La
sveglia suonò alle otto in punto: per una volta, Jenkins
si era concesso di dormire fino a quello che considerava tardi. Riteneva che
l’aver affrontato fomori a frotte il giorno prima lo
autorizzasse a riposare un poco più a lungo del solito, quella mattina.
Ben
riposato, dunque, l’uomo si alzò, rifece il proprio letto e andò in bagno per
togliersi il pigiama, lavarsi e cambiarsi la biancheria, poi tornò nella camera
per vestirsi. Tirò fuori dall’armadio il completo, quello antracite, e dalla cassettiera
la camicia, bianca con sottilissime righine grige;
indossò quest’ultima e le braghe poi, prima di infilarsi la giacca, si soffermò
ad osservare i papillon, indeciso su quale mettere: quello grigio, oppure
avrebbe vivacizzato un po’ il suo aspetto con l’azzurro o il rosso.
Mentre
era lì che osservava i farfallini, percepì che qualcuno era sulla porta. Non
avvertiva ostilità, tuttavia si tenne all’erta, nonostante non desse a vedere
di essersi accorto dell’intrusione. Sentì la presenza scivolare nella stanza,
arrivare alle sue spalle, sporgersi verso di lui, appoggiare una mano sulla sua
spalla …
“Buongiorno!”
gli mormorò, dolcemente, all’orecchio Enya.
Jenkins sorrise, con la
sinistra accarezzò la mano della giovane, ruotò appena il volto, il minimo
indispensabile per guardarla, e la rimproverò con tenerezza: “Non sai che si
bussa, prima di entrare nella stanza di qualcuno?”
“Non
ti avrei fatto una sorpresa, però.”
L’uomo
si voltò verso di lei e replicò: “Cogliere alla sprovvista sir Gahalad è molto difficile.”
“Per
farmi scusare, allora, ti inviterò a colazione.”
Jenkins sorrise ancora
una volta e ribatté: “Scommetto che me l’avresti offerta in ogni caso.”
Enya non rispose,
distolse gli occhi e lo sguardo le cadde sui papillon, allora prese quello rosso,
lo mise attorno al collo dell’uomo e, alla fine, prima di voltarsi e andarsene,
disse solo: “Ti aspetto nella stanza in fondo al corridoio.”
Era
un tono cortese, ma che non ammetteva repliche. Jenkins
scosse la testa, divertito: era trascorso diverso tempo dall’ultima volta che
qualcuno gli aveva dimostrato affetto e lo aveva trattato con amicizia. D’altra
parte nemmeno lui aveva fatto granché per avere degli amici: quando si ha una
conoscenza e un’esperienza più che millenaria, è difficile trovare qualcuno con
cui sentirsi in sintonia; inoltre lui, diversamente da Judson,
non riusciva ancora ad accettare che le persone a cui si legava morissero.
Preferiva, allora, non affezionarsi alla gente che incontrava, ostentare
disinteresse e distacco, più per proteggere sé stesso che per vera misantropia.
Sì, aveva visto morire parecchi Bibliotecari, Guardiani e molte altre persone:
essere sprezzante nei confronti di chi lo circondava era il modo migliore che
avesse trovato per non soffrire ad ogni perdita.
Jenkins si finì di
sistemare, si diede un rapido colpo di pettine, infine decise di andare. Nel
corridoio, avvertì già il profumo della colazione, lo seguì e raggiunse la
stanza dove era stato apparecchiato un tavolo per due e imbandito con frutta, pancakes, marmellate di diverso gusto, crema di cioccolata
e nocciole, un panetto di burro, miele, una teiera con English Breakfast in infusione, una caraffa di latte e forse
qualcos’altro che sfuggì alla prima occhiata dell’uomo.
Seduta
al tavolo, di fronte a lui, c’era Enya che indossava
una sorta di tunica bianca, lunga, molto drappeggiata, con le maniche a
losanga, scollata a vu e con un’alta cintura di cuoio sotto il seno; tra i
capelli un cerchietto decorato con edera.
Jenkins si accomodò,
prese il tovagliolo, lo aprì e lo distese sulle ginocchia e commentò: “Che
leccornie! Non mi concedo colazioni simili, se non in giorni di festa … anche
perché da solo non vale la pena di faticare per preparare così tante buone
cose. Già solo per due è esagerata e avanzeranno parecchie cose!”
“Poco
male, daremo gli avanzi ai Bibliotecari.”
“Mi
stupisco, infatti, che non si siano già precipitati qui ad abbuffarsi … almeno
il signor Stone e il signor Jones.”
“Ho
usato un pizzico di magia per mantenere segreta la colazione, non mi sarebbero
piaciuto intromissioni.”
“E
i rimproveri di Charleene sui soldi spesi!”
“Quello
non sarebbe stato un problema, ho sempre usato la magia, così il budget non è
stato intaccato. I pancakes, comunque, gli ho fatti
io, personalmente, con la magia mi sono solo procurata gli ingredienti.”
“Ne
assaggio subito uno, allora.”
Jenkins afferrò la
forchetta e prese una frittella, l’adagiò nel piatto, poi scelse la marmellata
di mirtilli da spalmarci sopra; per ultimo ne tagliò un pezzetto e la mangiò.
“Ottima.”
si limitò a commentare, mentre già si portava alla bocca la seconda fetta.
Mangiarono
e chiacchierarono assieme, con molta naturalezza e serenità. Dopo aver discusso
e riso per oltre mezzora, Enya osservò: “Certo che
non si direbbe che ci conosciamo da meno di un mese, per quanto siamo in
armonia assieme.”
“Beh,
tecnicamente ci conosciamo da millecinquecento anni.”
“Non
conto quelle quattro o cinque volte in croce che ci siamo scorti a Camelot e in cui, se ci siamo rivolti la parola per
salutarci, è già tanto.”
“Hai
ragione, in fondo all’epoca non avevamo avuto modo di conoscerci, nonostante
fossimo imparentati. Effettivamente, siamo diventati amici molto in fretta.”
“Le
circostanze hanno favorito lo stringersi del nostro rapporto: insomma, in pochi
giorni, abbiamo affrontato circa tre o quattro volte la morte in combattimento,
due prigionie e due fughe … Credo che siano esperienze che legano molto
strettamente le persone. Volenti o nolenti abbiamo ci siamo vicendevolmente
mostrati i lati migliori e peggiori di noi, i punti di forza e le debolezze.
Abbiamo messo a nudo le nostre anime, ritengo che ci conosciamo molto
profondamente.”
Jenkins si accigliò,
come turbato da quelle parole, sebbene non ne capisse il motivo. Dopo un
momento di esitazione, si limitò a commentare: “Effettivamente, abbiamo avuto
delle giornate piuttosto impegnative ed intense … e non sono ancora finite.” si
era incupito.
“Sei
preoccupato?” si premurò la giovane “Ritieni che il mondo si trovi ad un nodo
cruciale, che questo scontro non sia come le lotte degli ultimi mille anni.”
“Già,
ma non è necessario conoscermi profondamente per capirlo, basta conoscere la
storia … la storia segreta di questo mondo.”
Enya aveva capito
che aveva in un qualche modo urtato l’uomo e se ne dispiacque perché non era
sua intenzione, anzi aveva sperato in una reazione ben diversa. Decise, allora,
di cambiare argomento.
Nel
frattempo, Flynn stava salendo le scale della torre;
era una scala a chiocciola, piuttosto buia e lui era piuttosto stanco, oltre
che frustrato per non avere idea di dove stesse andando e quanto ancora era
distante. Dopo quelle che il Bibliotecario riteneva essere ore, finalmente
arrivò alla fine della torre. Non era però giunto su un pianerottolo, né tanto
meno si era trovato davanti ad una porta: semplicemente i gradini erano finiti
e davanti c’era solo una parete in mattoni, mentre sopra di lui un soffitto
dannatamente basso.
Flynn era certo di
dover studiare l’ambiente circostanze per capire come uscire da lì. Iniziò a
tastare le pareti e poi anche il soffitto ed ecco che, appena le sue mani lo
sfiorarono, cambiò aspetto: non più di pietra, bensì di legno. L’uomo guardò e
si rese conto che era appena apparsa una botola. Allora la colpì, la spinse con
forza verso l’alto e, alla fine, riuscì ad aprirla.
Flynn si affrettò ad
uscire, si arrampicò fuori dalla botola e si rimise in piedi. Era in un luogo
illuminato, per cui aspettò qualche istante che i suoi occhi si riabituassero
alla luce, poi si guardò attorno e vide scaffali pieni di libri. Li riconobbe
immediatamente: era in Biblioteca.
Il
volto di Flynn si illuminò, sorrise e poi lanciò un
grido di gioia. Guardò la botola, ma ormai era svanita. Decise di non farsene
un problema, per il momento. Cominciò a correre per i corridoi, chiamando a
gran voce: “Judson! Eve! Charleene!”
Al
quarto grido, la voce di Judson gli rispose: “Ben
tornato, Flynn. Hai cambiato idea circa la
Biblioteca?”
Il
Bibliotecario si voltò e vide il suo mentore in piedi tra due scaffali; lo
indicò coll’indice e gli disse: “Lei lo
sapeva, vero?”
“Sapevo,
cosa?”
“Ah,
andiamo, non faccia l’ignaro!” non lo stava rimproverando, ma era felice “Ormai
so chi è e cosa sa fare! Lei sapeva dove sarei finito, sapeva che sarei
tornato.”
“No,
Flynn. Io sapevo dove saresti andato, ma non come ciò
ti avrebbe influenzato, che cosa avresti capito e quale decisione avresti
preso.”
“Davvero?”
“Ho
molti poteri, ma non quello della prescienza. Comunque, ben tornato.”
“Grazie!”
Flynn si sentiva
finalmente di nuovo sereno.
“Credo
che ti convenga raggiungere gli altri e farti raccontare che cosa è accaduto in
questi giorni. Qui si sono dati tutti quanti parecchio da fare, ma la
situazione è difficile.”
“Sì,
certamente!” annuì Flynn “Scusami se sono andato via,
ho sbagliato, sono stato ingiusto ed irresponsabile.”
“Non
ti preoccupare: in duemila anni, ho visto passare almeno altrettanti
Bibliotecari, ognuno eccentrico a proprio modo e tutti i migliori hanno avuto
crisi e creato qualche problema.”
“Meno
male, questo mi fa sentire un po’ meno stupido. Prima di andare, devo chiederti
una cosa … Ho incontrato due uomini che mi hanno detto cose importanti …”
“Chiedi
a Jenkins” lo interruppe Judson
“O anche ad Antonio. Sono certo che assieme riuscirete a capirlo, non è
necessario che ti spieghi io.”
Flynn lo guardò con
un inutile misto di rimprovero e perplessità, poi si scosse e accettò: “Va
bene, va bene, non facilitarmi le cose, neppure quando il tempo stringe per la
fine del mondo.”
“Il
mondo è sempre in pericolo!” parve quasi che Judson
sorridesse.
“D’accordo,
vado … Ehi, ma chi è Antonio?”
Troppo
tardi, Judson era già scomparso. Flynn
sospirò e scosse la testa: ormai c’era abituato a quei modi.
Il
Bibliotecario si rimise in cammino per raggiungere il suo studio. Quando arrivò,
sobbalzò, nel vedere un uomo dalla corporatura imponente e i capelli
brizzolati, intento a scrivere qualcosa, seduto alla sua scrivania.
Flynn lo scrutò
qualche istante, poi disse: “Lei deve essere Antonio …”
L’uomo
alzò il capo e replicò: “Sir Antonio Panizzi, principe dei Bibliotecari, per la
precisione. Lei dev’essere il signor Carsen.”
“Dottor
Carsen, con ventitré lauree, massone criptico e
attuale Bibliotecario, per la precisione.”
“Sono
stato sufficientemente informato su di lei, sono lieto che sia tornato. Credo che
tutti saranno felici di rivederla e curiosi di sapere dov’è stato. Nel primo
cassetto della scrivania troverà i rapporti sulle missioni svolte in sua
assenza.”
“Sì,
effettivamente ho bisogno di essere aggiornato e dev…”
“Flynn?!” esclamò la voce di Cassandra, dalla balaustra del
secondo piano “Flynn è tornato! Flynn
è tornato!” e corse alle scale.
Nel
giro di un paio di minuti, i tre bibliotecari in erba avevano circondato Flynn e lo riempivano di domande e informazioni,
felicissimi che fosse rientrato. Poco dopo anche Eve
li raggiunse e si fece largo un poco arcigna e scoccando un’occhiata severa e
di rimprovero all’uomo. Il Bibliotecario la trasse a sé e la baciò. Eve ricambiò, ma subito dopo lo schiaffeggiò e gli chiese
bruscamente: “Perché te ne sei andato?! Hai idea di quello che abbiamo dovuto
passare?!”
Antonio
borbottò: “Molti impegni, sì, ma nulla di eclatante.”
Flynn si sentì un
poco in imbarazzo: ora che cosa avrebbe dovuto raccontare? Come giustificarsi?
Alla
fine decise di dire una mezza verità: “Mi è stato imposto un percorso
educativo, con prove da superare, per poter avere una maggiore consapevolezza
della Biblioteca e poter affrontare meglio la situazione.”
“Perché
non me lo hai detto?” lo rimproverò Eve, che si sentiva
offesa per essere stata esclusa “Avresti potuto scrivermi!”
“È
accaduto all’improvviso ed ero in una dimensione dove il cellulare non
prendeva.”
“Ma
se il mio telefono riceveva il segnale perfettamente anche dentro il labirinto
del minotauro!”
“Hai
provato a telefonarmi?”
“Certo,
ma era sempre staccato.”
“Quindi
non prendeva e, poi, non ho certo potuto portarmi via il carica batterie! Insomma,
quanto sono stato via, esattamente? Diversi giorni, credo, no?”
“D’accordo,
ti perdono.”
Ezekiel esclamò: “Non
vedo l’ora di scoprire com’è il tuo level-up!”
“Mmm, non so se lo definirei proprio così … comunque,
ricapitolatemi: com’è finito il conclave? Che cosa avete fatto?”
I
tre bibliotecarini raccontarono con entusiasmo tutte
le missioni affrontate, a partire da quella in cui avevano liberato Antonio. Presto
sopraggiunse anche Charleene che, per quanto le
permettesse il suo carattere, dimostrò la sua felicità nel rivedere Flynn. Per ultimi arrivarono anche Jenkins
ed Enya. Il Bibliotecario fu stupito di vederli: l’ultima
volta che li aveva visti, era presso Morgana. Flynn venne
dunque aggiornato anche sulle loro vicissitudini, almeno parzialmente.
Conclusa
tutta questa fase di saluti e resoconti, a chi gli chiedeva il da farsi, Flynn rispose: “Prima di prendere una decisione ed
organizzarci, vorrei parlare con Jenkins ed Antonio.”
I
due uomini accettarono e lo seguirono in un’altra stanza, dove potessero
discorrere in tranquillità, certi di non poter essere ascoltati. Flynn, allora, esordì: “Antonio, tu hai iniziato la tua
vita nell’Ottocento e non hai fatto una piega vedendo Jenkins,
Charleene e forse Judson
ancora vivi. Questo significa che tu sai chi siano loro realmente?”
“Sì.
Sono stato il primo Bibliotecario a cui lo hanno rivelato.”
“Anche
l’unico, io l’ho scoperto da Lancillotto. Non è stato piacevole e la cosa mi ha
scombussolato parecchio. Volevo saperlo per capire quanto fossi libero di raccontare.”
Flynn riferì
nuovamente quello che aveva vissuto, insistendo molto sugli ultimi due uomini
che aveva incontrato e più di una volta domandò: “Avete idea di chi possano
essere?”
Jenkins e Antonio si
scambiarono un’occhiata, come per consultarsi. Infine Jenkins
disse: “Il Custode delle Chiavi.”
“Cosa?!”
esclamò Flynn, sentendo per la prima volta quel nome.
Antonio
specificò: “L’ultimo uomo che hai incontrato, quello tutto bianco con gli occhi
rossi, lui è sicuramente il Custode delle Chiavi.”
“Cosa
sarebbe un custode delle chiavi?”
“Non
un, ma il Custode delle Chiavi.” ribadì Jenkins “È
un’entità simile al Bibliotecario, ma meno contingente. La Biblioteca mira ad
occuparsi del sapere esoterico, degli oggetti magici, li raccoglie e interviene
al bisogno. Quando accade qualcosa, noi agiamo. Il Custode delle Chiavi,
invece, è un essere super partes, ancor più solitario
del Bibliotecario; egli preserva la memoria, la storia del mondo, dell’umanità
e di ogni creatura. Noi siamo specializzati sulla magia, egli è un’enciclopedia
universale. Il fatto che lei lo abbia visto, è molto singolare: difficilmente
il Custode interagisce con gli uomini o, per lo meno, si mostra apertamente a
loro.”
“Di
quali chiavi è custode?” chiese Flynn, incuriosito e
assorto in riflessione.
“Le
chiavi del tempo.” rispose Antonio “Non si sa molto di lui e delle sue
funzioni, in realtà. È misterioso e leggendario perfino per noi! Oltre a quello
che ti ha già detto Jenkins, soltanto un’altra cosa
si sa o, per essere più corretti, soltanto un’altra cosa si racconta. Il dio
Giano, dio delle porte, dei passaggi e, in un certo senso, del tempo, forgiò le
Chiavi del Tempo e le consegnò a un suo sacerdote, incaricandolo, appunto, di
preservare la memoria. Non si conosce altro, ci sono pure dei dubbi circa se
questo sacerdote sia diventato una sorta di immortale, grazie al potere di
viaggiare nel tempo. Nel senso che avendo la possibilità di passare da un’epoca
all’altra è uno solo che è stato in ogni quando. Altri, invece, pensano che,
nonostante ciò, il sacerdote invecchi comunque e, quindi, arrivato ad una certa
età, passi il proprio compito ad un erede. È impossibile saperlo, bisognerebbe
chiederglielo.”
“Quindi
costui mi ha detto di cercarlo, ma nessuno ha la più pallida idea di dove possa
essere e, per di più, di quando possa essere?!” Flynn
era innervosito “Io odio chi fa il misterioso! Ero già da lui, perché invece di
aiutarmi subito, mi ha fatto tornare indietro e tribolare?!Accidenti! Come
facciamo?!”
“Non
si preoccupi, signor Carsen.” disse Jenkins “Studierò la faccenda e troverò il modo di
aiutarla: sono convinto che la mia porta possa tornarci utile, bisogna solo
capire dove aprirla.”
“Potrei
occuparmene io di studiare ciò …” si propose Antonio.
“No,
meglio che ci pensi io” insisté Jenkins “Che conosco
meglio i meccanismi della porta.”
“Appunto,
avrai tanto da capire su che modifiche fare, è meglio che …”
“No!
So che cosa vuoi in realtà! Sei curioso sull’argomento e vuoi approfondirlo, ma
ci penserò io.”
“Dai,
non essere cattivo, studiamolo assieme! Non puoi dirmi che indagherai su
qualcosa di così misterioso ed importante ed escludermi dalla ricerca!”
Flynn scosse la testa
e disse: “Credo che sia bene che ci lavoriate assieme, così forse arriveremo
prima ad una soluzione. Piuttosto, sapete dirmi qualcosa sull’altro uomo? L’anziano
che mi ha servito il tè?”
“Credo
che potrebbe essere chiunque.” disse Antonio “Non c’è un personaggio specifico,
legato al te o ad un luogo come quello che mi hai descritto. L’unico anziano
che offre tè che mi viene in mente è Jenkins, ma te
ne saresti accorto se fosse stato lui!”
“Signor
Carsen, può provare a trasmettermi telepaticamente l’immagine
di quell’uomo?”
“Come?”
“Beh,
è riuscito a proiettarsi astralmente, per cui
dovrebbe riuscire a usare la telepatia.”
Flynn era scettico,
anche perché non aveva neppure idea di come aveva fatto a proiettarsi, giorni
prima, comunque decise di tentare. Anche quella volta non capì bene come gli riuscì,
ma ebbe successo.
“Penso
di avere un’idea. Mi permetta di fare alcune verifiche e, poi, gliele
comunicherò.”
Il
Bibliotecario sospirò e concluse: “Mettiamoci al lavoro, domattina faremo un’altra
riunione e ci aggiorneremo. Sperando di avere novità, decideremo il da farsi.”