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Autore: Alkimia    12/01/2009    3 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VENTOTTESIMO

Colette osservò con aria severa alcune cameriere che stavano lavando il pavimento del salone.
“Quando ho detto che dovete fare in fretta non intendevo che dovete pulire come se questa fosse una stalla e non una casa!” gracchiò l'anziana domestica facendo sussultare le sue giovani sottoposte.
Per lunghi giorni la marchesa era rimasta in uno stato di apatia, non aveva nemmeno letto le lettere che suo marito le aveva spedito, ma quando finalmente si era resa conto che era il caso di scrivergli e aveva aperto le missive ricevute, aveva scoperto con sorpresa che Louis stava tornando a casa. Non era specificato il motivo di questo rientro così improvviso, ma ormai mancava poco perché lui fosse di ritorno e la servitù, in quei pochi giorni, si era data un gran da fare per preparare tutto al meglio per il ritorno del padrone.
Era tutto molto strano, solitamente Colette si preparava al ritorno del marchese come se fosse in arrivo una festa, e invece stavolta era piuttosto preoccupata. Troppe cose non stavano andando come dovevano, e non era mai accaduto che il marchese tornasse a casa in un tempo così rapido e con così poco preavviso.
Louis arrivò un mercoledì pomeriggio. Come di consueto trovò sua moglie sulla porta e tutta la servitù schierata ordinatamente nell'ingresso della villa. Colette dovette soffocare un gemito angosciato quando lo vide scendere dalla carrozza, ormai era certa che ci fosse qualcosa che non andava, come se il destino si fosse accanito su quella famiglia. Il marchese aveva l'aria stanca di chi non dormiva da diverso tempo e i suoi occhi, gonfi e cerchiati da occhiaie livide, erano terribilmente tristi. La domestica pensò che il mondo stava decisamente impazzendo. In quegli stessi giorni in città serpeggiava un forte malcontento: alcuni mesi prima le truppe degli invasori prussiani avevano sfilato trionfanti per le strade di Parigi, il popolo era attonito, malgrado l'assedio della capitale francese durasse già da molte settimane e minacciasse di mettere in ginocchio il paese. Adesso girava voce che un nutrito gruppo armato, una milizia cittadina, nota come la Guardia Nazionale si era procurata dei cannoni e minacciava di destituire il Governo. Forse era per questo che il marchese De Valois era tornato, le allarmanti notizie riguardo ai fatti che accadevano nella sua città gli avevano fatto sentire l'urgenza di essere a casa.
L'aspetto spossato e lo sguardo triste di Louis non sfuggirono nemmeno a Diane che si limitò a mormorargli un rapido benvenuto e lo scortò preoccupata verso la sua stanza.
“Perdonatemi mia cara, ma ho bisogno di riposare” disse l'uomo con voce incerta, sua moglie lo scrutò con un occhiata indagatrice,
“Si, lo vedo” commentò seria
lui annuì e fece per sparire oltre la porta, ma poi si fermò sull'uscio con lo sguardo basso, deglutì come se le parole gli si fossero fermate in gola,
“Diane, io... bisogna che vi parli, appena mi sarò rinfrancato dal viaggio” concluse,
la marchesa lo osservò con apprensione,
“Certo, Louis. Riposate ora” disse prima di allontanarsi.

Il marchese fu svegliato per la cena, salutò sua figlia, poi lui e la sua famiglia si sedettero intorno al tavolo e consumarono il pasto in silenzio.
Diane tormentò a lungo la sua porzione di verdure con la forchetta ma non mangiò quasi niente. Quell'atmosfera le sembrava quasi surreale, trasportava la sua mente lontano dalla realtà, in una sorta di bolla dove tutto sembrava distante e ovattato. Era come se il gelo che regnava in casa sua riuscisse a cauterizare il suo dolore. Si rese conto che non aveva versato una sola lacrima da quando aveva detto addio ad Erik in prigione, aveva lasciato che il l'angoscia scorresse lentamente nelle sue vene, spegnendole lo sguardo e togliendole la voglia di fare ogni cosa, ma non aveva lasciato trapelare in nessun modo la sua disperazione. Non ancora almeno.
“Vivianne, da' la buona notte a tuo padre, è ora di andare a letto” disse la marchesa a sua figlia, appena la bambina ebbe mangiato l'ultimo pezzo della sua mela.
La piccola salutò Louis e si avviò verso la sua stanza accompagnata da Martine. L'uomo la seguì con lo sguardo poi si rivolse a sua moglie,
“Vorrei che mi raggiungeste nel mio studio, dopo che avrete messo a letto nostra figlia” le disse uscendo anche lui dalla sala da pranzo.

“Mamma, perché sei triste?” domandò Vivianne, quando sua madre si sedette sul bordo del letto accanto a lei,
“Pensavo che è molto tempo che non vedo il mare” mentì la donna accennando un sorriso poco convinto
“Un giorno mi porti a Marsiglia dove sei nata tu?”
“Un giorno, certo. Ora dormi tesoro mio”.
Diane salutò sua figlia con un bacio sulla fronte, poi uscì dalla stanza e si diresse verso lo studio di suo marito, dall'altro lato del corridoio. Bussò delicatamente alla porta e fece capolino oltre l'uscio,
“Volevate parlarmi Louis?” disse entrando nello studio
“Entrate, chiudete la porta per favore” rispose lui facendole cenno di avvicinarsi.
Il marchese era in piedi davanti alla libreria, il suo sguardo era ancora cupo e triste,
“Vi ascolto” disse sua moglie scuotendolo dai suoi pensieri,
l'uomo si voltò lentamente verso Diane e sospirò,
“Voi siete una persona assai migliore di me” commentò laconico
“Non vi capisco”
“Ah, Diane è così difficile”
“Ammettere che siete infelice?” indovinò lei guardandolo negli occhi
“E' la stessa sensazione che provate voi?” chiese Louis con una nota di apprensione nella voce,
Diane non rispose, abbassò il viso e si concentrò a seguire con lo sguardo le linee contorte degli arabeschi dorati disegnati sul tappeto di porpora che copriva il parquet dello studio. Suo marito interpretò quel silenzio come una risposta affermativa,
“Credetemi Diane, io ho sempre nutrito per voi una stima infinita e un affetto inesprimibile, siete la donna che ho scelto di sposare e la madre di mia figlia... ah, vi giuro che amo la nostra Vivianne più di quanto sia mai stato in grado di dimostrare” aggiunse l'uomo
“Non me lo avevate mai detto”
“Mi sono sempre sentito in colpa nei suoi riguardi, ho sempre dato molta più importanza alla mia carriera, ma non l'ho fatto per ambizione o per egoismo, volevo solo dimostrare che il prestigio della mia famiglia non era legato unicamente al nostro nome e al nostro titolo. Ma intanto ho privato Vivianne di un padre e voi di una vera famiglia. Ogni volta che tornavo mi promettevo di stare più vicino a mia figlia, di passare più tempo con lei e con voi, ma più settimane trascorrevo lontano da casa e più ad ogni ritorno mi sembrava tutto più difficile, lei cresceva, come pure la vostra intesa, vi trovavo ogni volta più unite, come se vi foste aggrappate l'una all'altra per non avvertire il peso di un padre e di un marito assente. Mi dispiace Diane, voi non meritavate questo”,
la marchesa accennò un sorriso triste, non aveva mai giudicato Louis un uomo insensibile, e aveva sempre saputo che la sua difficoltà ad esternare certi sentimenti derivava esclusivamente dalla sua natura introversa, ma non era affatto un uomo senza cuore,
“Non mi stupisce ciò che dite, non ho mai messo in dubbio la vostra affezione per me e per nostra figlia. Sono contenta che abbiate deciso di aprirvi con me...” disse lei
“Sono tornato dalla Spagna perché c'è qualcosa a cui devo porre ammenda- la interruppe bruscamente Louis- e un modo per cominciare a riparare è sicuramente dirvi la verità... io mi sono innamorato di una donna”
la marchesa trattenne il respiro per un attimo e pensò che suo marito doveva essere davvero disperato se le stava parlando a cuore aperto, di una faccenda così importante e delicata
“Clara” sussurrò lei
“Come fate a conoscere quel nome? Sapevate?...”
Diane sospirò e gli concesse un sorriso indulgente velato di malinconia
“Avreste dovuto essere più accorto a non lasciare le sue lettere nel cassetto della vostra scrivania”
“Non pensavo avreste avuto motivo di guardare nel mio cassetto”
“Non mi sono mai permessa di frugare tra le vostre cose, ma mi serviva della carta e pensavo di trovarla lì- spiegò la marchesa- dunque è per questo che siete tornato così improvvisamente dalla Spagna? Per parlarmi di un'altra donna?”
“Sono tornato per cercare una soluzione” replicò Louis
“Anche io vi stimo e vi voglio bene, e in tutta onestà devo ammettere che questa scoperta mi ha stupito, ma non ne sono rimasta ferita, il nostro matrimonio è sempre stato pieno di rispetto reciproco ma non c'è mai stato un vero sentimento tra di noi, e comunque, vi capisco”
“Mi capite?!”
Diane si morse il labbro
“Non vi ho mai tradito concedendomi a un altro uomo, spero che vogliate credermi, ma anche io ho incontrato qualcuno di cui mi sono innamorata, anche se lui ormai è... lontano” pensò che non fosse il caso di raccontare altri dettagli, anche perché non voleva rischiare di scoppiare in lacrime, voleva restare calma e continuare ad affrontare quella discussione,
Luois chiuse gli occhi e inspirò profondamente,
“Ma voi, piuttosto, perché siete tornato così repentinamente dalla Spagna, che soluzione sperate di trovare qui?” aggiunse lei, voleva continuare a parlare per impedirsi di pensare a Erik,
“E' assurdo...” sussurrò lui scuotendo il capo
“Volevate un consiglio da me?- aggiunse lei perplessa- Questo si che sarebbe indelicato”
“Ah no Diane, volevo solo che sapeste la verità. Speravo che se foste stata a conoscenza del motivo della mia infelicità l'avreste sopportata più facilmente”
“Dunque, non avete intenzione di fare niente?”
“E cosa dovrei fare secondo voi? Domani spedirò una lettera con le mie dimissioni all'ambasciata spagnola, è meglio che io non torni più là”
“E lei?” chiese la marchesa,
Louis sorrise con amarezza
“Ah, non dovreste nemmeno chiedermelo. Ad ogni modo, cosa altro potrei fare?... potrei lasciarvi, sono un marchese di Francia, una persona ricca e influente, mi basterebbero poche settimane per ottenere l'annullamento del nostro matrimonio dalla Sacra Rota, poi tornerei in Spagna e mi rifarei una vita. Non credete che non ci abbia pensato, ma non sono un vigliacco Diane, e tengo troppo a voi e a nostra figlia per esporvi allo scandalo”,
in un altro momento Diane avrebbe pensato, non senza una punta di ironia, che era costantemente esposta allo scandalo visto la sua condotta poco conforme a ciò che ci si aspettava da una donna del suo rango, tuttavia non era in vena di sarcasmo e in effetti pensò che per l'alta società parigina una marchesa abbandonata dal proprio consorte doveva essere una diceria ben più appetitosa che il suo comportamento stravagante.
“Sarei esposta allo scandalo solo se continuassi a vivere qui, tra chi mi conosce come vostra moglie” disse corrugando la fronte
“Oh no, non penserete... no, non potrei mai permetterlo! E poi, sciogliere un matrimonio, un giuramento fatto dinnanzi a Dio, sarebbe una bestemmia” replicò Louis scuotendo energicamente il capo
“Si, abbiamo giurato davanti a Nostro Signore, ma i voti nuziali sono di amore e fedeltà, e direi che siamo entrambi venuti meno al nostro giuramento e abbiamo mentito abbastanza sia a Dio che a noi stessi”
il marchese abbassò lo sguardo, non poteva darle torto ma era sempre stato un uomo tradizionalista, saldamente legato alle sue certezze, e il suo matrimonio, in tutti quegli anni, era diventato una certezza così forte al punto che nemmeno l'amore per un'altra donna sembrava bastasse a convincerlo a rinunciarvi. Eppure la verità che Diane gli aveva appena messo sotto gli occhi era lampante, così inevitabile da sembrare quasi una condanna.
“Dunque, rinuncereste al nostro matrimonio?” domandò
“Non c'è motivo di essere infelici in due, quando almeno voi avete la possibilità di rimediare” rispose lei
“Non avete intenzione di raggiungere l'uomo di cui mi dicevate prima?”
“No, temo sia impossibile, e non è per lui che mi trovate così risoluta riguardo a ciò che penso del nostro matrimonio, credetemi, non sto cercando di liberarmi di voi, siete il padre di mia figlia, anche io vi sono affezionata”
“Vi credo. Tra noi due siete voi quella più schietta e sincera”
Diane accennò un sorriso
“Ma cosa fareste poi? Dove andrete?... e Vivianne?” domandò ancora Louis
“Ho ancora la casa dei miei genitori a Marsiglia e godo di una rendita sui guadagni della vecchia attività di mio padre...”
“Non lascerei mai che il denaro sia un problema per voi. Ma nostra figlia?”
“Non vi impedirei mai di vederla, o di scriverle, o di ricevere sue notizie, tra qualche anno sarà anche abbastanza grande da venirvi a farvi visita, con la sua governante e con uno chaperon magari”
il marchese sospirò
“Mi sembra tutto così assurdo...” commentò
“E invece a me sembra la soluzione migliore, anche se capisco che è un cambiamento piuttosto inaspettato- rispose sua moglie- si dice che la notte porta consiglio, dormiteci su e domani mi direte cosa avete deciso”.

*

E' oggi o domani?...
Quanto manca ancora?...

Erik aveva definitivamente perso la cognizione del tempo. Non riusciva a ricordare se l'ultima settimana era passata, se la sua esecuzione era prevista per quel giorno o per il giorno dopo.
Pensò che i condannati avevano un lusso che il resto degli uomini non aveva: la consapevolezza di sapere quando e come sarebbero morti. E anche la consapevolezza del perché che rendeva stranamente l'idea della morte meno terrificante. Morire in una piazza davanti alla folla che attende di veder cadere la lama della ghigliottina sul tuo collo non doveva essere più terribile del morire da soli.
Ecco un altro vantaggio dei condannati: la consapevolezza che la morte sarebbe stata rapida e indolore. La ghigliottina era uno strumento geniale sotto questo punto di vista, più precisa e infallibile di quanto lo sarebbe stato qualsiasi boia armato di ascia, meno brutale e più rapida del cappio. Si diceva che fosse stato proprio Luigi XVI a introdurre la ghigliottina in Francia, definendola uno strumento di morte più adatto a un paese civile, di certo lo sventurato sovrano non poteva immaginare che avrebbe verificato personalmente l'efficienza di quel tremendo congegno.

Ecco, ci siamo...

“Ecco, ci siamo” pensò Erik sentendo dei passi concitati avvicinarsi alla sua cella.
Il rumore dei passi fu coperto dalla voce del secondino,
“Fate in fretta monsieur, se scoprono che vi ho fatto passare potrei avere dei guai”.
Erik si grattò il mento coperto dalla barba, aveva pensato di conservare la richiesta di radersi come suo ultimo desiderio prima di essere condotto al patibolo, era certo che nemmeno al Figlio del Diavolo sarebbe stato negato l'ultimo desiderio. Intanto, dalle parole della guardia aveva capito che non stavano venendo a prenderlo per giustiziarlo, piuttosto c'era qualcuno che stava venendo a fargli visita. Si domandò chi fosse e quando l'inatteso visitatore comparve davanti alla sua cella Erik si limitò a osservarlo sbattendo le palpebre,
“Non so se sia più giusto considerarla davvero una sorpresa o ritenermi uno stupido per non aver pensato che c'era da aspettarselo” commentò con una vena di sarcasmo nella voce
“Non ricordo tu avessi problemi a cavartela con le sorprese” rispose l'altro uomo con freddezza,
sul volto di Erik si dipinse un ghigno beffardo,
“Bhe visto che una volta volevi uccidermi e non sei stato abbastanza in gamba da riuscirci, immagino che vedermi dietro le sbarre ti sia di qualche conforto, caro il mio visconte”
“Io non volevo ucciderti! Io non ho mai voluto uccidere nessuno!” esclamò Raoul, era lì da una manciata di secondi e l'agitazione già stava avendo la meglio su di lui, al contrario del suo interlocutore che sembrava impassibile,
“Ah, si, scusa, dimenticavo che tra me e te il mostro non sei tu”.
Un silenzio pesante invase la prigione, mischiandosi all'umidità e al buio, disegnando nella penombra strani profili di fantasmi di un passato che ai due uomini sembrava quanto mai lontano, un passato che, alla luce degli ultimi avvenimenti, avrebbe potuto ritenersi persino dimenticato se il visconte non si fosse recato a far visita all'unico uomo che aveva mai definito suo nemico.
“Dunque- riprese Erik continuando a non dare il minimo cenno di nervosismo- sei venuto a osservare che faccia ha un nemico sconfitto? Non ne avevi avuto abbastanza della mia faccia e della mia sconfitta quella sera?”,
la calma di quell'uomo era densa di un gelo che colpiva Raoul come una frusta, in quel momento il giovane si rese conto che non aveva nessun motivo di essere lì, non sapeva di preciso perché si era recato in prigione.
“A quanto pare nessuno di noi due ha vinto” ammise il visconte scuotendo il capo tristemente
“Dici? Io invece penso che la differenza tra quelli come me e quelli come te è voi abbiate sempre vinto, in partenza...”
“Mi accusi ancora di averti portato via Christine?”
“Oh no, col senno di poi ho capito che non sei stato tu a portarmela via, lei non mi era mai appartenuta, non come io avrei voluto almeno. Ma non credo tu possa capire il senso di una sola delle lacrime che versai la notte che vi ho lasciati andare”,
Raoul dovette ammettere tra sé e sé che era vero. Aveva conosciuto unicamente quello che tutti consideravano un mostro, ma in quei giorni in cui la perdita di Christine lo aveva sommerso di dolore, si era reso conto che se lei si era data tanta pena per colui che era stato il Fantasma dell'Opera, doveva esserci qualcos'altro in quell'uomo, qualcosa per cui non era meritevole del male che aveva ricevuto. Avrebbe voluto dirgli che gli dispiaceva, ma il rancore che nonostante tutto continuava a provare non gli permise di esprimere il suo rammarico, anche se Erik dovette notare nel suo sguardo un palese senso di malinconia.
“Sarebbe il caso che tu andassi, visconte, la guardia ti ha detto che non potevi trattenerti molto” concluse Erik in tono inespressivo,
Raoul scrollò le spalle e poggiò una mano sulle grate della cella, osservò le sbarre e la porta di ferro con aria pensierosa,
“C'è una cosa che non capisco...” disse
“Si, è sempre stato il tuo maggior talento a quanto pare” borbottò sarcastico il suo interlocutore
il visconte ignorò quel commento e proseguì,
“Sei scomparso davanti a un teatro intero, mentre eri tenuto sotto il tiro da decine e decine di gendarmi armati, come è possibile che una semplice grata di ferro ti trattenga qui?”
“Non sei stato l'unico a farmi questa domanda- confessò Erik mentre la sua mente tornava ancora una volta a Diane, com'era accaduto spesso in quei giorni- e devo darti la stessa risposta che ho già dato a qualcun altro: pensi davvero che mi interessi continuare a vivere nascondendomi? Credi che un evaso abbia vita facile? Non ha più senso, non è quello che voglio”
“Già, immagino che non hai molti motivi per vivere”
“Ti sbagli, proprio perché ne ho non sono più disposto a rinunciare alla mia libertà, dal momento che non posso vivere come un uomo tanto vale che muoia, almeno questa città avrà la mia testa, parecchie persone ne saranno contente, non credi?”
“Conosco qualcuno che soffrirebbe molto per la tua morte” disse Raoul in tono risentito
“Parli di Christine? Io e lei abbiamo già chiuso i conti, tocca a te ora non darle più motivo di soffrire... e visto che eri pronto a morire per salvarla posso augurarmi che sarai in grado di farla felice” rispose Erik, pronunciò quelle parole senza alcun tipo di risentimento, ma il suo interlocutore ne sembrò toccato,
“Non è così, forse ti farà piacere sapere che se n'è andata...”.
Erik avvertì una stretta al petto, l'idea che almeno Christine fosse felice accanto all'uomo che aveva scelto era stato un pensiero molto consolante per lui durante i giorni di prigionia, le voleva bene, gliene avrebbe sempre voluto. E ora quel maledetto ragazzino gli stava dicendo che lei se n'era andata! Ma che razza di incapace doveva essere per lasciarsi scappare un angelo come Christine?
Si avvicinò alle grate e scrutò attentamente il volto di Raoul,
“E dal modo in cui lo dici sembra che tu voglia incolpare me anche di questo” concluse
“Abbiamo avuto una forte discussione a causa tua, è per questo che mi ha lasciato, sarai soddisfatto”
“Soddisfatto di sapere che l'uomo che lei ha scelto al mio posto non è stato capace di renderla felice! Se tu questa la chiami soddisfazione...”
“Vedo che non hai perso il tuo cinico sarcasmo, mi compiaccio!” borbottò Raoul irritato
“Cosa vuol dire che avete discusso a causa mia?!”
“Non le è piaciuta la mia reazione alla notizia che tu eri stato arrestato e condannato a morte”
“Volevi organizzare una festa?”
“Smettila, in nome di Dio!...”
Erik incrociò le braccia sul petto,
“Tornerà da te, ne sono sicuro. Lasciale solo il tempo di affrontare il suo dolore. Ora credo sia il caso che tu vada, non abbiamo altro da dirci”
Raoul restò a guardare l'uomo oltre le sbarre, nella sua mente si accavallavano tanti pensieri e tanti ricordi. Si chiese quale fosse la cosa più giusta da fare, si chiese se Christine non avesse avuto ragione quando gli aveva detto che un vero uomo trova la forza di superare il passato. Osservò le squallide pareti di pietra, il muro dietro al tavolo era coperto di incisioni, disegni di cavalli rampanti, di guerrieri con le loro armature, di strani paesaggi simili a quelli dipinti sui fondali che si usavano a teatro per fare da scenografia. Al centro della parete campeggiava il ritratto incompleto di una donna.
Raoul rimase a fissare per lunghi secondi i disegni, poi si scosse,
“Guardia!” chiamò con voce imperiosa,
il secondino lo raggiunse quasi di corsa
“Seguitemi, vi accompagno fuori, monsieur” gli disse in tono servile,
“No, voglio parlare con un ufficiale” aggiunse il visconte
“Come? Ma perché monsieur?”
“Per avvisarlo che avete catturato l'uomo sbagliato”.
A quelle parole Erik ebbe un sussulto, guardò Raoul oltre le grate spalancando gli occhi per lo stupore. Che diavolo aveva in mente quel ragazzino?
La guardia deglutì con aria imbarazzata, non sapeva se era peggio contraddire un visconte, figlio di un'importante e nota famiglia dell'aristocrazia parigina, o mandare a chiamare il proprio superiore per fargli liberare quello che credevano essere uno dei criminali più ricercati della città.
“Ma, monsieur... non può essere...- farfugliò la guardia imbarazzata- quell'uomo ha confessato!”
Raoul rispose con uno sguardo severo,
“Non mi interessa! Io ho conosciuto il Fantasma dell'Opera, tutta Parigi è a conoscenza del fatto che quella notte sono stato suo prigioniero e io vi sto dicendo che quest'uomo non è l'assassino che state cercando!” concluse, lanciando un rapido sguardo ad Erik come a pregarlo di non reagire e di non dire niente, di non smentirlo,
“Ma, monsieur... abbiamo una confessione- ripeté ancora il secondino- e poi... il suo volto, la maschera...”
“E' la mia parola, quella di un visconte della famiglia De Chagny, contro la parola di un uomo del tutto sconosciuto!- tuonò Raoul in tono deciso e autoritario- in quanto al viso, ci sono molte malattie che possono lasciare segni simili sulla pelle di una persona, e se devo dire la verità, per quel che ricordo io, la piaga sul viso del Fantasma dell'Opera era molto più estesa, vuoi forse contraddirmi?”.
Erik, nel frattempo, osservava la scena dall'interno della sua cella, rimase quasi sconvolto dal tono deciso, persino prepotente, che stava usando Raoul, non lo avrebbe mai creduto capace di tanta autorevolezza, senza contare che quella sua messa in scena poteva considerarsi un vero e proprio colpo di genio: la parola di un visconte contro quella di un uomo che non era nessuno, c'erano ottime probabilità che, malgrado tutto, il capo della polizia credesse a Raoul, e questo non voleva dire che lo avrebbero rilasciato e che lui sarebbe stato assolto da ogni accusa, anche davanti alla legge non sarebbe stato più il Fantasma dell'Opera.
No, non poteva accettarlo! Non poteva accettare l'aiuto di Raoul De Chagny, tanto più che questo aiuto prevedeva l'utilizzo di una menzogna o peggio, il fatto che lui apparisse agli occhi di chi lo aveva catturato come una specie di pazzo che per chissà quale motivo si era spacciato per un pericoloso criminale.
Il secondino si allontanò velocemente, diretto verso l'ufficio del Capitano della gendarmeria, il prigioniero e Raoul rimasero di nuovo soli.
“Si può sapere che stai facendo?!” ringhiò Erik
“Ti sto salvando, mi sembra”
“Non ti ho chiesto niente, smettila immediatamente con questa farsa, sciocco!”
“Infatti non lo sto facendo per te...” ammise Raoul
“Ah, già, tu ora vuoi farmi liberare così potrai andare da Christine e sperare che lei rimanga colpita dalla tua buona azione e torni da te”
“Si, direi che l'idea è questa, ma lo faccio anche perché il Fantasma ci ha già tormentati quando era in vita, non voglio che continui a tormentarci anche dopo morto. Se tu muori non ci libereremo mai di te, ci sarà sempre il rimpianto, il rimorso e non voglio che sia così, ne ho avuto abbastanza”
“Sei davvero patetico” commentò Erik
“Può darsi, ma non meno patetico di un uomo che una volta ha minacciato di uccidermi per costringere una donna ad amarlo”
“Sei diventato sagace da un momento all'altro? Non riuscirai mai a convincere il Capitano che io non sono l'uomo che ho detto di essere, tra l'altro non credo che lui sia propenso a lasciarsi convincere, anche se c'è di mezzo un visconte. Pensaci: perché dovrebbe lasciarmi andare e perdere la faccia dichiarando che ha commesso un errore così grossolano?” protestò Erik
“Evidentemente non sai quanto un cognome importante può essere persuasivo- rispose il ragazzo dandogli le spalle- ora, se permetti, vado a garantire la tua e la mia libertà”.
Raoul si allontanò senza aggiungere altro, in realtà sapeva che Erik non aveva tutti i torti, che non sarebbe stato così facile convincere le autorità a rilasciare un uomo che, per sua stessa ammissione, era stato un feroce assassino e uno spietato ricattatore. Andava anche contro i suoi principi mentire in maniera così spudorata per far rilasciare qualcuno che era colpevole, ma se il Fantasma dell'Opera aveva messo a ferro e fuoco il suo teatro e tutto il suo mondo per cercare di riprendersi Christine, allora lui, per una volta, avrebbe potuto cedere e tentare di aiutare il suo nemico senza pensare troppo a cosa era giusto e a cosa non lo era.
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Note: In questo capitolo ho fatto riferimento a un fatto storico molto importate per l'epoca, l'ascesa della Comune, che in reatltà avvenne nel marzo del 1871. Nella storia siamo quasi nell'estate dello stesso anno, chiedo scusa per l'incongruenza, per aver fatto slittare di qualche mese un evento storico.
Sono conscia anche dell'averla fatta troppo facile riguardo alla fine del matrimonio tra Diane e Louis, ma in realtà ho ragionato pensando che i coniugi De Valois fossero entrambi abbastanza stanchi della situazione per perdersi in "inezie morali", anche se all'epoca probabilemte l'annullamento di un matrimonio era qualcosa di ben più complicato e non lo si decideva con una semplice discussione.

Grazie per le letture e le recensioni.
Ethis, per scoprire che fine farà Erik c'è da aspettare ancora un paio di capitoli (perdono, è sadismo da pseudo scrittrice XD) Vi lascio a meditare sull'interrogativo "riuscirà il visconte con le sue scarse capacità intellettive a far scarcerare Erik?" . Per la storia, stampala pure se vuoi, io non ho problemi, anzi mi fa piacere che tu voglia conservarla  ^^
Monipotty, non sei sadica, anche io mi sono divertita un sacco a far litigare quei due! La marchesa si scusa per l'assenza, ma come vedi, non posso tenerla lontana dalla mie pagine per più di un capitolo XD

Al prossimo capitolo, entro una settimana ^^

I remain, gentleman, your obedient servant
   
 
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