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Autore: radioactive    23/06/2015    4 recensioni
Sasuke sentiva le dita di Sakura sfiorargli i capelli, mentre la ragazza gli sfilava con dolcezza le bende dagli occhi. Tutte le volte che arrivava tra quelle sue ciocche disordinate la sentiva rallentare, controllando con più cura i movimenti delle proprie dita, come se avesse paura di impigliarsi in quella zazzera spettinata. Lei era già intrappolata, glielo aveva confessato in una notte fatta di lacrime e un po’ troppo sakè, si era accasciata sulla sua spalla e gli accarezzava le dita come se fossero delle gemme preziose, gli raccontava quanto ci tenesse a lui, quanto non poteva stargli lontana, quanto desiderasse prendersi cura del suo cuore un po’ ammaccato. Sakura diceva che Sasuke era una calamita, quel mandorlo molto più grosso di lei, sotto il quale lei si accucciava tutte le volte, cercando si ripararsi dalla neve e dal freddo.
♦ Storia partecipante al " [ Multifandom: Naruto & Dragon Ball ] Contest - La Musa Ispiratrice " di Nede.
♦ blind!Sasuke.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Nick EFP/Forum: radioactive (EFP) radioactive  (forum).

Titolo:  Per i baci gli occhi vanno chiusi.

Pairing: SasuSaku (Sasuke/Sakura).

Personaggi: Sasuke Uchiha, Sakura Haruno.

Rating: Verde 

Pacchetto scelto: Buio • «Il cuore ispira gesti che la ragione stessa non riesce a comprendere».

Prompt scelto: Segreto fino alla conclusione del contest.

Genere:  Malinconico, Introspettivo.

Note: What if? nella quale Sasuke è diventato cieco. Ho preferito non soffermarmi sulle motivazioni di questa sua condizione, dato che non le ritenevo necessarie per la fan fiction. Avevo già scritto una storia del genere su Naruto e Hinata (ispirandomi a un episodio in cui Hinata diventa cieca per un periodo, a causa dei costanti allenamenti con Neji) e, dato che mi era piaciuta molto, ho pensato sarebbe stata una bella esperienza ripetere questo format con Sasuke, che si presta comunque bene per questo genere di cose, anche se il modo totalmente differente dalla Hyuuga.

Il prompt del pacchetto è stato usato ma, lo ammetto, ha avuto un significato sotteso e non emerge totalmente ed esplicitamente nella trama, almeno all’inizio, ma spero si comprenda comunque il suo ruolo all’interno della storia senza che risulti “forzato”. La citazione è stata usata per dare significato ai gesti di entrambi i personaggi, anche se non viene esplicitato chiaramente, se non alla fine della storia.  Contiene dei vaghi riferimenti a Senza dir niente a nessuno (il mandorlo stanotte ha messo i fiori), una fan fiction che scrissi tempo fa, sempre su Sasuke e Sakura. Non è necessario leggerla, tuttavia vorrei che sapeste che il mandorlo è l’albero sopravissuto – per così dire – al Massacro, a cui ho dato un significato simbolico che riconduce a Sasuke. La metafora, in tutti i casi, non è necessaria per la comprensione di questa storia.

Inoltre, il titolo del pacchetto, «Buio», non doveva essere usato come prompt. Ma la trama della OS mi ha portato a considerarlo come tale, quindi, diciamo, è stato un “bonus” che mi sono data per complicarmi la vita.

Come al solito, ringrazio yingsu per aver betato la storia e per tutto quello che fa per me

 

 

 

Questa storia partecipa al " [ Multifandom: Naruto & Dragon Ball ] Contest - La Musa Ispiratrice " di Nede

(link al contest)

 

 

 

 

«Il mandorlo ha messo i fiori».

Era una voce che sembrava il canto degli uccellini, o una tempesta di margherite.

Sasuke sentiva le dita di Sakura sfiorargli i capelli, mentre la ragazza gli sfilava con dolcezza le bende dagli occhi. Tutte le volte che arrivava tra quelle sue ciocche disordinate la sentiva rallentare, controllando con più cura i movimenti delle proprie dita, come se avesse paura di impigliarsi in quella zazzera spettinata. Lei era già intrappolata, glielo aveva confessato in una notte fatta di lacrime e un po’ troppo sakè, si era accasciata sulla sua spalla e gli accarezzava le dita come se fossero delle gemme preziose, gli raccontava quanto ci tenesse a lui, quanto non poteva stargli lontana, quanto desiderasse prendersi cura del suo cuore un po’ ammaccato. Sakura diceva che Sasuke era una calamita, quel mandorlo molto più grosso di lei, sotto il quale lei si accucciava tutte le volte, cercando si ripararsi dalla neve e dal freddo.

Senza quelle bende, Sasuke sentiva l’aria fresca di fine inverno accarezzargli le ciglia, portare via il sudore e quelle lacrime che neanche lui sapeva di aver versato. Non voleva che Sakura vedesse quello che succedeva sotto quelle palpebre, sottilissime e – diceva lei – bianche come carta riso. Nel buio dei suoi occhi i demoni danzavano e chiedevano la carne di Sasuke per farci un banchetto, e lui si sentiva il cervello a pezzi mentre figure fluide di vario colore si muovevano come se stessero davvero festeggiando. Erano la morte e la rabbia che covava dentro che si burlavano di lui.

Era un po’ come morire.

Un panno fresco e umido premette leggermente sulle palpebre, lavando via tutti quei cattivi pensieri. Sasuke non era sicuro, ma immaginava che Sakura stesse osservando con cura le vene che attraversavano quella pelle bianchissima, cercando di imprimersele nella memoria per poterle ridisegnare con le dita senza guardarle.

«Va meglio il mal di testa?».

C’era una premura nella sua voce che ogni tanto lo faceva sentire a disagio. Perché lo faceva? Non riusciva a spiegarselo – e la scusa dell’«amore» non gli bastava più. Era una parola che non riusciva a concepire, una motivazione che non gli sembrava abbastanza forte. Sapeva che l’amore scavava nel profondo della pelle di Sakura come la rabbia aveva scavato nella sua. Entrambi avevano lasciato cicatrici sulle loro schiene, sulle braccia, sulle gambe e sul cuore. Non voleva pensare che l’amore che lei provava verso di lui le facesse così male, non voleva pensare che l’attaccamento che provava nei suoi confronti fosse la causa del suo dolore. Aveva voglia di abbracciarla e percorrere quei segni con le dita, sentiva quel desiderio premere e bruciare sotto la sua pelle per intere ore. Ma l’idea che questo potesse avvicinarla ancora di più, incatenarla ulteriormente a quella vita insignificante con lui, lo spaventava. Non voleva che fosse triste, che la sua esistenza si limitasse a un vivere per cambiargli le bende e leccargli le ferite come una mamma cane troppo apprensiva. Sakura metteva i fiori ogni anno, risplendeva nella sua veste di petali rosa e profumati e lui, come il peggiore dei criminali, sembrava stare ai piedi di quell’albero solo per dare fuoco a quelle piccole meraviglie.

Annuì piano, schiudendo le labbra, cercando delle parole da dirle, per dimostrarle e dimostrarsi che era ancora vivo. Forse, se riguadagnava la sua indipendenza, lei si sarebbe staccata e avrebbe preso il volo. Avrebbe brillato come la stella più luminosa di tutta Konoha e avrebbe portato ancora più luce anche in quella stanza buia, nella quale non distingueva più neanche i contorni di se stesso. Sasuke stava diventando tutt’uno con il buio che lo circondava e, presto, sarebbe scomparso nel nulla.

«Sì, anche gli occhi fanno meno male» iniziò, inumidendosi le labbra, stringendo appena il tessuto dei pantaloni. Il panno lasciò il posto alle dita di Sakura che gli spalmarono il solito unguento: sapeva di erbe e limone.

«Ci sono tanti fiori?» le domandò, cercando di impegnare la mente in altri discorsi, meno dolorosi e complicati.

«Più dell’anno scorso» era premurosa, gli accarezzava le ciglia con gesti involontari, della stessa consistenza dei sentimenti, come se lo facesse con il cuore in mano, «E dell’anno prima» continuò, e dalla modulazione della sua voce, dalle ultime vocali che scomparivano in un sospiro, capiva che stava sorridendo.

Lei sbocciava e lui non poteva fare altro che immaginarla e tenerla tra le dita, senza stringere troppo per non rovinare i fiori, sperando che i petali non gli sfuggissero di mano.

Non capiva perché Sakura ci tenesse a lui, perché gli raccontasse di Konoha, gli curasse gli occhi vuoti e gli preparasse pranzo e cena ogni giorno, rispettando i suoi silenzi e la sua distanza. Fingeva anche di non capirsi, ignorando quel dolore allo stomaco tutte le volte che la sentiva andare via mentre gli diceva «Buonanotte», facendo scorrere la porta di carta riso per chiuderla. Stringeva le labbra in una smorfia scocciata, mascherando il panico di quando non sentiva più il suo tocco sul proprio viso o il suo profumo si allontanava. Il calore della sua pelle era una sensazione che sognava sulla punta delle dita  e sulle labbra, ma Sakura gli sembrava protetta da una campana di vetro e lui non aveva il permesso di rompere quella gabbia.

«Va tutto bene?».

Nonostante lui non potesse più vedere, era chiaro che Sakura vedeva tutto. Sasuke era sicuro di aver mantenuto il controllo su tutto il suo corpo, anche su quelle palpebre che ormai non si alzavano più. Ma Sakura vedeva e agiva con il cuore – ogni suo movimento e ogni sua parola nasceva da quell’organo che in Sasuke era, come aveva detto lei, ammaccato. Lui stesso aveva decido di strapparselo dal petto e di buttarlo a terra, seguire lo stomaco e la collera piuttosto che altri sentimenti, molto meno distruttivi di quelli che l’avevano rovinato. Che lo avevano reso cieco davanti alla vita e davanti a Sakura, incapace di comprendere fino in fondo la bellezza di quello che lei aveva provato a donargli e continuava a fare.

Ancora, lei lo aveva trovato nel suo momento di debolezza più grande, come quando lo raccoglieva da terra dopo essere inciampato in un gradino che non ricordava, o faceva cadere qualcosa, rompendo il soprammobile in ceramica, camminandoci sopra alla ricerca di un appiglio in tutto quel buio che lo circondava mentre i cocci gli tagliavano i piedi.

Va tutto bene? Detto dalle sue labbra, quella sembrava una richiesta di lasciarsi andare, di accoccolarsi tra le sue braccia e di raccontarle tutti gli errori e gli orrori della sua vita. E Sasuke desiderava farlo, perché Sakura era l’unica persona che l’avrebbe ascoltato in silenzio, senza criticare le sue scelte, senza giudicarlo per le sue azioni – mosse dall’istinto e non dalla ragione, esattamente come le premure che lei gli riservava.

«Sì» rispose, la voce gli uscì sottilissima, come una lastra di vetro che tremava al solo toccarla. Inspirò profondamente, sentendo l’unguento che si asciugava sulle sue palpebre, dandogli un po’ di sollievo, «Va tutto bene» continuò, tenendo le mani sulle ginocchia e la schiena dritta, rigida.

Silenzio. Le cicale non cantavano ancora e qualche farfalla, temeraria, iniziava a volteggiare nell’aria di fine febbraio, anche se era più calda del solito. La primavera era alle porte e il mandorlo, come suo solito, l’aveva anticipata con un letto di petali bianchi. La mano di Sakura, ancora fresca per l’unguento, si posò sulla sua, sfiorandogli le nocche, sistemandosi tra gli spazi vuoti delle sue dita, come se rivendicasse quella nicchia solo per sé. Era tutto quello che chiedeva.

«Puoi dirmi tutto, lo sai» lo rassicurò: non lo direi a nessuno, nemmeno a Naruto. Nell’aria c’erano sospese quelle parole, il resto di una promessa silenziosa, marchiata con il fuoco, sulla sua pelle, da quei piccolissimi cerchi che Sakura andava disegnando sul dorso di quelle mani lisce, ormai disabituate alla katana, ai kunai e alla guerra.

Quel tocco soddisfaceva il suo desiderio di stringere Sakura tra le braccia e mettere fine a quel fuoco che gli dilaniava il cuore. Faceva desiderare di averne di più. Sasuke sentiva il bisogno di un abbraccio che compensasse tutte le mancanze della sua vita, tutte le decisioni sbagliate, tutte quelle offerte di felicità e serenità che aveva rifiutato dalla ragazza.  Senza pensarci, ascoltando, dopo tanto tempo il cuore, decise di girare la mano e coprire le dita di Sakura con le proprie, offrendole il proprio calore che, per quanto potesse essere tiepido, era suo – e ora lui glielo donava, come l’unica cosa rimastagli. Non aveva più gli occhi per osservarla nelle sue movenze tranquille o bearsi del suo sorriso e l’udito non bastava.

«Lo so» rispose, tacendo nuovamente. Sentì l’altra mano di Sakura sulla sua e immaginò i fiori dei ciliegi sbocciare con straordinario anticipo e cadere sul letto bianco del mandorlo, lasciando che i due petali potessero incontrarsi un momento solo, appoggiandosi l’uno all’altro in un rapporto di totale fiducia.

La sentì trattenere una risata, conseguenza di un sorriso largo – larghissimo. Era felice di sentirla così felice, una sensazione nuova, un brivido che gli faceva capire che non tutto quello che faceva e avrebbe fatto aveva un risvolto negativo nella vita di Sakura. Lui poteva farla sbocciare, oltre al fuoco, poteva essere anche l’acqua che nutriva quell’albero, che le donava l’amore di cui aveva bisogno per sopravvivere all’inverno.

Le lasciò piano le mani, facendo scorrere le dita sul suo braccio esile, seguendo la curva della spalla e poi quella del collo, sfiorandole la mandibola. Non l’aveva mai sentita davvero – la pelle di Sakura imitava la dolcezza di un petalo del bocciolo di cui portava il nome. Non sbagliava a immaginarla come fatta di fiori.

Stavolta fu lui a sfiorarle le ciglia, seguendo con delicatezza il taglio dei suoi occhi che si chiudevano al suo tocco. Cercando di ricordare come fosse fatto il rosa. Il respiro di Sakura si calmò, diventando più lento ma scandito, a ritmo con il cuore di Sasuke.

Si ricordò che, da bambino, aveva visto Ino Yamanaka dare un bacio a un ragazzino – lei si era lamentata perché il pivello non aveva chiuso gli occhi e la Yamanaka, come se avesse chissà quale esperienza in fatto di baci e relazioni amorose, gli disse che «Per i baci gli occhi vanno chiusi!» giustificandosi semplicemente con «I miei genitori fanno così».

Ora lo capiva.

Con la stessa delicatezza del manto di petali bianchi a febbraio, Sasuke coprì gli occhi a Sakura, avvicinandosi nel modo meno impacciato possibile a lei. Le mani della ragazza gli afferrarono le spalle, piano, in un gesto affettuoso. Tutto in lei sapeva di primavera e casa.

Per i baci gli occhi vanno chiusi, e il buio in cui Sasuke era immerso non sembrava più così spaventoso.




   
 
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