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Autore: Amaya Lee    18/06/2015    5 recensioni
[ KuroKen | slightly AU | scritta per il kurokenmonth, ma mi è scivolata la mano | WARNING: Underage Drinking ]
•Prompt: #Secrets•
Ha nove anni quando mantiene il primo segreto.
Le stagioni vanno e vengono, e poi Tetsurou sta abbracciando sua madre, la sua delicata figura, che gli sussurra in un orecchio quanto sia orgogliosa. Tetsurou ha vent'anni, stasera.
[...]
Tetsurou è un po' come casa, e a casa Kenma si è sempre sentito protetto. Forse l'unico luogo al mondo dove, per una strana chimica segreta, ciò accade.
«Sai quanto mi piaccia condividere i segreti con te,» continua, si sforza di farlo, «mi dispiace. Quello più grande ho dovuto tenerlo per me stesso.»
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Tetsurou Kuroo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Sei Polvere di Stelle
Autore: Amaya Mai
Prompt: Secrets
NA: Finalmente sono riuscita a scrivere qualcosa per il kurokenmonth, dopo circa due settimane senza che nessuno dei prompt mi spingesse a buttare giù nulla di definito (sono in ritardo con questo prompt, lo so, ma meglio tardi che mai? forse). Fatemi sapere se per voi il rating è corretto o se trovate errori di qualsiasi genere perché, nonostante le mille revisioni, qualcosa può sempre sfuggire. Vi chiedo solo di non uccidermi perché, probabilmente, anche da fantasma continuerei a scrivere cose tristi e angst e quindi non servirebbe a niente (e poi la prima a piangere sono io); le recensioni per dirmi cosa ne pensate, però, sono più che ben accette! (a.k.a. piangete con me)


Sei Polvere di Stelle



«Ho sempre voluto dirti una cosa ad alta voce»

«...»

«Sono stato innamorato di te, per tanto tempo.
Ma... doveva essere un segreto.»
 
*
 

Ha nove anni quando attraversa a passi grandi e impazienti il vialetto dei vicini, guardando a terra, ma con la testa tra le nuvole, e inalando l'odore un po' acquoso dei ciclamini che la nuova residente del quartiere si è data la pena di piantare così presto in primavera.
«Sorridi, Tetsurou.» È una donna delicata, sua madre, e molto gentile, anche con quell'espressione che tenta di essere severa sul viso arrossato per il freddo. Raggiungono la porta d'ingresso di una casa indistinguibile dalle altre della schiera, di legno austero e con un campanello minuscolo a cui Tetsurou non arriva neppure in punta di piedi. Ci pensa sua madre, con un'espressione di rincrescimento poiché sa quanto gli piaccia suonare i campanelli.
Viene ad aprire una signora giovane in tuta da ginnastica, e una miriade di forcine tra i capelli color cioccolato. Ha un sorriso disteso e buffo, la signora. Sua madre le mette in mano una teglia di croissant caldi di forno, ma Tetsurou ha smesso di concentrarsi sugli adulti per sbirciare oltre la soglia. 
Entra nella casa come una freccia, senza badare al rimprovero della madre, e svolta subito a sinistra, allargando il gran sorriso più che può, ritrovandosi un una cucina simie a quella di casa sua. 

«Oh, lasci che entri, lasci che entri! Probabilmente ha visto Kenma che gironzolava nel corridoio» sente provenire dalla porta d'ingresso, oltre la parete divisoria. 
E se è così che si chiama quel bambino magro come un mignolo, con occhi grandi e guardinghi, che si sta arrampicando sul ripiano dei fornelli con l'aiuto di una sedia, allora sì, ha proprio trovato Kenma. Si guardano a lungo, prima che il bambino in equilibrio sulla sedia allunghi un braccio sulla mensola e afferri un vasetto di biscotti, stando attento a non distogliere lo sguardo dal suo. 
Tetsurou rimane incantato dall'azione. E sorride, sorride ancora di più, quando Kenma si infila un dolce in bocca per poi portarsi l'indice alle labbra in un ordine silenzioso, severo (più convincente di sua madre), ma, a suo modo, con negli occhi un fugace barlume di complicità.

Ha nove anni quando mantiene il loro primo segreto.

*

Ne ha undici da appena un giorno ed è ancora immerso nel sonno quando il secondo segreto li lega di più. Quando apre gli occhi, il soffitto è la prima cosa che vede, poi c'è Kenma. Accanto a lui, come sempre un incantevole e bizzarro universo di pelle bianca e labbra strette assieme, perché non gli piace parlare e gli piace ancor meno uscire. Sua madre una volta, un po' per scherzo, gli ha detto che tutto è fatto di polvere di stelle, e quando Tetsurou guarda Kenma, allora sa di crederci.

Il bambino ricambia l'occhiata per qualche secondo, poi la cala timidamente. «Lo sapevo che ti svegliavi coi capelli così.»
«...Ok, ma non dirlo in giro» riescere a rispondere Tetsurou, con la lingua ancora  impastata dalla dormita. «Tua mamma ha detto che puoi restare anche per pranzo?» vuole sapere.
Kenma scrolla le spalle e gli suggerisce di alzarsi, prima che qualcuno venga a svegliarli e scopra che Tetsurou non ha messo in ordine i regali dalla festa del giorno precedente.

 
*

Ha tredici anni, ora, e Tetsurou nota che i capelli di Kenma sanno di sale, rugiada e polvere di stelle quando una mite folata accarezza il tetto dell'istituto e glieli scosta dal viso. Stare così vicino a Kenma, solo loro due, è una gradevole sensazione. 
«Dovremmo entrare prima che riprendano le lezioni» dice, anche se non ne ha voglia neppure lui.
Kenma, senza sollevare gli occhi dal videogame in cui è concentrato, risponde con uno sbuffo infastidito. «Ci inventeremo qualcosa con gli insegnanti.»
E non può fare a meno di sogghignare, Tetsurou, distendendosi sulla schiena per guardare le nuvole – e poi per dirottare lo sguardo sul ragazzino accanto a lui, che se se ne accorge non dice nulla e si lascia osservare. Terzo segreto; mai tradito.

*

Ha sedici anni, e Kenma fa lente giravolte nella sua camera come l'impolverato CD del '93 che ha riesumato in uno scatolone in cantina, una mano sollevata sopra la testa, stretta a quella di Tetsurou, le stelle dietro alle palpebre chiuse, le assi scricchiolanti sotto i piedi nudi.

«Ti ricorderai di aver ballato, domani?» Tetsurou lo fa goffamente volteggiare un'altra volta, non osando sfiorarlo altrove se non sulle mani. 
«Mmm»
«Era un no?»

Kenma lo adocchia con severità da sopra la spalla, ma il suo sorriso disteso – uno di quelli veri, che piacciono a Tetsurou – esprime ben altro. Nessuno dei due sa con precisione quando abbiano cominciato, ma il CD era già inserito prima delle tre bottiglie di birra, vuote, sul comodino, una sola in piedi. 
«Ma certo che me ne ricorderò. Non sono ubriaco, Kuro»
Il più grande ridacchia tra sé. «Una curiosità»
«Sì?» biascica Kenma, gli occhi ancora chiusi e il corpo fiducioso nella guida del maggiore.
«I tuoi genitori... quanto tardi torneranno?»
Si fissano su di lui, gli occhi dorati, inflessibili se non per il baluginare complice – e velato di malizia – che Tetsurou non vede di certo per la prima volta. «Dopo mezzanotte?»

«Hm.» Il moro da un'occhiata alla sveglia digitale, poi alle bottiglie da mezzo litro. «Meglio farle sparire, quelle.»
Kenma fa un cenno affermativo, ma non lascia la sua mano. (Tetsurou non vuole che lo faccia.)

*

Le loro famiglie decidono di festeggiare insieme quando Tetsurou diventa diciottenne ed è deciso che si trasferisca più vicino all'università alla quale è stato ammesso quell'estate. Mrs. Kozume si congratula con lui nel corridoio stringendogli la mano che non regge un bicchiere di champagne, constatando senza preaboli di aver sempre saputo che sarebbe entrato alla Todai. Il ragazzo si sforza di sorriderle – gli riesce piuttosto difficile, per niente abituato a costruire un'espressione da zero sopra sentimenti contrastanti.
Un'ora buona dopo gli ospiti sono raddoppiati, e qualcosa di istintivo deve scattare in Tetsurou per fargliene cercare uno solo. La sua prima destinazione è la cucina, e in effetti, nei loro molti anni di amicizia, lui non ha mai avuto bisogno di ulteriori tentativi per succedere a questo gioco. È quasi scontato che qualcosa lo guiderà da Kenma. Sempre.

«Eccoti» dice, con un piccolo sorriso, al ragazzo piegato sul tavolo della cucina mentre digita rapidamente sullo schermo del cellulare. Quello solleva lo sguardo, solo un attimo. Tetsurou guarda la teglia dei biscotti, scoprendola prevedibilmente mezza vuota. «Dio, Kenma. Rispetta almeno gli sforzi di tua madre» lo riprende, ma fatica a trattenere una risata.

«Intendi dire, i miei sforzi» ribatte Kenma senza scomporsi.

Tetsurou si acciglia, poi si avvicina silenziosamente ai dolci e ne assaggia uno. Si volta verso Kenma di scatto, senza aver finito di masticare. «Ma sono usciti dal paradiso o cosa.»
Una smorfia divertita allarga le labbra di Kenma mentre il maggiore è intento a rigirarsi il biscotto nella bocca, masticandolo piano, per concentrarsi su ogni scaglia di sapore. «L'ingrediente segreto?»

Il più giovane esita, perdendo improvvisamente interesse nello scambio di messaggi con Shouyou, e soppesa come agire. Potrebbe rispondere a Tetsurou. Non vuole prendere veramente in considerazione un'altra scelta. A lui dice tutto.
Così un momento dopo è in piedi, di fronte al ragazzo, piuttosto stretti tra il tavolo tondeggiante e il ripiano di lavoro della cucina, ma non tanto quanto lo erano quelle volte in cui dormivano nello stesso letto o futon per passare la notte a casa dell'altro, quand'erano bambini. Sono segreti anche quelli, ma segreti al chiaro di Luna, che venivano dimenticati con il Sole. 

Kenma va in punta di piedi e appressa la bocca all'orecchio di Tetsurou, bisbigliando «Zenzero.»

Non c'è nessun altro in cucina. Ma Tetsurou non nota questo, non nota neppure la vicinanza, troppo familiare. Nota invece che sulle labbra di Kenma siano rimaste briciole di ingrediente segreto. E che lo zenzero assomiglia a polvere di stelle. 

*

Le stagioni vanno e vengono, e poi Tetsurou sta abbracciando sua madre, la sua delicata figura, che gli sussurra in un orecchio quanto sia orgogliosa. Tetsurou ha vent'anni, stasera.

(Ma Kenma non è qui. Ha un esame importante alla fine della settimana.)

*

Neve. E tre lampioni accesi, nella notte, piramidi di luce cui la bufera passa attraverso. Gli occhi di Tetsurou si abituano presto, mentre le mani coperte dalla lana di guanti ma lo stesso infreddolite manovrano fermamente il volante. L'auto sussulta su dune e accumuli di neve.
Il suo gruppo di studio si incontra in un appartamento che raggiungerà tra un paio di svolte. La strada è deserta.
Tetsurou estrae il cellulare dalla tasca, si sfila un guanto con i denti e, lanciando brevi occhiate oltre il barabbrezza, invia un messaggio. 

From: Me
To: (=^・ω・^=)
Se devi uscire stai attento, 5 cm di neve. Prendi la metro


Poi, fari abbacinanti, un piede sul freno, il rumore di un vetro frantumato.


 
***



Tetsurou è un po' come casa; come la sensazione di conforto ed essenzialità, che concilia il sonno ma fa passare un poco la voglia di dormire. Appartenenza e nostalgia, sullo stesso piatto della bilancia, quando sono a due centimetri o a due chilometri di distanza.
È casa, e a casa Kenma si è sempre sentito protetto. Forse l'unico luogo al mondo dove, per una strana chimica segreta, ciò accade.
Tetsurou, su un letto d'ospedale, pallido come non l'ha mai visto e con due o tre aghi attaccati alle vene del braccio destro, sette fasciature contate dalla testa alle ginocchia e l'odore di ferri e disinfettanti ancora forte dopo l'operazione, riesce comunque a sembrare lo stesso di sempre. Kenma sente ancora di appartenergli.

(Proprio su quella sedia scomoda, magari un po' costretta tra la parete, il letto e la cassettiera ornata da un vaso da fiori con acqua e nient'altro dentro; ma è pur sempre un posto nel mondo.)

Finché l'affare accanto a quel letto continua ad emettere una sequenza irritabilmente regolare di acuti "bip", "bip", "bip", Kenma ha ancora una casa. Il profumo di biscotti allo zenzero gli solletica le narici e – probabilmente – è solo la sua immaginazione, ma lo rassicura e l'incoraggia a prendere la mano di Tetsurou nelle sue. Hanno lo stesso colore, la pelle di Tetsurou e le sue nocche sbiancate per i nervi. Più o meno.

«Ho sempre voluto dirti una cosa ad alta voce.»

Solo il suo respiro, tuttora lievemente concitato dai singhiozzi, si unisce all'elettrocardiogramma che fa quello stupido, meraviglioso rumore.
Onesto, e coinciso, senza perdere tempo a cercare la forza di fare ciò che sta per fare. «Sono stato innamorato di te, per tanto tempo. Ma... doveva essere un segreto.»
Il ragazzo dormiente non reagisce alla confessione che probabilmente, in circostanze differenti, avrebbe cambiato ogni cosa; Kenma ha finito le lacrime da piangere, però, e tutto ciò a cui riesce a spingere il proprio corpo è prendere lunghi respiri, e cercare di moderare i palpiti confusi. Non serviranno a niente.
Non serviranno a svegliarlo.

«Sai quanto mi piaccia condividere i segreti con te,» continua, si sforza di farlo, «mi dispiace. Quello più grande ho dovuto tenerlo per me stesso.»

*
 
«Il signor Kuroo non aveva le catene per la neve»

«E la cintura? Ce l'aveva, la cintura?»

«Sì, signora.»

La madre di Tetsurou non è un articolo di porcellana di quelli che la gente compra pur sapendo che, prima o poi, mesi o anni, finirà in mille pezzi sul pavimento alla prima disattenzione. Tiene la schiena dritta. Guarda avanti. «È stata colpa sua?»

«Un'altra auto è uscita da un vialetto sulla sinistra senza rispettare la precedenza. Perciò no» sta chiarificando un'infermiera il giorno successivo all'incidente, mentre alterna lo sguardo tra la donna che fronteggia, i documenti che regge, e il giovane che si è appisolato sulla sedia accanto all'ultimo paziente assegnatole.
Si corregge – non si è appisolato. I suoi occhi sono semichiusi e stanchi, vacui, ma non cupi. Una strana stanchezza, ma è molto comune in questo reparto.

«È in quel coma dove una persona dorme profondamente, ma probabilmente può sentire la voce di chi gli parla?» domanda all'improvviso il ragazzo. Generalmente è qualcosa che si dice ai visitatori per coprire l'amaro della pillola, qualcosa che tesse coraggiosamente un filo di speranza e che non può essere compreso in modo appropriato da chi non ne ha bisogno. A volte è la verità.

L'infermiera gli sorride delicatamente; dopotutto è presente la madre del paziente. «Tu parlagli, tesoro. Prega, stagli vicino e parlagli.» E con un cortese saluto del capo se n'è andata. 
La signora Kuroo tira su con il naso, e Kenma è tentato di lasciarla sola con il figlio, rispettosamente, ma il momento passa e non può fare a meno di essere egoista. 
«Fai come ha detto. Per favore, Kenma.»
Lui annuisce, cercando di distrarsi dal fatto che la mano di Tetsurou è troppo fredda e non è così che vuole ricordarla.

*
 
È ancora sulla sedia il giorno dopo, e quello ancora, dimenticando di passare per casa dopo le lezioni all'università, dimenticando di mangiare, troppo stanco per ricordarsi di dormire davvero. Gli piacerebbe non pensare, questo sì, ma se proprio deve addormentarsi preferisce farlo con la testa appoggiata sul materasso accanto al braccio del maggiore. 
Torna nel proprio letto la terza notte solo per scoprire, senza sorprendersi, che se tenta di pensare a quanto piacevolmente tiepide erano le mani di Tetsurou, non ci riesce. 
A volte, nei mesi successivi, accende il cellulare e apre a cartella dei messaggi ricevuti, gli tocca scorrere un po' a causa dei numerosi Shouyou, Bokuto, Morisuke e Akaashi, prima di trovare quel "Se devi uscire stai ..." e fissarlo per almeno una mezzora. Una sorta di ripasso di chi era Tetsurou; si avvicina, anche se non del tutto, a ricordare il suo calore, in questo modo.

*
 
«Penso fosse questo qui. Non ne sono sicuro però.»

La finestra aperta lascia che la brezza di un'estate prematura si intrufoli nella stanza d'ospedale, raggiungendo i gelsomini freschi sulla cassettiera. Kenma tiene tra il pollice e l'indice un CD che ha evidentemente passato giorni migliori. La polvere non c'è più, ma i piccoli graffi lo rendono purtroppo inutilizzabile.
E Kenma ha vent'anni ormai, ma ricorda ancora di averci ballato, su quella musica. 

«Non fa niente però, vero? Ho portato anche qualcosa che ho trovato in camera tua» aggiunge, sollevando un altro paio di CD e mettendosi subito ad armeggiare con il lettore. Canticchia sottovoce canzoni che ha già sentito centinaia di volte ma di cui non si è mai preoccupato di chidere il nome.

*

Tetsurou è casa e casa è l'unico posto dove Kenma può tornare, ancora e ancora, esattamente come la polvere di stelle tornerà un giorno al luogo da cui proviene.

«So che manterrai quel segreto, Kuro» dice un giorno che fuori piove. Piove da ore, forse da giorni, chissà. «Adesso è anche tuo.» Accarezza la sua mano anche se è fredda e anche se non risponde mai, anche se ogni cosa ha perso colore. 

Ma Tetsurou gli ha sempre detto una cosa importante; il sangue deve fluire senza intoppi e circolare in modo che tutto funzioni a dovere. Kenma ci prova, ci prova davvero – continua a fare ciò che faceva prima e non si permette di cedere, semplicemente non può. Perciò continua ad andare. 
Prende la mano di Tetsurou e non la lascia. Resterà per tutto il tempo che servirà, perché in ogni caso verrà guidato lì, sempre, e non c'è modo che lui abbia intenzione di sottrarsi a quella marea; Tetsurou ancora non lo sa, ma va bene così, per il momento.

(Kenma è disposto ad avere fiducia che un giorno tornerà da lui, come ha sempre fatto, ed intanto sussurra segreti che nessun altro sa per fargli sapere che sono gli stessi di una vita fa anche se non lo sono, e forse per farlo sapere anche a se stesso. Anche se un sorriso disinvolto non è al suo posto sulle labbra diafane e la mano fredda non stringe mai di rimando.)






 
  
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