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Autore: Lizhp    21/06/2015    7 recensioni
Quando diventa impossibile viaggiare e vedere ciò che si vorrebbe nella realtà, il trucco è farlo con la fantasia: porta alla scoperta di nuovi mondi, invisibili agli altri. Si possono raccontare, descrivere, ma l’immagine di un mondo fantasioso sarà comunque diversa per ogni singolo essere umano.
È il potere della creatività.
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Esausto, ma soddisfatto del lavoro che aveva svolto quel giorno, aprì la porta, venendo immediatamente accolto da due importanti tasselli della sua vita che contribuivano a costruire la sua idea di casa: Melachi, scodinzolante, che gli corse immediatamente incontro per dargli il ben tornato, e il dolce suono del pianoforte, che emanava una melodia che poteva essere suonata solo da una persona.
Era tornato.
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era seduto di fronte al suo pianoforte, con le dita sui tasti banchi e neri, senza però schiacciarne nemmeno uno. I suoi occhi erano fissi sul cielo al di là della finestra: il colore blu del tardo pomeriggio si intravedeva solo a piccoli sprazzi, nascosto per la maggior parte da pesanti nuvoloni grigi che minacciavano l’ennesima tempesta su Londra.
Nemmeno quella sera, Mika sarebbe riuscito a vedere le stelle o la luna.
Era rientrato a casa dopo due settimane a Parigi, ma non aveva trovato ad aspettarlo la persona senza la quale quel posto non poteva definirsi in tutto e per tutto casa. Dispiaciuto, aveva deciso di sedersi al pianoforte e lasciarsi sopraffare dalla melodia, ma ben presto si ritrovò con le dita immobili sul pianoforte, lo sguardo assorto, e la testa bombardata da migliaia pensieri, così diversi tra loro da creargli una gran confusione.
La cosa che più lo faceva sentire leggero, la musica, in quel momento aveva scatenato in lui riflessioni profonde e, forse, un po’ troppo pesanti come conclusione di quella giornata. Tuttavia, era consapevole del fatto che la musica riusciva sempre a trasportarlo in mondi diversi, e le era così grato soprattutto per questo suo misterioso potere. A volte questi mondi erano colorati, allegri, spensierati; altre volte, come quella sera, erano impegnativi da affrontare.
Le poche note che aveva suonato prima di essere rapito dalle particolarità del cielo londinese, lo avevano portato un po’ più su rispetto a quelle nuvole grigie che, più il tempo passava, più padroneggiavano al di là della finestra.  
Il dolce suono emanato dai tasti dello strumento che lo accompagnava ormai da una vita intera, schiacciati improvvisando, gli aveva ricordato pensieri che lui, spesso, si era ritrovato a fare nel corso della sua vita, ma su cui non si era mai soffermato a sufficienza.
Quello, sembrava il momento giusto.
I suoi occhi si posarono nel poco spazio che ancora, timidamente, faceva capolino tra una nuvola color antracite e l’altra, desiderando di poter giungere, con le sue iridi nocciola, punti ancora più in alto.
Era però ben consapevole che mai sarebbe riuscito ad arrivare così distante con lo sguardo, allora chiuse gli occhi e fece un respiro profondo.
In quel momento nella stanza c’erano solamente lui, i freddi tasti del pianoforte al di sotto delle sue lunghe dita, e il pensiero del cielo. O meglio, di quello che si trova al di sopra del cielo.
Quando diventa impossibile viaggiare e vedere ciò che si vorrebbe nella realtà, il trucco è farlo con la fantasia: porta alla scoperta di nuovi mondi, invisibili agli altri. Si possono raccontare, descrivere, ma l’immagine di un mondo fantasioso sarà comunque diversa per ogni singolo essere umano.
È il potere della creatività.
E allora, quante immagini diverse ci sono del paradiso? In quanti momenti della loro vita gli uomini sono ossessionati da questa idea? E, soprattutto, in quali momenti? Esiste davvero?
Ancora con gli occhi chiusi, Mika immaginò di poter spostare, con un semplice gesto della mano, i nuvoloni grigi che gli impedivano di arrivare con lo sguardo fin lassù; pensò di essere talmente leggero da riuscire a far capolino con gli occhi al di là dell’infinita distesa blu che da sempre troneggiava sopra la terra.
Le sue dita si mossero sui tasti del pianoforte, guidate da una forza invisibile quasi indipendente da lui, che indirizzava i loro movimenti, e una frase uscì direttamente dalla sua anima, utilizzando la sua voce per prendere vita.
“Father, if there’s a heaven let me in”
Si alzò di scatto dal pianoforte, prese una matita e un foglio, annotò la frase e gli accordi e poi riprese immediatamente a suonare, chiudendo ancora gli occhi: non poteva rischiare di farsi distrarre ed essere scaraventato via dal mondo a cui aveva appena avuto l’immensa fortuna di avere accesso e dentro di lui era viva la consapevolezza che, per poter rimanere a respirare ancora un po’ in quel mondo, avrebbe dovuto continuare a fidarsi ciecamente della musica: lo avrebbe condotto dove voleva andare, dove doveva andare.
 
Le nuvole avevano iniziato a tener fede alla loro minaccia: goccioloni pesanti iniziarono a colpire gli edifici di una Londra quasi deserta, in cui la maggior parte dei suoi abitanti si trovava riunita attorno ad un tavolo a cenare.
Andy invece camminava lungo il marciapiede che ormai l’aveva condotto all’inizio del vialetto di casa sua. Quando raggiunse la piccola tettoia di fronte alla porta, mettendosi così al riparo dalla pioggia, lanciò uno sguardo truce al cielo e alla luce grigiastra che emanava, ormai una consuetudine in quelle giornate di fine febbraio.  
Esausto, ma soddisfatto del lavoro che aveva svolto quel giorno, aprì la porta, venendo immediatamente accolto da due importanti tasselli della sua vita che contribuivano a costruire la sua idea di casa: Melachi, scodinzolante, che gli corse immediatamente incontro per dargli il ben tornato, e il dolce suono del pianoforte, che emanava una melodia che poteva essere suonata solo da una persona.
Era tornato.
Il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle e si diresse immediatamente verso le scale; la porta della stanza era aperta ed Andy si fermò per un attimo ad assimilare ogni piccolo dettaglio di quella scena, tanto familiare ma allo stesso tempo sempre nuova: non sapeva mai che persona si trovava in quella stanza di fronte al pianoforte, non sapeva mai in che stato d’animo era Mika mentre suonava. Ogni volta era diverso, anche se sempre e comunque completamente assorto nelle note della sua musica. Spesso e volentieri, quando Andy si ritrovava ad ascoltare, veniva trascinato lui anche lui in quel mondo particolare, che aveva la fortuna di poter assaporare a pieno da vicino.
Il ragazzo gli dava le spalle, seduto sullo sgabello. Di fronte a lui c’erano un paio di fogli, appoggiata lì accanto la matita che il compagno utilizzava per scrivere.
I fogli, Andy ormai lo sapeva, non erano spartiti musicali. Le note sul pentagramma, fin da quando Mika aveva nove anni, rappresentavano per lui un codice indecifrabile.
Ricordava quando Mika aveva stretto tra le mani gli spartiti che Simon Leclerc gli aveva inviato, con le sue canzoni arrangiate per il concerto con l’Orchestre Symphonique di Montréal: davanti agli occhi di Andy si materializzò il ricordo del compagno emozionato, eccitato per quei fogli pieni di simboli di cui lui non poteva capire il significato.
Eppure era la sua musica.
Era la sua musica in una veste completamente nuova; Mika lo sapeva e questo gli era bastato.
I ricordi di Andy furono interrotti dalla voce di Mika che si aggiunse alle note, pronunciando parole che Andy, come al solito, non si aspettava e che lo lasciarono completamente senza parole, immobile, appoggiato a quella porta, incapace di interrompere la magia a cui stava assistendo.
“Father, won’t you forgive me for my sins?
Father, if there’s a heaven let me in
Father, is there anyway to see
If there’s a room in heaven left for me?”
Lo poteva vedere mettere a nudo se stesso in quella strofa, che stava cantando con grande intensità nella voce; non poteva vedere il suo volto, ma poteva immaginarlo. Quell’espressione assorta di quando cantava di se stesso nelle sue canzoni.
Mika si fermò, appuntando qualcosa sui fogli che aveva di fronte, per poi dirigere i suoi occhi sulla finestra ormai punteggiata dalle gocce di pioggia.
Andy, ben consapevole che Mika non voleva mai far sentire i suoi lavori prima della conclusione, decise allora di picchiare due leggeri colpi sulla porta, per far notare la sua presenza.
A quel suono, Mika si voltò immediatamente verso di lui, catturando in un attimo le iridi color del cielo del compagno: ecco casa sua, finalmente.
-Posso?- gli domandò Andy, chiedendo, come faceva spesso, il permesso di entrare in quello che era il suo piccolo angolo di mondo, isolato da tutto il resto.
Il riccio si alzò dallo sgabello e allargò le braccia, invitandolo ad andare verso di lui; un invito che Andy si affrettò a non rifiutare. Si avvicinò e si lasciò stringere tra le braccia lunghe e rassicuranti del compagno, per poi prendere il suo volto tra le mani e tornare, dopo due settimane, a far accarezzare nuovamente le loro labbra.
Erano a casa.
 
Qualche ora più tardi, Mika si rigirò nel letto, con gli occhi ben aperti e il sonno che ormai aveva deciso di abbandonarlo. Gli succedeva spesso, quando riusciva a trovare il mondo giusto in cui perdersi ma non riusciva ad esplorarlo fino alla fine, di svegliarsi di notte e desiderare solamente di immergersi di nuovo in quella bolla di creatività che era riuscito a creare.
La prima cosa che vide furono i numeri rossi della sveglia, che indicavano le due e venti. Sul lato destro del letto, Andy dormiva profondamente, respirando piano, immerso in un sonno che Mika sperava essere sereno e libero da incubi.
Guardando fuori dalla finestra, dimenticata aperta, Mika poté notare con piacere che poche ore prima si era sbagliato: la tempesta, così com’era improvvisamente arrivata, era sparita.
I nuvoloni grigi che avevano fatto da sfondo al suo viaggio di fronte al pianoforte ormai erano probabilmente lontani mille miglia da Londra, e il ragazzo riusciva a scorgere le stelle, mentre la luce della luna colorava d’argento la stanza… e soprattutto il volto di Andy, ignaro del fatto che in quel momento due grandi iridi color cioccolato lo stavano scrutando, invece di riposare.
Mika si fermò per qualche minuto, semplicemente ad osservare i lineamenti dell’uomo che ormai da otto anni rappresentava l’aspetto più importante della sua vita. I suoi occhi poi tornarono al cielo e, senza quasi che se ne rendesse conto, riuscì a giungere, come quel pomeriggio, ancora più su.
Lentamente, per non disturbare il sonno del suo compagno, uscì dalle coperte, indossando la felpa grigia di Andy abbandonata sulla cassettiera per ripararsi dal freddo: un po’ lo fece per non dover aprire l’armadio e fare rumore, un po’ perché consapevole del fatto che il profumo del ragazzo lo avrebbe immediatamente avvolto in una dolce abbraccio.
Camminò fino alla stanza del pianoforte e si sedette sul piccolo divanetto, stringendo tra le mani i fogli su cui aveva appuntato la canzone che aveva iniziato a prendere vita, quasi da sola, quel pomeriggio.
Osservando le parole scritte da lui, decise di tornare in camera: lì si trovava tutto quello di cui aveva bisogno per ritornare nello stesso mondo visitato quel pomeriggio e renderlo ancora migliore.
Si sedette sulla sedia vicino alla finestra, appoggiando i fogli alla luce della luna, che gli permise di leggerne le parole.
Chiuse di nuovo gli occhi, immaginando di viaggiare verso mete lontane.
Quel pomeriggio aveva chiesto a Dio un posto in Paradiso. Lo aveva implorato, in ginocchio.
La bolla in cui si chiuse in quel momento però, lo portò a compiere un viaggio parallelo a quello sopra il cielo; tornò indietro nel tempo, alla sua infanzia. Al periodo della scuola e delle umiliazioni. Al periodo in cui non vedeva ancora la sua diversità come la chiave per la libertà, come la sua qualità più importante, ma solo come una croce troppo pesante da portare e che, piano piano, lo aveva trascinato a terra. La matita si posò sul foglio, andando ad aggiungere tracce color grigio scuro in contrasto con il bianco sottostante.
“I was a freak since seven years old
Being cast away, I felt the cold
Coming over me”
Trovò la libertà di spostarsi a suo piacimento lungo la linea del tempo, fino alla sua adolescenza, al periodo in cui tutto aveva iniziato a prendere una forma più chiara, anche se non facile da accettare. Al periodo in cui ancora, nonostante tutto, era stato in difficoltà ad accettarsi per quello che era, ad accettare ogni aspetto della sua personalità, della sua identità. Poi fece ancora un piccolo passo in avanti, al momento in cui nella sua mente tutto era arrivato ad avere un senso; la diversità non era più una croce che gravava su di lui.
Non poteva però mostrarsi in modo chiaro e limpido agli altri: tornò a rivivere quel periodo in cui nascondersi era diventato parte fondamentale della sua vita.
“For every love had to hide
And every tear I ever cried
I’m down on my knees
I’m begging you, please”
Allontanò la punta della matita al foglio e i suoi occhi si posarono, automaticamente, su Andy. Nel sonno, il ragazzo aveva fatto un piccolo movimento, portando un braccio sotto il cuscino, continuando poi a dormire indisturbato.
“Let me in”, aveva chiesto a Dio quel pomeriggio.
Eppure, il ragazzo chiuse ancora gli occhi, facendo un altro salto nel tempo, nel momento in cui tutto aveva preso una piega migliore, che si continuava a mantenere anche nel presente: la realizzazione del suo sogno, la musica, e l’innamorarsi di quel ragazzo che dormiva poco distante da lui. Amarlo ed essere amato.
Un pensiero attraversò la sua mente fulmineo, ma Mika riuscì a catturarlo e a scriverlo nel foglio che aveva davanti.
“There’s no place in heaven for someone like me”
Nello stesso momento in cui mise nero su bianco quelle parole, si accorse che, anche se fossero vere, non gli importava.
Cosa se ne farebbe di un posto in paradiso, in quel momento?
Pensò alla fortuna di fare un lavoro che gli piaceva e che, nel corso degli anni, gli aveva dato innumerevoli soddisfazioni. Pensò che aveva sudato per arrivare fin dove era arrivato, ma alla fine era riuscito nei suoi intenti, e ci era riuscito nel suo modo. Senza conformarsi a qualcun altro, andando fuori dagli schemi: per la prima volta nella sua vita, la sua diversità veniva apprezzata da qualcuno che non fosse un membro della sua famiglia.
E poi pensò alla sua vita con Andy, al porto sicuro che lo avrebbe sempre accolto alla fine dei suoi viaggi, lì, a Londra, tra le mura di quella casa. Un importante punto fermo, di sicurezza, di pace, in mezzo alla sua vita frenetica. Solo con lui riusciva a dimenticarsi della sua vita pubblica, dei suoi impegni: con lui entrava in una bolla, un po’ lo stesso effetto che gli faceva la musica.
Aveva tutto questo nella sua vita; e allora, anche se non dovesse avere un posto in paradiso, sarebbe davvero così tragica come cosa?
La risposta venne pochi istanti dopo: no.
Non voleva il paradiso, lui stava bene lì, in quel momento, con quella vita, con quella persona.
La matita tornò a scorrere sul foglio, leggera e veloce. Tornò a rivolgersi a Dio, dando voce ai suoi pensieri.
“In between a solution can be found
How long will I swim before I drown?
And in between those words we did not say
Do you think that you could love me anyway?”
Respirò profondamente, provando la sensazione di libertà e leggerezza che lo colpiva ogni volta che riusciva ad esprimere i suoi pensieri in una canzone.
Girò il foglio su cui stava scrivendo e mise in ordine le strofe, intervallate dal ritornello.
Lanciò un ultimo sguardo al cielo e sorrise: un sorriso di soddisfazione per quello che aveva appena fatto, ma anche un sorriso forse un po’ di sfida. Un sorriso che esplicava il fatto che, qualunque fossero i progetti per lui, in quel momento non gli interessavano. Stava bene così.
Avvicinò la matita in cima al foglio, scrivendo a lettere grandi “No place in heaven”, per poi far correre gli occhi sulla canzone, ora completata..
In quel momento, uno sbadiglio lo strappò dal mondo che aveva dato vita a quella canzone, riportandolo alla realtà: aveva dormito pochissimo.
Abbandonò fogli e matita sul davanzale della finestra, si tolse la felpa di Andy e la appoggiò nuovamente dove l’aveva trovata, per poi infilarsi, ancora il più delicatamente possibile, sotto le coperte.
Quella volta però, Andy non stava dormendo profondamente come un’ora e mezza prima, e aprì leggermente gli occhi a quei movimenti.
-Tutto bene?- sussurrò il biondo, con la voce tipica di chi ancora si trova in quel momento tra il sonno e la veglia.
-Sì- gli rispose Mika, portando una mano sulla sua guancia e lasciandogli un leggero bacio sulla fronte. Il biondo, rassicurato del fatto che il compagno non si fosse sentito male, richiuse gli occhi, addormentandosi immediatamente.
Mika appoggiò la testa al cuscino, prendendosi ancora un momento per osservarlo: sì, anche se ci fosse un posto in paradiso, lui non lo voleva.
 
 


Ok, buongiorno a tutti :)
No Place In Heaven è una delle canzoni che più mi ha colpito del nuovo album, e ci ho ragionato parecchio sopra in questi giorni. Cercavo, in particolare, di far combaciare la mia personale interpretazione alla spiegazione che dà Mika, cioè che lui sta bene qui, che un posto in paradiso non lo vuole. Nella mia mente, questa spiegazione cozzava contro alcune frasi della canzone, come per esempio "if there's a heaven let me in". Non so se sono l'unica ad essermi fatta venire questi dubbi esistenziali.. anche se credo che questo sia dovuto ad un mio sguardo inizialmente un po' troppo superificiale alla canzone. Così in questi giorni ci ho riflettuto parecchio. 
E quando rifletto parecchio su qualcosa, poi saltano fuori cose simili a quella che avete letto, se siete arrivati fin qui. E' stato un po' un tentativo di far chiarezza a me stessa su questa canzone, la storia è piena di miei interpretazioni e, alla fine, si rifà alle parole dette da Mika stesso. 
Ci sono un altro paio di riferimenti: Simon Leclerc e gli spartiti per i concerto con l'OSM, ispirati alla foto che Mika aveva messo di Origin of Love prima di quei concerti; e ad un certo punto, quando parla di Andy e del fatto che con lui dimentica ogni cosa, è stato preso da un'intervista (non ricordo quale) di qualche tempo fa, in cui parlava di "una persona di fronte alla quale dimentica ogni altra cosa".
Bene, ho detto tutto :)
Alla prossima!
   
 
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