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Autore: The Ghostface    23/06/2015    1 recensioni
Sono passati tredici anni…tredici lunghissimi anni da quando Ghostface è stato rinchiuso nel Tartaro.
Di lui non resta che un vago ricordo, voci, leggende urbane…tutto sbiadito dal tempo…dalla magia…
Sulla Terra le cose sono cambiate, nonostante il tempo trascorso i Titans sono rimasti uniti…e con un membro in più, un vecchio rivale pentito…
Alcuni si sono sposati, alcuni hanno avuto dei figli…alcuni nascondo terribili segreti nel profondo del loro animo che mai mai e poi mai dovranno essere svelati.
Il ritorno in circolazione di un noto avversario da un occhio solo terrà alta la guardia dei nostri eroi.
Ma quello che tutti loro non sanno…e che sono finiti tutti nel mirino dell’ormai leggendario…Ghostface.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Ghostface, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rigor Mortis'
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CAPITOLO 20
 
Eccomi tornato con la seconda parte del capitolo 19!
Onde evitare casini (come la penultima volta) tendo a precisare che il penultimo paragrafo contiene una certa descrizione che la gente facilmente impressionabile e i ben pensanti farebbero meglio a saltare.
Io vi ho avvisato.
 
-Bè, siamo qui per divertirci, no?- esclamò Ghostface drizzandosi in piedi facendo sobbalzare la sua accompagnatrice –Basta pensare alle brutte cose del passato o del futuro, godiamoci il presente e andiamo a festeggiate, “nipotina”!-
April non se lo fece ripetere due volte!
 
-Buuuu! Fate schifo! Sparate come mia nonna! Siete ei tappetti, sapete solo farvi battere!- Ghostface stava letteralmente svuotando i banchi del tiro a segno uno ad uno, lasciando a mani vuote tutti gli altri giovani giocatori.
Vinse l’ennesima volta, gli fu consegnato anche l’ultimo premio in palio, un gigantesco panda di pezza.
-C’erano sei colpi in meno di quelli che avevo pagato, il mirino era fallato, i colpi deviavano tutti a sinistra e 10 bersagli erano incollati alla base …non è stato difficile- commentò consegnando l’orsacchiottone alla sua accompagnatrice.
-Bene. Ora.. dov’è che facevano lo zucchero filato? - disse issando la carriola, presa in prestito da uno scaricatore, straripante dei vari premi che tutti i bambini attorno a loro guardavano con i lucciconi agli occhi.
Occhiate più aggressive erano quelle dei giostrai che si erano trovati i colpo coi banchi svaligiati.
-Allenatevi a sparare, nanerottoli, oppure sparatevi tra di voi- li canzonò il vecchio sfilando davanti alle decine di bambini delusi.
April non ci trovava nulla di divertente in quelle faccette mogie.
Si affiancò a Jonathan –Sai, non è necessario sbeffeggiarli così-
-Cosa?!- replicò quello mezzo stupito –Metà del divertimento sta negli sberleffi!-
Rassegnata, April si limitò ad alzare gli occhi al cielo –Almeno lascia loro i premi, tu che te ne fai?-
-Se li volevano dovevano vincerli- ribatté –E poi li ho vinti per te-
-Allora… - rispose a tono April- …visto che sono miei, ho deciso di regalarli ai bambini. Tutti-
Poi ci ripensò un attimo stringendo al petto il panda gigante –Tutti eccetto il panda- precisò.
Ghostface odiava i bambini.
Rumorosi, puzzolenti, ingenui, fastidiosi…bleah! Il peggio del peggio!
Ma volle accontentare la ragazza il giorno del suo compleanno.
-Uffa…- sbuffò rovesciando a terra il contenuto della carriola, i due si allontanarono ma rimasero a guardare la folla di bimbi che si avventava sulla montagna di balocchi abbandonata.
La scena incupiva sempre di più il vecchio che avrebbe volentieri cosparso di benzina giochi e marmocchi per poi accendersi un sigaro.
<Sì, un bell’incendio è quello che ci vuole> rimuginava tra sé e sé.
Tuttavia si trattenne, non tanto per la sua paura del fuoco quanto per la sua “nipote occasionale” che sorrideva davanti all’allegra scena, assieme a decine di altre persone attirate dal trambusto.
Tenendo a braccetto da una parte Ghostface e dall’altra il panda, April non potè fare a meno di sentirsi una gran benefattrice dell’umanità.
-Visto come sono felici?- disse mentre la massa di bambini andava scemando man mano che la catasta di regali veniva privata dei suoi componenti
-Sciacalli. Vedrai che tra tre gironi non li guarderanno neppure più quei giochi. Poi lo trovo diseducativo, non ci sarà sempre qualcuno ad elargire ciò che desiderano- replicò cinico come al solito l’uomo dai bianchi capelli.
-Per una volta non muore nessuno- commentò l’altra, che aveva sempre detestato quel tipo di ramanzina sul cavarsela con le proprie forze, ramanzina con cui la madre la tartassava fin troppo spesso.
-I giovani d’oggi devo imparare a sudarsi le cose- continuò  a brontolare Ghostface prima che April lo trainasse in un altro stand.
La ragazzina la fece da padrone per quasi tutta la serata, e nonostante il vecchio trovasse noiose o addirittura nauseanti la stragrande maggioranza delle attività da lei scelte decise di accontentarla come meglio poteva.
Voleva che quella serata fosse perfetta.
Doveva essere perfetta.
 
-Perché mi hai portata qui??- piagnucolò April davanti alla pista del bowling.
Un pista piccola, con solo sei corsie, ma ben attrezzata.
Molti amanti dello sport andavo ad allenarsi lì.
-Oggi hai scelto sempre tu…- replicò Jonathan intento a specchiarsi sulla lucida palla nera che reggeva tra le mani -…fammi fare almeno qualcosa che piaccia a me-
-Vuoi dire che non ti sei divertito prima?- una domanda decisamente ingenua da parte di una così sveglia ragazza.
-Sinceramente? No. Non mi sono divertito-
April rimase quasi sbigottita da quel cinismo così improvviso –Potresti almeno fingere il contrario!-
-Pensavo che a voi donne piacesse la sincerità…- quelle parole la fecero pensare a quanto Bruce si era dichiarato, a quando le avevano spiegato per la prima volta cosa significava quel sangue che aveva trovato tra le cosce un mattino dell’anno precedente, a quando sua madre le aveva rivelato che lei era un incidente…
I suoi guai avevano avuto inizio con la sincerità.
Abbassò lo sguardo massaggiandosi il gomito –In realtà…non è che mi piaccia poi tanto la sincerità…-
Ghostface spostò lo sguardo dell’iride nera dalla boccia, scura come l’occhio stesso, ad altre due sfere nere, gli occhi di April –So cosa stai pensando- le disse – La verità fa male, ferisce, è dura e cruda e soprattutto la verità non si può cambiare. È naturale, specie alla tua età, preferire le morbide bugie che ti fanno sembrare la vita un po’ meno difficile, che ti tengono viva la speranza… ma ignorare la realtà circondandosi di illusioni è pericoloso, è come abitare un castello fatto di nuvole: basta un soffio d’aria perché il castello si sfaldi e noi precipitiamo a schiantarci contro le asprezze della vita- infilò le tre dita della mano monca nei tre fori della palla da bowling, all’inizio quella mano mutilata faceva senso ad April, la ripugnava vedere quelle dita mozzate, eppure non poteva fare a meno di guardarla e questo la metteva ancor più a disagio, ma non poteva farci niente, i suoi occhi ne erano attratti magneticamente.
Col tempo poi si era abituata, adesso erano gli occhi, anzi l’occhio, nerissimo di Jonathan ad attirare la sua attenzione, un occhio che non aveva mai visto prima….
Anzi, sì!
Aveva già visto quegli occhi neri! Ne era sicura!
Ma dove? Dove??
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare.
Ma sapeva di averli già visti.
Il rollare della palla sulle assi di legno la riscosse dai suoi pensieri come l’alba riscuote dal sonno.
La sfera rotolava veloce eppure sembrava non dover mai arrivare a destinazione.
-Ascoltare solo ciò che si vuole sentire sarebbe come vivere nel giardino dell’Eden senza mai toccare il frutto proibito- riprese Jonathan tenendo fisso lo sguardo sui birilli –Condurre una vita da scemi, lontano dal dolore ma immersi nella stoltezza, ignorando che al mondo c’è il bene e c’è il male-
Tutti i birilli caddero con fragore.
Strike!
Jonathan non esultò, fece alcuni passi indietro e riprese la boccia nera tornata al suo posto.
La porse ad April.
-Adesso prova tu-
La ragazza prese la palla con entrambe le amni, pesava un casino –Ma io non sono capace- cercò di dire ma Ghostface non volle sentire ragioni -È tutta questione  di esperienza, se non cominci non sarai mai in grado di farlo-
Titubante April inserì le dita nei tre fori, per poco la sfera non le cadde su un piede!
-Uff…è difficile!-
-La vita è difficile-
A fatica avvicinò la palla alla pista di lanciò e diede la spinta con quanta forza aveva, la palla barcollò pigramente sul legno, raggiungendo quasi la metà del percorso prima di scivolare in una delle corsie a lato senza essersi neppure avvicinata ai birilli.
-Visto? È impossibile!- fece April stizzita incrociando le braccia.
-Con questo atteggiamento di sicuro!- replicò lui prendendo una nuova palla, stavolta rossa e fiammante, April poteva specchiarcisi nei minimi dettagli, era buffo vedere il proprio viso deformato su quella superficie curva e liscia.
-Segui i miei consigli- le disse porgendole la boccia.
April la prese, volendo fidarsi.
-Innanzi tutto liberiamo le gambe- disse arrotolandole l’abito da sera sopra la metà delle cosce –Sei l’unica che giocherebbe a bowling vestita così- sghignazzò.
Quando sentì le dita di lui a contatto con la pelle nuda delle sue cosce April sentì un brivido percorrerle la schiena, le venne la pelle d’oca…ma non era un brivido di freddo o di paura…era qualcosa di diverso…di strano eppure piacevole, qualcosa che voleva risentire.
L’abito bianco stonava alquanto con le scarpe rosse e verdi che aveva dovuto indossare all’entrata, e l’idea di mettere i suoi piedini in suole intrise del sudore di sconosciuti non le era andato per nulla a genio.
-Una gamba avanti e una un po’indietro, assumi stabilità – la guidò con la voce e col corpo facendole assumere la giusta posizione, era alle sue spalle, premuto sopra di lei, col suo braccio che guidava quello esile di April all’indietro, facendole caricare il colpo.
Il volto di Ghostface poggiava nell’incavo delle spalle della ragazza.
Poteva sentire il suo respiro calmo e caldo sulla guancia
Le gambe dell’uno parevano essere una cosa sola con quelle dell’altra, così come la schiena di April e il ventre di Jonathan, anche il suo petto era premuto contro le scapole della ragazza in modo delicato ma indivisibile, e così il bacino di uno premeva sul sederino dell’altra.
April sentì di nuovo quel brivido.
Sentire i loro corpi a stretto contatto, così vicini l’uno con l’altro, la faceva stare bene…molto bene.
Un sorriso involontario, nato spontaneamente, le colorò il viso.
Le piaceva quella sensazione.
Ma lui si staccò pochi secondi dopo, facendo morire quel gradevole senso di calore e accettazione che aveva pervaso April poco prima.
-Bene ora che sei nella posizione corretta, concentrati!-
April deglutì.
-Ora chiudi gli occhi…-
-Ma se chiudo gli occhi come faccio a mirare?- protestò lei che non capiva il perché di tale gesto.
-Non hai bisogno di mirare, devi sentire dentro di te dove sono i birilli. Ti fidi di me?-
Lei annuì e calò le palpebre.
-Ripeti. Io sono la palla-
-Io sono la palla-
-Io sono i birilli-
-Io sono i birilli-
-I birilli sono i miei nemici-
-I birilli sono i miei nemici-
-Anche io sono il mio nemico-
-Anche io sono il mio nemico
-Solo distruggendo me stesso potrò trovare la pace e la vittoria…-
-Che stronzata…- ridacchiò la ragazzina aprendo gli occhi e perdendo la posizione assunta poco fa.
-Avanti, John, non mi sembra il momento di fare filosofia. In fondo è solo un gioco, si tira la palla e come viene, viene-
Ghostface faticò molto a mantenere la calma, sentiva i nervi affiorargli sotto la pelle.
-Il bowling non è “solo un gioco” è molto molto di più. È uno stile di vita-
Disse altezzoso prendendo un’altra boccia, stavolta azzurra.
-Vedi April ci sono molti modi per interpretar il bowling, per me il bowling è come una strada, la strada è una sola ma tu puoi percorrerla in tre modi. Puoi andare a destra, a sinistra…oppure stare nel mezzo… e vincere- tirò e fece un altro strike.
-In ogni caso devi sempre andare avanti, senza mai fermarti- concluse Jonathan mentre in fondo alla pista i macchinari risistemavano i birilli caduti, sostituendoli con dei nuovi.
-Ma è pericoloso stare in mezzo alla strada- protestò April.
-Grazie al cazzo!- sbottò lui esasperato - Questo lo so anch’io. Ma essendo una strada figurata è sott’inteso che non passino automobili.
Ora tira, intanto m’informo se Capitan Ovvio ha bisogno di una spalla.
E mi raccomando: concentrati-
April fece spallucce e tirò un po’ molto alla vacca di cane.
La sfera rossa procedette a zigzag come un serpente, per poi indirizzarsi verso la corsia a lato della pista, ben lontana dal suo obbiettivo.
April stese la mano e gli occhi le brillarono.
-Azarath Metrion Zinthos-
La palla rossa divenne nera, come avvolta da oscure lingue di fuoco, pareva un piccolo sole di tenebra che rotolava.
Cambiò improvvisamente la sua direzione, andando dritta dritta contro i birilli.
La boccia incantata sfondò la fragile barriera davanti a sè come se nemmeno ci fosse stata: tutti i birilli caddero…eccetto uno.
A quel punto la palla fece retromarcia e lo colpì buttando a terra anche l’ultimo rimasto dei suoi nemici, per poi scendere finalmente oltre il margine della pista e ritornare quindi al punto di partenza.
-Ehi! Così non vale!- protestò Ghostface, a cui non era sfuggito l’imbroglio, solo un cieco non se ne sarebbe accorto.
-Sei tu che mi hai detto di concentrami- ribatté quella con un sorrisetto furbesco sul viso.
 
Uscirono solo quando April riuscì a fare strike onestamente.
Erano quasi le due di notte.
La luce dei lampioni affievoliva l’oscurità, il soffuso sussultare delle onde contro il bagnasciuga accompagnava i passi leggeri della quattordicenne e quelli sicuri, marcati del vecchio
-Si sta facendo tardi…forse dovrei rientrare…-
-Lo capisco…-sorrise Ghostface.
April lo superò voltandosi di colpo, si trovarono faccia a faccia –Grazie per la bella serata, nonno. Ne avevo davvero bisogno- una seconda volta le braccia di April si chiusero attorno a quel corpo troppo vecchio e freddo, sciogliendolo in un tenero abbraccio prontamente ricambiato.
Quando si separarono April fece per allontanarsi ma lui la richiamò –Prima di andare…sarebbe troppo chiederti di concedere un ballo a un povero vecchio?-
Lei sorrise e gli corse incontro, insieme si recarono alla pista da ballo, sull’estremità del molo.
A dispetto dell’ora la pista pullulava di giovani scatenati.
Ragazze con toppini minuscoli, giovani strafatti di fumo e  di birra, laser che tagliavano la notte, risa e schiamazzi a tutto spaino, e con la musica sparata a palla che rendeva difficile dialogare.
April si sentì a casa ed era felicissima di aver indossato il suo sexy abito da sera.
-Aspetta qui- le disse – Scambio due parole con il “digei”- dalla tasca dei pantaloni estrasse una chiavetta.
-Cos’è quella?- gli chiese lei che non vedeva loro di gettarsi nella mischia e scatenarsi.
-Un pezzo che ora ti faccio sentire-
-Sarà mica la quinta di Beethoven – lo schernì April, anche se il sospetto che lo fosse era più che fondato.
-Ti sembro il tipo da musica classica- sorrise in risposta allontanandosi sempre più –Solo una parola bimba mia: metallo!!- esclamò facendo il segno dei metallari con la mano destra.
 
Quando Jonathan tornò il pezzo era già cominciato con un assordante assolo di batteria.
-Non male per un vecchietto come me, eh?- sorrise trainandola al centro della pista da ballo, facendosi largo a spallate.
-È forte!- annuì lei –Che pezzo è?- domandò urlando per farsi sentire.
-L’ho scritto io tredici anni fa, scritto e inciso, l’ho dedicato alla persona a cui tenevo di più allora: me stesso.
Io lo chiamo: GhostMetal!-
La voce registrata iniziò a cantare cavernosa da far paura, ma era riconoscibile a chi appartenesse.
-Scateniamoci!- trillò April iniziando una serie di movimenti asensati, sconnessi e convulsionali che la sua generazione chiamava “danza”.
Il vecchio rimase a dir poco allibito, pareva posseduta dal diavolo per come agitava quel corpicino.
Le note assordanti del GhostMetal risuonarono per tutto il lungo mare.
 
I am be dangerous now
Not me hurt
When stairs fell down
Me pushed by you me hit head
Me nose broke, soon you be dead
Soon you be dead
 
So strong my face is
You punch break fingers
Kick me, you're limping
Stab me, you're bleeding
I am be dangerous now
You throwing rock at me
Hit eye and it no hurt me
I'm strong, you're not
You're not
 
I'm making time for fighting
I'm clearing time for hitting
We'll meet and I will beat you
Our schedules permitting
I pick out fighting outfit
Don't want my pants too tight
Need clothes to breath to beat you
You'll be beaten down tonight
 
I'm so fucking tough
I'm so fucking tough
That's right
I'm so fucking tough
I'm so fucking tough
That's right
 
I will put you down
I will make you drown
I will make you bleed
I am filled with speed
I cannot feel pain
I might be insane
I am victory
I write history
Feel my fist
On your face
You hate this
I feel great
 
 
-E così…- disse April mentre si allontanavano da quella bolgia impazzita di carne sudata – Ti porti sempre dietro una chiavetta con su inciso questo brano? Strano forte!-
-Non si sa mai quando può servire- replicò lui –E poi ormai pensavo avessi capito che sono un tipo piuttosto strano-
April sorrise, lo guardò in quell’occhio scuro, scurissimo, come i suoi, e gli saltò al collo –Sei fantastico!- esclamò stringendo così forte la presa da soffocarlo, gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia scavata, poteva sentire i denti sotto la pelle.
Lui, riscossosi dall’inaspettato gesto lo ricambiò con una scompigliata di capelli…adagio adagio il sorriso sottile che aveva in volto però si capovolse, Ghostface assunse un’aria talmente seria da far paura.
-April devo confessarti una cosa…- disse dopo interi minuti di opprimente silenzio afoso.
Non attese una risposta e continuò, si fece coraggio e dopo un bel respiro ammise –Sto per lasciare Jump city-
-COSA!!??- April non credeva alle sue orecchie –NO! Non adesso! Non puoi! Non lasciarmi sola! Ti prego…ormai ho solo te…- per la seconda volta, in quel giorno così speciale i caldi lucciconi ararono le guance della giovane.
Jonathan s’inginocchiò davanti a lei mettendole le mani sulle spalle.
La fissò dritta in quegli occhioni lucidi, arrivando a sfiorarle l’anima con lo sguardo.
-Devo partire, ho dei lavori da svolgere, luoghi da visitare, persone da incontrare, vite da distruggere, roba da rubare…ascoltami, April…io non ti sto abbandonando. Ti offro un’opportunità: vieni via con me-
Quelle parole la pietrificarono.
-P-partire c-con te?- ripetè lei titubante, tremava come una foglia all’idea di partire e lasciarsi tutto alle spalle…per sempre.
-E dove?-
-Dove vorremo. Saremo solo noi due, io e te, c’è ancora molto che voglio insegnarti, molto da scoprire, sei giovane April, hai tutto un mondo da esplorare, vieni con me e ti porterò in luoghi che hai solo sognato.
Vivremo liberi, e nessuno potrà dirci cosa fare o dove andare…non saremo mai più considerati un intralcio-
Quella parola…
Quell’ultima parola…era come…come se lui sapesse…
Gli tornò in mente le crudeli parole che sua madre le aveva sputato in faccia quella stessa mattina.
Un peso.
Un’incidente.
Un’indesiderata.
Un intralcio…
Ecco cos’era…cos’era sempre stata, solo ora però lo capiva.
Per questo sua madre era sempre stata così dura con lei…
Forse lei e suo padre non si sarebbero neppure sposati se lei non fosse arrivata inavvertitamente.
Non l’aveva mai voluta e gli altri non erano da meno, si era introdotta nelle loro vite scombussolando tutti i loro piani…ma ora finalmente capiva, tutto era più chiaro.
Forse….forse era davvero meglio così.
Forse i suoi genitori, la sua famiglia, tutti i suoi cari sarebbero stati meglio se lei fosse sparita dalla circolazione definitivamente.
Com’è che si era definito Jonathan? Ah sì un matto…ma anche un angelo.
L’aveva sempre aiutata, sempre consigliata per il meglio…forse era destino che si incontrassero, che andassero via insieme e vivessero vagabondi le loro vite avventurose, due reietti insieme contro vento e contro tutti.
Però…però…però se il destino voleva così…com’era che non riusciva a sopportare l’idea di separarsi per sempre dai suoi? Com’è che le venivano le lacrime a pensare di abbandonare i suoi amati fratellini…e poi…non era vero che tutti l’odiavano…c’era Bruce, lui c’era sempre stato per lei…lui l’amava.
Ma lei amava lui? O era qualcosa di diverso?
La voce calda come caramello fuso di Jonathan la riscosse dai suoi pensieri.
-Non sei obbligata a rispondermi adesso April, se vuoi non devi neppure rispondere.
Io partirò tra tre gironi, il tempo di compiere ciò per cui sono venuto, alle nove davanti alla Roccia del Gufo.
Ti aspetterò fino al levare del sole, poi andrò.
E se vorrai tu potrai venire con me-
La mano delicata le accarezzò i capelli e poi la guancia, April ci strofinò contro il viso umido di pianto, stringendola con quanta forza aveva…perché il destino la metteva sempre davanti a simili scelte?!
Ghostface riprese a parlare, sempre inginocchiato di fronte a lei –Qualsiasi cosa tu scelga, voglio che prenda questo- estrasse un crocifisso da sotto la camicia, lo portava appeso al collo, un semplice crocifisso di ferro a croce greca, con su inciso un α nel braccio sinistro e un ω nel braccio destro, era pesante e spesso –Questa è la chiave se le cose dovessero andare male- disse tenendolo tra le dita.
Allargò il cordino del ciondolo, se lo sfilò e lo mise attorno all’esile collo di April , il pendente  era poco più grande di una moneta da un dollaro, le cadde in mezzo ai soffici seni adolescenti, battendo più volte su quel giovane petto che batteva all’impazzata…
-Ma per favore! Non dirmi he sei diventato uno di quei profeti apocalittici- disse sforzandosi di trattenere le lacrime, preferendo mostrarsi sferzante che triste.
-La fine del mondo è arrivata 14 anni fa, solo che questa società corrotta non se ne è ancora resa conto. So che non sei cristiana, April, ma tieni bene a mente questo simbolo…potrebbe salvarti la vita a te e a chi ti sta a cuore, un giorno-
April avrebbe voluto aggiungere qualcosa, qualsiasi cosa, ma una voce glielo impedì.
-APRIL!-
-Bruce?!- la ragazza si voltò di scatto e vide il mezzo-tamaraniano correrle incontro, volse nuovamente la testa verso il vecchio inginocchiato ai suoi piedi ma lui…lui non c’era più.
Era sparito, volatilizzato come un’ombra tra le ombre, evaporato…
Che si fosse sognata tutto? No…no era successo davvero, il crocifisso che le pendeva sul petto ne era la prova.
-April tutto ok?- chiese il ragazzo dopo averla raggiunta, vedendola confusa e smarrita.
Per un momento la ragazzina fece per confessare quanto era accaduto poco prima ma poi si ricordò della promessa fatta al suo bizzarro amico –Sì...è tutto ok-
-Meno male! È da quando sono tornato a casa che ti cerco! Mamma mi ha detto che volevi vedermi…scusa se non ero presente quando avevi bisogno io…- lei gli tappò la bocca con un dito –Va tutto bene…non c’è bisogno che ti scusi. Ho trascorso lo stesso una bella serata-
-Forse sono in ritardo…ma volevo darti questo- disse lui arrossendo fortemente, porgendole una scatolina incarta.
-Buon compleanno, April-
La maga aprì il pacchetto e al suo interno trovò uno splendido anello d’argento, istoriato secondo geometrie incredibili, forgiato alla maniera tamariana, c’erano almeno un centinaio di sottilissimi nastri metallici che si intersecavano tra loro formando quell’unico anello che riluceva come una stella alla luce della luna, non c’era un solo legame uguale all’altro eppure tutto era un’assoluta armonia di forme e colori.
Incastonate tra quei fili d’argento c’erano gemme di ogni forma e colore, alcune anche inesistenti sulla Terra, minuscole a vedersi ma ognuna diversa dall’altra.
Mai gli occhi della ragazza si erano posati su un gioiello più bello.
Nessun orafo sulla Terra sarebbe stato in grado di imitare una simile maestria di fattura.
-Uao….- April era senza parole –È…è magnifico. N-non so cosa dire… grazie!-
Si rimirava l’oggetto che le luccicava nel dito, era davvero splendido.
-Ti piace, allora.- sorrise lui –Ho dovuto fare un bel viaggio per procuratelo…ma adesso ogni volta che lo vedrai penserai a me…-
April gli balzò al collo, proprio come con Jonathan, e come a lui gli schioccò un bacio, stavolta però sulle labbra –Io ci penso sempre a te, Bruce- sorrise la ragazza stringendolo forte quasi per soffocarlo
 –Ti va di riaccompagnarmi a casa?- chiese quando finalmente i due giovani si separarono.
-Strada lunga?- propose lui porgendole il gomito.
-Strada lunga-
I due si allontanarono a braccetto.
 
Nell’ombra una longilinea figura aveva assistito a tutta la scena, per nulla compiaciuto.
Ghostface si tolse la benda dall’occhio, perfettamente formato, color del ghiaccio, insostenibile.
<Sette lenti a contatto ho dovuto indossare per camuffarmi l’iride> pensò imprecando mentre cercava di toglierle dall’occhio “truccato”.
Spazientitosi se lo cavò ringhiando di rabbia anziché di dolore, una rabbia e frustrazione dovute a un motivo ben più importante del fastidio delle lenti a contatto.
Mise la benda sull’orbita vuota ed essa si tinse di un rosso cupo, sempre più scuro, ma lui non ci fece caso, rimase appoggiato al muro, protetto dal buio, a spiare i ragazzi che si allontanavano mano nella mano.
Rimasto solo al freddo, Ghostface s’accese una Marlboro, inspirò a pieni polmoni l’assuefante sapore del fumo e s’incamminò per la sua strada.
Sentiva l’amaro in bocca, non della sigaretta, l’amaro di sapere di essere stato sconfitto…lui odiava la sconfitta… lei non sarebbe partita, non finché quel ragazzo l’avrebbe fatta sentire amata.
-Bene…vuoi il gioco duro? Allora giochiamo!-
-xxx-
 
April era entrata di nascosto in camera sua, passando dalla finestra, non voleva che i suoi genitori sapessero che era tornata.
Si spogliò e con indosso solo le mutandine bianche e la maglia del pigiama s’infilò sotto le coperte, esausta, non riusciva neppure a tenere alzate le palpebre.
Sfinita desiderava solo farsi un buon sonno e dimenticare almeno per un po’ tutto ciò che le era accaduto, scivolare nell’oblio, nella dolce e beata ignoranza dei sensi.
Eppure.
Eppure nonostante la stanchezza non riusciva a dormire.
Si rigirava nel letto cercando una posizione comoda senza trovarla, si sentiva agitata dentro, come se un fuoco le ardesse nel basso ventre.
Non era lo stress o l’ansia della decisione impostale da Ghostface a tenerla sveglia…era qualcosa di diverso…di molto più carnale.
Qualcosa che la tormentava da quando Jonathan le aveva sfiorato le cosce…era eccitata.
< È assurdo> si disse <Jonathan ha millanta anni più di me, è solo un amico e io per lui sono solo una “nipote” adottiva, nulla di più…>
Ma il suo corpo non volle sentire ragioni.
Non era la prima volta che lo faceva, anche se le capitava veramente molto molto raramente.
La mano scese istintivamente verso il basso, verso la sua intimità, soffermandosi solo davanti alla leggera barriera delle mutandine di lino.
Prese a tastare la calda fessura tra le gambe da sopra la stoffa, si sorprese da sé a trovarla già umida, intanto l’altra mano s’era insinuata sotto la maglia, i capezzoli erano già turgidi ed evidenti sotto la maglia lilla, svettavano dai seni sodi ancor prima che le dita giungessero a tormentarli.
Decise di gustarsi il momento.
Cominciò dedicandosi alle sue tettine piccole ma sensibilissime, ci giocò, le palpò le mosse, le strinse le accarezzò, ne tirò e ne torse le punte lasciandosi sfuggire qualche mugolio soffuso di piacere.
Adorava giocare col suo corpo, anche se spesso non ne aveva voglia, e dedicarsi ai seni l’eccitava moltissimo.
Tentò persino di leccarli ma non ce la fece, erano ancora troppo piccoli, riprese allora a seviziarne le punte con le dita, infradiciandosi le mutandine.
Quando infine i capezzoli rosei furono turgidi come chiodi le dita scesero in cerca di qualcosa di più morbido e caldo in cui infilarsi.
Non fu una ricerca impegnativa.
April si sentiva bruciare di desiderio.
S’abbassò le mutandine zuppe fino al ginocchio e le sue dita rapaci si chiusero sul frutto succoso e gonfio d’eccitazione che aveva tra le cosce.
Si accarezzò con furia tra le gambe scuotendosi la fica come un’ossessa mentre nei suoi pensieri, nelle sue fantasie era un’altra persona a sbatterla, più grande, più forte, più anziano…
-Jonathan…- invocò quel nome mentre il primo ditino si faceva largo tra le pieghe fradice della carne, penetrandola.
Non poteva credere a quello che stava facendo eppure si sentiva così bene nel farlo.
Come poteva essere sbagliata una cosa così piacevole?
Fu costretta a mordere il cuscino per soffocare i gridolini di piacere mentre un secondo dito raggiungeva il primo dentro di lei.
L’altra mano intanto si dedicava a tartassare il clitoride eretto.
Non volle inserire dentro se stessa un terzo dito, le sembrava eccessivo, si chiese come sua madre potesse accogliere dentro di sé il membro del padre, che doveva sicuramente essere ben più grosso di tre dita, che già a lei procuravano dolore, e ancor di più si stupì ricordando che da quella umida fessura un giorno sarebbe uscito un bambino…eppure si sentiva così stretta.
In breve dimenticò i suoi dubbi concentrandosi al massimo sul piacere, mugolii e gemiti soffusi uscivano dal cuscino, troppo fievoli per essere uditi troppo intensi per venire ignorati.
Dopo pochi minuti passati a masturbarsi sotto le coperte finalmente April raggiunse il culmine del piacere.
Venne affondando il viso nel cuscino per soffocarle l’urlo che nacque spontaneo dalla sua gola ansimante.
Rimase immobile a fissare il soffitto per alcuni minuti, spossata col cuore che le martellava in petto, poi dopo essersi tolta le mutandine fradice d’umori e averle nascoste sotto il letto si raggomitolò soddisfatta nelle lenzuola, nuda dalla vita in giù pronta a farsi una serena dormita.
Si sforzò di ricordarsi di cambiare le lenzuola il giorno seguente.
Diede un’ultima occhiata al panda gigante che Jonathan aveva vinto per lei, e che ora stava in un angolo della sua camera, sorrise.
Non si sentiva affatto a disagio per quello che aveva fatto, non si preoccupava di pensare a Bruce che l’amava mentre lei si toccava pensando ad un altro uomo, molto più grande di lei, non si curò del bacio che aveva dato a Bruce solo mezz’ora prima, dormì serena, tranquilla, appagata e soddisfatta.
I sensi di colpa sarebbero venuti a tormentarla con nuovo giorno.
Quella notte l’avrebbe passata in pace con se stessa; April s’assopì con un tenero sorriso da cherubino sulle labbra, stringendo forte il complice cuscino tra le braccia, il suo ultimo pensiero fu per l’audace guerriero dai lunghi capelli bianchi che le aveva cambiato la vita.
 
-xxx-
 
Dopo aver stretto l’ultimo bullone Slade si concesse un momento per ammirare i suoi artefatti.
Ci aveva lavorato per giorni, macchine stupende, ciò era innegabile.
Quanto ingegno, quanta passione quanto dolore ci aveva messo per fabbricarle… e loro, loro sarebbero state gli artefici, o meglio gli artificieri, della sua vendetta.
-I miei informatori mi hanno riferito che Corvina ha assassinato Terra a sangue freddo, dopo aver scoperto che lavorava per me. Le ha strappato la gola a morsi davanti a una folla, incurante di tutto- una fredda, insensibile lacrima secca, una lacrima fantasma, solcò il viso asciutto dell’uomo –Per ogni occhio un occhio, per ogni dente un dente…- disse sollevando tra le mani la sfera di metallo di sua creazione, mirandola alla luce della lampada –Per ogni vita…molte altre-
La poggiò sul tavolo assieme alle sue tre gemelle.
-Il tempo di darvi la voce…e tutta Jump city sentirà la mia vendetta.
Un grido che non sarà dimenticato, che durerà anni, che si leverà in tutta la città, da ogni bocca!-
 
 
 
 
Come avrete intuito dal discorso fatto dal mio caro alter-ego anche Alive si avvicina alla fine, durerà un po’ di più dei suoi prequel, ma non molto ancora.
Lo so che ci sono ancora molte domande senza risposta ma non temete, prima che appaia la parola “fine” avranno tutte risposta.
Ci risentiremo presto con un nuovo capitolo di Alive in cui vedremo formarsi un inaspettata alleanza.
Alla fine di questa storia, credetemi, i sopravvissuti non saranno molti.
 
Ghostface
 
 
p.s.- Non ho esagerato con la parte riguardante il “passatempo” notturno di April, vero?
 
p.ss- il GhostMetal è in realtà una revisione del BatMetal, per chi fosse interessato qui c’è la traduzione del pezzo sopra riportato.
Britannia delenda est!!
 
((TRAD:
Sono pericoloso adesso
Non sento male quando cado come un fesso
Mi schiacci e colpisci la testa forte
Io ho il naso rotto, tu presto la morte!
Presto sarai morto!
 
È così dura la mia faccia
Il tuo pugno si sfascia
Se mi calci, poi zoppichi
Se mi infilzi, poi sanguini
Sono incazzatissimo adesso!
Mi lanci una pietra
Colpisci l’occhio e non faccio una piega
Io sono forte! Tu no!
Tu no!
 
Ho il tempo di combattere
Ho il tempo di colpire
Ci incontriamo e a mazzate ti prendo
Sempre tempo permettendo
Prendo il mio completo da combattimento
Non voglio un pantalone troppo stretto
Ho bisogno di vestiti traspiranti
E stasera ti spacco di netto!
 
Sono così fottutamente duro
Sono così fottutamente duro
Proprio così!
Sono così fottutamente duro
Sono così fottutamente duro
Proprio così!
 
Vi stenderò tutti
Ti farò annegare 
Ti farò sanguinare
Sono pieno di velocità
Non sento il dolore
Potrei essere pazzo
Sono la vittoria
Scrivo la storia
Senti il mio pugno
Sulla tua faccia
Tu lo odi
Io mi sento grande))
  
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