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Autore: KiaeAlterEgo    22/06/2015    5 recensioni
“Visse come Regina di Elfi e di Uomini per centovent’anni di grande gloria e felicità con Aragorn; ma egli un giorno sentì avvicinarsi la vecchiaia e comprese che i giorni della sua vita stavano per finire, per quanto lunghi fossero stati. Allora Aragorn disse ad Arwen:
«Ormai, Dama Stella del Vespro, la più splendida di questo mondo e la più amata, il mio mondo sta svanendo. Abbiamo raccolto, abbiamo speso, e ora si avvicina il momento di pagare».
Arwen comprese ciò che voleva dire, e lo prevedeva da tempo; tuttavia, fu sconvolta dal dolore.
«Vuoi dunque, sire, lasciare prima del tempo la tua gente che vive per la tua parola?» ella disse.
«No, non prima del tempo», egli rispose. «Se non vado adesso, sarò presto costretto a partire per forza. Eldarion nostro figlio è pienamente maturo per diventare re».”
- Il Signore degli Anelli, Appendice A, 5. Qui segue una parte della storia di Aragorn e Arwen.
[ottava classificata a parimerito al contest “Ciò che non ci hanno detto” indetto da visbs88 sul forum]
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Arwen, Eldarion
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Storia partecipante al contest “Ciò che non ci hanno detto” indetto da visbs88 sul forum EFP.


Titolo: Addio

Autore: KiaeAlterEgo

Pacchetto: Acqua

Fandom: Il Signore degli Anelli

Introduzione: “Visse come Regina di Elfi e di Uomini per centovent’anni di grande gloria e felicità con Aragorn; ma egli un giorno sentì avvicinarsi la vecchiaia e comprese che i giorni della sua vita stavano per finire, per quanto lunghi fossero stati. Allora Aragorn disse ad Arwen:

«Ormai, Dama Stella del Vespro, la più splendida di questo mondo e la più amata, il mio mondo sta svanendo. Abbiamo raccolto, abbiamo speso, e ora si avvicina il momento di pagare».

Arwen comprese ciò che voleva dire, e lo prevedeva da tempo; tuttavia, fu sconvolta dal dolore.

«Vuoi dunque, sire, lasciare prima del tempo la tua gente che vive  per la tua parola?» ella disse.

«No, non prima del tempo», egli rispose. «Se non vado adesso, sarò presto costretto a partire per forza. Eldarion nostro figlio è pienamente maturo per diventare re».” - Il Signore degli Anelli, Appendice A, 5. Qui segue una parte della storia di Aragorn e Arwen.

Personaggi: Aragorn, Arwen, Eldarion, Altri (figlie di Aragorn)

Rating: Verde

Generi: Malinconico, Triste

Avvertimenti: N/A

Note (opzionali): La descrizione della maggior parte degli eventi si trova nelle appendici del Signore degli Anelli, dalla quale ho preso alcune citazioni (appendice A). Anche le parole che dice Aragorn ad Arwen (parla troppo quest’uomo) sono prese da lì.

I nomi delle figlie di Arwen sono in quenya (elfico antico) e me li sono inventati, basandomi sul fatto che Eldarion è un nome in quenya, i numenoreani chiamavano i figli usando il quenya, e http://realelvish.net/ è un’ottima fonte.


Addio

Oltrepassarono l’arco di pietra, la testa di un Re coronato scolpita sulla chiave di volta, e il silenzio delle tombe degli Uomini li avvolse. Le effigi degli antichi Re e degli Uomini valorosi li osservavano camminare lungo la Via Silente, statue bianche e fredde come il luogo in cui abitavano.

Re Elessar apriva il corteo, alto e fiero, la corona alata sul capo e lo scettro di Arnor in mano. Indossava la casacca rossa con l’albero bianco ricamato in fili d’argento e portava una spada al fianco. Dama Undómiel camminava accanto al suo Re, vestita di nero, silenziosa e pallida, gli occhi grigi lucidi.

Perché ora?

I loro figli li seguivano e dopo di loro il resto della corte. Anche i vecchi compagni erano giunti a rendere omaggio alla morte del Re. Arwen sbatté le palpebre e ricacciò indietro le lacrime.

Anche lei aveva abbracciato quella mortalità che ora le stava spezzando il cuore. Ogni giorno, ogni ora di quegli anni passati insieme erano impressi nella sua memoria, ogni ricordo nitido nella sua mente. Non poteva finire così. Lui non poteva abbandonarla prima che anche i suoi giorni volgessero al termine.

Arwen voltò la testa verso Aragorn, il suo Estel. Il suo sguardo era triste ma la sua espressione era risoluta. Cosa stava pensando? Stava ripercorrendo la sua vita nella sua mente? Stava dicendo addio ai suoi ricordi più cari?

Si fermarono di fronte al lungo letto di pietra fredda.

Questo sarà il luogo del nostro addio.

Un peso le schiacciò il petto, spezzando la sua determinazione. No. Era un luogo così freddo e cupo, triste e silensioso.

Questa sarà la tomba del mio cuore.

Arwen alzò lo sguardo su di Aragorn, ma lui era rivolto verso gli altri. Eldarion sbatteva le palpebre, gli occhi lucidi, e il suo viso era teso nello sforzo di mascherare il dolore. Dietro di lui, le sue sorelle erano silenziose, i volti coperti da un velo.

Aragorn raddrizzò le spalle e strinse lo scettro di Arnor. Sorrise, e Arwen riconobbe quel sorriso: voleva essere incoraggiante, voleva che Eldarion lo vedesse partire sereno, prima del declino, come i primi Re dei Numenoreani. Ma quei solchi profondi attorno agli occhi e il modo in cui stringeva lo scettro le dicevano che quel sorriso mascherava il dolore della separazione. Era lo stesso atteggiamento coraggioso con cui aveva affrontato tutte le prove della sua vita.

Anche questa prova richiede coraggio, e non solo da parte tua.

Aragorn si tolse la corona alata: «Secondo la tradizione degli antichi Re, in pieno possesso delle mie facoltà e del mio vigore, cedo il mio regno a te, Eldarion, figlio mio. Giunta è l’ora che tu regni. Ti consegno la corona di Gondor».

Eldarion chinò il capo e Aragorn posò la corona sulla testa del figlio.

«Questo è lo scettro di Arnor; che tu possa regnare a lungo e che il tuo regno sia prospero e pacifico» la voce di Aragorn era forte ed echeggiò nella Casa silenziosa.

Presto la tua voce sarà silenziosa come queste tombe.

Eldarion tese entrambe le mani ed Aragorn gli consegnò lo scettro. Abbracciò suo figlio ed Eldarion strizzò gli occhi, ma le lacrime gli rigavano le guance. Írimiel singhiozzò ed Eldacaliel le passò un braccio attorno alle spalle. Arwen rimase ferma, in piedi, accanto a quel letto. Come avrebbe potuto consolare le sue figlie? Come avrebbe potuto prenderle da parte e dir loro che la vita sarebbe continuata, che di gioie ne avrebbero avute ancora, che quello faceva parte della Sorte degli Uomini?

Perché continuare a vivere, quando lui sarà qui, in queste tombe, freddo e immobile come queste statue di pietra?

Aragorn abbracciò le sue figlie, e per ognuna di loro ebbe parole di incoraggiamento, le baciò sulla fronte e strinse loro le mani.

Loro sarebbero riuscite a superare il dolore.

Aragorn ebbe una parola, un gesto per ognuno del corteo, vecchi e nuovi amici, nobili, dignitari, servi.

Come riesce a sopportarlo?

Arwen rimase a lungo in piedi, in silenzio, accanto a quel letto freddo. Strinse i pugni allontanando dalla mente la visione del corpo del suo Estel morto su quella pietra. Ora era ancora vivo e seguì ogni suo movimento con lo sguardo, voleva ancora vedere i suoi gesti, il suo portamento, l’affetto che provava per i suoi amici.

Ma alla fine, presto, troppo presto, il corteo uscì dalla Casa dei Re e lei rimase sola con lui.

Aragorn le prese le mani e le strinse, guardandola negli occhi.

Queste mani calde, forti, queste mani che mi hanno amata e venerata, presto saranno fredde.

Arwen deglutì e mantenne lo sguardo basso.

Aragorn le sollevò il velo e l’aria fredda le punse le guance bagnate. Lui le prese il viso, i suoi occhi erano lucidi e lui li chiuse, baciandola là dove le lacrime le scivolavano sulla pelle.

Arwen fece un respiro lungo e aprì gli occhi.

Aragorn sorrise e quel sorriso le stritolò il cuore. Sapeva che quel sorriso era per lei. Lui voleva che gli ultimi ricordi fossero dolci, per attenuare l’amarezza della separazione.

Aragorn posò le sue labbra sulla sua bocca, in un bacio che aveva il sapore amaro dell’addio, e quello salato delle loro lacrime. Ma Arwen lo accolse lo stesso: l’amaro e il salato, ma anche la dolcezza e il calore di quelle labbra contro di lei, la leggerezza di quelle dita che le accarezzavano la pelle. Lei si abbandonò contro quel corpo forte e fece scivolare una mano sul petto, il battito del cuore di Aragorn forte sotto le sue dita.

Era ingiusto. Perché proprio ora, perché non aspettare qualche giorno, qualche anno. Perché ora, ora che era ancora vigoroso, le spalle ampie e la schiena dritta, il portamento fiero, nonostante le rughe sul viso, nonostante i capelli e la barba bianchi? Perché non aspettare anche lei? Perché non ritirarsi, come gli antichi Re, e attendere quel dono crudele insieme?

«Mio amato - sussurrò lei, la voce rotta dal pianto - rimani ancora con me per qualche tempo. Ti prego».

L’avrebbe potuto sopportare così. Avrebbero viaggiato insieme, un’ultima volta, nel luogo in cui lui aveva abbandonato l’Ombra e lei aveva rinunciato al Crepuscolo. Si sarebbero distesi insieme, mano nella mano, e insieme avrebbero potuto accettare la Sorte degli Uomini.

«Dama Undómiel - disse lui, facendo scivolare le dita tra i suoi capelli - dura è invero l’ora, eppure fu decisa nel momento in cui ci incontrammo sotto le bianche betulle nel giardino di Elrond, ove nessuno più passeggia. E sul colle di Cerin Amroth, quando abbandonammo sia l’Ombra che il Crepuscolo, accettammo il nostro destino».

Arwen lo sapeva. Eppure le parole le sfuggirono dalle labbra: «Solo qualche tempo. Ti prego. Ora il regno è di Eldarion e puoi ritirarti, come fecero gli antichi Re».

Aragorn scosse la testa e le rughe attorno ai suoi occhi si fecero più profonde: «Rifletti, mia adorata - disse e le baciò la fronte - e domandati se preferiresti vedermi appassire e cadere dal mio alto trono, impotente e irragionevole».

Arwen abbassò lo sguardo. Lo sapeva, purtroppo. Lo sapeva e lo capiva e avrebbe voluto urlare e gridare il suo dolore. Invece si abbandonò contro di lui, tra le sue braccia, e sussurrò: «Nemmeno per un giorno?»

Un giorno. Come se un giorno cambiasse qualcosa. Ma avrebbe alleviato la sua pena, un’ultima notte ancora a dormire insieme, una sua ultima risata, ancora un ultimo bacio. Un giorno poteva andare bene. Un giorno in più e sarebbe riuscita a sopportare meglio.

Aragorn si sciolse dall’abbraccio e le posò le mani sulle spalle; la risolutezza aveva preso il posto della tristezza nei suoi occhi e la sua voce si fece profonda e cupa: «No, mia dama, io sono l’ultimo dei Numenoreani e l’ultimo Re dei Tempi Remoti; a me fu data non soltanto una vita tre volte più lunga di quella degli Uomini della Terra di Mezzo, ma anche la grazia di partire volontariamente, restituendo il dono ricevuto. Ora, quindi, dormirò».

Le strinse le spalle e si sdraiò su quel freddo letto di pietra. Arwen si avvicinò e gli prese la mano, stringendola con forza. La gola le si chiuse e lei soffocò altre preghiere e altre suppliche, lui aveva ragione. Ma le lacrime continuarono a bagnarle il viso.

Aragorn voltò la testa verso di lei e ricambiò la stretta: «Non ti dirò parole di conforto, perché per simili dolori non vi è conforto entro i confini del mondo». Lei incontrò lo sguardo di Aragorn: i suoi occhi erano tornati lucidi e la pietà e il dolore nel lasciarla erano in quello sguardo, in quel silenzio, nella stretta della sua mano.

«Ti attende un’ultima scelta: pentirti e recarti ai Rifugi, portando con te all’Ovest il ricordo dei giorni trascorsi insieme, un ricordo sempre verde, ma pur sempre soltanto un ricordo; o, altrimenti, attendere la Sorte degli Uomini» le disse, e la sua voce tremava.

Pentirsi? Arwen piegò il capo, la fronte sulla mano di lui, e pianse.

Oh, mio adorato, queste tue parole sono così dolci e nello stesso tempo amare.

Non poteva pentirsi. Non avrebbe voluto pentirsi. Aveva detto addio a suo padre, ai suoi fratelli, alla sua famiglia. Aveva scelto di appartenere alla stirpe degli Uomini. E avrebbe compiuto di nuovo quella scelta, cento altre volte, se le fosse ricapitato. Ma quanto era amaro quel dono dell’Uno per gli Uomini, quanto era amaro quel dono dell’Uno a lei, che le portava via il suo amato così presto, mentre lei sarebbe vissuta ancora.

«No, mio amato sire - sospirò alzando la testa e asciugando le lacrime - Quella scelta è stata fatta ormai da molto tempo. Non vi sono più navi che mi porteranno sin là, e devo attendere la Sorte degli Uomini, volente o nolente: la perdita e il silenzio».

Lo guardò negli occhi con la determinazione che l’aveva portata a quella scelta. Lui sbatté le palpebre e una lacrima sfuggì dai suoi occhi. Schiuse le labbra: «Mia signora...» sussurrò e le sue parole suonarono con un tono di ammirazione e di supplica.

Lei sapeva che quel momento sarebbe arrivato, l’aveva sempre saputo. Eppure non si sentiva stanca della vita, non ancora. Era per evitare la sofferenza di separazioni simili che gli antichi Re avevano abbandonato le Potenze? Era per tardare quei momenti di dolore che speravano di ottenere una vita immortale, per sé e i loro cari?

Arwen accarezzò la mano di Aragorn e gliela strinse: «Voglio dirti, Re dei Numenoreani, che sinora non avevo compreso la storia della tua gente e la loro caduta. Li deridevo come se fossero stupidi e cattivi, ma ora finalmente li compiango. Perché se questo è, in verità, il dono dell’Uno agli Uomini, è assai amaro da ricevere».

Lui allungò la mano e le accarezzò il viso. La sua espressione si era rasserenata, come se le parole che aveva detto lei gli avessero tolto un peso dal cuore.

«Così sembra - disse e la sua voce era dolce - Ma non lasciamoci sopraffare dalla prova finale, noi che anticamente rinunciammo all’Ombra e all’Anello. In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione».

Le sorrise e il suo cuore sussultò nel vedere quel raggio di luce nelle tombe, ma quel sorriso non toccava gli occhi. Le lacrime ripresero a scivolarle lungo le guance, silenziose.

«Guarda! - disse lui - Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!»

«Estel, Estel!» gridò lei, e gli baciò ancora la mano. Ma quella mano era ormai inerte tra le sue dita. Arwen la posò sul petto immobile di Aragorn.

Lui non è più.

Il cuore le si frantumò e lei urlò. Pianse da sola in quella tomba, pianse fino a che non ebbe versato tutte le lacrime che aveva, e quando non aveva più lacrime da versare, urlò fino a che la sua voce non divenne roca. E, quando non ebbe più la forza di urlare, rimase in silenzio accanto a lui, il dolore come unico compagno.

«Madre» la voce esitante di Eldacaliel echeggiò forte nella Casa dei Re.

Arwen alzò lo sguardo sulla figlia. Eldacaliel si avvicinò, il suo passo incerto. Le prese le mani e Arwen la fissò. Quanto tempo era rimasta sola con il suo dolore?

Eldacaliel la abbracciò: «Madre, ti prego, torna» sussurrò.

Arwen le accarezzò la testa e la baciò tra i capelli. Non poteva abbandonarsi al suo dolore così. C’erano i suoi figli e non poteva affliggerli e farli preoccupare.

Arwen deglutì e si voltò per vedere il corpo di Aragorn.

«Guarda, Eldacaliel , guarda lo splendore dei Re degli Uomini, com’era prima del crollo del mondo» disse, la voce roca.

Eldacaliel si voltò e trattenne un respiro.  Re Elessar era stato benedetto: nella morte mostrava la grazia della sua gioventù, il coraggio della virilità e la saggezza e la maestà della vecchiaia fusi in uno.

«Era… - sua figlia si aggrappò a lei - papà era bellissimo».

Arwen ricacciò indietro le lacrime e strinse Eldacaliel a sé: «Andiamo a casa» le sussurrò.

***

Arwen si voltò e allungò il braccio verso Aragorn, gli occhi ancora chiusi, la luce dell’aurora che già filtrava dalle finestre. Il braccio cadde nel vuoto del suo letto e lei spalancò gli occhi. Il cuore prese a batterle veloce e si tirò su a sedere.

Dov’è Estel?

Arwen strinse le lenzuola tra le dita, prendendo ampi respiri.

Estel è nella Casa dei Re.

Una lacrima le scivolò sulla guancia e lei la fermò con il dorso della mano. Scese dal letto e indossò la vestaglia, avvicinandosi alla finestra. Posò le mani sul davanzale freddo, il cielo che sfumava dal rosa al turchese.

Arwen chiuse gli occhi e, per un istante, le sembrò di sentire il frusciare delle lenzuola, il passo di piedi nudi sul pavimento, le mani di Aragorn che le circondavano la vita. Aprì gli occhi e sbatté le palpebre, l’aria fredda del mattino come unica compagna. Un gabbiano si alzò in volo, lontano. Il sole stava sorgendo sull’orizzonte terso.

Non sarebbe mai riuscita ad abituarsi all’assenza di lui. Quel letto sarebbe stato sempre troppo grande. Le avrebbe sempre ricordato la sua assenza.

Arwen si strinse nelle braccia. Le donne della stirpe degli Uomini erano in grado di superare il lutto. Gilraen era sempre sembrata distante, assorta nei suoi pensieri, ma aveva vissuto a lungo con il peso del suo lutto e aveva abbandonato la vita quando era ora, non prima.

Le donne di Gondor, i cui mariti erano caduti valorosamente durante l’assedio, avevano mantenuto il lutto, ma poi avevano condotto la loro vita tranquille. I loro sguardi erano così vari tra loro che Arwen non li comprendeva. Alcune di loro, quelle più giovani, si erano persino risposate. Le più vecchie, dopo i primi tempi, sembravano aver dimenticato il loro dolore. Vivevano, continuavano la loro vita e affrontavano la loro Sorte quando arrivava il momento.

Ci sarebbe riuscita anche lei?

Arwen posò lo sguardo sul letto, lo fece scivolare nella sua stanza, così vuota e grande. Rivide Aragorn in piedi, accanto all’armadio. Lo rivide giocare sul letto con Eldarion ed Eldacaliel. Lo vide aprire la porta, posare lo sguardo su di lei e sorriderle.

No, non ci sarebbe riuscita. Si avviò alla toeletta e si sedette davanti allo specchio. Prese la spazzola, ne strinse il manico, poi la posò sul piano.

Ne vale la pena?

Prepararsi, vestirsi, mangiare, vivere... Per cosa?

Arwen chiuse gli occhi e li riaprì. La sua immagine allo specchio era quella di una donna triste, lo sguardo freddo, lo sguardo di chi aveva perso ogni speranza.

Estel.

Strinse le labbra e abbandonò le mani in grembo, abbassando lo sguardo. Un tocco leggero sulla spalla e sobbalzò, voltandosi. Ma era sola nella stanza. Prese un ampio respiro e alzò lo sguardo.

La sua speranza era morta. Eppure, quel viso liscio e quei capelli, folti e lucenti, le dicevano che era nel pieno vigore dei suoi anni mortali. Lontana era l’ora in cui avrebbe abbracciato quella Sorte amara. Quanto tempo le era concesso? Tanti anni quanti era vissuto Elros Tar-Minyatur? Come avrebbe sopportato di vivere altri quattrocento anni senza Estel?

Non ce l’avrebbe mai fatta, non in quel luogo, in cui ogni oggetto, ogni angolo della stanza e del palazzo le ricordava lui, i tempi in cui lui era vivo, i momenti condivisi insieme, i momenti in cui lei l’aveva atteso fino a tardi la notte, quando i consigli di stato duravano a lungo.

E i suoi figli? Come sarebbe stato per loro, vedere la loro madre spegnersi lentamente, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Sarebbe stato come quando sua madre si era spenta, sconvolta e ferita, e nemmeno l’amore e le arti di suo padre erano state in grado di aiutarla?

E per quanto a lungo? Sarebbero stati benedetti anche loro da una lunga vita, come i primi discendenti di Elros, oppure avrebbero vissuto tanto quanto il loro padre? E lei avrebbe potuto sopportare di sopravvivere anche a loro? Di pesare, su di loro e sui loro figli, con il suo dolore?

No.

Aveva bisogno di trovare un luogo tranquillo, un luogo di pace, un luogo nella Terra di Mezzo che l’avrebbe aiutata a lenire quella sofferenza. Partire avrebbe fatto bene sia a lei che ai suoi figli.

Arwen si alzò e si diresse all’armadio con le sue vesti. Non avrebbe avuto bisogno di molto. Scelse due abiti, uno estivo e uno invernale, più l’abito che avrebbe indossato per viaggiare. Prese anche un mantello e distese tutto sul letto ancora sfatto.

Arwen mise le mani sui fianchi e sospirò. L’alba era sorta da poco, il letto era sfatto e il palazzo era ancora silenzioso. Era troppo presto per preparare le sue cose, troppo presto per partire.

Doveva annunciare la sua decisione. Era una Regina e si sarebbe ritirata dalla vita pubblica come tale. Avrebbe salutato tutti, avrebbe congedato le sue dame e avrebbe ringraziato i servitori per tutti quegli anni che avevano lavorato per loro. La determinazione le diede la forza di andare avanti e tornò alla toeletta. Prese la spazzola e la passò tra i capelli.

Dove andare?

Arwen smise di spazzolarsi i capelli e abbandonò le mani in grembo. Dove avrebbe potuto trascorrere quel tempo? Quale luogo l’avrebbe accolta?

Il suo pensiero corse subito a Imladris. L’Ultima Casa Accogliente sarebbe stata ideale, con le sue cascate maestose e i suoi giardini che offrivano quiete.

La casa di mio padre.

Arwen riprese a spazzolarsi i capelli, i gesti lenti. Suo padre non era più là. La sua assenza pesò sul suo dolore, ma lei strinse il manico della spazzola, districando un nodo. Non sarebbe andata ad Imladris. Non sarebbe stato lo stesso di quando c’era suo padre. Aveva bisogno di qualcos’altro.

Arwen posò la spazzola e si alzò, prendendo l’abito da giorno. Lo indossò, da sola, e controllò le pieghe allo specchio. Quale luogo avrebbe accolto il suo dolore e l’avrebbe lenito nella pace di cui aveva bisogno?

Arwen prese un altro respiro e si sedette sul letto, accanto ai vestiti tirati fuori di fretta dall’armadio. Sarebbe stato bello trascorrere gli ultimi momenti della sua vita tra gli Eldar. La loro vita era tranquilla e lenta, al contrario della vita degli Uomini.

Arwen accarezzò il velluto del vestito invernale. Lórien sarebbe stato il luogo ideale. Anche se Dama Galadriel era partita, quel luogo era sempre stato, fin dai tempi antichi, un luogo di pace. Lì avrebbe potuto abituarsi all’assenza del suo amato. In quel luogo, le sue giornate sarebbero state cullate dal suono delle fronde degli alberi d’oro, scosse dal vento gentile. Avrebbe potuto fare lunghe passeggiate, da sola o con qualche vecchia amica.

Aveva vissuto molti anni nel Lórien. Avrebbe vissuto lì anche gli ultimi della sua vita.

***

La primavera stava cedendo il posto all’estate, le foglie dei mellyrn erano verdi e argento e i petali dei fiori erano già appassiti, formando un tappeto dorato insieme alle foglie cadute all’inizio della primavera.

Arwen alzò il velo e inspirò l’aria umida, l’odore del bosco era dolce e fresco. L’aria però era diversa, non c’era più quell’atmosfera senza tempo degli anni in cui vi aveva vissuto. Arwen chiuse gli occhi. Non importava. Era ancora un luogo tranquillo, lontano dalla vita frenetica degli Uomini e dalla città carica di ricordi.

Gli uccelli rumoreggiarono in alto tra i rami. La veste di Eldacaliel frusciò sulle foglie alla sua destra: «I racconti non rendono giustizia alla maestosità e alla bellezza di questi alberi» sussurrò sua figlia.

Arwen si voltò verso di lei. Eldacaliel sorrideva e spostava lo sguardo dai rami alti ai fusti argentei dei mellyrn.

Arwen le posò una mano sulla spalla: «Come vedi, starò bene qui».

Eldacaliel si voltò e le prese le mani: «Capisco, madre, perché hai preferito questo luogo alle foreste dell’Ithilien. Ma ti prego di prendere ancora in considerazione la possibilità di trasferirti lì, in futuro».

«Questo non è il tempo dei progetti».

Arwen incontrò gli occhi di Eldacaliel. C’era tristezza nel suo sguardo, ma non rassegnazione.

«L’Ithilien è più vicino, madre, possiamo venire a trovarti spesso. Molto più spesso di quanto potremmo in questo luogo. Ti prego di prendere in considerazione l’idea».

Arwen le baciò la fronte: «Ti ringrazio di avermi accompagnata fin qui, tesoro».

Eldacaliel aggrottò le sopracciglia: «Ti avremo accompagnata tutti, ma non hai voluto aspettare».

Arwen sospirò, abbassando le spalle: «È meglio per me, Eldacaliel. Senti la pace di questo luogo? Ne ho bisogno - Arwen le accarezzò la guancia - qui starò meglio che a Minas Tirith, sono convinta che potrò riprendermi» le sorrise, ma sua figlia sembrò vedere oltre quel sorriso, e l’abbracciò.

«Ma sarai da sola».

Quelle parole furono dure e Arwen deglutì, sbattendo le palpebre.

«Gli Eldar abitano ancora questo luogo» si limitò a rispondere lei, ricambiando l’abbraccio. Non sarebbe stata davvero sola.

«Anche nell’Ithilien dimorano gli Eldar, e dicono che le foreste sono più belle da quando Verdefoglia le cura».

Ma Legolas è partito per l’Ovest.

Arwen sorrise all’ostinazione di Eldacaliel: «Va bene, tesoro. Quando mi sentirò meglio, passeggerò tra gli alberi dell’Ithilien con te».

Gli occhi di sua figlia divennero lucidi e lei la strinse a sé: «Grazie, madre».

Arwen le accarezzò la testa e, per un breve istante, il peso che le stava schiacciando il cuore, quel peso che si portava dietro dalla morte del suo amato, sembrò essere un po’ più leggero.

Per un istante, credette che avrebbe davvero passeggiato tra gli alberi dell’Ithilien con Eldacaliel.

***

“Alla fine, mentre cadevano le foglie dei mallorn e la primavera era ancora lontana, ella si distese sul Cerin Amroth; e quella sarà la sua verde tomba finché il mondo cambierà, e i giorni della sua vita saranno del tutto obliati dagli uomini che nasceranno, e l’elanor e il niphredil non fioriranno più ad est del Mare.” - Il Signore degli Anelli, Appendice A

  
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