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Autore: Angelauri    20/06/2015    13 recensioni
La vita di Austin è stata già programmata fin nei minimi dettagli.
Suo padre ha deciso per lui.
Ma se all'inizio Austin sembra accettare quel futuro già scritto, un incontro potrebbe stravolgere la sua vita per sempre.
E così arriverà per lui il momento di scegliere per cosa combattere.
*********************
- Tutto bene? - chiesi avvicinandomi.
I suoi occhi color cioccolato sembrarono volermi fulminare lì sul posto.
- Mi hai quasi investita! Te ne rendi conto? - esclamò lei - E mi chiedi anche se è tutto okay?! -
*******************
- Ma tu cosa vuoi davvero? - chiese.
- Forse lo devo ancora scoprire... - risposi.
*******************
- Sono un casino vivente. - disse, le sue labbra sempre più vicine alle mie - Potrei incasinarti. -
Sorrisi anche io.
- Sai, a volte serve qualcuno che ti stravolga la vita. - ribattei.
*******************
- Ti prego, promettimi che non mi cercherai più. - sussurrò.
- Non puoi chiedermi questo. -
- Lo so che in questo momento mi odi, ma mantieni questa promessa. -
*******************
"E il mio cuore è troppo ubriaco per guidare
Dovrei stare lontano da te stasera
Ma in questo stato blackout della mente
Baby tutto quello che voglio stasera sei tu"
******************
A volte devi abbandonare la vita che avevi pianificato per avere quella che ti aspetta.
Ma tu hai il coraggio di scegliere?
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ally Dawson, Austin Moon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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On my way

05 Settembre 2014

- Si informano i gentili passeggeri che l'aereo diretto a Boston inizierà a breve le procedure per il decollo. Si prega di prendere i propri posti e di prepararsi al viaggio, grazie. - informò una delle hostess, attraverso l'altoparlante.

Trovai finalmente il mio posto, accanto al finestrino, e mi sedetti.
L'aeroporto era in periferia, lontano dalle luci e dalla frenesia del centro di Los Angeles.
Mi sentivo a disagio, come se non dovessi stare lì in quel momento. E, in effetti, non ci sarei mai voluto stare.
No, non era la paura di volare, purtroppo.
Era qualcosa di peggio : era la consapevolezza di star facendo la cosa sbagliata.
Ma ormai la decisione era stata presa, anche se non ero stato io a farlo.
Mio padre sistemò la sua valigia nell'apposito scompartimento, con quel suo solito atteggiamento sicuro di sé e autoritario; mamma lo seguiva, ma il suo sguardo era diverso, dolce e quasi dispiaciuto.
Anche se non mi aveva difeso, non potevo non volerle bene : in fondo, lo sapevo che non sapeva contraddire mio padre, non ci era mai riuscita. Non capivo cosa la bloccasse, se il timore di lui o il voler mantenere unita la famiglia, e probabilmente lei non me ne avrebbe mai parlato. In tutti questi anni non lo aveva mai fatto e non mi aspettavo cambiamenti.
Proprio una bella coppia, pensai, lei non parla e lui non ascolta.
Tirai fuori dalla tasca il cellulare e controllai se qualcuno mi aveva cercato. Solo un messaggio di Dez : "In bocca al lupo, amico!".
Lui almeno ci aveva provato a fare qualcosa, aveva addirittura nascosto il mio passaporto per impedire a mio padre di portarmi dall'altra parte dell'America. Il piano era fallito, ma non scorderò mai la faccia infuriata di mio padre.
Anche loro si sedettero, di fronte a me.

- Sono felice che tu abbia cambiato idea, figliolo. - commentò lui - Sapevo che alla fine non ti saresti comportato da sciocco e che avresti ascoltato i miei consigli. -

Lo guardai : gli occhi freddi, di un azzurro gelido, i capelli scuri tagliati corti e in perfetto ordine, in giacca e cravatta, come sempre.
Quasi mi rassicurava pensare che non gli assomigliavo per nulla.
E mi faceva stare meno male sapere che era proprio questo che detestava : non potermi controllare.

- Io non ho cambiato idea. Lo sai perfettamente. - dissi - Non sarei qui se non fosse per te. -

Spostai lo sguardo da tutt'altra parte : non riuscivo a sopportare la soddisfazione nei suoi occhi.

- Lo sai che stiamo andando a Boston per il tuo futuro. - ribatté.

Non risposi.
Ne avevo abbastanza dei suoi discorsi, dei suoi ideali, di quelle sue parole così false.
Non sarei diventato come lui. Lui, che era sempre stato un grande oratore, che aveva portato la sua fondazione al successo, arricchendosi sempre di più.

- E per fortuna hai anche dimenticato quella stupida ragazzina. Com'è che si chiamava? Ally? - continuò - Non mi è mai piaciuta, con quel suo carattere ribelle e da bambina. -

Guardai mamma, che mi pregava con lo sguardo di non reagire, di resistere anche a quello.
Strinsi i pugni. Mia madre aveva sofferto fin troppo per quella situazione.
A lei piaceva Ally : aveva sempre apprezzato quella sua voglia di cambiare il mondo. Ma non l'aveva mai detto, per non contraddirlo.

- Vedrai che l'università ti piacerà. Medicina è così interessante! - commentò lei, cercando invano di consolarmi.

L'università mi sarebbe dovuta piacere, non avevo scelta.
Il nonno era stato un eccellente cardiochirurgo, papà era un famoso neurochirurgo. Era un mio dovere diventare un medico, esattamente come loro. E, una volta più grande, dopo la specializzazione, sarebbe stato un mio dovere occuparmi della Fondazione Moon, che si occupava di tutta la parte amministrativa dei suoi ospedali.
Un futuro perfetto e organizzato, preparato fin nei minimi dettagli, che io però non volevo.

- E pensare che per poco non rovinavi tutto con quella bravata con la tua ragazza. - borbottò lui - Ma che ti è saltato in mente?! Menomale che ho grande influenza sui membri del consiglio... Ti volevano togliere la possibilità di farne parte, lo sai? -

Un sorriso comparve sul mio volto, al solo ricordo di Ally.
Era solo grazie a lei se ero riuscito a capire veramente quello che volevo.

- Non c'è niente da ridere. - aggiunse - Non puoi permetterti più mosse false. -

Ormai avevo smesso di ascoltarlo, soffocato sempre di più da tutte quelle scelte che erano state già fatte al posto mio. Ero come un burattino, manovrato da altri, impossibilitato a fare scelte e a muoversi liberamente.

- Si comunica che stiamo per iniziare il decollo. - disse l'hostess - Vi auguriamo buon viaggio. -

Mi alzai di scatto.

- Aspetti! - esclamai.

Io non volevo essere un burattino.

- Che credi di fare? - sibilò mio padre con sguardo severo.

Io volevo avere la possibilità scegliere.
Presi la mia valigia e gli passai davanti senza guardarlo. Mi voltai solo verso mia madre.

- Mi dispiace. - sussurrai.

Il suo sguardo era triste, conscio di quello che stava per accadere, ma in qualche modo sembrò anche incoraggiarmi.

- Mi scusi. - continuai, rivolgendomi a una delle assistenti di volo - Io devo scendere. -

- Austin Moon, torna subito qui! - anche mio padre si era alzato - Sai bene cosa ti aspetta a Boston : un lavoro, la ricchezza, l'intera fondazione! Non fare lo stupido errore di non venire con noi. -

- Papà, per te chiunque non faccia quello che dici tu, sbaglia! - ribattei - Credi che quello che vuoi tu sia la cosa giusta. Magari lo è per te, ma non lo è per me! -

Il suo sguardo non cambiava di una virgola. Nessuno gli aveva mai fatto cambiare idea.

- Signore, mi scusi. - intervenne la hostess - Ma se vuole scendere, deve farlo adesso. -

Mi rivolsi di nuovo a lui. Dovevo almeno provarci.

- Io non voglio diventare un chirurgo. Io non voglio tutto questo. -

- E allora cosa pensi di fare, eh? - chiese, sempre più arrabbiato.

Gli occhi di tutti erano su di noi, ma a me non importava. Dovevo combattere per quello che volevo.

- Non lo so, ma lo scoprirò. - risposi - Tu lasciami vivere, lasciami fare errori, lasciami essere quello che sono. -

Ma ovviamente le mie richieste furono ignorate.

- Vieni a sederti, immediatamente. -

Scossi la testa e mi avvicinai verso lo sportello dell'aereo.
Avevo fatto la mia scelta.

- Sappi che se scendi da questo aereo, puoi anche scordarti di avere una famiglia. - ribatté, freddo.

Mi fermai.
Ero stato proprio uno stupido a credere che potesse capirmi, per una volta.
Strinsi la presa sulla valigia e scesi.

***********

Con l'auto sfrecciavo veloce per la strada deserta, lasciandomi alle spalle l'aeroporto e squarciando la quiete della sera. I lampioni illuminavano malamente il percorso, donandogli un aria vagamente spettrale : per quella strada secondaria immersa nel nulla non passava quasi nessuno, soprattutto perché implicava una decina di minuti in più di viaggio rispetto a quella principale. Sorvolai più volte il limite di velocità, ma dato che avevo via libera e che avevo la testa su tutt'altro pianeta, non me ne curai molto.
Come avevo anche solo potuto credere che papà mi avrebbe capito? Che mi avrebbe supportato in qualcosa che lui non voleva?
Era da mesi che speravo che accadesse qualcosa in lui. Non so cosa, forse una specie di illuminazione... Mi sarebbe bastato anche solo che provasse a capirmi.
Penso che anche solo un tentativo da parte sua mi avrebbe fatto stare meglio.
Magari non sarebbe cambiato nulla, o magari sarebbe cambiato tutto. Chi lo sa?
Ma ormai era inutile sperare, anche solo per non soffrire di più. Perché sì, a volte i sogni colpiscono più forte della realtà e a me non serviva davvero un altro colpo basso.
L'aria mi colpiva in viso, pungente, e mi scompigliava i capelli, ma non mi curai di chiudere la capote dell'auto. Per quanto la bella stagione stesse per finire, Los Angeles era ancora nel pieno dell'estate, con le sue luci sempre accese, viva anche di notte.
Probabilmente l'aereo era già partito da un pezzo, mentre io mi ritrovavo in una stradina dispersa, senza una meta precisa. Avrei potuto viaggiare così per tutta la notte, senza sapere dove andare.
Ed era strano provare a vivere senza un domani pianificato, senza certezze, ma era allo stesso tempo fantastico provare l'ebrezza dell'incertezza. Una sensazione che faceva paura, ma che volevo avere il coraggio di vivere.

"My words are wrapped in barbwire
My actions speak for what I can't say
'Cause I fall one step forward
To push you away, push you away"

"Le mie parole sono avvolte nel filo spinato
Le mie azioni parlano per quello che non posso dire
Perché cado mentre faccio un passo avanti
Per spingerti via, per spingerti via"

E quella sensazione mi ricordava lei.
Lei che un piano non ce l'aveva mai avuto, ma che sognava di viaggiare il mondo e di cambiarlo.
Forse all'inizio fu proprio la sua particolarità, la sua vita così diversa dalla mia ad attrarmi.
Da quando era piccola, la sua esistenza era stata un continuo di eventi straordinari. Dopo la morte precoce dei suoi genitori, a soli otto anni decise che avrebbe vissuto la sua vita fino in fondo, combattendo per i suoi ideali.
Una volta mi raccontò che scappò dalla casa dei suoi nonni a soli quindici anni, quando tutti dormivano, per arrivare fino a Santa Monica e fare un bagno a mezzanotte in quelle acque cristalline; riuscì a tornare a casa la mattina presto e nessuno si accorse della sua avventura notturna.

- A quell'età, la mia idea di avventura era una cosa del genere. - mi disse poi ridendo - Ora però sogno molto più in grande... -

Mi bastò conoscerla un po' di più per capire quanto fosse quello di cui avevo bisogno.
E quando l'ho capito, la mia vita è cambiata.
Tra noi c'era stato qualcosa di particolare sin dal nostro primo incontro, che, diciamocelo chiaramente, non fu proprio perfetto...

 

23 Gennaio 2014

L'ufficio di papà era il più grande dell'intero edificio e si trovava al piano più alto della sede principale della Fondazione Moon, un grande palazzo nel centro della città.
Il suo studio era una stanza spaziosa e rettangolare, tutta sui toni del grigio e del nero; una grande scrivania troneggiava nel centro della stanza e sopra di essa giacevano un portatile e vari fogli da leggere e firmare. Le pareti non erano addobbate da foto o quadri, ma c'erano diverse mensole colme di libri, la maggior parte di medicina.
Ricordo che da piccolo mi piaceva stare lì dentro, anche se mi era proibito giocare : tra tutte quelle stanze, le sedie girevoli e i computer, mi divertivo come se fossi un esploratore nella giungla.
Avevo passato così tanto tempo in quel posto...
Eppure, in quel momento avrei preferito trovarmi da tutt'altra parte.

- Austin, mi stai ascoltando? - chiese mio padre, serio.

Ecco, forse mi ero perso la prima parte del discorso, ma tanto era sempre lo stesso. Ormai sapevo le parole a memoria.

- Sì, stavi parlando di Harvard. - risposi.

- Ho spedito personalmente la richiesta di iscrizione, stamattina. Le risposte non arriveranno prima di qualche settimana, ma non ci sono dubbi sul fatto che ti accetteranno. - comunicò.

- Ma io non sono ancora sicuro sull'università, papà. - dissi, abbassando lo sguardo.

- E che dubbi avresti, scusa? - ribatté senza darmi il tempo di rispondere - Harvard è una delle migliori università e tu ti devi laureare in medicina per diventare poi capo della fondazione. A me non sembra che ci sia altro a cui pensare. -

- Sì, hai ragione. - affermai con un sorriso.

Lui mi congedò poco dopo e, quando uscii dal portone di ingresso, fu come tornare a respirare.
Salii in auto e presi la strada per tornare a casa, per rituffarmi nello studio : se volevo far buona impressione al consiglio, l'ultimo anno di liceo doveva essere impeccabile. Avrei dovuto concentrarmi di più, essere meno distratto, e ottenere i voti migliori.
In fondo, Harvard era pur sempre Harvard. E mio padre aveva ragione a dire che era un onore esservi ammessi. Se il mio futuro era di fare il medico, avrei voluto almeno essere bravo nel mestiere.
La strada era poco trafficata, dato che era ora di pranzo, e guidavo tranquillamente, quando squillò il telefono. Probabilmente era Dez. Cercai a tastoni il cellulare sul posto accanto a quello del guidatore, ma non lo trovai. Così dovetti abbassarmi e controllare che non fosse finito sotto il sedile. L'avevo appena preso in mano, quando notai una chioma castana apparire davanti a me e frenai di scatto.
L'auto protestò facendo un rumore particolarmente sgradevole, ma si fermò in tempo.
Feci un respiro e lasciai perdere il telefono, per andare a controllare che la persona comparsa all'improvviso stesse bene.
Davanti a me, la ragazza dai lunghi capelli scuri era caduta dalla bici per lo spavento e cercava di rialzarsi. Una custodia di un violino era per terra e, aperta, mostrava al suo interno lo strumento danneggiato : la bici ci era caduta sopra.

- Tutto bene? - chiesi avvicinandomi.

I suoi occhi color cioccolato sembrarono volermi fulminare lì sul posto.

- Ma dico - cominciò piuttosto irritata - ti sembra tutto okay?! -

Dire che era arrabbiata sarebbe stato un eufemismo.

- Ho capito, è una domanda stupida. - borbottai tra me e me.

- Mi hai quasi investita! Te ne rendi conto? - ora stava alzando parecchio la voce - E mi chiedi anche se è tutto okay?! -

Non so se fosse per la bici rosa, o per la figura minuta della ragazza, ma non mi sarei mai aspettato niente del genere. Avevo comunque torto marcio e lei era sicuramente spaventata, quindi non ribattei.
La situazione peggiorò ulteriormente quando si accorse dello strumento a terra.

- Il mio violino... - sussurrò prendendolo da terra.

Sulla custodia, un cartellino con il nome della proprietaria : Ally Dawson.

- Mi dispiace. - dissi solamente.

- Ti dispiace, certo. - continuo con tono evidentemente ironico - Sarai stato sicuramente al telefono o qualcosa del genere. Voi ricconi con le belle macchine non sapete nemmeno guidare! -

Non dissi più nulla.
La ragazza rialzò la bici e dopo avermi guardato male l'ennesima volta, se ne andò.

 

05 Settembre 2014

A pensarci bene, non fu tanto la sua sfuriata a colpirmi, ma il suo sguardo.
Era truce in quel momento, certo, ma in quei pochi secondi i suoi occhi mi avevano trasmesso molto di più di quanto altri avessero mai fatto.
E pensare che nel giro di qualche giorno non pensai più a lei.
Sapendo il suo nome, cercai solo il suo indirizzo su internet e, dopo aver comprato un nuovo violino, glie lo inviai insieme ad un biglietto di scuse.
Ormai consideravo la faccenda chiusa.
Quanto mi sbagliavo...

"I wish that I could listen
To all the advice that I give away
But it's hard to see things clearly
Through all of the pain, all of the pain"

"Vorrei che avessi ascoltato
Tutti i consigli che ho dato via
Ma è difficile vedere le cose chiaramente”
Attraverso tutto il dolore, tutto il dolore"

Mi sorprese quanto lei mi avesse capito in poco tempo.
Una storia, un desiderio e lei sapeva già quello che nessun altro riusciva a capire di me.
Intanto, le stelle comparivano una dopo l'altra nel cielo e sembravano più luminose da qui, dove nessun'altra luce rubava loro la scena.
Una volta Ally mi disse che, quando aveva bisogno di riflettere, usciva fuori nel giardino di casa sua e si stendeva sul prato, per ammirare le stelle.
Più la imparavo a conoscere, più lei mi rivelò i posti che le piacevano di più a Los Angeles : il giardino di casa sua, la grotta sulla spiaggia, il parco St. Mark.
Già, quel parco... È stato lì che ci siamo incontrati la seconda volta.

 

19 Febbraio 2014

In casa mia c'erano tre momenti particolarmente importanti della giornata : la colazione, il pranzo e la cena. Non perché si mangiasse, ma perché erano gli unici momenti in cui c'era l'eventualità che ci ritrovassimo tutti nella stessa stanza, io, mamma e papà. Nonostante ciò, capitava spesso che io saltassi la colazione per non fare tardi a scuola e che mio padre pranzasse a lavoro.
Ma quella domenica di Febbraio eravamo tutti in sala da pranzo, una delle stanze più grandi della casa. a gustarci il delizioso pasto preparato da Isabel, la domestica. Il lungo tavolo in legno occupava il centro della stanza, anche se poche volte era capitato che avessimo molti ospiti : eravamo quasi sempre solo noi tre. E non c'erano mai grandi conversazioni tra noi : si parlava della fondazione, di scuola, degli hobby di mamma...
Quel giorno però c'era una novità.

- Ho una bella notizia. - disse mio padre, con un sorriso accennato.

Era insolito vederlo così felice ed io e mamma ci scambiammo un'occhiata curiosa.

- È arrivata la lettera da Harvard. - continuò - E sei stato accettato. -

Il mio entusiasmo scomparve definitivamente : più il tempo passava, più mi accorgevo che forse quella scuola non era giusta per me.
Mia madre invece cominciò a congratularsi con me, con un sorriso orgoglioso sul volto.

- Bravo tesoro. -

Annuii poco convinto.

- Beh, perché quella faccia? - domandò lui.

- Ecco io, non sono sicuro di voler andare a vivere da un'altra parte. - risposi, guardandolo negli occhi.

- Tesoro, noi verremo a Boston con te. - ribatté mia madre - C'è un'altra sede importante della fondazione, lì. -

- Non è per questo. Io... -

- E allora qual è il problema? - mi interruppe lui infastidito - Possibile che tu non riesca a capire quanto questo sia importante? Dovresti essere felice. -

Non dissi nulla, ma sentivo il suo sguardo scavarmi dentro.

- Sarai capo della fondazione! - aggiunse - Non sai quanti ragazzi vorrebbero il tuo posto! -

- Lo so... - dissi - Ma se io non lo volessi? -

Il suo sguardo mi fece stare anche peggio. Sembrava esserci solo delusione nei suoi occhi.

- Non hai mai pensato che io potessi desiderare qualcos'altro? -

Mamma teneva lo sguardo basso e si escludeva dalla discussione. Quante volte avrei voluto che dicesse anche solo una parola... Una sola mi sarebbe bastata.

- A settembre andremo a Boston. Tu studierai medicina lì. Il discorso è chiuso. - concluse lui, con voce ferma ed autoritaria.

Strinsi i pugni e mi alzai di scatto, mi diressi alla porta e uscii.
Il discorso era chiuso, ma io ero almeno riuscito a dire la mia, in qualche modo.
Cominciai a camminare, cercando di riscaldarmi col movimento dal freddo pungente. Era una tipica giornata di inverno, con un sole timido che faceva capolino da dietro le nuvole. Per strada c'era poca gente.
All'inizio pensai che fosse perché era ora di pranzo, ma poi notai che c'era un gran gruppo di persone poco più avanti. Incuriosito, mi avvicinai, sentendo aumentare ad ogni passo il rumore che il misto di chiacchiere e grida provocavano.

- È una cosa ingiusta! - sentii urlare.

- Non potete farlo! -

Erano tutti nel parco St.Mark e dopo aver letto qualche cartello e aver sentito qualche commento detto a voce troppo alta, capii che si trattava di una protesta.
C'erano perfino le telecamere di Channel 7 e un'inviata che spiegava la situazione.

- Siamo in diretta dal St.Mark Park, dove la gente protesta per l'imminente costruzione di un edificio. - diceva, cercando di tenersi lontano dalla massa di persone - Questo parco infatti dovrebbe venir demolito tra poche ore, in modo che dopodomani possano iniziare la costruzione di uno studio privato. Qui, però, sembrano tutti contrari a lasciar andare questa parte importante della città. Ma sentiamo uno dei protestanti... -

Il St.Mark non era un parco molto grande e non era sicuramente uno dei più grandi della città, ma anche io ci avevo passato molti pomeriggi.
C'era praticamente da sempre.
Con le sue vecchie altalene e gli scivoli ingrigiti, era uno dei posti preferiti di grandi e piccoli.
E si vedeva : tra la folla c'erano persone di tutte le età.
Stavo cercando di avvicinarmi ancora un po', quando notai che la ragazza che stava parlando con l'inviata di Channel 7 aveva un'aria vagamente familiare.
I capelli erano leggermente schiariti sulle punte, ma gli occhi e la voce erano gli stessi. Con un paio di jeans e un semplice maglione rosso guardava nella telecamera e parlava come una giornalista professionista.

- Siamo tutti legati a questo parco, ognuno di noi ci ha passato l'infanzia. E non permetteremo che venga distrutto dalla Fondazione Moon per far costruire uno studio privato. - esclamò con sicurezza.

Non sapevo nulla di questo progetto della fondazione, ma ciò non mi stupì : io non venivo quasi mai informato. Ero tuttavia interessato a vedere cosa sarebbe successo. In fondo, quel parco era importante anche per me.

- C'è una quercia che ha oltre cento anni in questo parco e, da quando ricordo, ci sono stati almeno quattro matrimoni sotto di essa. - continuò - Come si può voler distruggere una cosa così ricca di ricordi? -

Anche da lontano notai quel fuoco nei suoi occhi, lo stesso fuoco che mi aveva così colpito al nostro primo incontro.
E mentre l'inviata tornava a parlare alla telecamere, Ally si allontanò, dirigendosi con altre persone all'interno del parco. Li seguii, curioso. Solo quando mi fermai notai quanti ragazzi ci fossero : molti di essi erano ai piedi degli alberi, altri erano addirittura sui rami. Era chiaro : non avrebbero permesso che il parco venisse distrutto.
Cercai tra gli altri Ally, che ormai avevo perso di vista. Lì per lì non diedi molta importanza al fatto che era una persona con cui avevo parlato una volta sola, in una circostanza poco piacevole : ero semplicemente interessato a lei.
Fermai una ragazza dai lunghi capelli biondi e le chiesi dove potessi trovarla; lei mi indicò la grande quercia, consigliandomi di andare lì. Quell'albero era sicuramente il più alto di tutto il parco e, dato che spiccava tra gli altri, non mi fu difficile raggiungerlo; lì si concentrava la maggior parte della gente, ma riuscì a distinguere un maglione rosso su un ramo. Ecco, io non ero proprio un asso nell'arrampicarmi, ma riuscii comunque a sedermi su uno dei rami più bassi.
Lei era poco più in alto, ma non mi aveva neanche notato.

- Ragazzi. - era la ragazza dai lunghi capelli biondi a parlare - Quei rami non sono sicuri, dovete scendere! -

Si riferiva ai rami più alti, che in effetti non erano proprio il massimo della sicurezza... Così, quelle quattro o cinque persone dovettero scendere sui rami più bassi.
E, non so se succedette per fortuna o per un'effettiva mancanza di rami sicuri, Ally scelse proprio il mio ramo.

- Ti dispiace se mi metto qui? - chiese con tono gentile.

- Nessun problema. -

Si sistemò accanto a me, che ero praticamente attaccato al tronco per non cadere, e solo dopo qualche secondo si accorse di chi fossi.

- Non ci posso credere! - esclamò, roteando gli occhi - Tu che ci fai qui? -

- Non pensavo fosse una protesta privata. - ribattei.

Sospirò.

- Beh, allora preparati. Sarà una cosa lunga... -

Non so quanto tempo passammo su quella quercia in silenzio. Un'ora o due, forse.
C'era come una grande attesa nell'aria : si aspettava che i lavori venissero annullati.
La gente parlava, agitava cartelli, rispondeva alle domande dei giornalisti; alcuni si erano portati persino da mangiare.

- Se devo restare qui, lo farò a pancia piena! - si erano giustificati.

Intanto gli operai che si sarebbero dovuti occupare della demolizione erano arrivati, ma nessuno osava accendere i macchinari. Finché la folla non se ne andava, non potevano cominciare i lavori.
Senza nulla da fare, mi ritrovai ad osservare Ally di nascosto : i lineamenti delicati, le labbra rosee, gli occhi che alla luce sembravano diventare quasi color nocciola. Era di una bellezza singolare, di quelle che non ti stanchi mai di guardare.
Seguiva dall'alto della sua posizione tutto lo svolgimento della manifestazione.

- Non ti ho mai visto ad una delle assemblee. - disse ad un certo punto - Come mai sei qui quando potresti benissimo essere in giro con la tua bella auto? -

Dal suo tono, sembrava ancora arrabbiata.

- Sembro davvero così superficiale? - chiesi ridendo - Sono qui perché anche io tengo a questo parco. Così, quando ho saputo che cosa stava succedendo, mi sono unito a voi. -

Sorrise per la prima volta da quando la conoscevo.

- Non è che sembri superficiale, è che di solito i ragazzi come te sono tutti uguali. - spiegò - Comunque, io sono Ally. -

- Io sono Austin. -

Ci fu di nuovo silenzio.
Ma sembrò quasi che la storia dell'incidente fosse dimenticata. Almeno così speravo.

- Sai, quando ho saputo che la Fondazione Moon avrebbe fatto una cosa del genere, ho deciso di organizzare manifestazione. - mi rivelò - Se si fosse trattato di un ospedale, o di una cosa simile, forse sarebbe stato diverso... Ma loro vogliono distruggere un posto così importante per queste persone solo per costruire uno studio privato, che probabilmente non userà nessuno per i costi troppo elevati. E così diventerà un edificio inutile e presto, quando lo studio chiuderà, tutto questo sarà stato distrutto invano. -

La guardai con attenzione : sembrava davvero legata a questo posto.

- È importante per te, vero? - domandai. - Il St.Mark, intendo. -

Il suo sguardo sembrò viaggiare tra ricordi lontani.

- Ci venivo sempre con i miei genitori, quando ero piccola. Ed ora che non ci sono più, quando vengo qui mi sembra quasi che siano di nuovo con me. - rispose con un sorriso malinconico - E ora non permetterò che quelli della Fondazione facciano quello che gli pare. Sai quanti altri posti così hanno fatto demolire per costruire ciò che volevano? Quattro negli ultimi tre anni. -

Mi sentivo davvero uno stupido. Io sarei dovuto diventare il capo della Moon, ma non sapevo nemmeno cosa stesse facendo...

- Quando è troppo, è troppo. - continuò - E loro sono solo delle persone senza cuore che se ne fregano degli altri e pensano solo a loro stessi. -

La situazione cominciava a mettermi un po' a disagio. Ecco, io non centravo in quella storia, ma ero comunque un quasi-membro della fondazione.

- Lo so che questo non potrebbe essere il momento migliore per dirtelo, - cominciai - ma io sono il figlio di Mike Moon. -

Dal suo sguardo capii che aveva capito di che cosa stessi parlando, ma quello che stesse pensando su di me in quel momento non riuscii a capirlo.

- Ti ho lasciato senza parole? - scherzai, cercando di buttarla sul ridere.

- Non so se mi stupisce di più il fatto che tu stia ostacolando i piani della tua stessa fondazione o che il figlio di Mike Moon vada in giro con una semplice decappottabile. - disse con aria divertita.

Risi e lei si unì a me.
Nonostante tutti i malintesi e la situazione, penso che non le importasse chi fosse mio padre. Quello che contava era che stavamo combattendo insieme per un interesse comune, il che ci accomunava almeno in una cosa.
Dopo un'altra ora di attesa, in cui chiacchierammo del più e del meno, finalmente gli operai se ne andarono, comunicando che la Fondazione Moon aveva deciso di rinunciare al progetto di un nuovo studio privato. Ci fu poi una gran confusione di esulti, pacche sulle spalle e sorrisi : chi era sugli alberi scese e la maggior parte delle persone tornò a casa.

- Ce l'abbiamo fatta! - esultò Ally abbracciandomi velocemente.

Non ebbi nemmeno il tempo di stupirmi della cosa, che lei era già da altri suoi compagni a congratularsi della riuscita della protesta.
Nel giro di una decina di minuti la folla si diradò completamente.

- Non la prendere come un appuntamento, ma ti va di prendere un gelato? - chiese lei.

E così ci ritrovammo a passeggiare per il parco, gustandoci un gelato menta misto frutta lei e uno al cioccolato io. Lei continuava a parlare e ridere, contagiando anche me. Era uno dei migliori non-appuntamenti che avessi mai avuto.
Quel suo cambio di atteggiamento nei miei confronti era stato improvviso, ma non mi dispiaceva affatto. Avevamo passato poco più di tre ore insieme ed io ne ero già follemente innamorato.

- Sai, non ti ho ancora ringraziato per il violino. - disse - Grazie. -

Le sorrisi.

- E così, suoni? - domandai.

- Sì, da quando avevo sette anni : è stato amore alla prima strimpellata. - rispose.

- E perché hai scelto proprio il violino? -

- Non so, forse è il violino che ha scelto me. - commentò con un sorriso - So solo che quando lo suono mi sento me stessa.-

- Quindi diventerai una musicista professionista? -

- Forse. - rispose - O forse no. Mi piacerebbe viaggiare per il mondo e diventare una giornalista. Sai, succedono tante di quelle cose al mondo... Eppure, la maggior parte delle volte, solo pochi sono a conoscenza di quello che succede. Ecco, io vorrei denunciare tutti quegli avvenimenti di cui telegiornali non parlano. -

- Un bel progetto. - affermai.

- Sì, ecco, non è proprio un progetto, per ora è solo un sogno. - disse - E tu, invece? -

Sospirai : sarebbe stato bello poter fare quello che volevo.

- A settembre comincerò medicina. - risposi.

- Interessante. - commentò - E come mai medicina? Vuoi salvare vite? -

- Beh, diciamo che ha scelto mio padre per me. Per far parte della fondazione è importante conoscere il mestiere, in modo da poter capire cosa è meglio per gli ospedali. -

- E a te piace questo futuro? -

Spostai lo sguardo verso terra, colpito nel punto più debole.

- Salvare vite è di certo una cosa meravigliosa... - cominciai.

- Ma non è quello che vuoi. - concluse lei - E ne hai parlato a tuo padre? -

- Tu non lo conosci, lui non mi ascolta nemmeno. - spiegai - Le mie parole sono come avvolte nel filo spinato. E neanche quello che faccio per fargli capire ciò che desidero funziona : più sembro fare un passo avanti, più lui sembra allontanarsi. -

Lei sembrò non saper cosa dire.

- Sai, i miei sono venuti a mancare quando ero piccola ed io non sono proprio un'esperta di litigi con i genitori, ma penso che tu debba provare lo stesso a confrontarti con lui. Sennò ti ritroverai con un lavoro che non vuoi. - disse infine.

- Tu hai ragione. - concordai - Ma quando parla di Harvard e di quello che farò, sembra così orgoglioso di me. Ha quello sguardo che ha un genitore quando è fiero del figlio. E lui non l'ha mai avuto quello sguardo... Oggi, invece, mi ha persino sorriso. Ma quando gli ho provato a parlare, nei suoi occhi sembrava esserci solo delusione. -

Ally mi guardava e ascoltava, attenta.

- Ma tu cosa vuoi davvero? - chiese.

Non ci avevo mai pensato su seriamente.

- Forse lo devo ancora scoprire... - risposi.

Incontrai i suoi occhi e mi persi in quel fuoco che io dovevo ancora trovare in me.
Mi strinse la mano.

- Sono sicura che in qualche modo riuscirai a fargli capire cosa desideri. -

E in un sorriso la sentii più vicina di quanto altri fossero mai stati.

 

05 Settembre 2014

Ally era così, piena di speranza.
E forse era quella una delle cose che più mi piacevano di lei.
Non importava cosa succedesse, lei sapeva vedere sempre il lato positivo.
Era tutto ciò che io non ero : era impulsiva, coraggiosa, divertente e imprevedibile.
Era un mondo sconosciuto ed io un esploratore curioso : un'accoppiata perfetta.
Con lei sarei andato dappertutto. In Giappone, in Australia, in Francia... La meta non mi interessava più, volevo solo stare con lei.
Io la trovavo straordinaria.
Non importava che dicesse tutto quello che le passava per la mente, o che fosse terribilmente testarda, o che facesse tutto quello che c'era di pericoloso e divertente.
Con lei tutto era più bello, persino cacciarsi nei guai.
E così, avevamo deciso di rincontrarci, per un vero appuntamento.
All'inizio ero preoccupato che non accettasse : io ero già pazzo di lei, ma non riuscivo ancora a capire cosa provasse lei per me.
Voglio dire, non ero proprio un genio dell'amore...
Per fortuna c'era Dez : i suoi consigli non erano sempre fantastici, ma c'era sempre per me. E, in quel caso, seppe stranamente consigliarmi bene.

There's a million voices
Screaming that this love's a dead-end road
But the only voice that I hear
Is telling me "go", telling me "go"”

Ci sono un milione di voci
Gridano che questo amore è una vicolo cieco
Ma l'unica voce che sento
Mi dice "Vai", mi dice "vai"”

All'inizio persino lui, che riusciva a vedere nuove storie d'amore ovunque, mi disse che questo amore sarebbe potuto essere solo un vicolo cieco.

- Siete così diversi... Potrebbe non funzionare sai? - mi aveva detto, per poi aggiungere - Ma io ti appoggerò comunque! -

Il trucco era scoprire cosa le piacesse, a suo parere. Poi era tutta una questione di coraggio.
E in tre fasi, avrei realizzato l'appuntamento perfetto.
Fase n.1 : chiederle di uscire.
Era sicuramente quella la fase più difficile, perché per quanto tu ti possa preparare un discorso, ti ritroverai a balbettare frasi senza senso proprio di fronte alla ragazza con cui vuoi uscire.
Il consiglio di Dez? Mandarle un messaggio.
Non fu proprio il massimo del romanticismo, ma lei accettò.
Fase n.2 : preparazione.
La fase più semplice, se non avessi avuto Dez a consigliarmi.
Per lui qualsiasi outfit non era abbastanza bello, ma dato che lui si vestiva scegliendo a caso i vestiti nel suo armadio, non gli diedi retta.
Il suo consiglio? Chiedere a mia madre.
Fu sicuramente la cosa migliore da fare.
Fase n.3 : uscire.
La fase più imprevedibile : poteva essere un successo, o un totale disastro.
Per questo non si poteva fare altro che aspettare la data prestabilita e sperare.
Consiglio di Dez? Sii te stesso.
Funzionò alla grande.

 

2 Marzo 2014

Era il gran giorno, il giorno in cui avrei scoperto se Ally era quella “giusta”.
E direi che ero molto, molto agitato.
Indossati gli abiti scelti (camicia e jeans), mi diressi a casa sua.
La casa di Ally era piuttosto piccola, ma era circondata da un verde giardino, dove crescevano qua e là fiori variopinti. Un maestoso ciliegio, che ancora doveva fiorire, cresceva proprio accanto a un dondolo in ferro, tanto che quando veniva il periodo in cui l'albero perdeva tutti i suoi fiori, la terra tutta intorno veniva ricoperta da un manto bianco e rosa.
Quando bussai alla porta, il mio cuore sembrava sul punto di scoppiare.
Lei era bellissima, come sempre : indossava una semplice gonna scura e una camicetta beige. Le bastava poco per essere meravigliosa, a differenza di altre ragazze che avevo frequentato, che si truccavano esageratamente o si vestivano sempre firmate.
Lei non si curava di come apparisse agli altri, era semplicemente se stessa.
La nostra destinazione era il planetario : durante la nostra conversazione sulla grande quercia, mi aveva parlato di quanto l'affascinasse l'astronomia e così avevo pensato che fosse una bella idea portarla lì.
E in effetti, così fu.
Ci divertimmo molto, tra tutti quelle stelle e quei pianeti che sembravano quasi vicini. Era come viaggiare per l'universo rimanendo sempre sulla Terra.
Gli occhi di Ally spaziavano curiosi e affascinati, cercando di osservare ogni singolo particolare.

- Secondo te come ci si sente ad essere così... infiniti? - mi chiese ad un certo punto.

Eravamo in una stanza piuttosto buia, dove tutte le pareti e il soffitto mostravano l'universo visto dall'osservatorio di Los Angeles.
Mi guardai intorno, per poi posare gli occhi su di lei.

- Come mi sento io adesso. - risposi - Adesso che sono con te. -

Lei sorrise, arrossendo leggermente.

- Austin, io non sono come te : non ho piani. Faccio tutto quello che mi passa per la mente senza pensarci. Se c'è qualcosa che non mi piace, faccio addirittura proteste. - sussurrò lei - La mia vita è imprevedibile, così come il mio futuro. -

Io la presi per mano e l'avvicinai a me.

- Sono un casino vivente. - disse, le sue labbra sempre più vicine alle mie - Potrei incasinarti. -

Sorrisi anche io.

- Sai, a volte serve qualcuno che ti stravolga la vita. - ribattei.

E così ci baciammo tra la luce di miliardi di stelle.
E fu come toccare il cielo con un dito.

 

05 Settembre 2014

Fu una delle giornate più belle della mia vita.
Poi mio padre venne a sapere che avevo partecipato alla protesta.
Praticamente tutta la fondazione lo aveva scoperto, perché i giornalisti mi avevano riconosciuto ed ero finito in quasi tutti i telegiornali locali, insieme ad Ally.
Papà non ne fu contento, per niente, e ovviamente neanche la fondazione. Rischiai di perdere la fiducia dei vari componenti del consiglio, ma con un aumento dei loro privilegi, la questione fu presto dimenticata.
Non da mio padre, purtroppo. Secondo lui ero stato uno sciocco, che si era ribellato a una cosa che di ingiusto non aveva nulla.
Mi vietò di rifare una cosa del genere ed io gli diedi ascolto.
Io ed Ally continuammo comunque a vederci. Lui lo sapeva, ma non disse nulla in proposito : probabilmente, finché non facevo cavolate, a lui non importava nulla della mia vita sentimentale.
Forse pensava che lei non avesse una buona influenza su di me, dato che non era la prima protesta a cui partecipava e che aveva spesso pubblicato articoli su un giornale locale contro aziende come la Moon.
Però, secondo i suoi piani, a settembre non l'avrei più rivista e me la sarei presto dimenticata. E così non si intromise.
Io, intanto, stavo cominciando a capire quello che volevo davvero. Non un lavoro che mi facesse guadagnare tanto, non un'intera fondazione ai miei piedi... Ma una vita con Ally, l'amore.
Lei era tutto quello di cui avevo bisogno.
Peccato che lo capii troppo tardi.

And my heart's too drunk to drive
I should stay away from you tonight
But in this blackout state of mind
Baby all I want is you tonight”

E il mio cuore è troppo ubriaco per guidare
Dovrei stare lontano da te stasera
Ma in questo stato blackout della mente
Baby tutto quello che voglio stasera sei tu”

Il centro della città era sempre più vicino. Come immaginavo c'era una marea di gente per le strade : chi andava in discoteca, chi al ristorante, chi in spiaggia per nuotare di notte.
Forse è questa una delle cose più difficili da affrontare : non importa quanto il mondo sembri cascarti addosso, perché continuerà a girare per gli altri. E tu non ci puoi fare nulla, se non curare le ferite e ributtarti in gioco.
È come una giostra che non si ferma mai : non puoi scendere. Devi continuare il giro finché non finisce, perché non importa a nessuno che tu sia rimasto indietro.
Vai avanti e avanti e avanti.
E così mentre tu resti in macchina e guidi senza sapere dove andare, c'è chi conosce già la sua destinazione e la raggiunge senza problemi.
Il mio percorso però non è mai stato liscio : è ancora pieno di curve e buche.
Anche con Ally, con la quale sembrava essere tutto perfetto, alla fine tutto si è sgretolato tra le mie mani.

 

30 Luglio 2014

- Davvero pensi che io stia bene? - chiese Ally per l'ennesima volta, sistemandosi l'abito blu.

- Sì, sei bellissima. - risposi io con un sorriso, guidando.

Era adorabile persino quando era agitata.

- Ma tu sei di parte! - commentò.

- Ti prometto che ti dirò sempre e solo la verità. - giurai.

- E tu di solito le mantieni le promesse? -

- Beh, ecco, io... - cercai di dire.

Non ero un gran mantenitore di promesse.
Lei rise.

- Ho capito, lasciamo perdere. - disse.

- Comunque, non devi essere nervosa. - ripetei.

- Come faccio a non esserlo? - ribatté - Ci tengo a fare buona impressione ai tuoi genitori. -

Sarebbe stata la prima volta in cui li avrebbe incontrati.

- La farai sicuramente. -

Mio padre, in fondo, non aveva detto nulla sulla nostra relazione. Non aveva cambiato idea su Harvard, ma almeno in questo non si era ancora intromesso.

- Allora, glie lo dirai? - domandò Ally.

- Sì. - risposi - Non posso più aspettare. -

Arrivammo presto a casa dei miei.
Ci furono le presentazioni e uno scambio di abbracci, poi ci recammo nella grande sala da pranzo per cenare. Mamma ed Ally parlavano amabilmente ed io ero contento di vederle andare d'accordo. Papà invece era taciturno.
Eravamo ormai all'ultima portata, quando decisi di parlargli.

- Mamma, papà, io vi devo parlare. - dissi.

Entrambi si voltarono nella mia direzione. Ally intanto mi guardava incoraggiante.

- In questi ultimi mesi ho pensato tanto all'università e alla fondazione. E mi sono reso conto che quello che mi aspetta è magnifico. - cominciai - Ma ho anche capito che quello che mi aspetta non è quello che voglio. Lo so che forse non capirete, ma io... -

Mio padre sbatté con forza il pugno sul tavolo, facendo azzittire tutti.

- Sono stanco di questi tuoi discorsi, Austin! - esclamò - Parli sempre di quello che vuoi tu, ma non pensi mai alle tue responsabilità! Hai dei doveri nei confronti della fondazione! -

- E tu preferisci vedermi infelice piuttosto che deludere la fondazione? - chiesi - Sei mio padre, dovresti volermi vedere felice! -

La situazione stava degenerando. Ally, seduta accanto a me, mi stringeva forte la mano.

- Su ragazzi, - intervenne mia madre - non mi sembra il caso di rovinare la cena litigando. Ally è nostra ospite, non voglio che si senta a disagio. -

Papà squadrò la ragazza dalla testa ai piedi, non ascoltando minimamente mia madre.

- È lei che ti mette in testa tutte queste idee, vero? - l'accuso, sempre più arrabbiato - Da quando stai con lei ti comporti come uno stupido : fai manifestazioni contro la fondazione, studi meno, trascuri i tuoi impegni... -

- Ally non centra niente! - ribattei - Questa è una questione tra me e te. -

- Ma se non fosse per lei, sono sicuro che te ne andresti senza problemi da questa città! Questo è uno sciocco capriccio da bambino. -

Stavo per ribattere, ma anche Ally si mise in mezzo.

- Andiamo. - sussurrò.

Annuii e ci alzammo.
Avevamo appena sorpassato la porta, quando mio padre ci raggiunse.

- Austin, devi scegliere. - continuò - O lei, o la tua famiglia. -

Lo guardai con disprezzo e ci sedemmo in auto, per poi andare via.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso. Né io né Ally avevamo voglia di parlare.
Arrivammo a casa sua ed io l'accompagnai fino alla porta d'entrata.
Nell'aria c'era elettricità e la bella Los Angeles sembrava quasi aver perso la sua vitalità.

- Austin. - disse lei, con tono triste - Mi dispiace. -

Eravamo uno di fronte all'altra, illuminati solo dalla piccola luce dell'ingresso.

- Non è colpa tua. - ribattei.

- Ma tuo padre pensa di sì. -

Le spostai una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
Non era giusto che lei soffrisse per colpa di mio padre.

- Si sbaglia, lo sai. Lui pensa di aver sempre ragione, ma tutto questo sta succedendo a causa sua... Se non mi imponesse di fare quel che vuole lui, non ci sarebbe nessun problema. - spiegai.

Ally aveva le lacrime agli occhi.

- Ma tu non puoi scegliere tra me e loro, sarebbe orribile. -

- E infatti non voglio scegliere. - affermai.

- Austin. - disse - Devi fare una scelta, però, lo sai. Non puoi semplicemente lasciare che tutto faccia il suo corso, perché ci ritroveremmo a Settembre con te a Boston ed io qui, entrambi soli. Devi sacrificare qualcosa. -

Non sapevo cosa dire.

- Io... - le parole non mi uscivano fuori.

- Sceglierò io per te, allora. - aggiunse lei - Io non ho potuto stare con i miei genitori quanto avrei voluto e, fidati, è stato terribile. Non voglio che tu viva lo stesso dolore. -

Cominciavo a capire dove volesse arrivare e sentivo il cuore cadere in pezzi una parola dopo l'altra.

- No, no Ally. - la fermai, prendendole le mani - Io ti amo. Non voglio perderti a causa sua. -

Lei piangeva.

- Austin, anche io ti amo. Ma devi perdere me, per non perdere loro. - continuò.

- Ma non voglio. - ero anche io in lacrime.

La baciai.
Fu un bacio salato, fatto tra le lacrime.
Speravo che capisse tutto quello che le avrei voluto dire in un bacio.

- Ti prego, promettimi che non mi cercherai più. - sussurrò.

- Non puoi chiedermi questo. -

- Lo so, che in questo momento mi odi, ma mantieni questa promessa. - le sue parole erano dolorose, più di quanto avrei mai immaginato - Resta con i tuoi genitori, fagli capire per cosa vuoi lottare, che cosa conta davvero per te. Fallo, ma senza di me, perché sennò tuo padre penserà sempre che il tuo sia solo un capriccio fatto a causa mia. -

- Io ho bisogno di te! - esclamai

- Se mi ami, promettimelo. Promettimi che ci proverai. -

Mi diede un ultimo bacio e si allontanò.
Le sue mani lasciarono le mie ed io non potei fermarla.
Rientrò in casa, chiuse la porta.
E fu in quel momento che il mondo sembrò cascarmi addosso.

 

05 Settembre 2014

Ma come già sapete, il mondo continuò a girare lo stesso.
Io lottai, ci provai sul serio.
E non la odiai mai per quello che aveva fatto, perché lo aveva fatto per non vedermi subire la stessa perdita che aveva dovuto affrontare lei. Avevo sofferto lo stesso, ma non avevo smesso di amarla.
Perché lei era diventato il tutto ed io, senza di lei, ero il nulla.
E così non la vidi per più di un mese.

Alla fine, quando cominciò ad avvicinarsi il giorno della partenza, lasciai perdere tutto. Mi arresi, lo ammetto. Se avessi continuato ad insistere con mio padre, lo avrei perso lo stesso. E allora sarebbe stato tutto inutile.

When my head tells me "no"
My heart tells me "go"
So I'm hitting the road 'cause I

I know my heart's too drunk to drive
But I'm on my way to you”

Quando la mia testa mi dice "no"
Il mio cuore mi dice " Vai"
Così sto in mezzo alla strada perché

So che il mio cuore è troppo ubriaco per guidare
Ma io sono sulla mia strada verso te”

E lì per le strade di Los Angeles, la sua casa sembrava così vicina...
L'avrei trovata lì. Dovevo solo girare a destra.
Ma continuai dritto per la mia strada senza meta.
E anche se il mio cuore sembrava pregarmi di andare da lei, la mia testa continuava a dirmi di no.
Così scesi dall'auto, parcheggiandola lì vicino, perché se avessi dato retta sia al cuore che alla testa, probabilmente mi sarei bloccato nel mezzo della strada.
Camminai per non so quanto, cercando di mettere a tacere il cuore, troppo ubriaco di dolore per guidarmi.
Eppure, mi ritrovai di fronte a casa sua.
Mi venne da ridere : più avevo cercato di starne lontano, più mi ci ero avvicinato.
Ma si sa che è difficile vedere chiaramente attraverso tutto il dolore.
E così suonai il campanello.
Poco dopo, Ally mi venne ad aprire.

- Austin. - esclamò, sorpresa.

La guardai attentamente : non ci vedevamo da un mese, ma sembrava passata un'eternità.

- Lo sai che non so mantenere le promesse. - dissi.

Lei sorrise.
Ed io non resistetti alla voglia di baciarla.
Sentire le sue labbra sulle mie mi fece sentire di nuovo vivo. Anche solo vederla mi faceva tornare a respirare.

- Cosa ci fai qui? Dez mi ha detto che eravate già partiti. - chiese una volta che ci fummo staccati - E la tua famiglia? -

- Ho combattuto per quello che volevo. Ci ho provato, davvero. Ma senza di te non aveva più senso lottare. - spiegai - Perché tutto quello che voglio sei tu. -

- Ma i tuoi genitori? -

- Mia mamma capirà. - affermai - E in qualche modo resterò sempre in contatto con lei. -

La strinsi a me.

- Ally, io ho fatto la mia scelta. - continuai - Ho scelto te. E se dovessi scegliere di nuovo, sceglierei sempre e solo te. Perché ti amo. -

- Anche io ti amo. - disse.

Mi prese per mano e mi sorrise.
E il suo sorriso tornò a farmi battere il cuore.

- Sai, stasera le stelle sembrano quasi più luminose. - aggiunsi - Quando sono con te tutto sembra più luminoso. -

- Fammele vedere. - disse dandomi un altro bacio.

Così, andammo nel suo giardino e ci stendemmo, uno accanto all'altra, per guardare il cielo stellato, mentre quel senso di vuoto che avevo provato quando avevo perso Ally scompariva poco a poco, colmato da quel senso di infinito che solo con lei potevo provare.
Perché forse è vero che il mondo continua a girare anche quando tu sei in pezzi e vorresti solo scendere. Ma è anche vero che, se vuoi, i pezzi li puoi rimettere tutti insieme e, volendo, puoi anche goderti il giro.
Forse è vero che prima o poi la vita ti pone delle scelte e che tu devi scegliere, sacrificando qualcosa. Però, a volte, vale la pena farlo.
E forse era vero che non avevamo progetti, ma una certezza ce l'avevamo : ci amavamo.
Esiste forse certezza più assoluta?

 

Devi abbandonare la vita che avevi pianificato

per avere quella che ti aspetta”

- Joseph Campbell

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti cari lettori!
Rieccomi qui con una nuova storia :D !
Una one-shot un po' lunga, ma spero davvero che vi piaccia.
La storia mi ronzava in testa già da un po' e, grazie al tempo libero che l'estate mi concede, sono finalmente riuscita a scriverla. Yeeee!!!
La mia ispirazione è stata On my way di Lea Michele e quindi ho voluto scriverne qualche verso nel corso della storia (infatti è una specie di song-fic), che come vedete è costituita soprattutto da flashback. L'ultima frase invece è una citazione di Joseph Campbell.
Quante volte i figli rinunciano ai loro sogni per rendere orgogliosi i genitori, vivendo però qualcosa che non desiderano veramente... Così succede al nostro Austin, che se all'inizio sembra voler rinunciare ai suoi sogni, poi, grazie ad Ally e all'amore, riuscirà a combattere per quello in cui crede, l'amore, affrontando tuttavia i sacrifici che spesso le scelte ci pongono.
L'idea della fondazione l'ho presa un po' da Grey's Anatomy, mi sembra giusto dirlo, ma mi sembrava una buona idea e ci ho lavorato su.
Spero che il corsivo si legga bene, perché ho deciso di metterlo per distinguere meglio i flashback.
Okay, mi sembra di aver detto tutto :D, non vorrei annoiarvi ancora (ma tanto ormai lo sapete che mi dilungo sempre XD...).
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno recensito l'ultimo capitolo di Losing you is like living in a world with no air (siete sempre gentilissimi!!!) e ne approfitto per ringraziare anche tutti quelli che leggeranno e recensiranno questa lunga one-shot.
Vi voglio bene!!!!
Baciiii
 

   
 
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