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Autore: kateausten    22/06/2015    0 recensioni
Giugno 1998
“Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare”.
(La bambina che amava Tom Gordon)
Dean e Sam Winchester avevano imparato questa verità decisamente scomoda ad un’età in cui non si dovrebbe sapere nulla di morsi o di segni o di cicatrici.
(Supernatural/Stephen King)
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Giugno 1998
Il mondo aveva i denti e in qualsiasi momento ti poteva morsicare”.

Dean e Sam Winchester avevano imparato questa verità decisamente scomoda ad un’età in cui non si dovrebbe sapere nulla di morsi o di segni o di cicatrici.
Avrebbero dovuto sapere quanto era bello sbronzarsi al primo anno di college,-nel caso di Dean-, o quanto era faticoso ma gratificante prendere una A in chimica e poi godersi la partita di baseball della scuola, -nel caso di Sam-.
Quello che invece Dean e Sam sapevano era che i lupi mannari esistevano davvero e andavano uccisi con una pallottola d’argento dritta la cuore. Sapevano che le streghe ti aspettavano con sacchetti di incantesimi pieni di ossicini che ti facevano strozzare con il tuo stesso sangue finché tuo fratello o tuo padre non ti salvavano il culo; sapevano perfino cosa fare nel caso un vampiro (esatto, un vampiro) ti avesse attaccato alle spalle puntando alla vena che pulsava così invitante nel tuo collo.
E sapevano cosa fare nel caso una bambina, una bambina di nove anni, si fosse persa in un’intricata boscaglia che si estendeva per chilometri tra il New Hampshire e il Maine meridionale.

“Patricia McFarland, uhm?”, chiese Dean mentre leggeva l’articolo del giornale seduto comodamente nella poltrona della piccola baita che aveva affittato suo padre per quei giorni di lavoro.
“Esatto”, rispose la voce calma di John Winchester mentre puliva con estrema devozione la canna del lungo fucile.
“E perché dovrebbe interessarci, pà?”, chiese Dean finendo di leggere l’articolo. “Sembra solo il caso di una bambina persasi nel bosco. Nulla che faccia al caso nostro”.
John alzò lo sguardo distante, era sempre distante lo sguardo di suo padre, e Dean deglutì.
“Ci sono stati altri bambini che si sono persi in quella zona del bosco”, spiegò. “Patricia McFarland sarebbe la dodicesima”.
“La dodicesima?”, esclamò una voce dall’altra parte della stanza.
Dean rivolse uno sguardo tra il sarcastico e il divertito al suo fratellino sdraiato sul morbido tappeto d’orso, impegnato a scrivere qualcosa. Da quello che Dean riusciva a vedere, geometria.
“Ehi Sammy, perché non la pianti con quella roba?”, chiese con fare retorico mentre suo fratello gli lanciava un’occhiataccia.
“Perché non voglio diventare uno zotico caprone ignorante come te”, rispose rigirandosi verso gli esercizi che si era prefissato di fare quella mattina.
Dean incassò il colpo con una smorfia.
“Ti piacerebbe!”, replicò mentre chiudeva il giornale, decisamente non interessato alla vicenda.
Sembrava non ci fossero mostri orrendi e bavosi da fare a fette, ne ragazze con una quarta di reggiseno da salvare: praticamente era una vacanza.
Sam sbuffò e cercò di ignorare il fratello.
“Sai, almeno io rimorchio quando siamo a scuola”, continuò Dean, alzandosi dalla poltrona e avvicinandosi al fratello che era ancora impegnato a ignorarlo. “Tipo, se quella Leslie Sullivan mi avesse fatto gli occhi dolci per due settimane, io non me ne sarei stato con le mani in mano”. Adesso Dean si era abbassato sulle ginocchia per arrivare allo stesso pari di Sam. “Non gli avrei sorriso e basta, fratellino, agitando la manina quando la vedevo per i corridoi”. Sam aveva le guance rosse e lo sguardo fisso su un triangolo isoscele. “Io avrei..”.
John Winchester non seppe mai cosa avrebbe fatto suo figlio a Leslie Sullivan, perché il suo pargolo minore aveva deciso montare addosso al suo pargolo maggiore per tirargli un - leggero, si augurava- cazzotto nello stomaco.
“Ouh”, esclamò Dean facendo un verso indefinito di dolore.
“Piantala Dean!”, lo minacciò Sam con le mani strette al colletto della giacca di pelle del fratello. “Non una sola parola su Leslie, sulla scuola o su quanto bravo tu sia a portarti le ragazze nello stanzino dei bidelli”.
Dean fece un sorrisetto compiaciuto, misto alla smorfia di dolore che gli procurava il cazzotto e il peso di Sam spalmato sul suo corpo.
“Dovresti proprio tagliarti i capelli, fratellino”, replicò con il respiro pesante.
Sam alzò gli occhi al cielo sbuffando, mentre si alzava dal corpo di Dean e tornava agli esercizi di geometria.
Dean si alzò dopo qualche secondo, massaggiandosi lo stomaco con una smorfia e si avvicinò al padre, che aveva appena finito di pulire e lucidare il fucile. Lo passò a Dean, che lo guardò ammirato, prima di aggiungerlo alle altri armi che luccicavano sul tavolo.
Se qualcuno fosse entrato nella stanza in quel momento avrebbe pensato, nella migliore delle ipotesi, che John Winchester fosse un pazzo torturatore e che avrebbe avuto solo l’imbarazzo della scelta per farti fuori: spararti, squartarti o darti fuoco?
Sam intanto aveva abbandonato i compiti e si era avvicinato anche a lui al tavolo.
“Papà”, cominciò. “Pensavo che dato che non c’è nessun caso..”.
“Non c’è nessun caso?”, lo interruppe John. “Cosa te lo fa pensare, Sammy?”.
Sam arrossì e Dean stette male per lui: suo padre aveva usato una voce gentile, ma Dean aveva sentito il sottile e strisciante rimprovero avviluppato alla frase.
“Beh, Dean ha detto..”, bofonchiò Sam e Dean si sentì ancora più male. “Che forse non c’è nessun caso..”.
“Appunto. Forse”, replicò suo padre, sempre con la stessa voce pacata intrisa di rimprovero. “Non sarebbe meglio controllare, prima che un cacciatore di cervi ritrovi le ossa di una bambina di nove anni?”.
Sam abbassò lo sguardo, sembrando più piccolo dei suoi quindici anni.
“Sissignore”, sussurrò.
Dean si odiò appena un po’ di più.



“Guardie forestali di Boston?”, chiese abbastanza scettico il capo della guardia forestale dell’Appalachian Trail, Henry Bishop.
L’uomo doveva avere una cinquantina di anni e aveva la pancia. Sam notò anche le sue unghie sporche, il cappello verde, il brillante distintivo e le foto dei dodici bambini scomparsi e mai più ritrovati attaccate al muro di fronte a lui. La foto di Patricia McFarland era l’ultima a destra, proprio sotto quella dell’ottenne Timmy Robbins: era carina per essere una bimbetta, giudicò Sam, con quegli occhi azzurri e i capelli sottili e biondi. Aveva la faccia simpatica e un cappello dei Red Sox in testa.
John fece il suo sguardo di ghiaccio e inchiodò gli occhi della guardia forestale.
“La bambina si è trasferita nel Maine da Boston solo un anno fa. Forse la madre, dato i tre giorni di ricerche infruttuose, ha deciso di rivolgersi anche ad altri professionisti”.
L’interlocutore arrossì un po’ sotto la barba e si schiarì la gola.
“E quelli?”, chiese accigliato, indicando Sam e Dean alle spalle del padre.
“Sono i miei ragazzi”, rispose John con una scrollata di spalle.
“Vuole portare i suoi figli durante delle ricerche in un bosco? Ricerche probabilmente pericolose?”, chiese sbalordito.
“Sono in gamba, se la sapranno cavare. Inoltre mi pare che ci siano parecchi volontari qui, anche se minorenni”, replicò John. “Adesso, se non ha altre obiezioni che mi faranno perdere tempo prezioso..”.
Il rossore sotto la barba si intensificò e Dean ghignò. Decidendo che era meglio spedire l’uomo di Boston apparso dal nulla nella boscaglia invece di farsi continuare a prendere per il culo con sufficienza, Henry Bishop annuì e cominciò a dare loro le principali e uniche informazioni che possedeva.
“La bambina è scomparsa qui”, disse dispiegando sulla scrivania una cartina del bosco e indicando un punto. “La madre e il fratello si sono accorti della sua mancanza intorno alle ore…”.
“Si, si, questo lo sappiamo”, lo interruppe velocemente John e Dean trattenne un sospiro mentre ripensava alla visita che avevano fatto alla madre e al fratello della bambina scomparsa quella mattina.
Avevano lasciato Sam in macchina e Dean aveva ringraziato il cielo: Quilla Anderson e l’undicenne Pete erano semplicemente sconvolti.
“Stavamo litigando”, disse con voce tremante la signora Anderson asciugandosi gli occhi pesti, mentre il ragazzino se ne stava immobile e impietrito nella scomoda sedia accanto alla madre. “Io e Pete stavamo litigando e non prestavo attenzione a Trisha. Il mio ex marito ed io ci siamo separati un anno fa ed è un periodo piuttosto duro per i bambini, ma Trisha stava affrontando tutto così.. bene. E’ molto matura per la sua età. Molto calma”. La donna inghiottì un groppo alla gola. “Così, mi sono, mi sono.. Scordata per un momento, solo per un momento, che lei fosse li e adesso..”. La signora Anderson si prese la testa fra le mani e ricominciò a piangere. “Adesso non vedrò mai più la mia bambina ed è tutta colpa mia”.
Dean, con un disagio quasi mai provato, fece vagare lo sguardo per la camera dell’albergo in cui erano momentaneamente accampati i due membri della famiglia in attesa dell‘arrivo del padre: il pianto della madre era semplicemente straziante.
“Signora Anderson, faremo il possibile per ritrovare sua figlia”, disse John ma la donna non alzò lo sguardo e si limitò ad annuire mentre ancora singhiozzava.
Mentre guardavano il punto sulla cartina a Sam venne in mente una cosa.
“Avete mai ritrovato gli altri bambini? Almeno potremmo farci dare informazioni utili”, cominciò, ma la sua voce si spense vedendo l’espressione imbarazzata dell’uomo.
“No”, rispose guardando ovunque tranne che dalla parte di John. “Non abbiamo mai ritrovato nessuno di loro”.
“Oh”, fece Sam.
John sospirò e trasse a se la cartina.
“Bene. Direi che è ora di andare. Abbiamo del lavoro da fare”.
Henry Bishop parve preso alla sprovvista.
“Cosa?”, balbettò. “Andate adesso?”.
John gli lanciò l’ennesima occhiata di ghiaccio.
“Vuole per caso aspettare altro tempo? Così magari la bambina muore veramente”.
“Ma.. Ma sono le due del pomeriggio, fra quattro ore comincerà a fare buio e non siete pratici della zona. Non voglio avere altri tre dispersi sulla coscienza!”.
Dean sbuffò, guardandolo con disprezzo.
“Siamo abituati a situazioni difficili”, affermò.
“Ma..”.
“Ci rivedremo tra qualche giorno. Con la bambina, mi auguro”, disse con noncuranza John.
Il guardia caccia era rimasto a guardarli imbambolato, mentre una parte del suo cervello urlava di fermarli, di farsi dire chi in realtà fossero.. Ma poi si ricordò delle occhiate lanciategli dal tizio tutto muscoli e li guardò uscire.
“Arrivederci”, disse gentilmente Sam, prima di sbattersi la porta alle spalle, lasciandolo solo tra le foto di bambini che non sarebbero mai stati più ritrovati.


Dean non aveva mai visto Patricia- Trisha- McFarland prima di quel giorno, ne sapeva nulla di lei. Ma in quel momento si sentiva straordinariamente affine alla sua situazione prima della scomparsa.
Quilla e Pete avevano detto di aver lasciato la bambina indietro mentre loro due erano occupati a litigare; Dean sospirò e guardò John e Sam davanti a se, che litigavano senza sosta.
“Non capisco perché non puoi lasciarmi da zio Bobby a settembre. Solo per fare un anno di liceo normale. Uno solo, poi tornerò con te e Dean a cacciare. Cosa ti costa?”.
La voce di Sam, che solitamente Dean amava sentire, era come un martello pneumatico.
Perché non mi lasci da zio Bobby? Perché non possiamo travestirci ad Halloween come tutti gli altri? Perché non vai mai a parlare con i professori? Perché, perché, perché?
Dean chiuse gli occhi all’ennesima risposta sterile di John e per un attimo, li odiò entrambi. Li odiò così tanto che fu tentato di tornarsene indietro e lasciarli li, e che litigassero pure quanto volessero.
Prima o poi Sam li avrebbe abbandonati. Dean lo sapeva nel profondo di quel suo stupido cuore che mancava un battito quando pensava all’opzione di poter vivere senza il suo fratellino. Non era fatto per quella vita, il suo piccolo nerd, non era fatto per il sangue, per le cicatrici, per le scampagnate nei boschi paludosi.
Lui ormai, alla tenera età di diciannove anni, si sentiva segnato. Ma Sam no, poteva ancora salvarsi.
Camminarono per tre ore in direzione nord seguendo le tracce, quando videro la prima cosa che forse li avrebbe portati alla risoluzione del caso.
“E questi si fanno chiamare guardie forestali?”, chiese Dean mentre si spiaccicava una zanzara sul collo. C’era da impazzire, tra moscerini, zanzare e tutti quegli insetti che sinceramente detestava.
John si avvicinò all’albero, la cui corteccia era stata scorticata da una tre lunghe artigliate. Lo osservò bene e ci passò le dita sopra.
“Non sarà un orso?”, chiese Sam, avvicinandosi anche lui.
“No”, rispose John. “Non è un orso”.
Si guardò intorno, mentre la luce del pomeriggio si faceva meno calda e più dorata.
“Avanziamo ancora un’ora, poi accampiamoci”.
Dean annuì compito mentre Sam sospirò e ricominciò a camminare. Dean lo seguì con una piccola stretta al cuore, perché sapeva cosa suo fratello stava pensando: “Quanto non vorrei essere qui”.

Il bosco cominciava ad oscurarsi e pian piano perdeva quell’atmosfera gioiosa e magica che aveva avuto per tutta quella lunga giornata di giugno.
Mentre suo padre finiva di raccogliere la legna, Dean cercava di dare fuoco ai rami che aveva davanti.
“Guarda che così non prenderanno mai fuoco, scemo!”, esclamò Sam con ilarità sedendosi accanto a lui su un tronco mezzo marcio ma solido.
Dean non replicò e continuò a punzecchiare con un bastone sottile e lungo i rami più grossi.
“Dean? Cos’hai?”.
Il ragazzo incrociò lo sguardo del fratello e poi distolse lo sguardo.
“Niente, Sammy. Non preoccuparti”.
Il viso di Sam quasi trasfigurò dalla rabbia e Dean per un momento ebbe paura di suo fratello.
“Dite sempre così, tu e papà“, esclamò con voce alterata ma bassa per non farsi sentire da John. “Niente, Sammy. Nulla di cui tu debba preoccuparti. Mi sono rotto, Dean. Stamattina non avete neanche voluto che entrassi con voi da quella famiglia!”.
“Era una brutta situazione”, mormorò Dean.
“Col cavolo. E adesso dimmi cos’hai!”.
Dean sbuffò e guardò il cielo. Si stava scurendo rapidamente, ma era talmente bello, così trapuntato dalle prime stelle che Dean per un attimo si dimenticò dove era.
“Se io fossi stato al posto di quella bambina”, disse Dean a bassa voce, eludendo la vera questione. “E tu e papà litigaste come sempre. Te ne accorgeresti se mi perdessi?”.
Sam stette un attimo zitto, con lo sguardo troppo serio per la sua età.
“Dean”, disse. “Io so sempre quando non sei accanto a me”.
Dean tacque per un momento, ascoltando gli scricchiolii e il frinire delle cicale attorno.
“Sam”, sussurrò. “Te ne andrai?”.
Il fratello lo guardò, muovendosi a disagio sul tronco.
“Ragazzi”. La voce del padre li fece sobbalzare e la misera cortina di fumo che veniva dalle legna svanì. “Ho trovato questo vicino al torrente”.
I due ragazzi balzarono in piedi.
“Dici che è della ragazzina?”, chiese Dean osservando il pezzo di impermeabile giallo tutto sfilacciato che suo padre teneva in mano.
John annuì.
“Nella descrizione degli oggetti dello zaino della bambina si parla anche di una mantella gialla”.
“Come mai i guardia caccia non l’hanno trovata?”, chiese Sam perplesso. “Ormai questo è il terzo giorno di ricerche”.
John chiuse la mano e mise il pezzetto di impermeabile dentro la tasca.
“Credo che pensino che una bambina di nove non possa essersi spinta tanto in qua”, rispose. “Ma dannazione, se cammina così svelta è un guaio per noi. Ha tre giorni di vantaggio”.
“E’ una ragazzina”, disse Dean scuotendo la testa. “Non potrà aver fatto più di qualche chilometro”.
“Non avete mai avuto a che fare con ragazzini di nove anni? Non dovete sottovalutarli”, disse John sorridendo. “Se avessi lasciato voi in questa zona del bosco a nove anni, domani sareste già stati in Canada”.
Sam e Dean si scambiarono un sorrisetto e non commentarono. Dean guardò il fratello stendersi su un letto di foglie con la pistola stretta nella mano destra: l’atmosfera era più distesa, ma una parte della sua mente era ancora sul tronco marcio, in attesa di una risposta rassicurante che non era arrivata.

A cinque chilometri di distanza, Trisha McFarland, si stava sorreggendo al tronco di un albero mentre vomitava a causa dell’acqua non potabile del ruscello che aveva bevuto.
Mentre la cosa speciale la stava guardando.
  
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