Highschool Of Heroes
Disclaimer: Non Posseggo Ne HighSchool DxD, Ne Boku No Hero Academia.
Nella vita non si può
avere tutto.
Questa è una triste
verità con la quale sono dovuto venire a
patti precocemente nella mia vita. Fu forse in prima o in seconda
elementare,
che mi resi conto di essere diverso dagli altri. Tutti a
quell’età iniziavano a
scoprire i propri poteri o abilità, alcuni cambiavano
addirittura aspetto
esteriore, assumendo forme a volte grottesche altre stupefacenti, ma a
differenza di chiunque altro io rimasi sempre me stesso.
Nessun potere, nessuna
abilità, nessun cambiamento.
Fui etichettato come Deku, e definito
come un quirckless,
una persona nata senza la predisposizione genetica per una qualsivoglia
forma
di mutazione. Ero tutto sommato, un essere umano normale e facevo parte
di
quell’1% della popolazione che non aveva compiuto il salto
nella scala
evolutiva iniziato qualche generazione prima della mia nascita, ma fu
proprio
per questa mia normalità a rendere la mia vita un inferno.
Non dimenticherò mai
le lacrime di mia madre mentre si incolpava della mia debolezza, mentre
parlava
con il medico di turno che ancora confermava quanto ordinario fosse il
suo
piccolo bambino.
Non mentirò dicendo di non
aver affrontato il baratro, di
aver messo in discussione me stesso, di aver dubitato anche solo della
mia
esistenza, ma in fondo a quell’età ero ancora un
bambino e bastò poco a
spostare la mia attenzione su altro. A spostare la mia attenzione sugli
eroi,
che giorno dopo giorno combattevano le persone che usavano
impropriamente i
propri poteri.
E non seppi nemmeno come, ma nel mio
cuore nacque la fiamma
della speranza e dell’ostinazione, e quella flebile luce che
mi giorno dopo
giorno mi aiutava ad andare avanti, divenne un incendio possente quando
scoprì
l’uomo oltre la leggenda, quando lessi del suo mito ed infine
lo incontrai.
All Might.
Lui era l’eroe numero uno,
il Guardiano della Giustizia, il
Signore di tutte le Virtù, lui era l’uomo che
presi a modello e di cui seguii
le gesta, annotando i particolari di ogni suo scontro o
difficoltà. E presto i
miei quaderni si riempirono di teorie, teorie sui poteri, sugli eroi,
analisi
statistiche e
qualsiasi notizia su
qualsiasi Quirk mai utilizzato.
Proseguì sulla mia strada
per diventare un eroe nonostante
la mia normalità, fronteggiando il bullismo di quelli che
una volta ritenevo
amici, nascondendo tutto ai miei genitori perché fossero
felice. Non volevo che
mia madre si incolpasse e piangesse a causa mia, che mio padre
lavorasse più
del necessario solo per offrirmi qualcosa che fosse di poco simile ad
un
risarcimento per la mia mancanza di abilità, volevo solo
vederli sorridere e
sorridere con loro.
Poi la mia vita cambio.
D’un tratto, senza una ragione
particolare, senza che nessuno potesse prevederlo.
Era un pomeriggio qualsiasi quello in
cui incontrai All
Might, in cui fui salvato da lui dall’attacco di un Cattivo
ed infine mi
ancorai alle sue gambe come un Koala troppo cresciuto in cerca di
risposte ed
incoraggiamenti. Con un balzo l’uomo coprì
centinaia di metri, accorgendosi di
me solo a metà del volo, ed in quel momento la vita mi diede
un altro duro
colpo mostrandomi l’uomo dietro l’eroe.
Una volta qualcuno disse che da
grandi poteri derivano
grandi responsabilità, quel qualcuno forse ha dimenticato di
menzionare che
grandi poteri hanno anche grandi costi. Per salvare il mondo, per
fermare
l’apocalisse, per annientare l’ennesimo pazzo, All
Might subì anni prima ferite
gravi, così gravi da distruggere in parte il suo apparato
respiratorio e
portare i medici a rimuovere completamente il suo stomaco.
Ormai di quell’eroe che
viveva nella leggenda non rimaneva
che un’ombra sbiadita, un vessillo che con la sua solo
presenza allontanasse il
male, ma che se affrontato si sarebbe rivelato debole come non mai.
Tre ore al giorno, questo era il
limite che il suo corpo per
l’utilizzo del suo Quirk, questo era il limite
dell’eroe prima di tornare un
uomo. E fui scioccato, sbalordito, allucinato. Lui era il mio idolo, lui era il Simbolo Della
Pace, eppure lui in
quel momento cercò di dissuadermi dalla strada
dell’eroe. Lui mi mise in
guardia, mi spaventò, mi racconto dei rischi che lui stesso
aveva corso
personalmente e di come non ne valesse la pena.
Gli diedi dell’Impostore.
Un eroe mette sempre in prima linea
la sua vita, un eroe è
colui che si sacrifica non per la gloria, ma per il bene di chi non
è capace di
difendersi da solo. Un eroe senza poteri, quale volevo essere io,
sarebbe stato
poco più di un peso per la società.
Le sue parole riecheggiarono nella
mia mente all’infinito
sulla strada verso casa quella sera, vedendo i miei sogni sgretolarsi
davanti a
me per quella che era la seconda volta nella mia vita. Il fuoco che
bruciava
dentro me aveva iniziato ad estinguersi, stavo quasi per abbandonarmi a
quella
vita che in fondo non mi aveva mai voluto, quando le urla della gente
ed i
poteri degli eroi richiamarono la mia attenzione.
Seguì il flusso di persone
guidato dalla mia innata
curiosità. Forse ero morto dentro, ma di me restava
abbastanza da spingermi in
avanti nella folla, per osservare l’ennesimo scontro che
sovente avveniva in
città. Solo che non era uno scontro quello mi si
palesò davanti, vidi solo un
amico, anzi un ex-amico divenuto poi un bullo, che lottava strenuamente
per la
sua vita contro lo stesso mostro che aveva attaccato me nel pomeriggio.
E gli eroi?
Gli eroi osservavano in disparte,
nessuno di loro aveva
capacità sufficienti per fermarlo, nessuno di loro aveva la
volontà di
sacrificarsi per un ragazzino. Si limitarono a mettere in sicurezza
l’area, ad
isolare il Cattivo, aspettando soccorsi che sarebbero certamente
arrivati troppo
tardi.
E nella mia mente risuonarono le
parole di All Might.
Un eroe è chi pone se
stesso prima degli altri.
Un eroe è chi si sacrifica
anche quando non c’è nessun altro
pronto a sacrificarsi.
E scavalcai la barricata, tra le mani
i miei quaderni di
appunti su tutti i poteri che avessi mai visto, di fronte a me una
situazione
in cui non avrei mai potuto vincere. Eppure corsi, e le grida degli
eroi mi
seguirono da dietro mentre avanzavo, con le lacrime agli occhi ed il
cuore in
gola, verso quella che probabilmente sarebbe stata la mia morte.
Ma se anche morendo avessi guadagnato
abbastanza tempo per
salvare quello che un tempo era un mio amico, ne sarebbe valsa la pena
vero? Se
sacrificando me stesso lui fosse sopravvissuto, allora forse sarei
stato anche
io un eroe. Non per gli altri, non per la mia famiglia, non per il
mondo, ma
per me.
Mi sarei sentito un eroe e per una
volta nella mia vita
avrei trovato un senso a qualcosa che un senso non l’ha mai
avuto.
“Kacchan!!!”
Quello era il nomignolo che avevo
dato al mio amico, quando
ancora non era diventato il mio aguzzino.
Ed il suo sguardo di dolore,
implorante, stordito incontrò
il mio per un secondo mentre ancora lottava con la creatura, che come
una melma
cercava di assorbirlo dentro di se.
“Cosa?! Che ci fai tu
qui?!”
Una domanda legittima, che ci facevo
io lì? Non ebbi il
tempo di esaminare le mie azioni, di davvero razionalizzare, seppi solo
di
stare cercando di strappare senza successo strati di melma dal corpo
del mio
amico. Con un sorriso tremulo e gli occhi appannati, gli risposi ancora
scioccato.
“Non lo so, le mie gambe si
sono mosse da sole!”
Che risposta stupida, banale,
spontanea e vera.
“È solo
che… la tua faccia sembrava chiedere
aiuto…”
Il mostro di melma si
animò contro di me, gli eroi gridarono
del mio suicidio, ed il tempo quasi si fermò mentre lo
sentì avventarsi sul mio
corpo per la seconda volta in un giorno.
Poi fu un lampo, una forte pressione
d’aria, ed All Might si
materializzò al mio fianco. Dalla sua bocca grondava sangue
ed era peggio che
usurato, del resto aveva già esaurito le sue tre ore di
poteri per quel giorno,
ma nonostante questo attaccò a testa bassa, gridando
qualcosa sul dover dare
l’esempio.
Alla fine sconfisse il mostro di
melma con un unico pugno,
tanto potente da creare una corrente di vento ascensionale che lo
mandò a
morire nella stratosfera. Noi, io e Kacchan, fummò soccorsi
dagli altri eroi
subito dopo che il pericolo fu scampato, ed All Might di nuovo si
smaterializzò.
Il suo corpo aveva probabilmente
ceduto, ed io non l’avrei
rivisto mai più.
Nonostante questo sorrisi, sorrisi
quando Kacchan mi gridò
che non mi avrebbe ringraziato, ma che mi doveva un favore e sorrisi
quando mi
resi conto che davvero gli eroi mettevano a rischio tutto pur di
proteggere i più
deboli.
Alla fine però, le mie
previsioni di non rivedere mai più
All Might si rivelarono sbagliate, e da quel giorno la mia vita prese
una
svolta. Una svolta che mi condusse all’accademia degli Eroi,
che mi fece
guadagnare lo stesso potere di All Might e che infine mi condusse a
morire in
un buco nero.
Quanto durò la mia
avventura da Eroe dopo quel fatidico
giorno?
Esattamente otto mesi.
Gli Otto mesi più belli e
dolorosi della mia vita.
**********
Scozia, 16 Settembre 1987
Lago Katrine - Ore 20:14
Attraversare un buco nero non è uno scherzo signori.
No, davvero, in alcuni film lo
descrivono come un
semplice viaggio a velocità di
curvatura, con scene montate in maniera randomica per rendere tutto
più figo a
vedersi, ma fidatevi di chi c’è passato,
attraversare un buco nero non è per
nulla uno scherzo.
Immaginate qualcosa di talmente
potente da poter risucchiare
persino la luce, di così oscuro da poter trasformare in
spaghetti montagne
altissime, comprimendole fino a granelli di sabbia, ed ora immaginatevi
a farci
un giro in mezzo.
Non proprio uno spasso vero? Non
proprio il tipico campo
d’addestramento che ti aspetteresti in una scuola per Eroi
rinomata in tutto il
mondo. Ma cosa volete, le persone sono sfortunate, e soprattutto IO
sono
sfortunato.
Ho sacrificato il mio corpo per
salvare quello che era come
un mentore per me, e a causa del rinculo dell’attacco che ho
subito al posto
suo, sono finito in uno dei buchi neri portatili che un altro dei
nostri
insegnanti era in grado di creare a piacimento. Si penserebbe che un
uomo
capace di creare buchi neri sia più utile in battaglia, ma a
quanto pare
quell’essere amorfo è stato a malapena in grado di
accalappiare me durante
l’attacco terroristico, e solo perché gli sono
finito addosso senza volerlo.
Ma questo non centra con la storia,
torniamo al buco nero.
Vedete, quello che normalmente si pensa dei buchi neri è che
una volta entrati
dentro uno di essi non si possa mai più uscire. Un pensiero
ragionevole, del
resto se perfino la luce che viaggia a velocità altissime
non sfugge al suo
campo gravitazionale, perché dovrebbe farcela un teenagers
sconosciuto, che
fino a pochi mesi prima era poco meno di una nullità?
Beh, la verità dietro la
bugia è che i buchi neri sono molto
più complessi di quanto lì si immagini. Sono una
carica di potere, forza e
reazioni, al loro interno si è come un elettrone che viaggia
senza meta, ma
anche così se si è abbastanza forti e se non si
perde la testa quando il
proprio corpo assume le sembianze di un minuscolo granello di sabbia,
si ha,
forse, una possibilità di uscire.
A me è capitato proprio
questo. Per mesi ho vagato senza
meta, circondato dall’oscurità più
nera, senza un corpo fisico al quale
aggrapparmi, perso eppure cosciente. Senza mangiare, senza bere, senza
alcun
contatto con nessuno e senza neppure la possibilità di
andare al bagno. Ok, in
effetti non avevo bisogno di mangiare, bere o espellere feci, ma la
solitudine
del non avere nessuno… quella cosa mi ha cambiato. Forse a
causa di questo
qualche mia rotella è partita per sempre, ma ancora non mi
sono dato per vinto.
Non ero mai stato realmente forte, ma avevo conoscenze di ogni potere
mai
esistito, avevo studiato ogni teoria mai trascritta sugli eroi ed ero
certo di
poterla scampare.
Mi bastarono un tempo infinito e
tanta caparbietà per
arrivare a collidere contro un altro prigioniero in quella che si
potrebbe
definire quasi come la mia personale “Dimensione
Fantasma”, innescando quindi
un’esplosione nucleare. Esplosione nucleare che
all’interno di un buco nero è
più o meno equivalente allo scoppio di una trick-track, di
quelle che si
trovano in cartoleria sotto le feste.
Ma quel piccolo barlume di luce in un
mondo nero pece, mi
diede la possibilità di fuggire. Spinsi il mio corpo
attraverso la luce, lo
costrinsi a perforare l’oscurità, ed usai il 100%
del One For All ereditato da
All Might, sfuggendo infine al mio gramo destino.
Immaginatevi ora la mia sorpresa
quando, uscito dal buco
nero, mi ritrovai a precipitare verso il suolo a velocità
inimmaginabile. Il
mio corpo era completamente inerte, la mia coscienza alla deriva. A
quanto pare
il buco nero aveva anche
la capacità di
trattenere le anime, per questo la mia coscienza non era sparita con il
mio
corpo quando questo era stato molecolarizzato, ma ora che sono fuori da
esso…
Beh, diciamo solo che sembro una
passata di pomodoro, e che
del me conosciuto in precedenza non resta più nulla se non
forse una ciocca di
capelli nera, con riflessi verdi.
Poco male amici miei, ho affrontato
bulli per più tempo di
quanto possa ricordare, ho combattuto contro un mostro di melma che per
poco
non mi uccideva, mi sono iscritto in un’accademia in cui,
anche solo per
addestrarci, ci facevano affrontare robot killer, arrivando infine ad
attraversare un buco nero per salvare la vita dell’unica
persona che mai abbia
creduto in me.
Tutto questo solo per morire pochi
istanti dopo la mia fuga
impossibile, spiaccicato sul lastricato di qualche città,
come un escremento di
piccione…
Si spera che questa volta, la mia
anima abbia il buon gusto
di andare oltre, così forse potrò trovare la pace.
Ma l’ho già
detto che sono un tipo sfortunato vero?
A quanto pare questo non era quello
che il destino aveva in
serbo per me…
**********
Kuoh Academy – 3 Settembre
2012
Aula 1°C – Nuovo Edificio Scolastico
Ero nervoso. Nervoso, nervoso,
nervoso.
Il peso del mio corpo si spostava da
un piede all’altro,
mentre attendevo con impazienza davanti all’ingresso
dell’aula. Da quanto tempo
non andavo a scuola? Da quanto non incontravo altre persone? Da quanto
non ero
soggetto al giudizio collettivo di una banda di adolescenti? Ok, non
che io
fossi diverso da loro, ma in mia discolpa i miei trascorsi scolastici
sono da
sempre stati drammatici.
Bullismo ed angherie mi hanno seguito
ovunque nella mia vita
passata, ed anche se in questo mondo non esistevano mutazioni genetiche
che
davano alle persone predisposizioni a poteri sovrannaturali, io
rimanevo
comunque uno sfigato secchione.
Respirando a fondo, cercai di
mantenere calmo il mio cuore
palpitante, attento al contempo alle parole del professore, che
dall’interno
dell’aula stava parlando di un nuovo studente trasferito.
Se non si fosse capito, tale studente
ero io.
“Izuku Midoriya entra pure
e presentati alla classe!”
Non appena sentì chiamare
il mio nome, il mio corpo si
irrigidì. Come un automa mi mossi dentro l’aula,
sudando tanto da sembrare un
uomo appena uscito da una sauna. Il professore osservò il
mio modus operandi, e
probabilmente per evitare un mio attacco di panico venì in
mio soccorso.
“Su su, Midoriya-san, non
c’è bisogno di essere così teso,
di solo come ti chiami e quanti anni hai.”
Richiamato sull’attenti
risposi con un energico “Hai!” e mi
voltai ad affrontare la classe.
Erano ragazzi normali, senza nessuna
deformazione fisica
dovuta ad abilità o poteri, e nei loro sguardi non
c’era malizia o cattiveria,
solo una punta di curiosità. Questo, più di ogni
altra cosa mi tranquillizzò
almeno un po’. Lentamente riuscì a mettere da
parte alcuni dei ricordi più pressanti
del mio passato, ritrovandomi infine a parlare con voce tesa, ma non
troppo
agitata.
“Ehm… sono Izuku
Midoriya, ma potete chiamarmi semplicemente
Deku, sono nato a Tokyo e mi sono trasferito qui dopo un… un
incidente. Spero
potremo andare d’accordo…. Ed…
ehm… si, ecco, ho quindici anni.”
Con movimenti impacciati mi inchinai
alla classe, dalla
quale si alzò qualche verso di derisione. Effettivamente ‘Deku’
non era propriamente un vezzeggiativo
amichevole, ma si sono riferiti a me in questo modo per così
tanto tempo che
ormai mi ci ero abituato. Suonava quasi strano sentirsi chiamare in
maniera
diversa da chiunque.
“Bene Midoriya-san, puoi
prendere posto in fondo all’aula,
vicino alla signorina Toujo.”
L’uomo mi diede una pacca
incoraggiante, indicandomi quello
che sarebbe stato il mio posto a sedere. Ed io lentamente mi
incamminai. Quello
stretto passaggio tra i banchi, ed i pochi metri che mi separavano dal
mio
obbiettivo, furono come gli ultimi passi di un condannato a morte prima
di
arrivare al patibolo.
Infine presi posto, e
l’attenzione di tutti si spostò da me
al professore. Il sollievo iniziò ad invadermi ad ondate,
mentre gli occhi di
tutti andavano alla lavagna su cui veniva disegnata
un’equazione.
Bene, matematica, una delle mie
materie preferite. Per
quanto arrugginito sarei dovuto essere in grado di cavarmela con quella.
Estraendo dalla cartella il blocco
prendi-appunti, iniziai a
fare quello che da sempre mi riusciva meglio.
Studiare.
Troppo preso dalla spiegazione del
professore, mancai di
notare l’occhiata incuriosita che la mia vicina di banco mi
rivolgeva. La mia
vicina di banco con capelli bianchi ed uno strano fermaglio per capelli
a forma
di micio.
******
Koneko aspettò che
arrivasse la pausa per il pranzo prima di
fare qualsiasi cosa. Prima di alzarsi, uscire per il corridoio e
percorrere
l’edificio scolastico alla ricerca della sua padrona.
Nell’aria sentiva una
fragranza di aromi indistinti, l’odore degli uomini, dei
diavoli e poi il suo.
Il nuovo studente, quello strano
studente con capelli neri e
riflessi verdi che sembrava così impacciato ed al tempo
stesso preparato a
livello accademico, aveva un odore diverso da qualsiasi altro avesse
mai
sentito. Non emanava tanfo di angelo, ne fragranza di angelo caduto.
Non era
certamente uno Youkai, e sebbene non potesse esserne certo non sembrava
nemmeno
un vampiro.
C’era ancora la
possibilità che fosse un incrocio di
qualcuna di queste razze, ma nel dubbio, davanti a qualcosa di
sconosciuto, il
suo primo compito era quello di riferire alla Buchou.
I suoi piccoli passi si mossero
indisturbati per i corridoi,
ignorando le occhiate volgare dei ragazzi pervertiti, e gli sguardi per
metà
divertiti e per metà gelosi delle ragazze invidiose. Non era
neanche colpa sua
se piaceva così tanto, era solo una delle qualità
che aveva ereditato con il
suo retaggio demoniaco. Da sempre gli esseri umani devono essere
convinti e
sedotti, devono concedersi spontaneamente ai demoni perché i
demoni potessero
assorbirne il potere, e quale mezzo migliore di un incantesimo charme
innato per
riuscirci?
Koneko sospirò per
l’ennesima volta, mentre voltando
l’angolo del corridoio del terzo piano, si
avvicinò all’aula che aveva come
metà. Al suo olfatto fine arrivò
l’odore della ragazza che cercava e tanto
bastò a darle la certezza matematica che lei stesse
pranzando lì.
Con un movimento lento e calcolato,
la Nekomata dal fulvo
pelo bianco entrò in aula, cercando di richiamare meno
attenzione possibile su
di se. Come al solito ebbe successo solo a metà, e prima che
potesse
raggiungere Rias erano già in molti ad occhieggiarla voraci.
“…Pervertiti…”
Koneko borbottò queste
parole, prendendo posto davanti alla
donna a cui doveva la sua vita, che ora la guardava con un sorriso
sincero sul
volto. I suoi capelli cremisi le scendevano dalle spalle come una
morbida
cascata, venendo sollevati e respinti dai suoi ampi seni.
“Koneko-chan, che
inaspettato piacere, sei venuta a pranzare
con noi?”
Come c’era da aspettarsi
dalla presidentessa, sapeva sempre
essere gentile e farsi amare. Ma nonostante l’acquolina che
iniziò a formarsi
nella bocca della Torre, questa si costrinse a scuotere il capo,
afferrando al
contempo una mano della ragazza.
“…Novità…”
Non aggiunse altro, non era una tipa
dalle molte parole,
anzi in genere non parlava proprio se non era fortemente necessario.
Questo suo
carattere chiuso ed introverso era una triste eredità di cui
si era fatto
carico dopo il tradimento della sorella. Era solo, non amata e non
voluta, e
sebbene ora facesse parte di una nuova famiglia, per la quale avrebbe
combattuto e sarebbe morta, non riusciva ancora a legarsi a loro al
punto da
sbloccare questo lato della sua personalità.
Rias dal canto suo non fece storie,
intuì probabilmente dal
tono della sua Kohai una certa urgenza, e scusandosi con i suoi
compagni di
classe seguì la piccolina fuori dall’aula. Rias
non provò nemmeno a domandare
cosa non andasse, sapeva bene che sarebbe servito a poco, e si
limitò dunque a
seguire la sua Torre lungo i corridoi.
Ora gli sguardi di tutti erano su di
loro. Se l’aura di
Koneko attirava l’attenzione dei più, quella di
Rias rendeva impossibile a
chiunque resisterle. Questo fatto era probabilmente dovuto al suo
enorme potere
demoniaco, ma in mancanza di precedenti, Koneko poteva solamente
supporre che
fosse così.
Quando le ragazze infine si fermarono
davanti l’aula di
Koneko, la più giovane indicò alla sua senior il
ragazzo attraverso le finestre
che davano sul corridoio.
“…Strano…”
Rias seguì
l’indicazione della sua Torre, individuò lo
sconosciuto che aveva indotto la sua Kohai a richiamarla durante la
pausa
pranzo, ed iniziò a fissarlo con attenzione. Era impacciato,
mangiava da un
pranzo al sacco fatto in malo modo e sembrava spaventato ogni volta che
qualcuno gli rivolgeva la parola. Il suo corpo non emanava ne aura
sacra, ne aura
profana, e davvero non capiva cosa avesse attirato
l’attenzione di Koneko.
“Fammi indovinare
Koneko-chan, è un nuovo studente
trasferito?”
La torre, con la solita espressione
impassibile, annuì.
“Ed è il suo
odore che non ti convince visto che non avverto
alcun potere in lui.”
La ragazza annuì di nuovo,
e Rias iniziò a soppesare le sue
opzioni. A causa dell’imminente matrimonio aveva bisogno di
un forte gruppo di
servitore per sfuggire al fidanzamento, e se quel qualcuno aveva un
odore così
strano da attirare l’attenzione di una Nekomata, allora forse
non era un
individuo comune.
Ma anche così,
l’aspetto banale del ragazzo ed il suo
comportamento impacciato, non sembravano adatti ad un guerriero.
Mettendo in
stallo la sua scelta, la ragazza dai capelli cremisi prese la sua
decisione.
“Bene, se ti insospettisce
così tanto, allora fallo seguire
dal tuo famiglio. Voglio sapere dove vive, chi incontra e soprattutto
se ha
qualcosa di particolare. Va bene?”
La ragazza sorrise, e la
più piccola annuì anch’ella,
ricambiando in maniera impercettibile il sorriso.
“…Si
Buchou…”
*********
E così anche il primo
giorno era passato. Le lezioni erano
state interessanti, i professori si erano dimostrati estremamente
preparati e
nell’aria non si respirava lo stesso livello di
ostilità a cui Midoriya era
abituato nella sua vita precedente.
Senza dubbio, la mancanza
dell’evoluzione genetica che
distingueva eroi e cattivi aveva aiutato questo mondo, o forse
è meglio dire
questa realtà, ad essere più tollerante verso il
diverso. Non esistevano due
schieramenti diametralmente opposti, ma solo una matassa multicolore di
diverse
persone.
Camminando per i corridoi della
scuola, con un sorriso
stampato in volto, il nuovo studente trasferito stava ora facendo un
giro dei
locali appartenenti all’accademia. Aveva tanto da vedere, da
visitare, da
esplorare e la sua innata curiosità gli impediva di
procrastinare oltre.
E così visitò
la biblioteca, le stanze dei club, i diversi
circoli culturali e perfino la palestra. La gente, ovunque andasse, si
dimostrò
gentile con lui, gli rivolse la parole ed arrivò perfino ad
offrirgli un posto
nel loro club, posto che lui gentilmente declinò decidendo
di dare una buona
occhiata in giro prima di unirsi a qualsiasi gruppo di persone.
Alla fine i suoi passi lo portarono
nei pressi della stanza
dedicata al Consiglio Studentesco. Lì si ritrovò
sull’uscio, indeciso se
entrare o meno, per ringraziare le gentile sempai che quella mattina lo
avevano
aiutato con la parte burocratica relativa al suo trasferimento.
Per un momento o due
esitò, ma alla fine, vista la porta
socchiusa e l’evidente cicaleccio all’interno della
stanza, si decise ad
entrare. Solo dopo aver bussato ovviamente. L’educazione
prima di tutto.
Una volta all’interno della
stanza si trovò di fronte ad una
scena piuttosto inusuale, un uomo ed una donna si trovavano seduti ad
un
tavolo, con un qualche tipo di gioco posto tra loro.
Tutt’intorno i membri del
consiglio borbottavano tra loro commenti e sorridevano derisori verso
il
ragazzo che sembrava sul punto di perdere la partita…
Midoriya, invitato dalla
vice-presidentessa Tsubaki ad
avvicinarsi osservò le fasi finali dell’incontro,
cogliendo più o meno in
generale le regole di quell’arcaico gioco. Una mossa a turno,
un tipo diverso
di movimento a seconda della pedina che si muoveva, e l’ovvio
obbiettivo di
mettere in stallo il Re avversario ed abbatterlo.
Scavando a fondo nella sua memoria,
riuscì a far emergere il
nome del gioco che nel suo mondo era entrato in disuso ormai da secoli.
La
Kaichou e lo studente del terzo anno stavano avendo una partita a
Scacchi.
O meglio, lo studente del terzo anno
giocava a scacchi, la
Kaichou a malapena guardava il campo di gioco mentre sfogliava ed
ordinava una
serie di carte che avrebbe dovuto portare a termine entro la giornata.
Ciò nonostante
la vittoria della presidentessa fu schiacciante, ed un grido di giubilo
si
sollevò dal resto del consiglio studentesco.
Una delle ragazze più
piccole, probabilmente una sua
coetanea, arrivò addirittura a sbeffeggiare il perdente.
“E con queste quante sono
Izuka-sempai? Dodici a zero per la
Kaichou? Nemmeno il finalista nazionale di scacchi può
vincere contro la nostra
presidentessa, nessuno può, lei è semplicemente
troppo brava!!”
L’uomo venne come trafitto
da una freccia invisibile a quel
commento, ma non ebbe la forza di replicare.
“Prima o poi
vincerò il tuo amore Sona-Kaichou!”
Senza aggiungere altro lo sfidante si
allontanò dalla
stanza, facendo tornare i vari membri del consiglio ai propri compiti.
Fu solo
in quel momento che Tsubaki, la vice-presidente che ti aveva dato
accesso all’aula,
si voltò verso di prestandoti attenzione.
“Midoriya-san, sono felice
di vederti, ti stai trovando bene
nel tuo primo giorno di scuola?”
Per un momento ti trovasti quasi
spiazzato dal drastico
cambio di scenario, un momento prima era in atto una partita basata su
strategia e flessibilità mentale, e quello dopo ognuno
sembrava tornato ai
propri compiti, con la presidentessa che ancora ordinava pile e pile di
scartoffie come se il gioco appena vinto non fosse stato altro che una
distrazione.
“Uhm… ah, si,
ero venuto qui a ringraziarvi. Tutti in questa
scuola sono gentili e mi sto trovando davvero molto bene.
Però Tsubaki-san,
posso chiedere cosa è appena successo? Questo è
per caso il gioco che viene
chiamato ‘Scacchi’?”
Midoriya domandò curioso,
sporgendosi un po’ per vedere la
scacchiera che veniva nuovamente ordinata come in procinto di
un’altra partita.
La vice-presidentessa ridacchiò alla domanda, quasi
reputandola infantile, ma
alla fine rispose con la grazia e la classe che si conviene ad una
donna nella
sua posizione.
“Esatto Midoriya-san,
questa è una scacchiera e la partita
appena disputata era di scacchi. Vedi, in questa accademia vige una
legge non
scritta per cui se a qualcuno non va bene una qualche decisione presa
dal
consiglio, può sfidare a scacchi la nostra presidentessa e
sovvertire la sua
decisione in caso di vittoria. Fino ad ora Sona-Kaichou ha disputato
219
partite, con una media di 219 vittorie. La gente ha perfino smesso di
venire a
sfidarla. Quello di oggi era un caso particolare però, quel
sempai voleva
vincere l’amore della presidentessa a tutti i costi.
È molto ostinato in
merito.”
Lentamente Deku
metabolizzò la notizia, guardando con
attenzione la scacchiera.
“Sarebbe possibile per me
fare una partita? Non ho mai
giocato prima, ma non so come mi intriga un gioco in cui
l’intelligenza conta
più dei muscoli.”
La vice-presidentessa
soppesò per un attimo la domanda,
annuendo poi cordialmente.
“Non
c’è motivo per cui tu non debba poter giocare, le
porte
del consiglio sono aperte a tutti, perfino ai neofiti. Tanto la Kaichou
è così
presa dai suoi impegni che non si renderà nemmeno conto
della partita. Siediti pure
Midoriya-san, ed inizia a giocare.”
Seguendo le istruzioni della ragazza,
Deku prese posto, ed
avendo la parte bianca della scacchiera fece la prima mossa. Un pedone
venne
spostato di una casella, e quasi un attimo dopo, la presidentessa fece
la sua
mossa, senza mai alzare il capo dalle scartoffie.
La partita andò avanti in
questo modo per un po’, con
Midoriya che prendeva confidenza con i pezzi degli scacchi e le varie
capacità
di ognuno di loro, e la sua sempai che lavorava alacremente mangiando i
suoi
pezzi più importanti.
Dopo dieci turni di gioco, la partita
sembrava segnata. Midoriya
era riuscito a mangiare solamente
quattro pezzi alla presidentessa, mentre a lui rimanevano unicamente
una torre,
due pedoni ed ovviamente il Re. L’intera schiera di pedoni
della Kaichou era
quasi intatta, ed il suo Re era pressoché rimasto immobile
fin dall’inizio dei
giochi.
A differenza del gioco precedente,
nessuno sembrava
interessato alla sua sconfitta, e dandolo per spacciato ognuno era
tornato ai
propri posti di lavoro. Ma proprio quando sembrò che ormai
non ci fosse più
speranza, Midoriya fece il miracolo.
Spostò la sua torre
portandola dal lato opposto della
scacchiera, e senza che nessuno neppure se ne accorgesse mise sotto
scacco il
Re, che si ritrovò impossibilitato a muoversi. La barriera
di pedoni e pedine
che aveva posto in sua difesa, si erano in realtà rivelate
un muro dal quale
non poter fuggire.
Per dirla in parole povere la Kaichou
si era messa in gabbia
e Deku si era limitata a chiudercela dentro.
Alzando lo sguardo
sull’orologio posto all’altro capo della
stanza, Deku sospirò, strofinandosi la testa.
“È stata davvero
una bellissima partita, spero che potremo
giocare ancora insieme Kaichou. Ora mi dovete tutti scusare, ma devo
tornare a
casa, ho della spesa da fare.”
Midoriya si inchinò ai
membri del consiglio, che presi dai
loro impegni avevano dato per scontato la sua sconfitta. Solo la
Kaichou, per
la prima volta in tutto il gioco, si ritrovò ad osservare
sbalordita la
scacchiera. I suoi occhi erano dilatati fino all’inverosimile
e le mani quasi
tremavano mentre stringeva i fogli relativi ai fondi destinati ai club.
“Ho
perso…”
La donna lo sussurrò a
voce bassa, quasi impercettibile, ma
se anche questo fosse passato inosservato, nessuno degli altri diavoli
presenti
avrebbe potuto ignorare l’ondata di potere demonico che prese
a vorticarle
intorno.
“L-Lui mi ha
battuta… io… io ho perso.”
A quel punto, il resto del consiglio
si avvicinò. Osservò la
scacchiera, sentì le parole della Kaichou, ma molti
faticarono anche solo ad
immaginare la propria presidentessa perdere. Ci volle qualche minuto
perché il
fatto entrasse nella testa di tutti e poi vennero le urla.
“””EHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!?”””
“La Kaichou ha
perso?!”
“Chi era quel ragazzo,
sembrava un pivellino!”
“Ci deve essere un errore,
la Kaichou era senza dubbio
troppo presa dai suoi impegni!”
In mezzo a tutto il trambusto nessuno
vide la presidentessa
alzarsi e lasciare l’aula. Nessuno vide il suo sorriso e le
sue gote
leggermente arrossate.
Finalmente aveva trovato qualcuno in
grado di batterla al
suo gioco.
Finalmente aveva trovato
l’uomo nato apposta per lei.
************
Deku si fece strada per
la via ormai sfoltita di studenti e passanti, facendo il resoconto
della
giornata. Si era iscritto in una scuola di altissimo livello, aveva
trovato
compagni di classe simpatici e professori preparati, si era forse fatto
qualche
amico nel consiglio studentesco ed aveva imparato a giocare ad un gioco
davvero, davvero figo.
La sua mente ancora pulsava
dolorosamente a causa dello
sforzo psicologico dovuto alla partita. Non era stato facile trovare
una via
per la vittoria, soprattutto vista la sua inesperienza nel gioco e nei
suoi
segreti, ma in qualche modo, alla fine, era riuscito a vincere.
Non si può certo dire che
la cosa non lo gonfiasse d’orgoglio,
ma tolto questo non era mai stato un tipo vanitoso, sapeva di aver
vinto solo
per un colpo di fortuna e che una seconda volta non sarebbe stato preso
sotto
gamba. Nonostante questo però, quel tepore dovuto alla
vittoria non accennava a
diminuire.
Sbadigliando grossolanamente, il
ragazzino di appena
quindici anni riprese i suoi passi verso casa, pensando a cosa avrebbe
mangiato
per cena. Il suo frigorifero piangeva tanto era vuoto, e sapeva fin da
ora che
il rientrare in una casa vuota e sterile sarebbe stato un trauma per
lui, ma
davvero non poteva fare altrimenti.
Viveva con quel poco che riusciva a
vincere alle corse dei
cavalli, senza mai azzardare troppo per non rimanere con nulla. Non era
esattamente
un genio della statistica sportiva, ma grazie ad una certa benedizione
ricevuta
tempo prima, la fortuna era quasi sempre dalla sua.
Quando dico quasi sempre, intendo
dire che purtroppo a volte
neanche tutta la fortuna del mondo può salvarti da una scena
scabrosamente
inquietante come quella che ti si palesa davanti agli occhi quando,
passando
attraverso il parco per tagliare ed arrivare a casa, ti trovi ad
osservare un ragazzo
in ginocchio, con una specie di lancia luminosa nello stomaco, ed una
donna
semi-nuda che volteggia su di lui ridendo pazzamente.
Una volta scene del genere, nel suo
mondo, sarebbero state
normali, quasi la consuetudine se si pensa al numero di Eroi e Cattivi
esistenti, ma ora… beh ora non poteva lamentarsi, la sua
fonte lo aveva
avvertito che qualcosa del genere sarebbe potuta accadere e che anche
in questo
mondo esistevano presenze sovrannaturali, solo non si sarebbe aspettato
di
incrociarle il primo giorno di scuola.
In un attimo il torpore in tutto il
suo corpo sparì, i suoi
muscoli si riempirono di forza non sua, mentre spiccava un salto in
avanti per
frapporsi fra un Malvagio ed un Innocente. Il salto gli fece superare i
venti
metri che lo separavano dalla scena, dandogli modo di approfittare
dell’effetto
sorpresa. Il One For All, potenziò il suo pugno oltre i suoi
limiti mentre lo
affondava nello stomaco della strana ragazza volante.
E poi?
Beh, poi la sua gambe si ruppe per lo
stress, il suo pugno
si frantumò come già tante altre volte prima, e
si ritrovò a precipitare verso
il suolo con quello che in seguito scoprirà essere un angelo
caduto. Quanto
meno il suo colpo, lanciato con la potenza di tredici uomini, aveva
sortito un
qualche tipo di effetto, e la donna volante, una volta raggiunto il
suolo,
boccheggiava e sbavava alla ricerca di aria.
Il dolore nel corpo di Deku era
incalcolabile, ma non era
peggio che affondare in un buco nero, e soprattutto non era peggio che
uscirne
sotto forma di passata di pomodoro. Con la gamba rimanente si costrinse
in
piedi, il braccio inabile gli penzolava inerte di fianco al petto, ma
l’altro
pugno era già di nuovo carico e pronto a colpire.
Questa volta non usò tutto
il suo potere, non aveva bisogno
di uccidere la donna, non era quello il compito di un Eroe, doveva
semplicemente farle perdere i sensi e poi soccorrere il civile in
difficoltà.
Articolo 1
della carte
degli eroi: Un eroe non uccide se non strettamente necessario.
Recitando a memoria quello che per
lui era stato un mantra
un tempo, colpi ancora ed ancora la ragazza al viso, fino a farle
perdere i
sensi. Il suo polso si era lussato a causa dei colpi, ma aveva potuto
evitare
la frattura che invece affliggeva ancora l’altra mano.
Una volta sicuro di aver
neutralizzato il bersarglio, Deku
strappò per buona misura un’ala alla ragazza,
avviandosi poi verso l’ancora
agonizzante ragazzo, che si scoprì essere uno studente della
sua stessa scuola.
“Ehi, ehi! Rimani sveglio,
sto chiamando un’ambulanza!”
Con una mano lussata ed un telefono
non proprio in buone
condizioni, Deku chiamò i soccorsi, ma prima ancora che
potesse dare l’indirizzo
di dove trovarli, una luce rossa cremisi lo abbagliò,
facendogli abbassare il
telefono.
Quasi si aspettava un ulteriore
attacco da parte di qualche
nemico, quando invece a raggiungerlo fu solo la sua compagna di classe
dai
capelli bianchi, spuntata misteriosamente da un sigillo magico comparso
al
suolo.
“…
Dovrò chiamare Buchou…”
Non aggiunse altro, solo lo
fissò. E lo colpì.
Il pugno era possente, quasi quanto
quello che lui aveva
riservato all’angelo caduto.
E bastò solo quello a
fargli perdere i sensi…
… Ancora una volta. (1)
1:
Ebbene si, il mio personaggio è stato bullizzato fin da
bambino, iscritto in una scuola di eroi psicopatici, convinto in
qualche modo a
sacrificare se stesso finendo in un buco nero, sfuggito a quel buco
nero solo
per scoprirsi passata di pomodoro, ed infine pestato per aver tentato
di
salvare un ragazzo innocente.
Vorrei
a questo punto che il popolo tutto dei lettori si
unisse al mio comitato per la salvaguardia dei personaggi principali!
Questo
autore abusa di noi, ci maltratta, ci fa far male
e ci ridicolizza!
Ancora
una volta!
One For All!
NdA: Sessione
d’esami > Stress > One Shot Che Chiunque
conosca Highschool DxD o Boku No Hero Academia, può
continuare.
Ps: Non è stata betata
Pps: One For All, il potere che Midoriya ha ereditato da All Might, è un accumulo di potere che si passa di genereazione in generazione. Da eroe ad eroe. In questo momento Midoriya ha la possibilità di usare la forza di 13 uomini, ma questo ovviamente è uno stress che il suo corpo non può reggere, e che gli procura atroci ferite.
Ppps: Deku vuol dire deboluccio,
deficente, o simili.
Have a Nice Day