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Autore: verystrange_pennylane    18/06/2015    3 recensioni
John non poteva credere a quello che aveva fatto: aveva attraversato mezza Liverpool di corsa per arrivare a Forthlin Road il prima possibile. Aveva attraversato mezza fottutissima Liverpool per colpa di una fottutissima chiamata! Va bene, forse non avrebbe dovuto precipitarsi come un pazzo fuori da casa di Stuart, dove si era addormentato la sera prima, solo perché Paul non voleva fare le prove quel pomeriggio. Ma al diavolo, era la sua band, e John sentiva tutta la responsabilità sulle spalle. E se Paul voleva saltare le prove prima di un concerto importante doveva fare i conti con lui.
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Fanfiction scritta per il compleanno di Paul. Tanti auguri, Macca ♥
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Lennon, Paul McCartney
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Paul e a tutte le persone straordinarie che
mi sono state vicine in questo periodo difficile.
Grazie.

 

Don’t let the sun catch you crying



John non poteva credere a quello che aveva fatto: aveva attraversato mezza Liverpool di corsa per arrivare a Forthlin Road il prima possibile. Aveva attraversato mezza fottutissima Liverpool per colpa di una fottutissima chiamata!  Va bene, forse non avrebbe dovuto precipitarsi come un pazzo fuori da casa di Stuart, dove si era addormentato la sera prima, solo perché Paul non voleva fare le prove quel pomeriggio. Ma al diavolo, era la sua band, e John sentiva tutta la responsabilità sulle spalle. E se Paul voleva saltare le prove prima di un concerto importante doveva fare i conti con lui.
Ma chi si credeva di essere?
Ecco perché John non aveva nemmeno fatto colazione, si era precipitato fuori senza avvisare nessuno e aveva deciso di non aspettare nemmeno l’autobus. Era andato a piedi, a passo spedito, fumando nervosamente una sigaretta dietro l’altra e maledicendo ogni secondo il nome dei McCartney. Poi, una volta arrivato a Forthlin Road, Jim era stato così gentile ad aprirgli la porta e ad offrirgli un tè, e Mike era stato così simpatico a fargli i complimenti per il concerto della sera prima, che a John era quasi passata l’incazzatura.
Quasi.
Restava il problema più grande: Paul.
Ma non era il caso di rimandare ulteriormente, era una persona impegnata, lui!, e rifiutando il tè e uno spuntino, John corse al piano di sopra, salendo gli scalini a due a due, e spinse appena la porta della camera di Paul, sentendola cigolare sotto le sue mani.
La visione davanti ai suoi occhi lo destabilizzò un po’, e all’improvviso sentì la rabbia scemare, sostituita solo da qualcosa che gli stringeva il petto e gli rendeva difficile respirare. Cos’era, preoccupazione? Paura? Tristezza?
Pfui, che cose stupide, perché John doveva sentirsi così?
Perché Paul era completamente avvolto nelle proprie coperte, senza lasciare nemmeno un po’ di spazio per respirare? Perché era tutto rannicchiato e sembrava dannatamente piccolo e fragile? Perché il perfettino Paul, quello che dormiva tra le lenzuola stirate, era avvolto in un caos di coperte stropicciate e disordinate?
“Oh, Macca.” Si sentì sussurrare prima di essere in grado di fermarsi.
Davanti a quella scena, una strana timidezza si impossessò dei suoi pensieri e dei suoi gesti, e John si limitò ad appoggiarsi allo stipite della porta, con una mano sul petto per calmare il battito violento del suo cuore.
Ma non era da lui comportarsi così. E non era nemmeno corso come un pazzo per starsene lì a guardare Paul stare male. Oh no. Era ora di fare qualcosa. Era ora di tirare fuori il solito John.
Dunque, inspirò a lungo, si schiarì appena la voce, e con un tono forte e sicuro, cominciò a parlare.
“Il signor McCartney è atteso dal signor Lennon, ripeto, il signor McCartney è atteso dal signor Lennon.”
Neanche il tempo di trovare il capo e la fine di quel fagotto disordinato in cui si nascondeva Paul, che una scarpa volò da sotto le lenzuola, con il chiaro scopo di colpirlo.
Fortunatamente per lui, il tiro era debole, e la scarpa nera finì ai suoi piedi, rovinandosi appena in punta.
“Cosa cazzo credi di fare, Macca? Vuoi forse ammazzarmi?”
Persino senza i suoi occhiali, John poté ben vedere come la testa di Paul, anche se sommersa dalle lenzuola, annuisse vivacemente. Dunque, si trovò a strizzare gli occhi di riflesso, incrociando le braccia.
“Va bene, allora me ne vado. Ti mando George.”
La mira di Paul era notevolmente migliorata, e quando l’altra scarpa volò verso John, gli ci volle uno scatto rapido per scansarla ed evitare di essere colpito in faccia.
Cosa cazzo aveva sotto quelle lenzuola, un fottutissimo negozio di scarpe?  
John sospirò, e con un gesto nervoso si accese una sigaretta, sperando che questo avrebbe potuto far uscire Paul dal suo fortino. Tutti sapevano che Jim non voleva che si fumasse nelle camere, e il precisino di casa McCartney sarebbe stato puntualissimo nello sgridare chiunque avesse trasgredito quella regola, usando lo stesso tono di voce di suo padre.
“Almeno apri la finestra!”
Ecco appunto.
Un naso era spuntato dalle lenzuola, e gli occhi di Paul, leggermente socchiusi e arrossati, avevano cominciato a fissarlo con rabbia e una punta di qualcosa che John non era riuscito a decifrare subito, un po’ per la miopia, un po’ perché aveva ancora addosso i postumi di una sbronza micidiale.
“Va bene, signorina. Ora apro la finestra, sbatto i tappeti, e già che ci sono lavo anche i piatti?”
“Non ci sono piatti da lavare.” Esclamò Paul di tutta risposta, facendogli la linguaccia e nascondendosi di nuovo sotto le lenzuola.
John scoppiò a ridere davanti a quella reazione, e dopo aver spalancato la finestra, provò a gettare il mozzicone il più lontano possibile. Ma il tiro era fiacco, e la sigaretta, ancora mezza accesa, finì nel cespuglio di rosmarino di Jim, e John sperò che non andasse a fuoco la pianta, o si sarebbe potuto sognare di tornare a Forthlin Road per almeno un anno o due.
Una volta appurato che il rosmarino stesse benone, quasi meglio di lui, John smise di controllare ossessivamente il giardino. Certo, gli fossero andate lisce anche le cose con Paul! Perché i litigi non si potevano sempre risolvere con un paio di pugni ben assestati e una stretta di mano? Che poi, per quale motivo Paul era incazzato con lui? Così tanto incazzato da chiamarlo addirittura a casa di Stuart per cancellare le prove?
Se solo non fosse stato un giorno così particolare, a John non gliene sarebbe fregato poi molto, gli avrebbe fatto fare il bambino capriccioso senza problemi. In fondo, aveva altre cose a cui pensare!
E invece era lì, nella piccola stanza da letto di casa McCartney, spostando il peso da un piede all’altro, cercando di risolvere nemmeno lui sapeva ben cosa.
Mentre John continuava a ponderare il da farsi, Paul si rigirò con uno scatto nervoso per trovare una posizione più comoda o più fresca, e una parte del suo bozzolo si sciolse. John ora poteva vedergli i piedi e parte del polpaccio. Da quello spiraglio avrebbe potuto fargli il solletico, o afferrarlo dalla caviglia e trascinarlo vicino a sé, ma aveva un’idea diversa, un’idea che poteva funzionare decisamente di più.
Con una mano bloccò le caviglie per evitare che Paul gli desse un calcio o una ginocchiata, e infilò la testa nel buco, facendosi largo dentro quel fagotto di lenzuola. Trascinandosi sui gomiti, come un militare in un campo di addestramento, John riuscì a trovare posto sotto le coperte, e si sistemò all’altezza giusta, esattamente di fronte a Paul. Paul che lo guardava, con gli occhi sgranati, la bocca arricciata, con un’espressione sconvolta e allo stesso tempo ancora arrabbiata.
Il ciuffo gli si era appiccicato al viso, e il naso e le orecchie erano rossi come pomodori. Sembrava ancora più piccolo e indifeso, così. Faceva venire voglia a John di abbracciarlo, dannazione.
“Cazzo, mi sporchi il letto con tutto il gel che hai sui capelli, Lennon.”
“Sì beh, e io mi sono rovinato l’acconciatura, e stamattina ci avevo messo mezz’ora a sistemarmi. Quindi siamo pari.”
Paul sbuffò a quella risposta e si girò, voltandogli la schiena. Peccato che avesse preso male le misure, finendo così a sbattere la testa contro il muro.
Il tonfo riecheggiò per la stanza, e le risate di John furono coperte dai lamenti di Paul.
“Si può sapere cosa cazzo stai facendo, Macca?” chiese, quando finalmente riuscì a smettere di ridere.
“Non ti voglio vedere. Mi dai fastidio.”
“Mi vuoi dire che è successo di così catastrofico? Stamattina mi sono svegliato da Stu, e non mi ricordavo un cazzo.”
Un grave sospiro scappò a Paul, al solo sentir nominare Stuart. Era un riflesso incondizionato il suo e John non ci faceva più nemmeno caso. Insomma, erano quasi sei mesi che Stu suonava il basso nel loro gruppo, ed erano all’incirca cinque mesi e ventinove giorni che John si sorbiva le lamentele di Paul a riguardo.
Dopo un po’ si era stufato di quella situazione scomoda, non poteva negarlo.
Non è che avesse tutta questa pazienza, lui.
Senza considerare che non capiva il perché di questo astio. Stuart era simpatico, era un’artista, piaceva a tutti! Non è che credesse che lui e Paul sarebbero diventati migliori amici, ma John sperava che avrebbero formato una gran bella squadra. E invece niente, più passava il tempo, e meno quei due sembravano sopportarsi.
John continuò a tormentarsi il labbro, sentendo il gusto acre dell’ultima sigaretta ancora in bocca. Dio, ne voleva un’altra! Doveva spicciarsi a risolvere quel litigio e ad uscire da lì sotto. Certo, se solo Paul avesse collaborato! Come faceva lui, povero ragazzo!, a risolvere il problema finché l’altro se ne stava zitto e fermo come un baccalà? Per spronarlo a rispondere alla sua semplice domanda, John picchiettò sulla spalla di Paul, e questo sembrò farlo decidere a parlare.
“Non è successo niente, ok? Niente di niente.”
“Sì e io sono Gesù Cristo.”
Paul grugnì di risposta, come se stesse cercando di trattenere una risata, e, nonostante non avesse il suo viso davanti agli occhi, John poteva vederlo, mentre si mordeva le labbra e si sforzava di non dargli quella soddisfazione.
“Ti piacerebbe, vero, Lennon?”
“Sì, ma dammi tempo e sarò anche meglio di Gesù.”
Un debole pugno volò nella direzione di John, colpendolo con poca grazia sul braccio.
“Allora, mi vuoi dire qual è il problema, Paul? O Vuoi che continuiamo a picchiarci e poi ci facciamo le unghie come due ragazzine ad un pigiama party?”
Di nuovo, quella risposta fuori luogo e senza senso riuscì a far sorridere Paul, e John pensò che non era poi tanto male, essere capace di dire tante stronzate in un solo colpo, se aveva il potere di rendere di buonumore le persone a cui teneva di più.
“Lo sai qual è il problema.”
“No, non lo so Paulie, bello mio. Non lo so affatto. Perché ancora non sono capace di leggere nella testa delle persone, ma quando sarò meglio di Gesù ved-”
“Piantala, cretino. Non ti ricordi proprio niente di niente di ieri sera, mh?”
Paul intanto aveva cominciato a muoversi di nuovo, e mentre si voltava e lo fissava diritto negli occhi, il suo tono di voce si era fatto spaventosamente serio e grave. Così serio e grave che a John quasi mancò il fiato.
Che cazzo aveva combinato? Rapidamente controllò se Paul avesse segni di contusione, e tirando un sospiro di sollievo, non vide ematomi visibili. Non sembrava averlo picchiato! Eppure doveva aver fatto qualcosa di brutto lo stesso. E dire che gli era sembrato un venerdì sera come tutti gli altri…
“Non mi hai picchiato, stronzo! Sennò ti saresti svegliato con un occhio nero e un paio di denti in meno.” Disse di tutta risposta Paul, ostentando superiorità e orgoglio, come a leggere i suoi pensieri.
“Va bene, va bene. Vuoi sapere cos’è successo, Lennon? E allora te lo racconto. E’ successo subito dopo mezzanotte, avevamo finito di esibirci e avevamo brindato al mio compleanno, ci siamo scolati un bel po’ di birre e…”
“E ho fatto i miei bisognini sul palco? Ti ho vomitato sulle scarpe? Quelle scarpe che mi hai lanciato prima? Sappi che-”
“No. Hai detto una cosa.”
“Io ne dico di cose, Paul.”
“Questa era peggio delle altre.”
John deglutì rumorosamente, e all’improvviso cominciò a sentirsi soffocare, sotto quelle dannatissime coperte. Era giugno, perché Paul dormiva ancora con tutti quegli strati di roba? E come faceva a restare lì sotto per tutto quel tempo senza morire di caldo?
“Dai, spara: cosa cazzo ho detto?”
Non che John volesse davvero sentirlo, e poteva scommetterci la sua chitarra che nemmeno Paul morisse dalla voglia di ripeterglielo. Eppure, doveva aver trovato il coraggio da qualche parte, e dopo aver boccheggiato un paio di volte in preda all’imbarazzo, si fece forza e cominciò a parlare.
“Hai detto che… hai detto che lui è la cosa migliore che ti sia mai capitata nella vita.”
John poteva giurare di riuscire a tagliare la tristezza, la delusione e la rabbia di Paul, tanto erano palpabili nell’aria. Quei maledetti e cupi sentimenti ricoprivano le sue parole, offuscavano i suoi occhi, gli facevano tremare le mani. All’inizio credeva fosse colpa della scarsa luce o della posizione o del caldo, ma cazzo!, Paul stava tremando.
Davanti a quella scena, John non riuscì a non sentirsi incazzato, dannatamente incazzato verso se stesso.
Era troppo difficile per lui stare zitto per un po’, non dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato? Il talento che prima aveva fatto sorridere per qualche secondo Paul, era lo stesso che l’aveva ferito la sera prima, e Dio, ora John si sentiva il peggior coglione sulla faccia della Terra.
“Paul, io…”
“Vorrei solo che capissi che con le tue parole hai ferito non solo me, ma anche George, Cynthia… e Pete. No ok, Pete no, probabilmente a lui non cambia un cazzo, ma a noi sì, cambia. E non è che pretendiamo molto, ma sai…”
Paul si fermò per riprendere fiato e chiuse gli occhi, forse per mettere in ordine i pensieri, forse per proibirsi di vomitargli altre parole addosso, parole che potevano rivelare troppo. John dunque ne approfittò per pensare a cosa dire, per trovare un modo per scusarsi con Paul.
Perché Cristo, era chiaro come il sole che il problema lì non era Cynthia, o George. Il problema era Paul.
George non l’aveva chiamato nel bel mezzo della mattina per cancellare le prove del pomeriggio, come aveva fatto Paul. Cynthia al telefono era stata raggiante e affettuosa come al solito. Non era appallottolata nelle lenzuola, furiosa con lui.
Cynthia e George non si erano fatti scalfire dal suo ennesimo commento da ubriaco perché avevano capito subito che era una cosa che John aveva detto senza pensarci troppo. Ma Paul no.
Paul era mortalmente geloso di Stu, gliel’aveva fatto capire in tutti i modi, e si era fatto toccare nel profondo da quella frase, l’aveva fatta entrare dentro di sé e aveva lasciato che lo colpisse.
E ora era lì, con una ferita al cuore che sanguinava, e gli rendeva difficile anche solo alzarsi dal maledettissimo letto.
Per colpa di John. John non-sto-mai-zitto Lennon. John il-coglione-più-coglione-della-Terra Winston Lennon.
“Io… non so cosa dire, Paul.”
“Un ‘mi dispiace’ andrebbe più che bene. Un ‘scusa Paul, sono un cretino, davvero, non lo farò mai più’ Insomma John, davvero non sai cosa dirmi?”
“No, perché so che non cambierebbe niente.”
Paul si fermò, e col fiato corto serrò i pugni e cominciò a picchiare debolmente John sul petto.
“Vaffanculo, John. Vaffanculo.”
“Paul, tu mi conosci. Sai che dirò sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, e in un modo o nell’altro ti ferirò ancora e ancora, perché sono un coglione che non ha filtro per parlare. Non me l’hanno montato quando mi hanno costruito, ok? Si sono dimenticati, è un difetto di fabbrica. Però cazzo, ormai ci conosciamo da quanto, tre anni? Lo sai come sono fatto. Queste mie frasi non ti ferivano prima, perché ora sì?”
Paul lo fissò, e si grattò il naso, in preda all’imbarazzo.
“E’ lui, John. E’ lui. Ti porterà via da noi.”
John sapeva che quel ‘noi’, in realtà era un ‘me’. Lo percepiva, e questa cosa, questa scoperta che Paul fosse terrorizzato quanto lui di perdere una persona cara gli scaldava il cuore e gli agitava il petto e lo faceva stare fottutamente male e fottutamente bene nello stesso momento.
In fondo avevano provato lo stesso dolore, sapevano entrambi fin troppo bene cosa significasse perdere chi si ama. E quella paura, quella mostruosa paura di essere di nuovo soli e vuoti, era un mostro che non ti abbandonava tanto facilmente.
“Stuart o non Stuart, io sono qui per te, ora, Paul. Va bene? Ci sono. Mi senti?” e così dicendo, gli prese le mani e gliele strinse, in un modo un po’ impacciato e teso. Non voleva fare la checca, però al diavolo, il caldo gli stava dando alla testa, e si sentiva dannatamente al sicuro, sotto quei pesanti e fastidiosi strati di coperte. Così tanto al sicuro da permettersi qualche gesto melenso. “Potrò anche aver detto una cretinata, ma ora sono qua per te. E non vorrei essere in nessun altro posto se non qui.”
Paul arrossì fino alla punta delle orecchie, con un soffio nervoso scostò una ciocca dal capelli e si liberò velocemente dalla stretta delle mani di John.
“Cazzate. Preferiresti essere nel letto di Brigitte Bardot. O in quello…” di Stuart. Ma non lo disse, perché a quanto pareva quel nome era pesante da dire, da vomitare fuori.
“In nessun altro posto, se non qui. E dire che parliamo la stessa lingua, figliolo. O il mio inglese è un po’ troppo raffinato per le tue orecchie da classe operaia? Direi di no anche a Brigitte Bardot, fidati.” E, simulando una cornetta del telefono invisibile, si mise a parlare con voce teatrale. “Sì pronto, Brigitte? No guarda, biondina, oggi proprio non posso, devo stare sotto le coperte con il mio migliore amico! Va beh, dai tesoro, sarà per la prossima volta! Come?? Fino al ’68 sei occupata? Neanche un buco per me e la mia band? Cooosa? Ne riparleremo nel ’64? E va beh, pazienza!”
Paul scoppiò a ridere, e di riflesso nascose la testa sotto il cuscino, forse per nascondere gli occhi lucidi, forse per l’imbarazzo di quella conversazione.
“Macca.” Richiamò la sua attenzione John, costringendolo a guardarlo di nuovo. “Ricordati che senza di te, io sarei perso. E non dico solo per la musica, ok? Credo che l’averti incontrato sia una delle poche cose giuste che mi siano capitate nella vita.”
Paul sgranò gli occhi, e gli diede un leggero pugno sul braccio.
“Ma sei davvero John, il mio amico John?”
“No, sono John, il tuo migliore amico John.”
“E questo chi l’ha deciso?”
“Io, ovviamente. E ora piantala di farmi fare sti discorsi da finocchio, che poi Brigitte mi sente. Mi sono dimenticato di riattaccare la cornetta, povero me!” esclamò, e gli mostrò di nuovo il suo telefono invisibile.
Paul si lasciò scappare un’altra risata liberatoria, forte e sicura, che riecheggiò nella piccola camera da letto. E John non era sicuro del motivo per cui il suo migliore amico sembrasse così dannatamente felice, se fosse stata Brigitte Bardot o le sue stupidaggini, ma non gliene poteva fregare di meno. Se Paul era felice, anche lui lo era.
“Grazie, John.”
“Di niente, figliolo. E ora pensi di uscire da questa sauna? Santo cielo ragazzo, è estate! Cosa c’è che non va in voi giovani d’oggi?” con uno scatto, fece volare il lenzuolo, liberandoli dal bozzolo in cui erano avvolti. E all’improvviso, con quel solo semplice gesto, il viso di Paul tornò a splendere. Tutta la rabbia e il buio che gli avevano coperto gli occhi, se ne andarono. Era tornato il sole.
“Oh cazzo, è già mezzogiorno!” esclamò Paul, mentre si risollevava. Appoggiò il cuscino alla testata del letto, e si mise seduto diritto, appoggiando la schiena al muro, e John fece lo stesso.
“E’ appena mezzogiorno, vorrai dire. E a tal proposito, ho una cosa per te. Chiudi gli occhi.”
Paul obbedì senza riuscire a dire niente, e si sistemò appena il cuscino dietro le spalle per stare un po’ più comodo. Intanto John si alzò e preparò la sua sorpresa, una sorpresa che serbava da quando era arrivato in quella camera, da prima che saltasse fuori tutto quel caos.
“Cos’è?” provò a sbirciare Paul, ma fu coperto col suo stesso lenzuolo per impedire che rovinasse il regalo. Quando finalmente riuscì a liberarsi, l’immagine davanti ai suoi occhi lo fece arrossire fino alle orecchie e di riflesso gli fece coprire la faccia con le mani, in preda all’imbarazzo. John aveva portato uno scone, e gli aveva infilato dentro alla bell’e meglio un fiammifero che doveva aver acceso pochi istanti prima.
Sorpresa! E ora spegni la candelina in fretta, Macca, o ti va a fuoco la casa.”
Paul obbedì velocemente, e chiudendo gli occhi espresse un desiderio. Un desiderio che, notò John, l’aveva fatto sorridere senza nemmeno rendersene conto.
“Bene, ti ho portato pure la marmellata.”
“Perché c’è scritto ‘Non toccare, John, firmato: Mimi’? Ne sai qualcosa, mh?”
“Assolutamente no.” E staccando rapidamente l’etichetta, John gli rivolse uno dei suoi soliti sorrisi.
Uno di quelli così ruffiani e antipatici e, Dio, così teneramente infantili, che fecero affondare a Paul l’indice nella marmellata per sporcargli il naso, in un gesto altrettanto bambinesco.
Una nota dolciastra di profumo di fragole riempì le narici di John, e ci mise un paio di secondi per capire cosa diavolo avesse combinato il suo migliore amico.
Eppure non riuscì davvero ad infuriarsi, non quando i suoi occhi sorpresi e arrabbiati si scontrarono con quelli che brillavano di Paul. La visione lo destabilizzò e rimase immobile, incapace di dire o fare alcunché per qualche istante.
Fortunatamente per lui, Paul non sembrava aver bisogno di sentire o dire niente, preso com’era dalla sua sorpresa. Stupido Macca, sembrava così felice! E dire che era un regalo così stupido.
Stettero immobili e ben distanti per qualche minuto, poi, mentre masticava lentamente e pensieroso il suo scone, inzuppandolo appena nel vasetto di marmellata, Paul fece scivolare la propria testa sulla spalla di John, rompendo il teso e imbarazzato equilibrio che si era formato tra di loro. E, pian pianino, come attirata da una forza invisibile ma più forte di ogni pensiero, la testa di John si abbassò, e si appoggiò a sua volta a quella di Paul, in un incastro perfetto.
I loro respiri, dopo qualche secondo, si armonizzarono, e non c’era più bisogno di dire o fare niente, perché in quel momento, entrambi sapevano che quello che provavano era lo stesso.
Certo però, si trovò a pensare John, mancava qualcosa.
“Paul?”
“Mh?”
“Tanti auguri.”






Angolo dell'autrice:

Buonasera miei cari lettori! Sono ufficialmente tornata, e non potrei essere più felice di così di essere di nuovo qua, a scrivervi! Quanto mi era mancato Efp, quanto mi era mancato pubblicare, e quanto mi eravate mancati tutti voi!
Che dire? Ho passato quasi due mesi senza internet, e per me sono state delle settimane veramente molto difficili... e non solo per colpa del wifi assente. Però, fortunatamente per me, ho passato anche dei giorni meravigliosi... ho fatto delle cose veramente interessanti. 
Tipo andare al concerto di Paul a Liverpool.
Tipo.
E vedere Forthlin Road e Mendips. Dal vivo.
Tipo.
Si ok ora la pianto. Ve lo dico solo per farvi morire d'invidia confermarvi che le cose che dico su Forthlin Road sono vere. Sia la pianta di rosmarino che la strana regola di Jim sul divieto di fumo erano due cose che hanno caratterizzato l'adolescenza di Paul. Ora vi sentite meglio, vero?
Sfortunatamente per voi, in questi due mesi ho scritto un sacco, quindi ho già altre quattro fanfiction che non aspettano altro che essere pubblicate. La prossima OS farà capolino su Efp già il 24 giugno. Quindi abbiate speranza, non sparirò ancora a lungo.

Proseguiamo con la parte noiosa, i ringraziamenti.
Come ho scritto all'inizio di questa fanfiction, questa storia è dedicata a Paul, che mi ha letteralmente salvato in troppe notti difficili. Senza di lui sarei stata persa. Ma non ha fatto tutto da solo, per fortuna.
Dunque, un grazie grande come una casa a Paperback White, bravissima scrittrice, grande compagna di viaggio e meravigliosa amica. Grazie tesoro, per Liverpool e per tutto il resto 

Un altro grazie enorme a Kia, che ha pazientemente letto e betato questa e le altre storie, e mi ha scritto tutti i giorni, sempre preoccupandosi per me e sopportandomi in queste giornate difficili e senza sole. Grazie mia cara, sei una persona eccezionale e ti voglio bene 
Infine, un piccolo grande grazie a voi per aver letto questa fic e per chi ha letto e permesso che la mia long, Everybody's got something to hide finisse tra le storie preferite. Ancora non ci credo!
Ok, ora la pianto di straparlare. Auguri ancora a Paul, e un abbraccio a tutti voi.
Anya la sentimentale


 
   
 
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