delle risposte, ma continuava a ricevere soltanto pesanti silenzi.
Ormai si era rassegnata all’idea di dover convivere con il buio. Il buio perenne, quello che da sempre l’opprimeva.
Halley non vedeva più i colori.
Halley non aveva amici, se non il suo peluche che era solita chiamare Emmy, di cui però non conosceva neppure la forma.
Halley non aveva più la possibilità di dirsi libera.
Era stata privata di tutto, con brutalità, senza avere il tempo di rendersi conto realmente di cosa stesse accadendo, di come poterlo fermare.

Halley pregava.
Affinché le accadesse qualcosa di grande.
Halley sperava.
Che un giorno qualcuno la salvasse. Un qualcuno in grado di amarla in modo incondizionato, appoggiandola nei momenti di dolore; qualcuno che lei avrebbe potuto ricambiare: sperava in un Amore cristallino.
Credeva nella felicità, Halley, che sembrava, però, essere troppo lontana.

Era, poi, una sognatrice: viveva delle dolci-amare illusioni che la sua mente elaborava ogni qual volta trovava qualche minuto da dedicare a se stessa.
Lo faceva per evadere dalla terribile realtà in cui viveva, e che, ogni giorno, la opprimeva.
Si sentiva come se corde invisibili la tenessero incatenata, troppo resistenti per essere distrutte.

Non ricordava di aver mai calpestato l’erba di un prato o la sabbia di una spiaggia. Non sapeva neppure come fosse il profumo del mare. Non sapeva come fosse poterci fare un bagno.
Il mare.
Più volte aveva chiesto a sua madre di portarla in spiaggia, per poter provare, anche solo una volta, a sentire se davvero ci si potesse sentire liberi come un gabbiano; ma come risposta aveva sempre ottenuto tanti rimproveri e un grande mal di testa.

Halley, comunque, continuava a sperare di poter realizzare il suo piccolo desiderio, un giorno; un desiderio semplice, forse per cert’uni anche banale, ma che per lei simboleggiava la libertà.
Sognava questo: poter sentire il profumo della salsedine, la sabbia fine sotto i piedi, l’acqua sfiorarle la pelle, il sale sulle labbra, e poi l’Amore della sua vita, che l’avrebbe aiutata a raggiungere quella indipendenza, per poter vedere anche solo per qualche minuto tutti i colori del mondo.

Peccato fosse tutto soltanto un sogno, destinato a rimaner rinchiuso tra quelle mura: le sue urla, dopotutto, non le udiva nessuno.

Sua madre era l’artefice della sua infelicità: da quando suo padre era sparito da quella casa, Halley non aveva più avuto alcun contatto col mondo esterno.
Era una situazione triste, ma era riuscita ad adattarsi.

Halley non ricordava più il piacere di un abbraccio.
Sua madre non l’abbracciava mai, e per quanto poteva ricordare, non l’aveva mai fatto.
Aveva dimenticato quanto potesse essere bello sentirsi stretti tra le braccia di qualcuno o cosa si provasse sentendo una carezza.
Il suo corpo era diventato indifferente a qualsiasi cosa, come affetto da catatonia. Sfogava le emozioni solo attraverso la mente, attraverso il suo subconscio; al più, accennava qualche sorriso quando si trovava da sola nella sua stanza.
Per il resto, solo buio.

Quel giorno però, sentiva il sole caldo sulla sua pelle: la giornata doveva essere molto bella.
Decise di alzarsi dalla sedia sulla quale il suo corpo giaceva immobile da un po’ di tempo e scese in cucina.



Far far, there is this little girl, she was praying for something good to happen to her.






«Mamma?», chiamò Halley, per accertarsi o meno che la donna fosse in casa.
Avvicinandosi alla cucina, l’odore dei biscotti appena sfornati le inebriò le narici: sua madre doveva averle già preparato la colazione.

«Proprio te stavo venendo a chiamare! » esclamò una voce severa.
Halley sobbalzò: non era riuscita a percepire la sua presenza.
«Qui c'è la colazione », affermò la donna con freddezza.
Si sentì afferrare per un braccio e portare dinanzi al tavolo perfettamente quadrangolare della cucina.

Quante volte ne aveva ripassato il perimetro con le dita? Lo faceva con ogni oggetto, quando voleva che il tempo passasse più in fretta; era divertente, in un certo senso. O meglio: quello era uno dei pochi divertimenti per lei.

Halley si accomodò, avvicinando successivamente a sé la tazza di latte ormai semi-fredda. La prese con le gracili mani e la portò fino alle labbra, bevendo con calma e tranquillità, assaporandone ogni piccolo goccio.
Non aveva un rapporto affiatato con sua madre, ma non poteva negare che fosse davvero un’ottima cuoca.

Sentì una dolce brezza improvvisa sfiorarle la pelle e provocarle dei piccoli brividi.
Voglio andare a mare, si ritrovò volta a pensare per l’ennesima volta.
E quel pensiero doleva terribilmente.
Se lo avesse proposto a sua madre, questa le avrebbe di sicuro mollato una sberla. Ne era cosciente e le sue gote conoscevano anche fin troppo bene l’amaro sapore di quegli schiaffi.
No! La giornata era sin troppo bella per essere rovinata da certi pensieri.

Rimase seduta vicino alla finestra e si lasciò, piuttosto, accarezzare dai raggi del sole.
«Ascoltami», ricominciò sua madre, improvvisamente.
Sentiva una dolorosa fitta al cuore quando la donna le parlava in quel modo.
Perché faceva finta di niente? Perché non voleva vedere coi suoi occhi la triste verità? Perché si ostinava a darle colpa del suo tragico destino?
Domande a cui nessuno aveva dato, e avrebbe dato mai risposta.
«Io adesso esco per fare delle commissioni. Non azzardarti ad aprire a nessuno e ancor peggio ad uscire di casa, chiaro?» le intimò nervosamente.
Perché fai così, mamma?
«S-sì», balbettò Halley intimorita. «Farò come mi hai sempre detto», assicurò con un filo di voce.
Quanto avrebbe voluto urlarle perché, perché la trattava in quel modo? Cosa aveva mai fatto di tanto sbagliato? O forse era lei ad essere sbagliata?
«Perfetto. A dopo», si congedò fredda, infine.
Halley fece un balzo indietro non appena sentì la porta di casa sbattere violentemente.
Nessun bacio.
Nessun abbraccio.
Nessuna dolce carezza sul viso.
Niente.

Sospirò rassegnata: evidentemente quello era il destino che le spettava, e lei poteva fare ben poco.
Si alzò nuovamente dalla sedia, dirigendosi verso il piano della cucina dove c’erano i biscotti. Si orientò facendo riferimento alle sue sviluppate doti olfattive e tattili e prestando particolare attenzione al calore che i biscotti emanavano: più la temperatura aumentava - anche solo sensibilmente - più lei era vicina.
Quando li raggiunse sorrise vittoriosa, prendendone uno per premio.
«Ahi! » esclamò quando l’addentò: era davvero incandescente!
Soffiò lentamente su di esso per qualche secondo e, successivamente, lo riavvicinò alle labbra con la massima cautela: il sapore era ottimo!

D’un tratto, sentì nuovamente quella brezza frizzante e piacevole sfiorarle la pelle, come se la stesse carezzando.
Halley, le coccole, le riceveva dal Sole e dal vento.
Avrebbe di gran lunga preferito essere una foglia: cullata dal vento, riscaldata dal sole, abbracciata dai rami del suo albero.
Forse in quel caso sarebbe riuscita a ricevere qualche attenzione in più.
Già, forse.

La sua mente tornò alla realtà, quando udì dei rumori che le parvero urla. Delle donne.
Poi degli uomini.
Dei passi veloci di diverse persone.
Che stava succedendo?
Non le era mai capitato di sentire delle cose del genere.
Cosa doveva fare?
Doveva preoccuparsi?
Solo la finestra della cucina era semi-aperta, comunque, le altre erano tutte chiuse. Era meglio chiuderla?

Lentamente cominciò a camminare verso di essa, tenendo le mani in avanti, per accertarsi che non vi fossero ostacoli sul suo cammino, e seguendo il vento.
Quando fu vicina, rischiò di scivolare a causa di un po’ di bagnato che v’era per terra, ma riuscì ad afferrare un’anta della finestra e a non perdere l’equilibrio.

Sentì i passi veloci degli uomini sempre più vicini e cominciò ad agitarsi.
Prese a cercare con fare spasmodico il gancio che le avrebbe permesso di chiudere la finestra, ma l’eccessivo tremolio delle sue mani le impedì di compiere normali gesti che, in altre situazioni, avrebbe svolto tranquillamente.

Ad un tratto, tutto sembrò velocizzarsi.
Sentì le ante della finestra spalancarsi improvvisamente, con una forza che il suo gracile corpo non riuscì a trattenere.
Halley indietreggiò d’impulso, cadendo poi per terra.

Avvertì un calore ed un profumo del tutto nuovi.
Lunghi sospiri affannati si dispersero in quella stanza.

Un umano.
Una figura umana dinanzi a lei: ne percepì la presenza.
Era entrato dalla finestra mentre lei con serie difficoltà tentava di chiudere.
Non dovette aspettare molto prima che le lacrime prendessero a rigarle il viso per lo spavento.

«C-chi sei?», domandò tra i singhiozzi.
La figura, che poco prima giaceva immobile davanti a lei, le si fiondò addosso tappandole la bocca con una mano.
Riuscì a percepire immediatamente un odore nauseante, che le provocò un terribile capogiro.

Sangue.

Sentì il suo cuore perdere un battito per l’eccessiva paura.
Cosa stava accadendo? Cosa le avrebbe fatto quell’essere maledetto?
«Non spaventarti…», le sussurrò improvvisamente una voce maschile, ancora non così matura: poté capire che si trattava di una ragazzo, forse suo coetaneo.

Subito dopo, sentì il cuore schizzarle in gola.
Le dita ruvide e probabilmente anche sporche del ragazzo, le rigarono lentamente il viso.
La stava carezzando.
Per tranquillizzarla.
Per farla star buona.

Una carezza.

Dopo anni, stava sentendo una mano sulla sua guancia che non le provocava alcun dolore.
Il suo cuore sembrò tranquillizzarsi momentaneamente.

«Non voglio farti del male», continuò il giovane, lambendole il viso con le dita sporche di sangue, e lasciandole così dei raccapriccianti segni sul viso.
Cosa voleva, allora? Doveva fidarsi?
No, non sapeva chi aveva di fronte, avrebbe potuto benissimo ingannarla, e poi...
Halley scosse il viso sperando che il ragazzo le liberasse la bocca.
Fortunatamente fu così.
Tirò un sospiro di sollievo non appena riuscì a respirare di nuovo un po’ d’aria pura, anche se l’odore metallico del sangue aleggiava nell’aria.

«Chi sei?», domandò piangendo silenziosamente. Le mani le tremavano come quando aveva la febbre.
Si portò le ginocchia al petto, come se quel gesto potesse proteggerla da un possibile abuso.
«Ti prego, aiutami! » la implorò il giovane, di rimando.
Halley si sentì afferrare il viso da due grandi mani umide. Di nuovo l’odore nauseante del sangue s’impossessò delle sue narici, e per un momento avvertì un altro capogiro provocato da quell’acre essenza.

Aiutarlo? E per cosa?
Cosa mai poteva fare lei per aiutare qualcuno?
«Co-cosa? » balbettò infatti. Forse aveva capito male. Forse quella richiesta era stata frutto della sua immaginazione.
«Aiutami», ripeté il ragazzo.
No, non si era sbagliata.
«Ma… Come potrei mai aiutarti? », domandò lei confusa.



How can you stay outside? There is a beautiful mess inside.






«Per favore, nascondimi! », la pregò lui.
Sentì il respiro del ragazzo vicino al suo viso.
Nasconderlo?
E dove?
Per cosa poi?
Cos’era tutta quell’improvvisa situazione?
E se avesse rifiutato?
No, diamine! Era troppo rischioso: bisogna schierarsi sempre dalla parte del più forte in situazioni simili.

«S-sì», rispose quindi Halley, sollevandosi con difficoltà da terra.
Il giovane l’afferrò per un braccio e l’aiutò a mettersi in piedi.
La ragazza rimase leggermente stupita da quell’insolito gesto: non ricordava di nessuno che l’avesse mai aiutata a ad alzarsi.

Era così strano.
Le riempì il cuore di uno strano tepore.
Sollevò un angolo della bocca, sperando, però, non venisse notato.

«Ehm…» rantolò, pensando a cosa fare. «Nasconditi sotto il divano! » esclamò, come se fosse la cosa più ovvia al mondo.
Sentì il giovane sussultare appena «Ma…» tentò di obbiettare. «E’ troppo stretto per me», le disse infine.
Halley si morse il labbro. In quel momento si vergognò a morte: non potendo vedere, le era impossibile immaginare dove poter nascondere il ragazzo.
«Perdonami», sussurrò tremula. Stava andando nel panico.

Cosa sarebbe successo se non l’avesse nascosto in tempo?
Le avrebbe fatto del male?
Gli avrebbero fatto del male?

«Scusami… Nasconditi dove vuoi, io faccio finta di nulla, sbrigati!»
Era spaventata.
Decisamente troppo spaventata.
Il cuore schizzava a destra e a manca per l’agitazione.
E se fosse tornata sua madre?
Cosa mai le avrebbe fatto?
Cosa ne sarebbe stato di quel giovane?

«O-ok», si sentì rispondere con aria incerta.
Halley lo sentì allontanarsi da lei.
Riusciva a percepire l’odore nauseante del sangue farsi meno intenso e ciò significava che lui le era già distante.

Camminò svelta verso il lavello della cucina sciacquandosi il viso, poco prima aver toccato dalle mani imbrattate del ragazzo. Subito dopo, fece finta che nulla fosse accaduto: camminò tranquilla per la cucina, mangiando di tanto in tanto qualche biscotto. Nella sua mente, però, miliardi di pensieri si affolavano prepotentemente.
Era stato tutto così veloce, così… potente da non farla neppure ragionare.

Sentì delle voci da fuori la finestra: degli uomini. Quegli uomini.
“L’abbiamo perso!” urlavano.
“E’ scappato ancora una volta, per Dio!” dicevano altri.
Ad ogni parola che sentiva, Halley sentiva lo stomaco stringersi.
Perché quel giovane scappava?
Chi era lui in quella situazione?
Erano quei signori i cattivi?
E lei? Cosa c’entrava in tutto ciò?

Li sentì vicini, fin troppo vicini.
Halley prese un bicchiere, e, afferrando la caraffa d’acqua lì accanto, tentò di versarsi dell’acqua.
«Signorina! » esclamò qualcuno ad un certo punto.
Halley trasalì, facendo cadere rovinosamente il bicchiere a terra e rovesciando il liquido sul tavolo.
«D-dice a me? » domandò tremando.
Il suo cuore aveva preso a battere all'impazzata.
«Mi scusi per averla spaventata, ma stiamo cercando un delinquente. L’ha visto, per caso? » domandò la voce maschile, decisamente più forte e matura di quella del giovane.
«N-no, mi dispiace», rispose, accennando un finto e timido sorriso per mostrarsi più serena e convincente.
Sembrò funzionare.
«Da qui non è passato nessuno, è tutto tranquillo! » affermò, chinando il capo per approvare.
Sentì gli uomini confabulare, per poi congedarsi. «Va bene, la ringraziamo lo stesso. Buona giornata».
«A lei», salutò la ragazza, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.

Indietreggiò pian piano fino ad arrivare alla finestra.
Allungò l'orecchio, cercando di capire quanto lontani fossero giunti quegli uomini.
Sentiva i passi farsi sempre più deboli.
Sempre di più.
Sempre di più.
Chiuse infine la finestra, tirando anche le tende per impedire la vista altrui.

Fece un respiro profondo.
Via libera. Adesso, erano salvi.

«V-via libera: ovunque tu sia, puoi uscire fuori», pronunciò incerta.
Fu in quel momento che si pentì di aver chiuso la finestra: se quel ragazzo avesse cercato di farle del male, lei non sarebbe più riuscita a scappare.
Idiota!, si disse.

Sentì di nuovo l’odore del sangue farsi vivo dentro la stanza.
Perché quel sangue? Cos’era realmente successo? Perché l’avevano chiamato “delinquente”?
«Ti ringrazio», si sentì dire improvvisamente.
Le sue mani furono afferrate e portate verso l’alto. «Mi hai salvato la pelle», disse lui, poggiandole al petto.
«Oh, beh, figurati», biascicò sorridendo nervosamente. «Non mi è costato nul- ».
Halley trattenne il respiro.
Le labbra calde del giovane si erano appena posate sulle sue mani.
Le gambe della ragazza si fecero improvvisamente molli.
Quell’atto così semplice e innocente bastò a farle schizzare il cuore fuori dalla cassa toracica.
Com’era piacevole quel contatto delicato sulla sua epidermide.

«Ti ringrazio ugualmente», le rispose, staccandosi lentamente da lei.
Halley sorrise, tenendo lo sguardo basso.
Ad essere sincera non sapeva proprio cosa fare in quel momento, oltre a tormentarsi le labbra con fare spasmodico.
«Qualsiasi cosa tu mi voglia chiedere, la farò con piacere. Sono in debito», le disse dolcemente lui.
Qualsiasi cosa
Quindi, se gli avesse chiesto quel favore, lui avrebbe dovuto accettare.
Sì, dopotutto glielo aveva appena detto.
Qualsiasi cosa.
Qualsiasi.
Che rimanesse nei limiti del possibile, però.
Ma il suo desiderio non era nulla di azzardato.

Fece un respiro profondo prima di formulare la frase.
«Ahm…» cominciò incerta «… In realtà qualcosa ci sarebbe», disse, torturandosi le dita delle mani.
«Dimmi», la incitò il ragazzo.
Odiò il fatto di non poter vedere il viso del giovane: moriva dalla curiosità di sapere se le stesse sorridendo.

Chissà com’era fatto un sorriso

Doveva di sicuro essere qualcosa di bello, di dolce e di una tenerezza assoluta.
Lei si sentiva bene quando sorrideva, quindi immaginava fosse qualcosa di davvero bello.

«Ecco…», forza e coraggio, era la sua unica occasione. «Puoi portarmi al mare? » chiese finalmente.
Fu come togliersi un peso dallo stomaco.
Da troppo tempo quella domanda non veniva posta.
Diversamente dalle altre volte però, quella volta non ebbe paura di chiedere. Non sentì neppure il bisogno di chiudere gli occhi, o di portarsi le mani davanti al viso per parare il colpo.

«A-allora?» domandò insistente lei «Non riesco ad interpretare questo tuo silenzio», sorrise dicendo questo.
Lo sentì sussultare.
«Sì, perdonami, ma devo dire che è una richiesta alquanto bizzarra», le confessò.
Lo sapeva, ma a lei bastava solo questo.
«Lo so, ma a me va bene questo», gli rispose impaziente.
In effetti non avevano molto tempo, dovevano darsi una mossa: se sua madre fosse arrivata prima del previsto, sarebbero stati guai seri per lei e anche per quel ragazzo.
«Va bene…», lo sentì esitare. «Ma…» si sentì prendere nuovamente il viso da due grandi mani.
L’odore del sangue era sparito lasciando spazio ad un dolce profumo di casa.
«Perché non mi guardi mai in viso quando ti parlo? » le domandò schietto.

Quella domanda fu un po’ come un forte pugno dritto allo stomaco.
Riuscì a sentire tutte le cicatrici del suo corpo riprendere a bruciare.
Troppi ricordi orrendi, che ancora oggi tormentano il suo sonno e le sue giornate, riaffiorarono nella sua mente.

Scosse il capo. No, il suo sogno stava per avverarsi, non poteva rovinarlo in quel modo.
«Io…» Dalla sua gola uscì una vocina strozzata. «Io non posso vederti. Non posso vedere nulla. Niente».



From time to time there're colors and shapes
dazeling her eyes, tickling her hands
they invent her a new world with
oil skies and aquarel rivers,
but don't you run away already
please don't go.






Le parve di sentirlo boccheggiare a quelle parole.
Erano dolorose.
Per lei, per lui, per tutti coloro i quali le udivano.
Solo pochi però ne comprendevano il vero significato. Molti ne rimanevano all’oscuro, come se fosse un tabù, facendo finta di non aver sentito. Ma che colpa poteva mai averne lei?
Nemmeno a lei piaceva l’idea del buio perenne, ma non per questo odiava se stessa. Piuttosto, non le piaceva la realtà che la circondava: se fosse stata diversa, sapeva che avrebbe vissuto con altro spirito la sua tragica situazione.

«Oh», soffiò il ragazzo.
In un certo senso preferì che non aggiungesse altro.
Un po’ perché non le andava di specificare tutto, un po’ perché spifferare tutto a tutti sapeva di autocommiserazione e Halley non voleva essere compatita. La compassione non serviva né a farla stare meglio, né a risolvere le cose.

«Però dobbiamo sbrigarci prima che arrivi mia madre», lo avvisò cambiando totalmente discorso.
«Hai ragione, scusa», lo sentì voltarsi di spalle «Immagino che io debba portarti sulle spalle».
A pensarci bene non poteva di certo far da sola, anche perché aveva già parecchie difficoltà nell’orientarsi in casa, figuriamoci all’aria aperta.
«Sì, hai ragione, che sbadata», rispose lei, sorridendo.
Non capiva perché, ma sentiva di potersi fidare di lui.
Lui, di cui non conosceva neppure il nome.
«Qual è il tuo nome? » gli chiese quindi, andandogli incontro per poter montare sulle sue spalle.
«William», rispose pronto lui.
Si sentì afferrare per le gambe e trascinare sulle spalle del ragazzo.
William.
Quel nome sapeva di buono.
Sembrava sincero.

«Tu invece come ti chiami?» le domandò di rimando.
A dire il vero, il suo nome le piaceva davvero tanto; forse era l’unica cosa che le piaceva di se stessa.
«Halley!» esclamò, mentre si aggrappava forte a William.
Lo sentì trafficare con la finestra, finché non riuscì a spalancarla.
Halley poggiò il capo sulla spalla del ragazzo, lasciandosi trasportare verso il suo sogno. In quel momento, persino la paura e il pensiero di quegli uomini sembrò placarsi.
Già, quegli uomini: chissà che fine avevano fatto.

E sua madre? Chissà dov’era lei in quel momento.
Nonostante non riuscisse a comprendere dove fossero improvvisamente finiti tutti, lei non provava alcuna paura. William era come una sorta di supporto morale: era riuscito a rassicurarla con qualche misero gesto, che per molti sarebbero potuto risultare banalità.

«Tutto bene lì dietro?», domandò il ragazzo.
Portò il pollice destro in bocca, mordicchiandone la punta e sorridendo con un certo imbarazzo.
«Sì. Grazie», rispose, con voce piccola.
Si strinse forte a lui, lasciandosi cullare dai respiri del giovane.
«Spero di non essere troppo pesante», aggiunse poi.
«Assolutamente. Sei leggerissima, stai tranquilla», le rispose.
A quelle parole si sentì sollevata: non voleva recargli eccessivo disturbo. Lui era stato così gentile a voler realizzare il suo sogno, e non voleva che faticasse nel farlo.

Cominciarono a camminare velocemente. William si muoveva con molta dimestichezza; sembrava del tutto sicuro delle strade da prendere.
Il vento carezzava la loro pelle, mentre il Sole li illuminava dall’alto.
«W-William?» lo chiamò successivamente.
«Dimmi».
«Ma-manca ancora molto? » chiese, con improvvisa impazienza.
Pensandoci, era già un bel po’ che camminavano, ma del mare non se ne sentiva neppure il profumo.
«Diciamo di sì. Sta' tranquilla: devi solo pazientare, presto arriveremo», rispose il ragazzo.
Doveva solo pazientare.
Aveva resistito sedici anni, poteva benissimo farcela per qualche altra ora.
Presto arriveremo.
Nella sua mente rimbombarono quelle parole come dei tuoni durante un temporale.

Poggiò il capo sulle spalle del ragazzo, chiudendo gli occhi per un tempo indeterminato.
Ripensò a tutte quelle volte che aveva deciso di arrendersi e gettare la spugna.
Ripensò a tutte quelle volte che si era ritrovata sola.
Ripensò a tutte quelle volte che s’era sentita sbagliata e si era odiata per essere venuta al mondo.
Ripensò ad ognuna di queste volte e sul suo volto comparve un sorriso amaro.
Sorrise alla vita.
Sorrise alla sua vita.
Finalmente tutta la sua sofferenza stava per essere ripagata. E lei rideva.
Rideva contro tutte le avversità.
Rideva di gusto contro tutto ciò che sempre l’aveva ostacolata.

Sentiva un potente e piacevole soffio al cuore ogni volta che William faceva un passo.
Riuscì a sentirlo battere forte di felicità dopo secoli. Forse, in realtà, per la prima volta.
Pensò non vi fosse sensazione più dolce e pura dell’emozione di quell’attesa.
Si strinse maggiormente al ragazzo, e finalmente aprì gli occhi, anche se per lei tutto continuava a restare buio.
Presto arriveremo.
Presto…




How can you stay outside? There is a beautiful mess inside.
Take a deep breath and dive,
There is a beautiful mess inside.






«Halley», si sentì chiamare improvvisamente.
«Sì? », rispose, sollevando leggermente il capo dalle spalle del giovane.
«Perché hai chiesto proprio questa cosa? » domandò William.
Perché?
Perché era il suo dolce desiderio e da troppo tempo sperava si potesse avverare. Perché lei riusciva a vedere la felicità in quei dolci gesti. Perché quel desiderio le ricordava la libertà, che le veniva privata da così tanto tempo.

Ma lui tutto questo non avrebbe mai potuto comprenderlo.
Nessuno poteva.
Era un concetto troppo difficile. Troppo astratto.

Se non lo si vive su pelle non si può comprendere il dolore del buio e, spesso, non si vede nemmeno la luce delle piccole cose.

No, nessuno avrebbe potuto capire.
Nessuno.

«Beh... » cominciò, senza sapere realmente cosa raccontargli.
Non le andava di ricordare in quel momento. Non voleva annoiarlo con le sue chiacchiere. Non voleva rovinare tutto, ma cosa poteva dire?
«Non sono mai andata al mare e volevo provare... » rispose vagamente, infine.
Di certo non voleva soltanto provare, no.
Lei voleva potersi sentire libera tramite l’acqua del mare, ma aveva il timore che, se gliel’avesse confessato, lui l’avrebbe presa per matta.
«Capisco». Il tono di William le parve scettico.
No, non voleva affatto parlarne.

«E tu invece? » domandò cambiando totalmente discorso «Tu perché mi hai chiesto di nasconderti? ».
Poteva apparire un tantino impertinente, ma in quel momento non aveva trovato nient’altro di meglio da dire.
Sentì il giovane sussultare un po’.
«Scappavo... » le rispose sospirando.
«Scappavi? ».
«Sì. Dal mondo, dalla gente, da tutto». Quel tono malinconico lo conosceva fin troppo bene.
Anche lei sarebbe scappata se solo ne avesse avuto la possibilità.
Era solo stata costretta alla prigionia.
Le era toccato stringere i denti e sopportare sempre e comunque.
Cosa fosse la vera libertà lei non lo sapeva, e con molta probabilità non sarebbe mai riuscita a scoprirlo.
Ma quel giorno, con quella sua piccola evasione, voleva solo sapere che sapore avesse la felicità.

Sapeva che dopo tutto sarebbe tornato normale; che tutto quel che da sempre sperava era destinato a rimanere qualcosa di dolcemente irraggiungibile.
Ma le bastava. Andava più che bene.
Apprezzava quel po’ che possedeva, quel po’ che in quel momento le era stato donato da chissà quale entità celeste. Stava assaporando attimo per attimo tutte le belle emozioni di quei minuti. Voleva che la sua pelle, la sua mente, il suo cuore venissero impregnati da quella dolce felicità che presto l’avrebbe accolta a braccia aperte.
Voleva vivere.
Per un’ora, un giorno, un minuto, mezzo secondo.
Non importava realmente quanto, ma voleva.

Sfregò leggermente il capo sulla spalla del giovane lasciandosi cullare dai suoi respiri.
«Halley», la chiamò lui nuovamente.
La ragazza sollevò appena il capo.
«Dimmi».
«Siamo arrivati».

Halley riuscì a sentire il suo cuore battere all’impazzata.
Le gambe presero a tremare, le mani a sudare.
Un sorriso comparve sul suo volto.
Un sorriso che riuscì ad illuminare anche il buio pesto che regnava dentro di lei.
Per un attimo, le parve di riuscire a scorgere giusto una luce.
Poi un potente soffio al cuore.
Annusò l’aria: la felicità aveva un buon profumo.
Sapeva di mare.

«William!» esclamò con voce tremante «Ti prego, fammi scendere», sembrò quasi implorarlo.
Il giovane obbedì, lasciandole toccare terra con i suoi piedi.
Halley sentì sotto di sé il terreno morbido.
Era così piacevole.
A casa sua le piastrelle erano sempre rigide e fredde; donavano sempre e solo inquietudine.
Invece la sabbia no.
La sabbia era confortevole, era dolce.
Era calda.

Sì chinò su se stessa, e, con una certa fretta, si liberò delle scarpette che indossava.
Non ne era pienamente sicura, ma credeva di sentire lo sguardo di William addosso.
Questo pensiero la fece arrossire d’imbarazzo, ma di certo non frenò la sua voglia di raggiungere il suo scopo.
Fece un lungo sospiro quando sentì la sua pelle a contatto con la sabbia bollente, a tratti addirittura scottante.

Arricciò le dita dei piedi: Dio, era meraviglioso!
Era troppo bello per essere vero.

«William!».
«Dimmi pure», rispose l’altro, con un tono del tutto tranquillo.
«Puoi accompagnarmi in acqua? » domandò intimorita.
Questa volta non lo sentì affatto sussultare.
«Oh, certo», rispose lui.
Si sentì prendere per mano.
Quel gesto improvviso le riscaldò le gote.

Cominciarono a camminare sulla sabbia rovente.
Nonostante fosse terribilmente scottante, Halley non proferì parola: si limitò soltanto ad emettere un leggero gemito quando essa divenne davvero troppo calda.
«Ahm, ti tuffi così? » si sentì chiedere.
Beh, in effetti non possedeva alcun costume da bagno, e sotto aveva solo degli slip.
«Sì, vado vestita», rispose, afferrando i lembi del vestito che indossava.
«Ok», le rispose a sua volta lui.

Sentì William compiere dei movimenti veloci, ma riuscì a capire perfettamente cosa stesse facendo.
«Ehm, le scarpe?» domandò poi, ricordandosi di averle ancora tra le mani.
«Puoi lasciarle qui, non le prenderà nessuno». Il tono del ragazzo era tranquillo, rilassato.
Dolce.
Buono.
«O-ok, va bene», rispose, con le gote bollenti.
Non lo conosceva, ma sentiva di potersi fidare tranquillamente di lui.
Chi era? Cos’era realmente?
Era umano?

Non poteva saperlo, e, in realtà, non desiderava neppure saperlo: se anche lo fosse stato, per lei restava, a rigor di logica, una qualche entità celeste, una sorta di angelo mandato da qualcuno per renderla felice, anche se per poco. Doveva essere così. Tutto quel che stava accedendo doveva per forza trovare un senso ultraterreno, altrimenti non si sarebbe potuto spiegare.

Quell’aria sapeva di felicità e non poteva essere realtà.

«Vuoi che ti stia accanto anche dentro l’acqua? » le chiese con dolcezza il ragazzo.
Lei annuì velocemente, e, involontariamente, gli si strinse al petto nudo.
Avanzarono verso l’acqua.
L’odore della salina si faceva sempre più penetrante.
Il cuore le schizzò in gola quando sentì il gelo dell’acqua alleviarle le scottature che la sabbia rovente aveva procurato ai suoi piedi.
Una sensazione nuova, così sconosciuta al suo corpo.
Si morse il labbro inferiore avanzando lentamente.
Dei potenti brividi attraversarono la sua colonna vertebrale provocandole la pelle d’oca.
Sentiva le onde del mare lambirle le gambe fragili, carezzarle l’epidermide, guarire tutte le sue ferite, anche quelle invisibili.

Tese i muscoli del suo corpo non appena sentì il calore del corpo del giovane vicino a lei.
Sì sentì prendere per mano, e pian piano andarono avanzando sempre di più.
Lasciò che il suo vestito cadesse dentro l’acqua.
Chissà se la mamma si arrabbierà, si chiese, mentre si lasciava trascinare nell’acqua più alta dal ragazzo.
«Al mio tre chiudi gli occhi stretti, stringi le labbra, tappati il naso e andiamo giù! » l’avvisò lui, decisamente troppo sicuro di sé.
Non le diede neppure il tempo di replicare: la trascinò sott’acqua, facendo sì che ogni parte del suo corpo venisse inglobata dal mare.
Teneva gli occhi serrati proprio come le aveva imposto William.
Sentì tutt’intorno diventare improvvisamente freddo. L’acqua le carezzava dolcemente il viso, il corpo.
Durò giusto pochi attimi di secondo, ma bastarono per farle provare un brivido che da tempo non provava più.

Poi di nuovo quelle mani sul suo viso.
Un’altra carezza.
Una, due, tante dolci carezze che le lisciarono la pelle morbida.
Riemersero velocemente, riprendendo subito fiato.
«Wow» commentò, non appena riuscì a respirare regolarmente.
«Ti piace? » domandò il ragazzo.
Lei annuì e gli sorrise solare.

D’un tratto, si sentì avvolgere da delle possenti braccia.
La stava abbracciando.
Riuscì a percepire un potente calore invaderla e il freddo del bagnato abbandonarla.
La stava abbracciando.
La pelle del ragazzo entrò a contatto con la sua.
La stava abbracciando.
Poggiò la testa sul petto di William, lasciandosi cullare dal battito del suo cuore.
Lasciò che le sue orecchie fossero lusingate da quel sublime canto melodico.



Far, far, there is this little girl, she was praying for something big to happen to her.
Every night she hears a beautiful strange music..
It’s everywhere there’s nowhere to hide.





Rimase immobile a bearsi di quel suono ammaliatore.
Aveva le palpebre abbassate e un angolo della bocca sollevato. Sentiva le goccioline d’acqua scivolarle lungo il viso.
Circondò la vita del giovane con le braccia, rispondendo al dolce gesto, ma senza distaccare mai l’orecchio dal suo petto.

Quel battito di cuore era così bello.
Era così reale.

Un abbraccio.
Un semplice gesto che da sempre le era stato precluso.
Quanto ne aveva desiderato uno nei momenti più cupi?
Quanto avrebbe voluto che, in quel momento, tutto si fermasse.

Si strinse ancor di più al giovane e pregò.
Dio, ti prego, ferma il tempo; non portare tutto questo via da me
Stava pregando.
Pregava ancora una volta.
Una preghiera che pareva più un’implorazione.
Non voleva tornare indietro; non ne aveva il coraggio. Non avrebbe retto tutto quanto. Non da sola.

Quel senso di benessere era troppo forte.
Era riuscito a farle dimenticare il peggio.
Era riuscito a farla sorridere di felicità.
Era riuscito a farla vivere veramente.

Si strinse maggiormente al ragazzo, soffocando i respiri sul suo petto.
Il cuore di William cominciò a battere all’unisono col suo.

«Ehi…» si sentì chiamare, mentre una mano le carezzava con dolcezza i capelli.
Una scossa potente l’invase per intero, facendole sgranare gli occhi in modo assurdo.
Ancora una carezza.
Una dolce e bella carezza.
Un gesto così amabile che fu in grado di provocarle una morsa al cuore.
Scoprì finalmente quanto fosse bello quel gesto.
Quanta bellezza potesse nascondersi nel contatto con un'altra persona.

«Stai tremando», le sussurrò.
Ma non era freddo, no.
Tremava dalla felicità.
Tremava per Amore.
Sentì il suo cuore battere forte dentro la sua cassa toracica.
Lo sentì. Era riuscita a sentirlo chiaramente!
«Perdonami», si scusò lei, cercando di tornare composta.
Ma era troppa la gioia.
Era troppo l’entusiasmo che in quel momento scorreva nelle sue vene.
Avrebbe voluto gridare.
Avrebbe voluto urlare a tutti che i sogni potevano essere realizzati. Che niente era impossibile.
Era semplicemente più difficile di quanto previsto, ma mai impossibile.
Bastava solo crederci.
Lei non aveva mai smesso.
Nonostante fosse stata tentata di farla finita, nonostante la sua vita fosse piena soltanto di grandi, grandissimi ostacoli, lei aveva continuato a sperare.
Dopotutto, era per questo che viveva.
Viveva di dolci illusioni che in quel momento stavano prendendo lentamente forma.
Proprio lì, in quel luogo lontano dalla sua realtà.
Era lì che i sogni prendevano atto: lontano lontano.

«Halley», la chiamò.
Quella voce.
Quella voce che in quel minuto le parve così bella ed armoniosa.
Quella voce che le rimbombava forte nella testa.
«Sì?».
Le sembrò di sentirlo terribilmente vicino a lei.
Riuscì a percepirne sia il calore, che il buon odore.
«I tuoi occhi brillano...» soffiò.
Non sapeva cosa voleva dirle realmente - rimase con la mascella abbassata per un attimo.
Brillavano di gioia.
Di felicità.
Di amore.
Sì, l’odore di William sapeva di Amore vero e proprio.
Di tutta risposta, gli sorrise contenta, lasciando le lacrime libere di cadere senza alcuna opposizione.
Non piangeva mai, ma in quel momento non riuscì a trattenersi.

«Ehi!» si sentì chiamare, mentre due grandi dita le asciugavano le gocce di pianto che scivolavano giù per il suo viso.
«Perché stai piangendo?» le chiese premuroso.
Poteva essere da stupidi, ma lo faceva per l’eccessiva felicità.
Ormai per il dolore non piangeva neanche più: ci aveva fatto il callo, le appariva normale soffrire.
Ma quel momento…
Quel momento era troppo bello.
Troppo bello per non versare quelle lacrime amare, purificando la sua anima da quegli orrendi pensieri che odoravano di morte.
«Perché tutto questo è quel che ho sempre desiderato», confessò con un filo di voce.
Percepì il ragazzo sorridere.

Poi, d’un tratto, tutto sembrò diventare di nuovamente più veloce, senza lasciarle il tempo di riflettere, di meditare.
Il viso di William entrò in contatto col suo.
Le loro labbra si sfiorarono leggermente.
Le loro mani si intrecciarono.

I loro cuori scalpitavano tanto forte che Halley ebbe persino paura di proferir parola, perché il cuore le sarebbe di sicuro schizzato fuori dal petto.
Un bacio.
Sentì le gambe molli e la mente del tutto offuscata da quel gesto.
Un bacio.
Udì soltanto una voce, una dolce voce che le sussurrava serenamente “Io sono qui”.
Un bacio.
Quel magnifico gesto che le mandò in tilt il cervello.
Un bacio.
Innocente, casto, sognatore, speranzoso. Innamorato.

Durò poco.
Non calcolò precisamente quanto, seppe soltanto che fu un gesto fugace.
Tutte le cellule del suo corpo sembravano impazzite.
E il suo cuore.
Halley si meravigliò di come fosse riuscito a reggere così tanta felicità.

«Avevi desiderato anche questo? » chiese William.
Arrossì. Sentiva le gote calde, bollenti.
Annuì assottigliando le labbra.
Passò la lingua sopra quest’ultime: sapevano di lui. Sapevano d’Amore.

«Tutto questo è incredibile», sussurrò con voce tremante.
«Sembra un sogno!» esclamò infine.
La sua realtà era decisamente troppo atroce. La realtà in generale è atroce.
I sogni sono tutt’altra cosa: sono belli.

Dolorosi.
Talvolta sembrano anche troppo realistici.
Non sono sinceri, però.
I sogni sono dei perfetti bugiardi.
Sanno solo illuderti e trarti in inganno quando meno te l’aspetti.
Ti fanno vivere emozioni bellissime, tanto travolgenti da apparire reali, tanto reali da riuscire ad ucciderti e riportarti in vita al tempo stesso; ma basta un lieve urto a distruggere quel meraviglioso equilibrio.

Ma, ciò nonostante, nessuno può farne a meno.
Ed Halley ne era la prova.

«Halley», la chiamò William ancora una volta. Il suo tono di voce sembrava triste e sconsolato.
«Cosa c’è? » domandò lei allarmata, sentendo il tono del ragazzo improvvisamente distante.

«Io sono un sogno».

La ragazza sbarrò terribilmente gli occhi.
Lo sentì allontanarsi da lei d’improvviso.
Tentò di afferrarlo, ma non riuscì più a percepirne la presenza.
Cominciò a correre fuori dall’acqua per poterlo raggiungere, ma non era neppure certa di seguirlo correttamente.
Sentiva le gambe pesanti.

Magicamente, la sabbia scomparve, lasciando spazio a delle pietre appuntite e bollenti che le graffiarono e bruciarono le piante dei piedi.
«Ahi!».
Fu costretta a fermarsi per l’eccessivo dolore, mentre delle lacrime scivolavano giù dai suoi occhi.
Dolore, paura: erano tornati nuovamente.

Cos’era successo?

Si portò le mani tra i capelli, e con l’ultimo squarcio di voce, urlò: «William!».

«William!» sbraitò mentre si sollevava spasmodicamente dal suo letto.
Aveva le lenzuola tre le fragili gambe.
Accanto a lei c’era il suo amato peluche Emmy.
Era nella sua stanza.
A casa sua.

No, lei era al mare con William.
Si erano baciati.
Lui l’aveva baciata!
L’aveva anche abbracciata.
Erano dentro l’acqua e lo poteva benissimo dimostrare il suo vestito ancora umido e bagnato! Anche i suoi capelli lo erano, così come il suo corpo.

Sentì dei pesantissimi passi giungere davanti alla sua stanza.
La porta venne spalancata violentemente.
«Cosa diamine urli?!» le gridò sua madre, adirata.
«Mamma?» domandò confusa.
«No, la Regina d’Inghilterra! Chi vuoi che sia?!» continuava ad urlare la donna.

Quanta acidità in quelle parole.
Per un attimo aveva dimenticato quanto fossero amare.

«Dov’è William?» chiese lei sull’orlo del pianto.
«Chi?!» domandò avvicinandosi la donna.
Ne percepiva benissimo la negativa presenza.
Sua madre non poteva, e, soprattutto, non doveva saperlo.
No, quello era il suo piccolo segreto.
Aveva sognato.

Era stato tutto un sogno.

La sua bramosia era stata tale da farle immaginare tutto in quella maniera.
William non esisteva.
Lui era stato soltanto una sorta di accompagnatore per condurla alla felicità…

Ma non si spiegava perché fosse ancora bagnata.
Lei riusciva a sentire l’odore del mare!
Riusciva a ricordare perfettamente la freschezza dell’acqua.
Il buon odore della salina nelle sue narici.
Ricordava tutto perfettamente!
La sua mente non aveva tralasciato neppure il più insignificante dettaglio.

«N-nulla. Era solo un sogno», soffiò.
«E meno male! E poi perché hai dormito vestita? Sei tutta sudata. Vai a cambiarti prima che ti prenda un malanno, cretina! » dopo ciò, la sentì sbattere la porta e uscire dalla stanza.
Era sola.
Nuovamente e schifosamente sola.
Sentì il suo cuoricino come lacerato, e le lacrime non tardarono a spingere nei suoi occhi.
«Era troppo reale!», imprecò stringendo i pugni.

Perché lei era bagnata?
Perché profumava di mare?
Cos’era successo?!
Si sollevò dal letto e sentì i piedi indolenziti, graffiati.

Bruciavano.
Proprio come quella sabbia a contatto con la sua pelle.
Proprio come le sue ferite quando erano state guarite dall’acqua del mare.
Proprio come il suo cuore in quel momento.

Forse la felicità era troppo bella per essere raggiunta in quel modo.
Magari doveva aspettare ancora un po’.
Sì, probabilmente doveva essere così.
Quel che era successo era solo un breve assaggio.
L’aveva sentito su pelle, e non nascondeva che, al solo pensiero, riusciva a sentire un potente soffio al cuore.
Avrebbe atteso ancora.
Un giorno, anche per lei sarebbe arrivata la pace, anche lei avrebbe potuto vivere dignitosamente. Bastava solo sperare ancora.
Avrebbe continuato. Per sempre, se fosse stato necessario.
No, non avrebbe mollato mai e poi mai.
Era andata incontro a qualcosa di troppo bello per poter rinunciare.
Se un sogno era stato così potente, la realtà sarebbe di sicuro stata migliore.

Sorrise guardando in alto.
Sorrideva per quel che era sicura sarebbe successo.
Sorrideva perché, anche se in modo astratto, adesso sapeva che profumo aveva la felicità.
Quanto bella fosse una carezza.
Che sapore avesse un bacio.

Girò su se stessa, e decise di continuare a sorridere, proprio come aveva fatto per tutta la durata del suo sogno.
Camminò vicino l’armadio, prendendo una maglietta a caso per indossarla.
Si sfilò così di dosso il vestito ancora umido.
Non appena fu priva di vesti, sfiorò con le mani la sua epidermide fredda; riuscì a sentire di nuovo la bella sensazione che aveva provato a contatto con l’acqua. Sentì di nuovo le braccia del ragazzo attorniarla, il suo respiro riscaldare la sua pelle fredda, quella bocca lambire dolcemente la sua.
Così, spontaneamente, si leccò le labbra ormai divenute secche.

Sorrise beffarda.

Erano salate.








   
 
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