Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio!
Ricorda la storia  |       
Autore: Akemichan    20/06/2015    4 recensioni
{Marco/Ace}{Raccolta di fic di varie lunghezze a sfondo romantico}{AU o missing moments}
Sei storie che raccontano sei differenti tipi di baci, in sei differenti tipi di situazione, ma sempre senza dimenticarsi il rapporto che intercorre fra questi due, a partire dal momento o dalla situazione.
#1: Modern!AU - Marco!Insegnante, Ace!Studente
#2: Missing Moment. Drunkness (but not really)
#3: Modern!AU Sport!AU
#4: Missing moments, clueless!Ace
#5: missing moments, Barbabianca è un pettegolo
#6:E si allungò verso di lui per baciarlo, posando le sue labbra secche per il caldo sulle sue, lasciando che le fiamme vi scorressero libere. Missing moments, angst, riferimenti religiosi.
1° Classificata al contest 'It’s too cliché' indetto da rhys89 sul forum di EFP
[Partecipante alla challenge "scegli il pairing, scegli l'immagine" di nami93 sul forum di EFP]
[Partecipante alla Marco/Ace Week]
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Marco, Portuguese, D., Ace
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Sei'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Game Over. Try again?





La "Scuola Privata per il Recupero Anni Scolastici Barbabianca" aveva molti servizi, che andavano dai corsi serali all'aiuto alla preparazione degli esami, fino a una vera e propria scuola intensiva che permetteva di recuperare l'anno di bocciatura. Non si facevano, invece, ripetizioni a domicilio.
Tuttavia Monkey D. Garp era un vecchio amico e commilitone dai tempi delle lotte del '68, per cui Newgate aveva acconsentito alla sua richiesta, quando Garp gli aveva spiegato che, purtroppo, nemmeno a suon di pugni sarebbe riuscito a convincere il nipote a recarsi alla sede della scuola per le ripetizioni.
Così Marco, dato che i suoi colleghi l'avevano praticamente incastrato con la scusa che era il migliore per occuparsi di ragazzi difficili, si ritrovava davanti alla porta della residenza Monkey, con la sua cartella dei programmi scolastici sottobraccio. A dire la verità, a lui non dispiaceva nemmeno così tanto, perché amava essere un insegnante e una guida, così come Newgate lo era stato per lui. Lo infastidiva solo il pensiero che gli altri l'avessero fatto di proposito.
Aprì la porta, senza nemmeno chiedere di chi si trattasse, un ragazzo dallo sguardo vispo, i capelli corti spettinati e una cicatrice sotto l'occhio sinistro che gli conferiva un aspetto sbarazzino. Troppo giovane, pensò Marco, per essere la persona che stava cercando.
«Ciao» lo salutò con un sorriso. «Sto cercando Ace. Sono qui per le ripetizioni.»
L'altro lo guardò perplesso, poi alzò le spalle e gli fece cenno di entrare. «Ace non c'è» gli comunicò.
Marco controllò l'orario: erano le quattro, com'era stato stabilito dal calendario che Garp gli aveva mandato. «Tu sei...?» chiese, mentre si chiudeva la porta alle sue spalle e contemporaneamente pensava che non ci fosse granché sicurezza in quella casa.
«Rufy.» Era nel salotto, con già in mano il joystick della sua Wii e non sembrava particolarmente preoccupato della situazione. Stava giocando a "Call of Duty" e, a quanto pareva, era preso da una delle missioni principali. «Mi sto allenando che ho una sfida al Gamestop la prossima settimana» gli spiegò, con un grosso sorriso in viso.
«Capisco» rispose gentilmente Marco. Doveva trattarsi dell'altro nipote di Garp, quello biologico, perché, da quello che aveva capito dalla spiegazione di Newgate, il suo futuro alunno era stato adottato. «Posso sapere quando tornerà Ace?»
Rufy alzò le spalle. «Boh. È al lavoro.»
«Sapeva che venivo?»
«Io no. Forse Ace sì, ieri borbottava insulti contro il nonno.»
Marco sospirò: avrebbe dovuto immaginare che sarebbe stato difficile, ma sperava che, poiché Garp era un marine, ci fosse almeno più disciplina nel presentarsi alle ripetizioni. Tuttavia, sapeva anche bene che con certe persone bisognava iniziare a essere più testardi.
«Ti dispiace se lo aspetto?» disse, appoggiando la sua cartella sul divano e iniziando a togliersi la giacca, come a indicare che per lui non c'erano problemi.
«Fa' pure.» Rufy si guardò un attimo attorno e poi recuperò un secondo joystick. «Vuoi giocare?»
«Perché no?» Marco adorava i videogiochi, erano una sua passione a cui in media nessuno credeva, dato che aveva la fama e l'aspetto di un professore di altri tempi. Però aveva quella particolare passione, che gli tornava estremamente utile nell'insegnare ai ragazzi e che, per di più, condivideva con tutti i suoi colleghi. I giorni di ferie venivano passati spesso a giocare a "World of Warcraft" in sala conferenze.
Per altro, se doveva aspettare, tanto valeva farlo divertendosi. Era sempre meglio farsi vedere dai propri studenti allegri e per nulla irritati dal loro atteggiamento disfattista. E Rufy, come compagno, era davvero molto bravo, anche se non al suo livello. Quello che era certo era che si impegnava parecchio.
«Ah, accidenti!» esclamò Rufy seccato dopo l'ennesima sconfitta. «Facciamone un'altra!»
Ma prima che Marco potesse accettare, anche se le sue braccia avevano iniziato a fargli un po' male dopo tutto quell'esercizio, sentirono la porta aprirsi. «Rufy! Sono tornato!»
Marco ebbe finalmente l'occasione di posare gli occhi sul suo futuro allievo e, dovette ammetterlo, rimase spiazzato. Era piuttosto bravo a comprendere i ragazzi con cui aveva a che fare, ma Ace sembrava differente da come se l'era immaginato.
«Ciao!» lo salutò allegro Rufy, avvicinandosi a lui. «Lui è Marco, ti stava aspettando. Sapevi che doveva venire?» aggiunse, notando che Ace lo stava osservando.
«Ah...» commentò lui, scrutando Marco attentamente. «Aspetta da molto?» domandò.
«No, non da tanto...» Marco guardò l'orologio e notò che erano già le sette e mezza di sera. Era in quella casa da più di tre ore e non se ne era accorto. «Tuo nonno non ti aveva avvertito?»
«In realtà me lo sono dimenticato... e pensavo che il nonno stesse scherzando» aggiunse, mentre teneva ferma la testa di Rufy sotto il suo braccio per impedirgli di curiosare nella borsa della spesa che portava con sé. «Le chiedo scusa per l'inconveniente. Spero che mio fratello non le abbia dato troppo fastidio.»
«Non l'ho fatto!» protestò Rufy, liberandosi finalmente dalla sua presa e incrociando le braccia, con un broncio in viso.
«Non l'ha fatto» confermò Marco sorridendo e meritandosi un'occhiata complice da parte di Rufy. «Non ci sono problemi, comunque, anche se preferirei essere avvertito la prossima volta. Possiamo pure iniziare adesso.»
Ace lo guardò sbattendo le palpebre, poi i suoi occhi saettarono sull'orologio appeso nel corridoio, prima di tornare su di lui. «Ma è quasi ora di cena... Non ha da fare...?»
«Vivo da solo e non ho orari.»
«Be', io sì» ribatté Ace, stavolta con più convinzione. «Devo preparare la cena anche per Rufy e poi non riuscirei a concentrarmi a stomaco vuoto.»
«Benissimo» annuì Marco. Non aveva minimamente intenzione di lasciare la presa. Ace l'aveva stupito, come reazione, perché pareva genuinamente dispiaciuto per avergli fatto perdere tempo, ma in ogni caso non poteva permettergli di scappare le prime due ore di lezione. Non faceva parte della sua etica. «Possiamo fare dopo cena. Oppure puoi mangiare mentre studiamo. Sono stato pagato per due ore e ho intenzione di meritarmi lo stipendio.»
I due si fissarono per un attimo, poi Ace sospirò seccato. «E va bene, se proprio vuole.» Estrasse il portafoglio dalla tasca dei jeans e diede un mazzo di banconote da cinque euro a Rufy. «Vai a prendere un po' di roba take away dal nostro indiano di fiducia.»
«Evvai!» esultò Rufy felicemente. Lanciò sul divano senza troppe cerimonie il joystick che aveva al polso e sparì nella sua camera, per tornare poco dopo con le scarpe da ginnastica ai piedi.
«Fai attenzione al resto, non come l'ultima volta!» gli gridò dietro Ace, ma Rufy aveva già sbattuto la porta d'ingresso dietro di lui. «Manco ha preso le chiavi, il furbo...» mormorò fra sé, scuotendo la testa. Poi fece un leggero segno con il capo a Marco di seguirlo fino alla sua camera da letto: la condividevano lui e Rufy ed era incredibile notare come le due parti si riconoscessero immediatamente per la precisione di un lato e l'incredibile caos di un'altra.
Ace liberò una sedia da un cumulo di vestiti tutti arrotolati fra di loro, che poi gettò sul letto ancora sfatto che doveva appartenere a Rufy. «Mi dispiace per la confusione» disse. «Non ho avuto il tempo di sistemare questa settimana.»
«Ho visto di peggio» gli assicurò Marco, con la mente che vagava al suo periodo universitario, in cui aveva il suo migliore amico Satch come coinquilino. Almeno una parte di scrivania era in perfetto ordine, linda, come se non fosse usata da tempo, per cui ne approfittò per appoggiarvi la sua cartella e iniziare a tirare fuori i suoi appunti per i programmi di terza del Liceo Scientifico Tecnologico. «Tuo nonno mi ha detto che devi recuperare quattro materie: storia, letteratura italiana, biologia e chimica, giusto?»
Ace si accomodò sulla sedia accanto a lui, gambe larghe e schiena totalmente appoggiata allo schienale. Annuì in maniera distratta.
«Da quale vuoi iniziare? In due ore possiamo farne una sola.»
Ace alzò le spalle. «Guardi, glielo dico per onestà: lo faccio per lei. A me non me ne potrebbe fregare di meno di questa storia.»
 
***
 
Nel corso dei suoi anni come insegnante, Marco aveva imparato a distinguere i suoi studenti in tre macrocategorie. Ovviamente trattava ognuno di loro individualmente, ma spesso la generalizzazione era utile quando ancora non li conosceva bene. La prima categoria era quella dei ragazzi bravi, ma con pessimi insegnanti; la più facile da trattare, solitamente. La seconda era dei ragazzi volenterosi, ma non altrettanto bravi; con loro si riusciva a lavorare, anche se con difficoltà. E poi c'era la peggiore di tutte: il gruppo di persone a cui, sostanzialmente, non fotteva un cazzo.
Marco aveva inserito Ace in quest'ultima categoria. Erroneamente.
Certo, non aveva mai dato segni di essere interessato allo studio e continuava a presentarsi in ritardo alle loro lezioni, ma non era uno scansafatiche. Lavorava veramente, anche otto ore al giorno, al mercato del quartiere. Lui era intelligente e i suoi insegnanti erano ottimi, solo che, da una parte, non aveva il tempo di studiare, dall'altra sembrava avere la convinzione che studiare, semplicemente, non gli servisse. Non sprecava energie.
Marco era convinto che fosse in parte da attribuire alla situazione familiare: né lui né il fratello avevano i genitori, vivevano con Garp che però spesso era assente anche per dei mesi, dato che lavorava in marina e doveva imbarcarsi. Erano anni che Ace si occupava del fratellino praticamente da solo.
«Non hai fatto i compiti nemmeno stavolta, vero?» commentò Marco, in tono quasi rassegnato, mentre si accomodava in quello che ormai era diventato il suo posto fisso alla scrivania.
«Mi dispiace.» Anche se, dall'alzata di spalle e dal suo sorriso appena accennato, si capiva che non gli dispiaceva per niente. «Ho lavorato molto.» Ed era vero, Marco non poteva negarlo: aveva controllato di persona.
Non aveva altra scelta per trovare un modo di sboccare Ace e di convogliarlo verso la scuola. «Quanto prendi al lavoro?»
Ace, che si era seduto di fronte a lui, lo scrutò intensamente per decidere se poteva fidarsi. «Cinque euro all'ora. È tutto in nero però...» ammise. Nero significava soldi netti.
«Se ti dessi il doppio, verresti a lavorare per me?» Marco aveva incrociato le mani e lo osservava in maniera molto seria.
«Per lei...?» Ace sembrava perplesso. «Ha un banco al mercato?»
«No, ma avrei bisogno di qualcuno che mi aiuti con i lavori di casa e anche con l'organizzazione dell'agenda» spiegò Marco. «Dato che a scuola mi occupo anche della parte amministrativa, non ho mai tempo. E se ti pagassi il doppio potresti guadagnare la stessa cifra e lavorare di meno, così ti rimarrebbe il tempo per studiare.»
Ace alzò un sopracciglio. «È sicuro di essere un professore? Mi sembra che i conti qui non tornino.»
«Perché?»
«Be', in pratica mi pagherebbe con i soldi delle mie ripetizioni!»
Marco rise. «Vero. Ma io comunque guadagnerei qualcuno a sistemarmi casa, non sarebbero soldi buttati. Perché tu lavoreresti, giusto?»
«Certo!» si offese Ace. «Non lo so, prof... Mi pare comunque di truffarla.»
«Ti darò il triplo: quindici euro all'ora.» Se li poteva permettere, il suo stipendio da insegnante privato era ottimo e, vivendo da solo, non aveva grandi spese. Non era nemmeno una persona con grandi vizi, a parte i videogiochi. «E sicuramente sarà meno faticoso che scaricare casse al mercato.»
Ace aveva spalancato gli occhi: in un periodo del genere guadagnare così tanto al netto doveva essere assurdo. Non per Marco, ovviamente: in cambio avrebbe avuto la possibilità di riportare un ragazzo sulla retta via, per quanto lo riguardava non c'era ricompensa più grande.
«Oh, sono soldi suoi, prof!»
 
***
 
«Lei è peggio di mio fratello, prof...» aveva commentato Ace quando, la mattina di martedì, si era presentato alla soglia della sua casa alle otto di mattina, come era previsto. Puntuale, quando di trattava di lavorare.
In effetti, la casa era un completo disastro: c'erano piatti e pentole sporche in cucina e sul tavolo del salotto, vestiti sparsi ovunque e spiegazzati, persino i sopramobili e mobili stessi parevano messi in disordine. Marco aveva studiato l'appartamento di Satch per cercare di ricreare in maniera credibile un ambiente che avesse bisogno di qualcuno che se ne occupasse, dato che lui, solitamente, teneva tutto in perfetto ordine. Però il suo piano non avrebbe funzionato, se non avesse avuto qualcosa da far fare ad Ace in cambio del suo stipendio.
«Per questo ti ho assunto, no?» commentò, con un sorriso.
«Sì, ma me ne sto pentendo» rispose Ace divertito. «Penso di riuscire a sopportare solo un Rufy al mondo.»
«Spero di essere un po' più preciso di lui allora» disse Marco, che doveva ammettere a se stesso di aver fatto uno sforzo notevole per presentarsi come un disordinato, considerando la sua mania per la precisione.
Almeno il foglio con l'elenco di cose da fare l'aveva lasciato in bella vista ed era in ordine. «Qui ce l'elenco di tutte le cose da fare. Ti ho scritto anche dove puoi trovare aspirapolvere, detergenti e tutto. Il mio numero di cellulare ce l'hai, se hai bisogno di qualcosa.»
Ace aveva appoggiato il suo zaino sull'unica parte del divano ancora libera e poi si era dato all'esplorazione della casa, evitando accuratamente tutta la roba che era sparsa per terra.
«Va bene» annuì. «Ci sarà da fare qui.»
«Io torno per le cinque» disse Marco. «Ricordati che abbiamo due ore di ripetizioni da fare e che ti ho lasciato anche i compiti per oggi.» Ignorò la sua alzata d'occhi alla menzione dello studio e allungo versò di lui un mazzo di chiavi. «Queste sono le mie di riserva, così le hai se succede qualcosa.»
Ace le prese e se le rigirò fra le mani, facendole tintinnare. Pareva indeciso, poi fece un cenno del capo. «Alle cinque» ripeté.
«Con i compiti fatti» precisò Marco, quindi afferrò giacca e cartella per la scuola e uscì. «Buon lavoro e buono studio.»
«Buon lavoro, Mister Wayne!» ribatté Ace un attimo prima che chiudesse la porta dietro di lui, facendolo ridere. Anche perché non riteneva che Batman avesse la batcaverna ridotta in quelle condizioni, né che Alfred fosse uno che necessitava di ripetizioni per non rischiare la bocciatura.
Nonostante l'idea di assumere Ace fosse stata sua e continuasse a ritenerla il sistema migliore per dargli il tempo di studiare, Marco rimase inquieto per tutto il resto della giornata. Ace sapeva come prendersi cura di una casa, in fondo viveva da solo per molti mesi l'anno, e sicuramente era un gran lavoratore, tuttavia Marco lasciò la scuola persino prima dell'orario previsto, pur di rientrare alle cinque esatte come aveva predetto.
«Sono qui...» Aprì la porta e rimase stupefatto: il suo appartamento era già tornato all'ordine che gli spettava, senza più qualcosa di fuori posto. Per altro era pulitissimo. «Non credo proprio di essere io Batman...» commentò, sinceramente sorpreso, mentre entrava e continuava a guardarsi intorno.
Ace era accomodato sul divano a giocare alla playstation - tra l'altro aveva ordinato le sue console e i suoi videogiochi in ordine alfabetico e di uscita - e palesò la sua presenza ridacchiando. «Dovevo pur occuparle queste otto ore.»
Marco gli scoccò un'occhiata critica. «Fammi indovinare... Non hai fatto i compiti.»
«Ops...» Ace assunse un'aria colpevole. «Però le ho fatto la spesa. Il suo frigo piangeva.»
Marco tirò un sospiro esasperato. Forse era colpa sua, che aveva ridotto la casa in condizioni eccessive, lasciando che Ace se ne approfittasse. Però era solo il primo giorno e almeno avrebbero potuto iniziare a fare ripetizioni a un orario umano, non come al solito che Ace arrivava con ore di ritardo e studiava ruminando perché non aveva cenato. Andò il cucina e aprì il frigo, che adesso praticamente quasi esplodeva dalla quantità di roba che vi era stata stipata dentro. Probabilmente non sarebbe riuscito a finirle nemmeno fra un mese.
«Quanto ti devo per la spesa?»
«Ci sono gli scontrini sul tavolo» gridò Ace, che era rimasto sul divano a giocare. «Ho anche cancellato quello che mi sono comprato io per pranzo, i conti dovrebbero essere corretti.»
Marco li prese e li controllò: non c'era un errore di matematica e dovette anche ammirare la precisione con cui erano stati fatti. Di nuovo, si chiese perché Ace non potesse essere altrettanto diligente nello studio, date tutte le sue buone qualità. Continuò a fissare gli scontrini ammirato: si era preoccupato per nulla, tanto che Ace gli aveva appena dimostrato che aveva fatto bene a riporre in lui la sua fiducia.
Tornò in sala, prese il portafoglio dalla borsa e ne estrasse i contanti che aveva ritirato al bancomat apposta per pagarlo e glieli lasciò a fianco, sul divano. Avrebbe voluto fare conto pari e ignorare i centesimi che venivano fuori dal conto della spesa, ma poi aveva pensato avrebbe rispettato la precisione di Ace nel raccogliere gli scontrini.
Vide Ace fissare i soldi con la coda dell'occhio, prima di decidersi a mettere in pausa la partita. Li prese e se li infilò in tasca senza troppe cerimonie.
«Non li conti?»
«Non ce n'è bisogno. Sarebbe davvero un pessimo insegnante se sbagliasse, no?» aggiunse, voltandosi a guardarlo con un gran sorriso.
«Immagino di sì» rispose Marco divertito. Apprezzava la fiducia. «Dai, andiamo, è ora di studiare» lo spronò poi, vedendo che aveva ripreso a giocare.
«Non posso finire la partita?» domandò Ace, con sguardo supplicante. Poi allungò una mano a indicare la sua collezione di videogiochi, che ora era stata riposta in ordine sulla libreria, com'era giusto che fosse. «Non ho mai visto così tanti giochi in vita mia, pare un negozio! Alcuni non li avevo manco sentiti nominare.»
«Mi piacciono» ammise Marco. Per altro avere un argomento di conversazione con i suoi alunni era sempre stato utile e, in quello specifico caso, anche piacevole. «Ho già ordinato anche i due nuovi Assassin's Creed» aggiunse, dato che stava giocando proprio a uno di quella serie. «Escono a novembre.»
«Mai visto un prof simile» scosse la testa Ace, ma con un gran sorriso sul volto.
«Resto comunque un professore, eh» specificò Marco divertito. «Te li presto, se vuoi, ma adesso dobbiamo proprio andare a studiare. Almeno tornerai a casa in tempo per preparare la cena» specificò. Aveva imparato che alludere al fratello minore era utile per spronarlo.
«A dire la verità, Rufy stasera non c'è, rimane a dormire da un suo amico» rispose Ace, senza staccare gli occhi dallo schermo. Poi mise un attimo in pausa e si voltò. «Potremo prima finire la partita assieme e dopo studiare, tanto abbiamo tempo. E c'è pure un po' di storia in questo, non è che ne ho scelto uno a caso, eh.» Pareva decisamente convinto e soddisfatto della sua decisione.
Marco incrociò le braccia e ricambiò lo sguardo: era come se entrambi sapessero che non potevano resistere al richiamo di un videogioco. «Controproposta» disse allora. «Andiamo a studiare adesso, ceniamo e poi giochiamo dopo. Puoi anche fermarti a dormire, se vuoi. Tanto, con tutta la roba che hai comprato, ci possiamo sfamare un esercito.»
Ace esaminò la proposta. «Davvero posso restare a dormire?»
«Certo, ho un divano letto. Se ti accontenti del mio pigiama...»
«E dopo possiamo giocare?»
«Puoi anche scegliere a cosa» rispose Marco. L'entusiasmo di Ace lo stava contagiando.
«E va bene, allora, andiamo a studiare, prof. Su, prima che mi venga fame!»
Non si poteva dire che le cose andassero esattamente come Marco le aveva previste all'inizio di quella storia, ma la direzione che aveva preso per sbloccare Ace era quella giusta. Anche se, forse, si trovava ad essere più esaltato lui dell'intera faccenda.
 
***
 
Così, senza che Marco se ne accorgesse, si era creata una routine. Ace veniva da lui al mattino e lo aspettava finché non tornava dal lavoro. Se Rufy era fuori con gli amici, cenava e dormiva, altrimenti tornava a casa. I giorni per le ripetizioni avrebbero dovuto rimanere tre, ma dato che Ace era a disposizione, Marco ne approfittava per spronarlo a studiare maggiormente, anche se il più delle volte finivano a giocare con i videogame.
Come quella volta, quando Ace aveva candidamente fatto presente che non era mercoledì e che quindi nessuno l'aveva pagato per fargli ripetizioni, per cui non si riteneva obbligato a fare alcunché. Così avevano tirato fuori Kindom Hearts II e, per vendetta, Marco aveva iniziato a parlare in inglese a caso.
«Comunque è insopportabile» commentò Ace seccato, dopo l'ennesimo game over perché non capiva le istruzioni in inglese. «Sarà per questo che non ha una moglie e deve pagare me.»
«A parte il fatto che sono omosessuale, dici?» sorrise Marco. Già la frase di Ace appariva abbastanza ambigua, ma lui aveva deciso di aggiungere il carico da undici! L'aveva fatto di proposito, comunque. Credeva di conoscere Ace da abbastanza tempo per sapere come avrebbe potuto reagire ad una rivelazione simile. Lo stava mettendo alla prova.
«Oh... Oh... Okay.» Ace lo stava fissando, ma non era uno sguardo disgustato. Era un misto tra lo stupore e il dispiacere. «Mi scusi. Lei non sembrava uno di loro.»
«E come dovrebbe essere un gay certificato?» domandò Marco dolcemente. Domande simili ne aveva sentite da anni e sapeva che la società viveva ancora molto di pregiudizi.
«Non... Be', c'è uno alla mia scuola che dicono tutti che è froc... Voglio dire, si cura, usa il profumo, ecco...» Il gioco era ancora nel menù iniziale e Ace passava le dita sui pulsanti del joystick, in bilico tra il continuare la discussione e l'ignorarla completamente con la scusa di riprendere a giocare.
«A parte il fatto che siamo attratti dallo stesso sesso, non abbiamo altre differenze» spiegò Marco gentilmente. Era raro che rivelasse la sua sessualità ai suoi studenti, ma quando lo faceva era perché sapeva che poteva dare loro una nuova prospettiva. «Tutto qui.»
«Okay.» Ace gettò il joystick da una parte. «Mi scusi, sono un idiota. Non volevo tirare fuori questo argomento.»
«Non fa nulla» rispose Marco, con un sorriso. «Ho sentito molto di peggio. La tua colpa è solo che viviamo ancora in questa società.»
«Ha avuto molti problemi?» domandò allora Ace. Il suo sguardo era decisamente interessato.
«Alcuni, sì. Ma, come hai detto tu, non corrispondevo alla vera idea di gay che hanno tutti, quindi molte cose sono riuscito ad evitarle e, quando ho fatto coming out, avevo già accanto persone che non mi avrebbero giudicate.» Poiché Ace continuava a guardarlo, aspettando il seguito della storia, proseguì: «A differenza di molti altri omosessuali che sono vittime di bullismo, il bullo sono stato io.»
«Davvero? Non ci credo, prof!»
Marco ridacchiò. «Sono passati molti anni. Avevo dei problemi in famiglia e mi sentivo diverso, per cui reagivo con violenza ad ogni cosa. E sono finito in un carcere minorile, dove ho conosciuto Barbabianca.»
«Non è il nome della scuola dove insegna?»
«Esattamente. Si tratta del preside, Edward Newgate detto Barbabianca» annuì Marco. «All'epoca non l'aveva ancora aperta, ma lavorava già nell'ambiente dell'insegnamento per ragazzi difficili. Lui mi ha salvato e mi ha fatto diventare una persona migliore.»
Ace accennò un sorriso e guardò in un'altra direzione. «Per questo è diventato insegnante anche lei» commentò.
«Già. So cosa vuol dire passare un'adolescenza difficile e pensavo che la mia esperienza potesse essere utile.»
Gli era capitato in altre occasioni di raccontare la sua storia, ma di fronte a studenti il cui curriculum era decisamente più criminale di quello di Ace. Lui era differente da loro: certo era un ribelle, ma c'era un'intera ideologia dietro, che non aveva ancora capito. Un blocco, che stava cercando di superare man mano.
«Prof, o lei è cambiato davvero molto, o non ci credo» commentò infine Ace, con un gran sorriso sul volto. «Anche se questo giustificherebbe i videogiochi.»
«Perché solo i teppisti possono giocarci?» ribatté Marco divertito.
«No, perché è il suo modo di non trasformarsi definitivamente in un insegnante grigio e noioso.»
«Il tuo invece è indossare queste camice di dubbio gusto, vero?» commentò lui, che in realtà le aveva sempre trovate divertenti, anche se decisamente poco convenzionale, come quella zebrata che indossava quel giorno.
Ace gli scoccò un'occhiataccia. «Le mie camicie sono perfette» affermò.
«E il tuo passato, invece?» Era stata una domanda fatta quasi per caso, ma Marco doveva ammettere di essere curioso. Sapeva qualcosa da quello che Barbabianca gli aveva raccontato, ma erano notizie di seconda mano. Ace parlava molto di suo fratello e dei suoi amici, poco di se stesso.
«Niente di che.» Ace alzò le spalle. «Quando era piccolo ero un disastro e un bullo. Poi ho incontrato qualcuno che picchiava forte quanto me e abbiamo finito per diventare amici.» Sorrise dolcemente, probabilmente pensando a qualche ricordo del passato. «E poi ho conosciuto Rufy e qualcuno doveva pur prendersi cura di lui, altrimenti chissà che fine faceva...»
Marco annuì. «Immagino che ciascuno di noi incontri la persona giusta al momento giusto...» mormorò, quasi a se stesso. «Ma posso chiederti una cosa?» Aveva capito che non voleva parlare troppo del suo passato, ma il momento sembrava positivo per chiederlo.
«Certo» annuì Ace, incuriosito.
«Perché hai bisogno di soldi?» disse allora Marco. «Da quello che ho visto, Garp non ha problemi economici e per te sarebbe più facile occuparti di tuo fratello se non avessi da lavorare.»
Ace aveva ripreso il joystick e non sembrava incline a rispondere, ma le sue dita esitarono ancora sul pulsante rosso. «Mi servono soldi per andarmene di qui» rispose infine. «Quando Rufy sarà abbastanza grande per cavarsela da solo.»
«Dove vuoi andare?»
«Lontano» fu la semplice risposta di Ace, prima di selezionare 'nuova partita' dalla schermata iniziale.
 
***
 
Un pomeriggio, Marco tornò a casa e trovò Ace accomodato sul divano con il joystick in mano. Nulla di strano, se non che c'era un altro ragazzo dai capelli biondi accanto a lui. Erano entrambi così concentrati su quello che stavano facendo che non si erano nemmeno accorti del suo arrivo.
Marco si avvicinò a loro da dietro e sbirciò a cosa stavano giocando: non ricordava di averlo mai visto, eppure era a conoscenza di tutte le nuove uscite. La grafica non era granché e come gameplay era molto simile ai vecchi 2D. Si accorse dopo che non stavano giocando con una console, ma che avevano collegato un pc portatile alla televisione.
«Che cos'è?» domandò. Doveva essere un'app, gli unici videogiochi fuori del suo range di conoscenza.
Ace e l'altro ragazzo sobbalzarono per la sorpresa e i loro personaggi vennero sconfitti, dato che evidentemente si trovavano in una posizione particolarmente difficile del gioco. La scritta 'Game Over' brillò sullo schermo della televisione.
«Prof!» protestò Ace, balzando in piedi e con un'espressione a metà fra il seccato e il deluso sul viso, per la quale Marco dovette ricorrere a tutta la sua forza per non ridere. Poi Ace sembrò ricordarsi improvvisamente che c'era un'altra persona in casa. «Oh, questo è Sabo, un mio amico» lo presentò.
«Salve, professore. Scusi per il disturbo» disse Sabo, con un leggero sorriso. Il suo modo di vestire era decisamente più formale di quello di Ace, così come il suo linguaggio. Davvero diverso da Ace, eppure parevano andare molto d'accordo.
«Spero che non sia un problema se è passato, ma stavamo lavorando ad una cosa e ho pensato... Ah, mi ha aiutato a studiare» aggiunse Ace soddisfatto, ben sapendo che la parola 'studio' apriva molte porte quando si trattava di Marco.
Lui vide Sabo annuire un po' troppo vigorosamente e commentò: «A patto che questo non voglia dire che ha fatto i compiti al posto tuo...»
Sabo sorrise. «Vedo che ti conosce bene.»
«Taci.» Ace tentò di colpirlo con un calcio, ma inutilmente.
Marco scosse la testa e rise fra sé.  Nonostante avessero fatto molti miglioramenti, da quando Ace era venuto a lavorare da lui, non si poteva dire che avessero ancora eliminato quel blocco che sembrava impedirgli di vivere veramente. Ma ci stavano arrivando, se lo sentiva.
«Ancora non mi avete risposto. Che gioco è?»
«Oh, questo...» Ace seguì il suo sguardo fino allo schermo della televisione, con ancora la scritta di game over. «Non è niente, solo...»
«È un gioco che stiamo progettando e costruendo noi» spiegò allora Sabo. «È a metà tra un mouso e uno d'avventura. Parla di pirati.»
«Siamo solo al primo capitolo» precisò Ace. «All'inizio della storia, quando il protagonista lascia il suo villaggio per diventare pirata.»
«Il nome provvisorio è "Pirate Warriors"» continuò Sabo. «Ehi, aspetta, ho un'idea, perché non glielo facciamo provare? Lei gioca, vero?»
«Che, no!» lo fermò Ace. «Non è ancora pronto. Non è nemmeno la versione beta, è tipo un embrione.»
«Sì, ma se non facciamo delle prove non sappiamo dove sono i bug, no?»
«Ma è solo un livello! E la grafica è tutta pixelata...»
Marco non li stava ascoltando, era rimasto fermo alla frase "gioco che abbiamo costruito". Aveva conosciuto molti ragazzi molto intelligenti per la sua età, anche ragazzi che se la cavavano con il computer, ma era la prima volta che si trovava di fronte a due che avevano progettato e stavano costruendo un cazzo di videogioco. Poteva apparire piuttosto rozzo, ma si parlava di minorenni che lavoravano da soli.
Senza aggiungere una parola, si sedette sul divano e afferrò uno dei joystick e selezionò, sul menu, 'try again', nonostante Ace avesse cercato di fermarlo. Vero, la grafica non era delle migliori, ma c'era da dire che avevano pensato a tutto, sia per quanto riguardava il menu sia per quanto riguardava l'inizio della storia, con tanto di breve filmato introduttivo.
«Questo... l'avete progettato voi?» domandò, ancora incredulo.
I due ragazzi annuirono assieme.  «C'è ancora lavoro da fare, eh, non è che farà così schifo alla fine...» commentò Ace, agitando la mano allo schermo.
«E anche la storia migliora» aggiunse Sabo, con gli occhi che gli brillavano al pensiero.
«Wow...» Marco non sapeva davvero cosa dire. Ogni volta che credeva di aver capito Ace, di essere vicino a inquadralo, lui finiva sempre per sorprenderla. Questa cosa però le superava tutte. «Com'è possibile che tu sia a rischio bocciatura?» non poté che esclamare.
Ace alzò gli occhi. «Perché non hanno ancora inserito videogameologia tra le materie, prof.»
Sabo ridacchiò divertito. Poi controllò l'orologio da polso. «Devo andare.» Aggirò il divano e iniziò a staccare i cavi che collegavano il computer al televisore, per poi riporlo nella sua custodia.
«Perché non ti fermi a cena?» propose Marco. Aveva sentito più volte il nome di Sabo nelle conversazioni di Ace e sullo schermo del suo cellulare, per cui era davvero curioso di poter parlare un po' con lui, senza contare quello che aveva appena scoperto. «Tanto Ace fa sempre la spesa per un esercito.»
«Be', se così non fosse non potrebbe fare inviti improvvisi» si difese Ace.
«La cosa non mi sorprende» ridacchiò Sabo. «Ma devo proprio andare. I miei hanno ospiti stasera.» Alzò gli occhi al cielo per indicare quanto poco la cosa gli interessasse o gli facesse piacere.
«È il secondo buon motivo per restare» gli fece presente Ace.
«Hai ragione, ma non voglio rotture di palle» commentò Sabo, che si era già messo lo zaino con il pc sulle spalle. «E poi tu devi studiare, quindi vi lascio soli.»
«Bastardo!» gli gridò dietro Ace. Con un sorrisetto eloquente, Sabo lasciò la casa di corsa, sbattendo la porta dietro di sé. «Questa me la paga...» mormorò lui fra i denti, quindi prese un respiro profondo e si diresse verso la cucina, dove solitamente facevano ripetizioni, come un uomo che si recava al patibolo.
Marco lo seguì, ma quel giorno aveva poca voglia di studiare lui stesso. «Progetti videogiochi» disse nuovamente, giusto perché diventava più credibile se lo pronunciava ad alta voce. «E stai per essere bocciato.»
«Perfetto riassunto della situazione» commentò Ace, alzando gli occhi.
«Quello che voglio dire è... Sei dotato! Quante persone delle tua età sarebbero capaci di fare una cosa del genere? Se ti impegnassi solo un attimo saresti il migliore della scuola, per non parlare dell'università...!»
«Io non andrò all'università» affermò Ace, calmo.
«Perché no?» Marco era stupito della sua certezza. «Sai che non è uguale alla scuola, lì puoi fare davvero qualcosa che ti piace.»
«Non ci vado» ripeté Ace, ancora più convinto. «Non serve. Sa che Einstein era stato rimandato in matematica? E che Steve Jobs ha lasciato il college? Non mi serve.»
A quanto pare guardava in alto, il ragazzo. «Capisco, ma è sempre una qualifica da avere. Non tutti possono fondare la Apple e le grandi aziende non prendono non laureati. Credimi, lo so.»
«Tanto non mi prenderebbero comunque.» Di nuovo, quel blocco che Marco sentiva presente e che non riusciva ancora a focalizzare bene.
«Ma...»
«Perché gliene importa tanto?» protestò Ace, interrompendolo prima che potesse parlare. «È pagato solo per farmi passare gli esami di recupero, quindi per il resto si faccia i cazzi suoi!» E rimase per un attimo a fissarlo, respirando pesantemente, poi si voltò e prese uno dei suoi libri di scuola e iniziò a sfogliarlo con disinteresse.
Marco aveva già capito di essere andato troppo oltre, ma quella sfuriata gli diede l'esatta misura di quanto. Di solito era più prudente con i suoi studenti, ma Ace lo prendeva sempre in contropiede. E, doveva ammettere, gli aveva fatto male farsi sbattere in faccia che per lui era solo un lavoro. Il fatto che Garp lo pagasse era ormai una cosa di poca importanza, per lui.
«Ti chiedo scusa» disse allora. «Sono sicuro che hai pensato molto all'università e se hai preso questa decisione è perché senti sia quella giusta. Tuttavia, come tuo insegnante è mio dovere presentarti le alternative che hai di fronte. E penso che sarebbe un peccato non provare l'università, tutto qui.»
Ace lo guardò per un attimo sottecchi, poi annuì. Almeno il fatto di non trattarlo come un bambino che non sapeva prendere decisioni da solo funzionava ancora. Per di più, era indubbio che Ace fosse più maturo della sua età.
«È vero, io vengo pagato, perché i soldi mi servono. Soprattutto da quando sei tu a farmi la spesa» rise, pensando alla quantità di roba che acquistava. «Ma faccio questo lavoro perché tengo ai miei studenti. Vorrei che questo fosse chiaro.» E credeva che fosse già abbastanza chiaro dal fatto che in pratica lo pagava profumatamente pur di lasciargli ore libere per lo studio.
Ace annuì e sospirò. «Scusi per la sfuriata» disse solo. «Almeno lei è l'unico che pensa che abbia un po' di cervello.»
Marco non aveva idea esattamente a chi fosse indirizzata quella frase, ma decise di non approfondire, al momento. Sapeva bene che spesso alcuni dei suoi colleghi insegnanti non sapevano distinguere fra scarsa intelligenza e scarsa voglia.
«Dai, prendi il libro degli esercizi d'inglese.»
«Non dovevamo fare biologia, oggi?»
«Sì, ma se non avrai una laurea, almeno cerchiamo di darti una base di qualcos'altro» rispose Marco, con un sorriso. «Le aziende di videogiochi estere non ti assumeranno mai se le uniche parole che conosci sono 'game over' e 'try again'.»
«Conosco anche 'how are you' e 'thanks', penso che siano sufficienti» rispose Ace, ma si vedeva che era divertito dalla situazione. Gettò in un angolo il libro di biologia e recuperò quello d'inglese, con più entusiasmo rispetto al solito. «Grazie.»
 
***
 
Non era mai agitato prima dell'esame di un suo alunno. Marco sapeva bene che aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per prepararli, per cui il risultato non dipendeva da lui, ma dal loro impegno e dalla loro volontà. Sarebbe stato pronto a consolarli in caso di fallimento, ma capitava raramente.
Con Ace, invece, era tutta un'altra questione. Non solo perché alla fine era finito a farsi trascinare da lui più di quanto avesse voluto, ma anche perché aveva finito per averci una relazione ben più stretta di quelle che solitamente aveva con i suoi studenti, considerando che era praticamente ogni giorno a casa sua.
E Marco non aveva idea di come avrebbe potuto reagire di fronte a un fallimento. Senza contare che aveva ben quattro esami di recupero e aveva promesso di fargli avere notizie solo al termine della sezione. Per distrarsi, si era messo a giocare a Final Fantasy, il primo e in versione 'easy', perché altrimenti sarebbe morto alla prima missione, dato che non c'era con la testa.
Se i suoi colleghi e amici l'avessero visto in quelle condizioni l'avrebbero preso per il culo in eterno, proprio lui che aveva la fama di riuscire a restare calmo in quasi ogni situazione. Al massimo, si disse, avrebbe potuto dare la colpa a Garp, che aveva sentito urlare al telefono di Ace in una maniera decisamente poco rassicurante.
Il cellulare era appoggiato sul tavolino basso del salotto, col volume al massimo, mentre quello della televisione era spento, così avrebbe sentito qualsiasi chiamata in arrivo. Quello che sentì fu però il rumore della chiave che apriva la serratura della porta e Ace che entrava nella stanza. Aveva ancora lo zaino sulla spalla destra ed era vestito in maniera più sobria rispetto al solito, con una semplice camicia bianca - e chiusa, soprattutto.
Il sorriso che aveva sul volto però era sempre lo stesso. «Promosso!» esclamò soddisfatto. «Avrebbe dovuto vedere la faccia degli insegnanti, che già pensavano di essersi liberati di me...» ridacchiò.
Marco tirò internamente un sospiro di sollievo, poi sorrise. «Allora direi che dobbiamo festeggiare...» commentò. Andò in cucina, mentre Ace gettava lo zaino sul divano e apriva i bottoni della camicia, e prese dall'armadietto una bottiglia e due bicchieri.
«Quella è vodka?» si stupì Ace. «Wow, prof, lei quando si lascia andare lo fa con stile.»
Marco rise. «So anche fare dei cocktail. Un'altra volta» aggiunse in fretta, dato lo sguardo brillante negli occhi di Ace. «Però bisogna festeggiare per bene.» E versò il liquido trasparente nei due bicchieri, per due dita.
«Allora, a cosa brindiamo?» fece Ace tutto allegro, mentre prendeva il bicchiere e lo sollevava.
«Direi al tuo successo» rispose gentilmente Marco.
«Tutto merito suo.»
Marco scosse la testa. «È sempre stato nel tuo cervello.»
«Allora a tutti e due» concluse Ace, facendo tintinnare i loro due bicchieri, quindi bevve la vodka in un unico sorso e si pulì la bocca con il dorso della mano.
«Un bicchiere è più che sufficiente» disse Marco, vedendo che occhieggiava in maniera ben evidente al resto della bottiglia piena, lasciandolo deluso.
Ace però si riprese subito. «Allora, cosa succede adesso?»
«Adesso?» ripeté Marco, perplesso.
«Tra di noi, intendo» spiegò Ace. «A me toccherà iniziare la scuola e non avrò più tempo la mattina, ma vorrei continuare a lavorare nel tempo libero. Lo so che lei mi ha dato un lavoro solo per farmi studiare e ora non è più necessario, però, mi chiedevo...»
Marco prese un lungo respiro. Era vero, l'unico motivo per cui gli aveva chiesto di venire a sistemargli casa e per cui aveva dovuto fingere di essere un disordinato cronico era stato per non dargli più la scusa per poter saltare le ripetizioni. Quello per cui era stato pagato era terminato, dato che Ace aveva superato gli esami di recupero, e normalmente la sua strada come insegnante si sarebbe separata da quello dello studente.
Però si era abituato alla presenza di Ace in quell'appartamento, ad averlo intorno e a giocare con lui nel tempo libero e avere il frigo pieno di cibo. Strano a dirsi, aveva anche iniziato a diventare pigro nel fare le pulizie, cosa che non era del tutto positiva, ma che rientrava nella necessità di far fare qualcosa ad Ace.
Inoltre, sperava sempre di riuscire a convincerlo a impegnarsi nella scuola e andare all'università.
«Vero, non sarò più pagato per farti ripetizioni» disse. «Però ho ancora bisogno di qualcuno che si occupi della mia casa e della mia spesa, per cui il tuo lavoro è al sicuro. E ovviamente, se ne avrai bisogno, ti darò una mano con lo studio.»
«E potremo fare delle partite?»
«Certo! A novembre escono due nuovi Assassin's Creed, ricordi?»
Ace apparve particolarmente soddisfatto della situazione. «Credo che dovremo festeggiare anche questo nuovo accordo» commentò. «Ovviamente con un altro brindisi.»
«Non ci provare» rise Marco, spegnendo il suo entusiasmo. «Ma, se mi verrà voglia, qualche sera sperimenterò qualche cocktail.»
 
***
 
Fino a quel momento, Marco aveva creduto che l'interesse per Ace fosse di tipo squisitamente professionale. Gli sembrava di essere un po' come un allenatore che aveva scoperto un nuovo talento e che voleva coltivarlo. Ace aveva vent'anni esatti meno di lui, per cui non aveva pensato, nemmeno per un istante, che potesse esserci qualche altro motivo sotto.
La sua visione della situazione cambiò totalmente la sera del cinque Ottobre, il giorno del suo compleanno. Tornò a casa con istinti omicidi, perché quegli imbecilli dei suoi colleghi gli avevano gettato accidentalmente via l'orario delle lezioni per il mese, costringendolo a rimanere due ore più del normale per riscriverlo da capo. Non aveva sospettato che i suddetti imbecilli l'avessero fatto di proposito per tenerlo fuori di casa mentre gli preparavano una festa di compleanno a sorpresa.
Così, aprendo la porta, li trovò tutti e quattordici radunati nel suo salotto, con la torta e le trentasette candeline da accendere, e con ridicoli cappellini in testa. C'era anche Newgate, che pareva essere quello che si stava divertendo maggiormente, almeno dal modo in cui aveva preso possesso dello stereo e continuava a cambiare musica continuamente.
I vicini l'avrebbero di sicuro ammazzato, la mattina successiva, tuttavia Marco non poté trattenere un sorriso alla vista. In fondo, i suoi colleghi erano anche i suoi migliori amici ed era commuovente vedere che si erano sbattuti tanto per fargli un favore.
«Siete pazzi» commentò, scuotendo la testa. «Ma grazie.»
Satch gli mise un braccio attorno alle spalle e contemporaneamente cercò di infilargli in testa uno dei ridicoli cappelli. «Devi ringraziare il tuo alunno, per quest'idea» gli comunicò.
«Ace?» Oh, be', questo spiegava come avessero fatto a entrare, dato che Marco aveva proibito a Satch di avere una copia delle chiavi, dopo che aveva utilizzato il suo appartamento come un bordello in affitto, l'ultima volta che glielo aveva lasciato in mano. «Dov'è?»
Satch gli sorrise e, con un cenno, gli indicò la cucina.
«C'è un po' odore di bruciato, qui, o sbaglio?» commentò Marco, entrando. Ace era inginocchiato per terra e stava controllando qualcosa nel forno. Il tavolo era ripieno di tartine e roba varia, ma non tutto sembrava commestibile.
«Buon compleanno!» lo salutò Ace. «Bruciato, dice?» Si alzò e prese, dal lavello, una padella completamente nera. «Poi la pulisco» assicurò. «A proposito, dovremo ricomprare la vodka.»
«Avevo una bottiglia piena! Quanta nei hai usata?» commentò Marco, un po' preoccupato.
«Be', siamo in tanti...»
Marco scosse la testa. Personalmente, avrebbe preferito tenere la vodka lontano da Satch, anche in misure molto piccole. «Mi hanno detto che è stata una tua idea.»
Ace annuì. «Non l'ho mai vista festeggiare nulla» commentò. «C'era bisogno di un po' di vita in questa casa.»
Di certo, non si poteva dire che Ace non ne avesse portata, da quando era arrivato nella sua vita. «Dopo metto tutto a posto io, promesso» specificò.
«Me lo auguro, dato che ti pago per quello» rise Marco. «Come hai scoperto che oggi era il mio compleanno?»
Ace si era chinato a cercare qualcosa nel suo zaino, appoggiato contro la parete della cucina. «Oh, ho trovato il suo passaporto mentre sistemavo» rispose, in maniera distratta. «A proposito, è l'unica persona che viene bene pure nelle fototessere. Manco su quello la si può sfottere!»
Poi si alzò e in mano aveva un piccolo pacchetto: era fasciato elegantemente e con un fiocchetto blu su un lato, ma si vedeva che era una cosa fatta a mano, cosa che rese Marco ancora più curioso. Quando la aprì, vi trovò all'interno un cd neutro. La calligrafia di Ace vi aveva scritto sopra, con il pennarello nero, "One Piece".
«Questo è un vecchio gioco a cui abbiamo lavorato io e Sabo» spiegò Ace. «È del tipo di Monkey Islands, sa? Con indovinelli e pessima grafica.»
Marco se lo rigirò fra le mani. «Quanti giochi avete fatto tu e Sabo?» domandò, incredulo.
«Solo uno, quello» rispose Ace, indicandolo. «L'altro è in progress» gli ricordò. «Comunque ci abbiamo fatto giocare solo Rufy, quindi... Non so, ho pensato che magari le faceva piacere provarlo. Però se fa schifo è normale» aggiunse, con un leggero sorriso.
«No, no... È perfetto.»
Ecco, quello fu il momento in cui Marco capì che c'era altro sotto il suo interesse per Ace. Non sapeva dire se fosse per l'idea del compleanno, o per il regalo incredibilmente personale che gli aveva fatto, o solamente perché era arrivato al limite dei suoi sentimenti, ma la sensazione che provò in quel momento fu di prenderlo e sbatterlo contro il muro.
Lo vedeva sorridere e non poteva scostare gli occhi da quelle labbra carnose, pensando a quanto dovesse essere bello toccarle e baciarle e morderle. Voleva sentire le sue mani che lo stringevano a sé. I pantaloni si fecero stretti.
«Ehi, ma dov'è il festeggiato?» venne la voce di Satch dal salotto. «Dobbiamo fargli spegnere le candeline.»
«Arriviamo!» gridò Ace di ricambio. Afferrò il pacchetto di fiammiferi che era appoggiato sul tavolo, fra i vari vassoi di tartine. «Dai, andiamo! Deve esprimere un desiderio.»
Il momento era passato e Marco riprese il controllo di sé, mentre Ace lasciava la cucina. «Tenete qualsiasi cosa infiammabile lontano da lui!» esclamò, ricordandosi che Ace e il fuoco andavano fin troppo d'accordo e questo avrebbe potuto significare un incendio assicurato, considerando che erano trentasette candeline.
Tornò nel salotto qualche minuto dopo, quando si fu assicurato di essersi calmato ovunque, e ostentò sicurezza e cercò di godersi la festa. Dentro, però, si sentiva sporco. Ace non solo era un ragazzino ancora minorenne, ma era un ragazzino che era stato affidato alle sue cure. Le sensazioni che aveva provate erano degne del peggior pedofilo là fuori.
Non aveva alternative, doveva allontanarsi da Ace
 
***
 
«Stai studiando?» si stupì Marco quando, entrando nel suo appartamento, trovò Ace come al solito sul divano, ma con un libro in mano anziché con il joystick.
Ace gli riservò un'occhiataccia. «Se non studio perché non studio, se studio perché studio... Non è mai contento!» Il tono era comunque divertito.
«Sono contento, solo sorpreso» ribatté Marco. «E mi dispiace doverti interrompere data l'eccezionalità della cosa.» Ora Ace lo guardò interessato e il libro finì immediatamente dall'altra parte del divano. «Ti ho trovato un lavoro» annunciò, sedendosi accanto a lui, ma non troppo vicino.
Ace inarcò un sopracciglio. «Ho già un lavoro. È lei che mi paga, ricorda?»
«Non sono ancora così vecchio» precisò Marco, con un leggero sorriso. «Ma ho scoperto che una persona che conosco ha da poco aperto un Game Stop e ha bisogno di personale, per cui ho proposto te.»
«E la scuola...?» Il tono era comunque interessato.
«Lo so, gliel'ho detto» proseguì Marco. «Il fatto è che hanno bisogno di gente esperta che lavori soprattutto il sabato e la domenica e tu sei perfetto. Così potresti andare a scuola, avere del tempo libero e anche guadagnare. Naturalmente, dovrai lavorare anche qualche pomeriggio.»
Ace si prese un attimo di tempo per pensarci. «Non mi resterebbe tempo per venire da lei. O per studiare.»
«Ah, ovviamente non verresti più da me» disse Marco. Era proprio il punto dell'intera questione.
«Ho fatto qualcosa di male?» domandò Ace.
«No!» Marco fu un po' troppo rapido nel negare. Aveva pensato per giorni a come poter allontanare Ace da sé senza che sembrasse che lo stava cacciando. «Mi è capitata questa occasione e ho pensato che fosse l'ideale, per te. Non vorresti lavorare in un negozio di videogiochi anziché pulire appartamenti e fare la spesa?»
«Be', certo...» commentò Ace. «Però mi piace stare qui...»
«Sono sicuro che ti divertirai molto di più al Game Stop, dove potrai giocare anche con ragazzi della tua età.» Marco estrasse un volantino dalla tasca, dove aveva segnato il numero del proprietario. «Gli ho già parlato di te, chiamalo pure per un colloquio.»
Ace lo fissò. «Ha già deciso, a quanto pare, prof.»
«Sto solo pensando a cosa potrebbe essere meglio per te» rispose Marco. Ace non aveva probabilmente idea di quanto difficile era per lui, ma non poteva dirglielo. Semplicemente, era una cosa da adulti.
«Già, come tutti» commentò Ace, in tono neutro. Afferrò il volantino e se lo infilò in tasca poco cerimoniosamente, quindi si allungò per recuperare il suo libro.
«Lo sai che non è così.» Marco non pensava che l'avrebbe presa così male. In fondo, ben sapeva perché stesse cercando di guadagnare, quindi un lavoro era come un altro. E lui aveva scelto di proposito uno che potesse attirarlo anche a livello personale, non certo come scaricare casse al mercato.
«Sì...» Ace era già in piedi, con lo zaino sulle spalle.
Marco avrebbe voluto fermarlo. Nonostante i suoi sforzi, era perfettamente chiaro che l'aveva ferito. Solo che non poteva farlo: trattenerlo sarebbe stato ancora peggio. Sperava che lavorare al Game Stop l'avrebbe rimesso in sesto. In fretta Ace si sarebbe scordato del professore che gli aveva dato delle ripetizioni durante l'estate.
«Aspetta... Ma non vuoi lo stipendio di questa settimana?»
Ace aveva già una mano sulla maniglia della porta e osservò con sguardo assente Marco che tirava fuori il portafoglio, poi scosse la testa. «Non lo voglio. La consideri una buonuscita.»
«A dire la verità la buonuscita si dà al dipendente...» iniziò Marco, ma Ace era già uscito. Non gli restò altro che osservare tristemente la copia del suo mazzo di chiavi, abbandonata nel cestino all'ingresso.
Per quanto sapesse di aver preso la decisione giusta, faceva dannatamente male.
 
***
 
Era a scuola durante l'ora di pausa, quando gli arrivò la chiamata di Shanks, il preside del Liceo Scientifico Tecnologico. Normalmente l'avrebbe ignorato, dato che non faceva altro che tentare di convincerlo a lasciare Barbabianca per andare a fare l'insegnante di sostegno da lui, ma in quel caso rispose.
Dopotutto, era la scuola di Ace.
«Ehi, Marco, come va?» lo salutò col suo solito tono allegro Shanks, per niente adatto a un preside serio. «Non hai cambiato idea sul tuo lavoro, vero?»
«No.»
«Sempre il solito...»
«Se non hai niente da dirmi, attacco.»
«No, no, aspetta!» Shanks era diventato improvvisamente serio. «In realtà ti chiamavo per uno dei miei studenti. Portgas D. Ace. È vero che gli hai fatto ripetizioni?»
Marco sentì che le sue mani erano diventata improvvisamente fredde. «Che è successo?»
«Sono due settimane che non viene a scuola» spiegò allora Shanks. «Ho chiamato suo nonno e mi ha urlato contro assordandomi l'orecchio, ma a quanto pare non è servito a molto.» Anche se Shanks poteva sembrare irresponsabile, era comunque un bravo insegnante che teneva ai suoi alunni e Marco lo rispettava per questo.
«Ho provato a chiedere a suo fratello, Rufy, che tra l'altro è mio alunno» continuò Shanks. «So che c'è qualcosa sotto perché Rufy è pessimo a mentire, ma non so cosa. Mi chiedevo se tu avessi altre spiegazioni.»
«No, mi dispiace» fu la risposta di Marco. «Ho smesso di fargli ripetizioni dopo l'inizio dell'anno scolastico.» Vero e falso allo stesso tempo: avevano continuato a frequentarsi lo stesso... fino a due settimane prima.
«Capisco. Se per caso hai notizie fammi sapere.»
«Certo.» Quando Marco chiuse la chiamata, rimase a fissare il suo cellulare a lungo, per decidere cosa fare. In teoria, non erano più affari suoi. Non era più l'insegnate di Ace. Non era più nulla, per lui. Ma non riusciva a togliersi dalla testa che fosse stato il suo comportamento l'ultima volta a provocare quella reazione in Ace. In dieci minuti aveva vanificato tutto il lavoro di un'estate, alla faccia del bravo insegnante!
Doveva trovare Ace e, in qualche modo, rimettere a posto le cose. Il problema era come fare. Non poteva chiedere a Rufy, perché era chiaro che avrebbe fatto qualsiasi cosa per coprire il fratello, né a Garp, perché non ne sapeva nulla. Solo un altro nome gli venne alla mente: Sabo. Un breve giro su Facebook gli fece scoprire che scuola frequentava, quindi chiamò il preside Dragon e, nonostante la sua fama di inflessibilità, riuscì a convincerlo a passarglielo al telefono.
«Ah, è lei» fu il commento di Sabo, quando capì chi era alla cornetta. «Che cosa vuole?»
Marco non fu particolarmente sorpreso di sentire diffidenza da parte sua. Era dalla parte di Ace, ovvio. «Sai dove posso trovare Ace? Devo parlargli.»
«No, mi spiace.»
«Senti, non so che cosa ti abbia raccontato Ace esattamente, ma non volevo ferirlo.» Marco non si diede per vinto. «Dimmi dove posso trovarlo, per favore. Voglio mettere le cose a posto.»
Per diversi minuti, Sabo restò in silenzio, poi sospirò. «Ha presente il centro commerciale davanti all'Eataly?» disse poi. «A volte Ace va lì, alla Mediaworld, a giocare ai videogame in prova.»
«Grazie.» Adesso aveva almeno una meta. Afferrò la sua giacca. «Satch, sto uscendo. Sostituiscimi tu» gridò al collega e non aspettò risposta e si precipitò fuori dalla scuola. Venti minuti di autobus e raggiunse il centro commerciale che gli era stato indicato.
Ace era seduto sul divano della Mediaworld, a giocare. Dato che sarebbe stato orario di scuola, non c'era nessuno che gli desse fastidio. Marco rimase fermo a decidere come introdurre l'argomento, ma fu Ace a voltarsi e a notarlo.
«E lei che cosa ci fa qui?» domandò, con gli occhi spalancati.
«Mi hanno chiamato dalla tua scuola, dove non vai da due settimane. Erano preoccupati.»
Ace alzò le spalle. «Quelli sono solo preoccupati che il vecchio vada a rompere i coglioni.»
«Non è vero e lo sai.» Poiché Ace stava continuando a giocare, ignorandolo appositamente, Marco aggiunse: «Possiamo parlare un attimo?»
«Non abbiamo niente da dirci.»
«Invece sì. Soprattutto perché stai facendo in capricci come un bambino. Se vuoi essere trattato da adulto, comportati come tale.»
«Non sto facendo i capricci» protestò Ace, punto nel vivo.
«Smetti di andare a scuola perché... Non lo so nemmeno bene il perché, ma è un capriccio.»
Solo allora Ace abbandonò il joystick e si alzò per fissarlo negli occhi. Era arrabbiato. «Io la smetto di fare i capricci se tu la smetti di fingere che ti importi di me.»
«A me importa di te e lo sai.»
«Certo. Difatti non mi hai scaricato alla prima occasione.» Ace fece un risolino. «Sai, ci avevo quasi creduto. Insomma, avevi messo la casa in disordine apposta per me. Dovevo saperlo che tanto sarebbe stata una fregatura.» Ace scosse la testa. «Scommetto che tutti i soldi te li ha dati mio nonno.»
«No.»
«Be', non ti credo. E adesso puoi anche andartene.»
Marco si avvicinò e lo prese per le spalle, con più forza di quella che volesse. «Ascoltami bene. Non è stata un'idea di tuo nonno, ma mia. Perché tengo a te. Non ti ho scaricato, ho cercato di darti un'occasione migliore.»
«Te la potevi tenere. Io non la volevo.» C'era una disperazione, nei suoi occhi, qualcosa che Marco non aveva mai visto prima in lui. Sapeva che c'era qualcosa, un blocco che gli impediva di vivere senza ansie, ma non aveva mai scoperto che cosa fosse. Lo aveva visto più sereno e pensava che andasse tutto bene. Aveva sbagliato in pieno.
«Ace» disse lentamente, lasciandolo. «Dimmi qual è il problema. Dimmi che cos'ho fatto.»
Ace lo fissò intensamente, ma sembrò in qualche modo convincersi. «Quando ero alle elementari mio padre è stato arrestato» gli raccontò. «Prima avevo un sacco di amici e dopo nessuno voleva più giocare con me. In fondo, chi vorrebbe essere amico del figlio di un criminale?» C'era solo amara consapevolezza nella domanda. «Ed è sempre stato così. Sono sempre stati tutti pronti a voltarmi le spalle alla prima occasione. Non piaccio a nessuno. Eppure ci ricasco ogni volta. Non è colpa tua, è mia che mi sono fatto fregare di nuovo.»
Solo allora molti dei comportamenti di Ace assunsero un senso: la sua certezza che fosse inutile studiare, perché nessuno avrebbe assunto il figlio di un criminale, o la voglia di scappare lontano, dove nessuno conosceva il suo passato, quel blocco all'idea di vivere davvero appieno la propria vita. Non era certo facile liberarsi dall'insicurezza che una simile esperienza aveva provocato.
«E Rufy e Sabo?» domandò Marco.
«Loro sono un'eccezione.»
«Anche io.»
«Certo, come no.» Ace fece una leggera risata. «Non mi hai scaricato alla prima occasione, no.»
«No, l'ho fatto» ammise Marco, serio. «Ma avevo un buon motivo dietro.»
«Quale?»
Marco gli prese il volto con le mani e lo baciò. Fu un bacio leggero, con le labbra che si sfiorarono appena, ma fu già troppo. Era bastato a fargli tornare la voglia di andare avanti, di baciarlo ancora e ancora, di stringerlo a sé e di sentirlo sotto di lui. Era andato troppo oltre, ma non aveva avuto altra scelta.
Fortuna che almeno non c'erano clienti curiosi a guardarli.
Quando si separarono, Ace lo stava fissando con gli occhi spalancati. Prevedibile: non era bello baciare un etero in quella maniera, anche se Ace si era dimostrato pronto a scavalcare i pregiudizi. E per di più era il suo alunno.
«Tu mi piaci, Ace» gli disse. «Mi piaci più di quanto dovresti. Se ti ho allontanato, è per questo motivo, non per te. Per cui torna a scuola, va bene?»
Non aveva altro da dirgli, per cui si voltò per andarsene. Anzi, aveva fatto fin troppo, ma rivelare i suoi sentimenti era davvero l'unico modo per mostrare ad Ace che le sue insicurezze non avevano alcun fondamento. Non potevano più stare assieme, ma almeno avrebbe saputo il perché.
Quello vero.
Si sentì tirare per un braccio e un attimo dopo Ace lo stava baciando: un bacio fatto bene, questa volta, con le mani di Ace che si stringevano spasmodicamente contro la sua schiena e la lingua che premeva contro le sue labbra. Marco sapeva benissimo che stava commettendo uno sbaglio, ma non poteva respingerlo. Non dopo quello che gli aveva sentito dire.
«Baci bene, per un ragazzino» ammise infine. Non era la prima cosa da dire, ma era stato contagiato dal sorriso soddisfatto di Ace. «Ma non possiamo.»
«Perché?»
«Sei minorenne, sei un mio alunno e hai vent'anni meno di me.» In elenco di gravità decrescente.
«Fra meno di tre mesi sarò maggiorenne, non sono più tuo alunno e tu dimostri molto di meno.»
Era chiaro che non ne sarebbero usciti. Se c'era qualcosa che aveva capito di Ace era la sua testa dura. Difatti proseguì: «Insomma, non vuoi che torni a scuola?»
«Questo è un ricatto in piena regola» commentò Marco.
«Lo è. Anche perché funziona.»
Ma a quel gioco potevano giocare in due. «Bene, allora, puoi tornare a casa mia se vuoi» disse. «Niente baci, niente sesso, niente di niente almeno finché non ti sarai laureato.»
«Niente...?» Il viso di Ace era sconvolto, ma Marco non cedette. Fra due, tre, quattro anni, sicuramente Ace avrebbe trovato qualcuno della sua età e si sarebbe dimenticato della sua cotta. Marco ne avrebbe sofferto, era chiaro, a vederselo davanti ogni giorno, ma era il suo compito di insegnante educarlo nella maniera migliore.
«E va bene» acconsentì Ace. Ma aveva un sorriso furbo, mentre allungava la mano per ricevere le chiavi dell'appartamento.
 
***
 
Marco leggeva il giornale sul divano del suo salotto, mentre Ace sonnecchiava accanto a lui, con la testa appoggiata contro il suo braccio. Si voltò appena per osservarlo e sorrise fra sé. Non c'era un giorno in cui non si era pentito di averlo accolto nuovamente in casa, e non c'era un giorno in cui non era felice di averlo fatto.
Non voleva rovinare la vita di Ace, legandola a lui che era un vecchio, ma allo stesso modo voleva aiutarlo a superare quel blocco, quell'insicurezza che infine gli aveva confessato, e non poteva farlo continuando ad allontanarlo da sé. Almeno, ora che Ace aveva diciotto anni non sarebbe stato arrestato.
Ace si svegliò, sbattendo appena le palpebre e sorrise, vedendo che lo stava osservando. «Niente baci?»
«Non mi risulta che tu sia laureato.»
«No, però ho preso un sacco di nove questo semestre» ribatté Ace. «E ho studiato tutto il giorno... Mi merito un premio» annuì convinto.
Marco rise. Era certo una strana relazione, la loro, ben oltre i venti anni di differenza, con premi e ricatti e tante, tante partite ai videogiochi. Eppure funzionava. Faceva tacere i suoi sensi di colpa.
«Solo uno» rispose allora. «E solo se poi mi fai provare il nuovo livello che tu e Sabo avete scritto.»
«Non sarebbe ancora pronto, ma... affare fatto!» Ace gli strappò praticamente di mano il giornale e si sedette su di lui. Era una posizione pericolosa e le loro labbra rimasero unite per troppo tempo, ma nessuno dei due era riuscito a sottrarsi al tocco dell'altro.
Solo quando si separarono Marco riprese il controllo di sé e lo allontanò. Ace gli scoccò un'occhiataccia, ma poi annuì e recuperò il pc con il file di "Pirate Warriors": l'avevano provato il giorno prima, per cui sulla schermata principale comparve tremante la scritta 'game over'.
Marco afferrò il joystick e pensò, fra sé, che forse quello che avevano passato corrispondeva ad un videogame. Avevano vissuto un'estate intensa e avevano quasi rovinato tutto. Infine, ci stavano riprovando.
Il senso di inadeguatezza di Ace, che derivava dalle sue passate esperienze, era ancora presente, a bloccarlo, eppure lui cercava sempre di stabilire dei contatti con gli altri, così come aveva fatto con lui. Marco aveva smesso di sentirsi un pedofilo, perché capiva che quello che c'era fra loro due era molto di più che una semplice attrazione fisica, tuttavia non poteva negare a se stesso che era un rapporto decisamente poco convenzionale.
E mentre guardava Ace aprire un pacchetto di patatine e tornare ad accomodarsi al suo fianco, con un grosso sorriso sul volto, spostò il cursore sulla scritta 'try again'. Sì, valeva davvero la pena riprovarci.

 
 

 
Akemichan parla senza coerenza:
Dopo la raccolta 'sei attimi' dedicata alla Rufy/Nami, ho iniziato questa dedicata a un altro dei miei OTP, la Marco/Ace (sì, progetto di farlo per tutti ù.ù). A differenza dell'altra, che erano solo flashfic su canon momenti, qui ho dato libero sfogo alla fantasia quindi ci saranno anche AU, missing moments e un po' quello che mi piaceva metterci dentro. Il filo conduttore, quindi, sono i baci. Sei baci.
In teoria avrei voluto pubblicarla per la Marco/Ace Week che ci sarà la prossima settimana, ma sta partecipando ad un contest e a causa del sovrapponimento con la Rufy/Nami Week, alla fine ho beccato il giorno giusto dove avevo un vuoto per metterla. I prossimi aggiornamenti saranno probabilmente di nuovo alla domenica sera/lunedì mattina, a seconda del tempo. 
Purtroppo non ho la fonte delle immagini; soprattutto nel caso della seconda, l'autore ha cancellato il suo account ç.ç
Questa AU ha preso forma grazie al contest, ma il trope di Marco!Insegnante mi piace un sacco fin dai tempi di "Forbidden Fruits" e sono stata molto felice di poterne riproporre una mia versione. Ho cercato quindi di dargli un tocco decisamente personale, ma, a causa appunto delle tante fic a questo argomento che ci sono (alcune splendide) ho paura di non aver reso loro giustizia.
Spero che non sia così. Grazie a chiunque l'abbia letta e apprezzata. Come al solito, mi trovate sul blog, su twitter, su tumblr e su facebook. Alla prossima!
 
   
 
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > One Piece/All'arrembaggio! / Vai alla pagina dell'autore: Akemichan