15
“In her eyes, the
sadness sings -
of one who was
destined, for better things”
[Lang
Leav, Love & Misadventure]
-
Quando si è re e regine di Narnia,
si è re e regine per sempre – proclamò
Aslan, non appena i quattro fratelli
Pevensie vennero incoronati e si sedettero sui quattro troni nella
grande sala
del castello di Cair Paravel. Era un ambiente immenso, luminoso, con il
soffitto d’avorio e la parete est che si apriva sul mare,
mentre la parete
ovest era tappezzata di piume di pavone. Dietro i troni capeggiava un
grande
arazzo sul quale era rappresentata una battaglia come quella che si era
da poco
conclusa.
Squillarono
le trombe. Gli amici e
alleati del leone acclamarono a gran voce i nuovi sovrani, che
elargirono
ringraziamenti e decretarono ricompense ed onori per coloro che si
erano
dimostrati coraggiosi nella valle contro la Strega Bianca. Ovviamente
Aslan
aveva organizzato un grande banchetto per celebrare la vittoria e non
aveva
permesso che mancasse qualcosa; Anna fu assai felice di trovare un
sacco di
dolci al cioccolato, persino quelle buonissime praline che
l’odioso folletto di
Oberon si era spazzolato la sera del suo matrimonio. Vi furono anche
danze,
vino che scorreva a fiumi e musica senza sosta.
-
Ti sembra davvero giusto tutto
questo? – domandò Anna a sua sorella, osservando
fauni, nani e altre creature
impegnate a ballare o a invitare Susan e Lucy. – Voglio dire,
non il
banchetto... quello lo trovo... beh, perfetto. Ci sono un sacco di
dolci al
cioccolato e persino i sandwitches! Intendo l’incoronazione.
Aslan ha detto che
saranno re e regine per sempre. Ma non dovrebbero tornare a casa loro?
Avranno
un mondo a cui tornare, dei genitori...
-
Credo che Aslan pensi che per ora
sia giusto così – le rispose Elsa.
-
E siamo sicure che quello che
dice Aslan sia sempre giusto? A proposito, dov’è
finito Aslan?
-
Se n’è andato – Il fauno Tumnus,
seduto in disparte con una coppa di sidro in mano aveva ancora
l’aria abbattuta
ed era già alticcio. Le pire accese da Peter, Edmund e da
altri volontari
avevano bruciato a lungo. Le fiamme si erano levate alte e il vento si
era
portato via le ceneri dei caduti. Tumnus aveva dato fuoco alla pira
sulla quale
era stato depositato il corpo di Tasch.
-
Come... andato? – domandò Anna,
sorpresa.
-
Lui è così. Va e viene
all’improvviso. Un attimo prima c’è e
l’attimo dopo è già sparito. E torna
quando meno te l’aspetti. Non gli piace sentirsi legato ad un
posto. Vuole
essere libero.
-
Credevo ci avrebbe accompagnate
al portale... – osservò Elsa.
-
Ha preparato tutto. Una scorta...
questo ho sentito dire almeno... una scorta vi porterà nel
luogo in cui
troverete la porta... il portale... o qualunque cosa sia. E ha
organizzato
anche un gran bel banchetto. Non fosse per questa musica continuerei a
pensare... e credo che non mi farebbe bene. –
Guardò il fondo della sua coppa.
-
Tasch... lui non vorrebbe vederti
triste. Né che tu ti senta in colpa per ciò che
gli è accaduto. – disse Elsa,
avvicinandosi un poco al fauno.
-
Già, lo so. Me l’ha detto anche
Lucy. Lei è... sarà un’ottima regina.
Eppure è morto per difendere me...
-
L’ha fatto perché ti voleva bene.
Tumnus, so che cosa significa perdere qualcuno... anche Anna lo sa. E
so che
cosa vuol dire sentirsi in colpa perché quel qualcuno non
c’è più.
Il
fauno sollevò gli occhi
arrossati. – Davvero?
Anna
non intervenne, ma lanciò
un’occhiata ad Elsa.
Lei
rivolse a Tumnus un sorriso
triste. – Sì. Pensavo che... una volta pensavo che
i miei genitori fossero
morti per colpa mia.
-
Come...? Intendo, come sono
morti?
-
La loro nave è affondata.
-
Mi... mi dispiace molto. Ma se
una nave affonda non è colpa di nessuno... o meglio,
può essere colpa di una
tempesta. O dei pirati, ecco.
-
Fu una tempesta, ma erano partiti
per me. Ero io la ragione del loro viaggio. Il mio potere li spaventava.
-
Il suo potere li preoccupava, ma
erano preoccupati per lei, non di lei – si affrettò
ad aggiungere Anna.
– Ne sono convinta.
-
In ogni caso partirono per me. E
quando scoprii la vera ragione della partenza... mi sentii in colpa.
Perché se
non fossero partiti... non sarebbe successo niente. Ho anche pensato
che... se
non fossi stata così... non sarebbe accaduto niente.
-
E lo pensi ancora?
Elsa
si voltò, incrociando lo
sguardo di sua sorella. Si ricordò di quella volta, dopo la
scoperta del
diario, quando era fuggita e si era rifugiata nei giardini. Si
ricordò di tutto
ciò che Anna le aveva detto. Che lei non era un mostro. Che
i suoi genitori non
pensavano che lo fosse. Che avrebbe dimostrato che ciò che
era stato scritto in
quel diario non era ciò che sembrava. Si ricordò
di quando aveva detto ad Emma
che i suoi genitori erano davvero meravigliosi.
-
Ci sono dei momenti in cui... in
cui penso che se non fossero partiti per trovare una soluzione che mi
aiutasse... sarebbero ancora qui. – rispose Elsa. Poi
allungò una mano,
cercando e trovando quella di Anna. – Ma so che tutto quello
che hanno fatto...
l’hanno fatto per me. Perché mi volevano bene.
Proprio come Tasch. Era tuo
amico. Era la tua famiglia. Si è sacrificato per te e tu
avresti fatto la
stessa cosa per lui.
Tumnus
scrutò ancora il fondo della
sua coppa. – Sì, credo... l’avrei fatto.
Sì.
-
Ne sono sicura.
-
Anche i miei genitori sono morti.
Ma loro sono stati uccisi dal freddo. – Non appena lo disse,
si chiese se fosse
stata la cosa giusta, visto che era in presenza di una regina che
controllava
il ghiaccio e per la quale il freddo non era certo un problema. O
meglio, lo
era stato per i genitori, a giudicare da quello che gli aveva appena
raccontato. Anzi, aveva usato il ghiaccio per liberarsi di alcune delle
creature mostruose di Jadis. Concluse che non avrebbe dovuto dirlo.
– Cioè,
quello che intendevo... è che li ha uccisi
l’inverno... sapete, la maledizione
di Jadis.
Maledetta
sia la mia linguaccia, piuttosto.
Quando
Tumnus aveva incontrato
Lucy, la prima dei quattro fratelli a mettere piede a Narnia, era
più che
convinto di essere un pessimo fauno, un fauno cattivo,
perché aveva pensato di
consegnare la figlia di Eva a Jadis, così come stabiliva
l’accordo che avevano
stipulato tempo addietro. Tumnus aveva avuto troppa paura della Strega
e così,
per non essere trasformato in una statua, aveva promesso che avrebbe
consegnato
a lei gli esseri umani, se mai fossero apparsi.
Adesso
non pensava più di essere
cattivo, ma certamente era un gran pasticcione.
-
Ho capito. – Elsa non sembrava
offesa dalle sue parole. Gli sorrise di nuovo e a Tumnus parve il
sorriso più
dolce che avesse mai visto.
***
La
festa si trasformò presto in una
baldoria estremamente chiassosa ed Elsa approfittò della
confusione per uscire
dal castello.
La
dimora di Cair Paravel si ergeva
sugli scogli. Quando ci era arrivata per la prima volta, alla ricerca
di sua
sorella, non aveva notato che il posto dava proprio sul mare. Ci era
arrivata
passando dalla valle allora innevata. Non aveva udito il fragore delle
onde, né
tantomeno si era fermata a pensare a dove potesse trovarsi esattamente.
Voleva
solo rivedere sua sorella. A destra e a sinistra del castello una
distesa di
sabbia bianca e fine, disseminata di piccole rocce e poi, fino
all’orizzonte
estremo, il mare scuro. Il rumore delle onde che si frangevano sulla
spiaggia
la rilassava. Il vento era fresco e piacevole sul viso.
Si
sedette sugli scogli.
Parlare
con Tumnus aveva riportato
a galla molti ricordi dei suoi genitori. Vedere il senso di colpa negli
occhi
scuri del fauno l’aveva spinta a ripensare a quando aveva
trovato il diario e
aveva scoperto la verità sul loro viaggio.
“Ma
so che tutto quello che hanno fatto... l’hanno fatto per me.
Perché mi volevano
bene. Proprio come Tasch. Era tuo amico. Era la tua famiglia”.
-
Sapevo che ti avrei trovata qui –
disse Anna, raggiungendola e sedendosi sugli scogli, accanto a lei.
-
Ed io sapevo che saresti venuta.
Ti stavo aspettando.
-
Sarei venuta anche prima, ma
Peter ha voluto a tutti i costi invitarmi a ballare. E poi anche
Edmund. Volevo
dir loro che non avevo tempo di ballare, ma non credo si possa dire di
no a due
re... sarebbe scortese. Non importa se i re sono ragazzini, giusto?
Cioè,
dovrebbe essere importante, ma non importa.
-
Credo che, se Peter potesse, non
ti chiederebbe solo un ballo, ma anche di... fare una passeggiata sulla
spiaggia con lui. E di sposarlo, magari.
-
Oh, non credo che pensi già a
cose così serie. E sa che sono sposata. Gliel’ho
detto. – Distese la mano e
osservò l’anello di Kristoff scintillare
nell’oscurità. Poi si riscosse,
rivolgendosi a sua sorella. – Sei triste?
-
No – Elsa spostò lo sguardo sul
mare. Il mare che aveva inghiottito la nave sulla quale viaggiavano
Gerda e
Kay. Il mare che aveva restituito la bottiglia con la lettera di Gerda,
la
lettera che Anna aveva letto e che aveva salvato tutti. Quello non era lo stesso mare, ma non contava, in quel
momento. – Stavo solo pensando a mamma e papà.
-
Quindi sei triste.
-
No, non lo sono. È che...
parlarne con Tumnus mi ha fatto pensare a loro. Mi mancano.
Anna
allungò una mano e intrecciò
le dita con quelle di Elsa. – Lo so. Anche a me. Sempre.
Restarono
in silenzio, a lungo. La
musica della festa giungeva fino a loro, ma ovattata, distante, come se
si
fosse aperta una breccia in un altro mondo e la breccia stesse
lasciando
passare delle note. Delle tracce di quella dimensione.
-
Dov’è andato Aslan, secondo te? –
chiese Anna.
Elsa
non seppe che cosa rispondere.
-
Poteva almeno salutarci. Insomma,
non ti sembra scortese, non salutarci? Credo sia scortese quanto
rifiutare
l’invito di un re che vuole ballare. Noi l’abbiamo
aiutato. Ed io lo aiuterei
ancora, davvero. Ma lui... se ne va così, come se niente
fosse...
-
Forse non poteva restare. Forse
ci sono altri posti... altre persone che hanno bisogno di lui.
Poi
Anna sentì la mano di Elsa
sciogliere la stretta e accarezzarle i capelli.
-
Non ti sei rifatta le trecce –
disse, lasciandosi scivolare una ciocca fra le dita.
-
No... me le farò domani. –
rispose Anna, godendosi la carezza della sorella. Si voltò a
guardarla. –
Perché? Avrei dovuto farmi le trecce? I capelli sciolti mi
stanno male? Mi
invecchiano?
Elsa
rise. – No... per niente.
Stanno benissimo.
Anna
arrossì. Non perché le aveva
appena detto che stava bene con i capelli sciolti, ma per il modo in
cui Elsa la
stava guardando. Avvertivi i suoi occhi su di sé, non
pressanti, ma delicati,
come la mano che le accarezzava i capelli.
Ad
un certo punto il suo sguardo
sfuggì e si fissò sul mare scuro. Sembrava che
stesse lottando per trovare la
parole. - Mi hai detto una cosa prima... prima della battaglia.
“Qualsiasi
cosa succeda, non ti dimenticare che... ti amo”.
-
Sì, l’ho detto... voglio dire, ho
detto molte cose, ero nervosa. – Anna accennò un
sorriso, cercando di sembrare
disinvolta.
Elsa
seguitò a fissarla.
-
Ho detto che ti amo. E l’ho detto
perché lo pensavo. Beh, è ovvio che lo penso
ancora.
-
Non devi dire queste cose.
“Non
vi limitate a provare sentimenti sconcertanti per una donna sposata.
Per una
donna sposata, aggiungerei, con un uomo che avete definito amico. Un
uomo che
si fida di voi... Oberon mi ha parlato del marito di Anna”. La
voce di Titania la sorprese. Suonava come la voce della coscienza,
molto severa
e arrogante, ma veritiera.
“Lui
è mio amico”.
-
È sempre meglio dirle, certe
cose. Soprattutto se sono vere. Quando le dici, ti senti un
po’ meglio. Almeno
di solito è così. Cioè, non so se io
mi sento meglio, però... – Parlava in
fretta, incapace di controllare il fluire delle sue parole. Anche
quando si era
destata dopo essere stata curata da Lucy non aveva fatto altro che
parlare.
Elsa le diceva di stare giù, di riposare ancora un
po’, di non stancarsi, ma
Anna si sentiva in forma e quindi non aveva potuto fare a meno di
parlare di
come quel mostro l’avesse sorpresa, ferendola. Di quanto
fosse felice che fosse
tutto finito, che la Strega fosse morta e che potessero tornare a casa.
Elsa
percorse dolcemente i suoi
lineamenti con la punta delle dita, scorrendo poi tra i capelli e lungo
la
curva del collo. – Tu ami Kristoff.
Anna
inclinò la testa per seguire
il tocco della sorella. – Sì, certo che lo amo. Ma
è anche vero che... so che
cosa provo per te. Ed ora penserai anche... che sono folle,
perché non si
possono amare due persone contemporaneamente. Hai mai sentito parlare
di un
cuore spaccato in due?
-
No.
-
Nemmeno io.
Elsa
si sporse verso di lei.
Dapprima le sfiorò l’angolo delle labbra,
prudentemente, poi premette la bocca
sulla sua. – Ti amo.
Anna
trattenne il fiato.
“Pensate
di poterlo nascondere per sempre, Elsa? Credete di esserne capace?
Scommetto di
no. Nessuno ne è capace”.
-
Anche se questo non sarà mai
possibile... non cambia quello che provo per te. – aggiunse
Elsa, parlando a
voce bassa, quasi stesse confessando il più terribile dei
segreti.
E
per molti... per chiunque lo
sarebbe stato. Un terribile segreto.
Anna
ricominciò a baciarla. Lo fece
con trasporto, appoggiando una mano sulla sua nuca e premendo per
attirarla
ancora di più vicino a sé. Elsa rispose nello
stesso modo, senza curarsi di
essere prudente come un attimo prima e infilandole una mano in quella
folta
chioma rossa. Quando le mancò il respiro si
separò lentamente da Anna e lei le
abbandonò la testa sulla sua spalla. Il tepore del corpo
della sorella era una
bella sensazione, la cullava come avrebbero potuto fare le onde del
mare di
Narnia.
-
Grazie per avermi raccontato di
quella volta che sei entrata in camera mia... quando ero ammalata
– le
sussurrò.
Elsa
batté le palpebre. – Mi stavi
ascoltando? Eri sveglia?
-
Beh, non proprio. Diciamo che ero
quasi sveglia. E ti ho sentita.
-
Oh.
-
Non è stata la tua ultima occasione,
come pensavi. Ne hai avute tantissime altre.
-
Già. Per fortuna. – Elsa prese
una delle mani di Anna e ne accarezzò il dorso con il
pollice. – Solo perché tu
non ti sei data per vinta.
-
Non mi do mai per vinta. Soprattutto
quando si tratta di mia sorella. E comunque... sei stata fortunata
anche per
un’altra ragione. Se mi fossi svegliata, quella volta che sei
venuta nella mia
stanza per vedere come stavo, sarebbe stato peggio per te. Non ti avrei
più
lasciata in pace. Non ti avrei proprio dato tregua...
-
Lo so. Per questo ho fatto
attenzione. Eri... eri così...
-
Così? – Anna sollevò un po’
la
testa. Si sentiva inebriata dal profumo di Elsa, dalla sua parole e
dalla sua
semplice presenza. I loro corpi sembravano cercarsi e combaciare
perfettamente.
Come se fosse una cosa assolutamente naturale e non sbagliata come
appariva
agli occhi del mondo.
-
Beh... fragile. Indifesa. –
rispose Elsa. – Così piccola eppure anche
così... adulta. Ero sorpresa perché
non immaginavo che fossi cresciuta tanto.
-
Non immaginavi che sarei
diventata più alta di te, vero?
Elsa
sorrise, divertita. Strusciò
il proprio viso fra i capelli di Anna, inspirando profondamente.
– Non sei poi
tanto più alta di me.
-
Non tanto... ma un po’ sì.
***
Il
mattino seguente Anna ed Elsa,
accompagnate da Peter, Susan e da due centauri, vennero scortate fino
al Guado
di Beruna, il luogo in cui Aslan aveva radunato il suo esercito prima
della
battaglia finale contro la Strega. Poco distante da lì
c’era l’ingresso ad
alcune grotte. Secondo quello che avevano detto loro, la grotta
nascondeva il
passaggio per tornare al loro mondo.
Ma
la verità era che il passaggio
non era dentro ad una delle grotte, bensì
all’esterno.
-
Che? Dite sul serio? Io non vedo
niente! – esclamò Anna. – Davvero. Io
vedo solo... niente, appunto.
-
Non è vero che non c’è niente
–
disse uno dei centauri. Con la punta della lancia indicò un
punto davanti a
lei. – Laggiù. Guardate. Tra i pali.
All’esterno
delle grotte c’erano
due lunghi bastoni di legno conficcati nel terreno, ad una distanza di
circa
tre metri l’uno dall’altro. Un palo più
sottile e leggero era stato sistemato
sopra agli altri due, in orizzontale, inquadrando una specie di porta.
Elsa
strinse gli occhi. In mezzo ai
pali vedeva l’erba, gli alberi e il cielo limpido di
Narnia... e qualcos’altro.
Niente di concreto, solo un vago tremolio, come se l’aria si
fosse concentrata
solo in alcuni punti e vibrasse.
-
Aslan ha detto che,
oltrepassandola, potrete tornare a casa – assicurò
Peter, quasi l’avesse provata
di persona e potesse confermarglielo. Lui e Susan risplendevano, forse
un po’
troppo, nei loro abiti pregiati, di seta e con finimenti dorati. Susan,
a parte
la sua faretra e l’arco, portava un diadema che le ricadeva
in mezzo alla
fronte e qualcuno le aveva acconciato i capelli scuri in una treccia.
Peter,
invece, indossava la cotta di maglia argentata, l’elmo e la
sua spada era
infilata in un fodero tempestato di gemme.
-
Come pensavate di tornare
indietro? Attraverso un armadio? – domandò
l’altro centauro che le aveva
accompagnate.
-
Beh, no. Attraverso... una porta.
L’ultima volta che siamo tornate a casa da un altro mondo
c’era... una vera
porta. – disse Anna. Poi scosse la testa. –
D’accordo, forse è meglio questa
porta rispetto al vortice che ha
trascinato me e Kristoff a Storybrooke.
Nessuno
capì a cosa si stesse
riferendo, ma Peter le condusse presso la strana soglia.
Allungò una mano,
esitante. La punta delle sue dita toccò il... il niente fra
i due stipiti. Le
dita affondarono e scomparvero brevemente. Peter ritrasse subito la
mano, come
se l’avesse appena piazzata sulle braci ardenti.
-
Peter? – Susan lo guardò,
interrogativa.
-
C’è qualcosa. Sì. Direi proprio
di sì. – Il Re Supremo annuì
più volte. Si schiarì la voce. –
Avanti. Tocca a
voi.
-
Quindi voi... rimarrete in questo
mondo? – chiese Anna, dubbiosa.
-
Rimarremo, sì. Sentiamo di dover
rimanere – rispose Peter. Lanciò
un’occhiata alla sorella. – Sono sicuro che
Narnia ha bisogno di noi, adesso.
Ci
fu silenzio. Anna avrebbe voluto
dire qualcos’altro, molte altre cose, a dire il vero. Per
esempio avrebbe
voluto chiedere ai due fratelli: E il
vostro mondo? Casa vostra? Non vi mancherà casa vostra? E i
vostri genitori?
Non vi staranno cercando, se li avete?
Ma
Elsa le prese la mano, sapendo
che era giunto il momento di andare e quindi lei si morse la lingua. Il
ragazzo
salutò entrambe, sfiorando i palmi delle loro mani con un
bacio leggero, ma
trattenne un po’ di più quella di Anna.
Non
vi furono altre parole di
congedo. Peter le guardò mentre oltrepassavano la soglia
magica. I centauri
erano rimasti più indietro e osservavano, pazientemente, un
po’ dubbiosi, con
le folte sopracciglia aggrottate.
Raggiunta
la soglia accadde
qualcosa di strano. Elsa ed Anna videro tre cose contemporaneamente: la
prima
era la radura di Narnia, le facce di alcuni animali venuti a vedere che
cosa
stesse succedendo e il barbaglio del sole alto nel cielo. La seconda
era
l’antro di una caverna che si affacciava su una spiaggia
bianca e sul mare blu.
E la terza era senza dubbio il ponte di una nave.
Anna
si aggrappò al braccio di
Elsa.
Peter
e Susan videro le due sorelle
ferme fra i due stipiti. Le videro scambiarsi un’occhiata.
Un
istante più tardi erano svanite
nel nulla. Era bastato un battito di palpebre e non erano
più lì.
-
Dove sono finite? Sono passate?
Sono... sono davvero passate dall’altra parte... qualunque
sia quella parte? –
farfugliò uno dei due centauri, confuso.
-
Siete sicuri che siano andate nel
posto giusto, vero? Perché... non si vede nessun nuovo mondo
attraverso quei
bastoni. Mi era sembrato di vedere qualcosa, ma ora non sono
più tanto sicuro. Scusate
se mi permetto, sire.
-
Sono tornate a casa loro – disse
Peter. – Sì. Aslan non si sbaglia mai.
-
Certo – gli fece eco Susan. – E
comunque sei tutto rosso in faccia.
-
Io? Non sono rosso. Sarà...
l’elmo. Dovrei toglierlo, adesso. Fa molto caldo.
-
Caldo, sì. Si sta benissimo,
invece. Chissà quanto ti dispiace che non faranno mai
più ritorno a Narnia...
Peter
diventò ancora più rosso. - Beh,
mi dispiace eccome! Perché, a te no?
-
A te molto di più. Soprattutto
per Anna...
***
L’atterraggio
non fu dei migliori.
Elsa
cadde malamente sul ponte
della Blackrose, più o meno nello stesso punto in cui Black
Sam e i suoi uomini
l’avevano vista per l’ultima volta. Non ebbe il
tempo di rialzarsi e Anna le
piombò addosso, schiacciandola quasi.
-
Uh! – esclamò Anna, fissando il
viso di sua sorella a pochi centimetri dal suo. – Ops.
-
Capitano! – gridò una voce
maschile. Molto alta e sbigottita. – Capitano, correte! Sono
qui!
Anna
cercò di raccapezzarsi e si
alzò, aiutando Elsa.
Non
erano tornate ad Arendelle ma
direttamente al punto di... partenza. Ovvero la Blackrose. La bandiera
pirata
era ancora issata in cima al pennone, sbatacchiata dal vento. Il cielo
era
tinto dei colori del tramonto.
Koral,
il nostromo, si fiondò giù
per i tre scalini di legno che conducevano al ponte, con i capelli
castani che
gli ricadevano sulla fronte e sulle orecchie. – Capitano!
-
Non sono sordo, Koral! Eccomi –
Black Sam, vestito con la stessa giubba rossa e gli stessi pantaloni di
pelle
nera del giorno dell’assalto alla nave diretta ad Arendelle,
apparve da
sottocoperta, guardando entrambe come se fossero appena precipitate dal
cielo.
-
Sono apparse dal nulla, capitano.
Dal nulla!
La
ciurma di Black Sam lo seguì sul
ponte. Alcuni avevano già una mano
sull’impugnatura della sciabola. Diverse
paia di occhi le scrutarono, sospettosi, perplessi, curiosi e
guardinghi.
Sembrava che non sapessero decidere quale fosse il modo giusto di
comportarsi.
-
Dove siete andate a cacciarvi,
per tutti i mari?! È da questa mattina che vi sto facendo
cercare come un
povero idiota! Come se mi aspettassi di trovarvi da qualche parte sulla
nave o
in mare. Che stregoneria è mai questa? – Il corpo
robusto del pirata era teso e
rigido come le assi di legno del ponte.
Impiegarono
del tempo per
assimilare la domanda e formulare la risposta. Solo un attimo prima
erano a
Narnia, una Narnia non più fredda ma immersa nella
primavera. Erano a Narnia con
un re, una regina e due centauri come scorta. Ora erano di nuovo nel
loro
mondo, sulla Blackrose. Circondate da pirati che avevano tutta
l’aria di non
trovare affatto divertente ciò che era accaduto.
-
Beh, ci dispiace molto, capitano
– intervenne Anna. – Ma sapete... non è
stata propriamente colpa nostra. E sul
dove siamo finite... ci sarebbe molto da dire.
-
Aye? – domandò.
-
Già... Aye – rispose Anna,
replicando il suo modo di parlare.
-
Avete detto... da questa mattina?
– chiese Elsa. – Ci state cercando da questa
mattina?
-
Sì! Che altro potevo fare dato
che siete sparite sulla mia nave? E non sono sparite due persone a
caso. Stiamo
parlando di una regina con tanto di sorella al seguito!
“È
da questa mattina che vi sto facendo cercare...”
A
Narnia erano trascorsi diversi
giorni, invece nel loro mondo non ne era passato nemmeno uno.
-
Dove sono gli anelli? – lo
interrogò Elsa.
-
Li ho raccolti e rimessi a posto.
Sono in una delle casse giù nella stiva. E vi assicuro che
nessuno metterà le
mani su quella cassa!
-
Raccolti?
Dopo
la scomparsa delle sue due
ospiti, Black Sam non aveva fatto altro che scervellarsi per capire che
cosa
potesse essere accaduto. Magia, certamente. Qualcosa di cui lui non
sapeva
niente. Magia che aveva trasportato le due sorelle da qualche parte,
dove non
era possibile raggiungerle. O peggio. Aveva anche pensato che gli
anelli
fossero delle armi terribili, che avevano polverizzato sia Elsa che
Anna. Per
questo nessuno si era azzardato a toccarli. Tranne lui.
-
Capitano, non fatelo – l’aveva
implorato Koral.
Black
Sam aveva indossato un paio
di guanti, non molto sicuro che fossero sufficienti contro quegli
affari. – Non
possiamo lasciarli qui, Koral.
-
Potreste sparire anche voi.
-
Se succederà, tu prenderai il
comando di questa nave.
La
ciurma era rimasta a guardare
mentre Black Sam si chinava e allungava una mano verso gli anelli. La
punta
delle dita li aveva sfiorati. Il ronzio proveniente dagli oggetti
magici si era
fatto di colpo più forte.
Quando
li aveva stretti nel pugno i
suoi uomini avevano trattenuto il fiato.
Non
era accaduto niente. C’era solo
quel costante, fastidioso ronzio. Resosi conto di non essersi
volatilizzato,
Black Sam si era affrettato a rimettere gli anelli nella sacchetta
dalla quale
erano sbucati e poi di nuovo nella cassa, una delle tante sottratte
alla nave
che avevano assaltato.
-
Non ci sono, capitano. Da nessuna
parte – gli aveva detto la sua vedetta.
Non
si era aspettato nulla di
diverso.
-
Non per fare il guastafeste,
capitano – era intervenuto uno dei suoi uomini. –
Forse è meglio che siano
sparite. Soprattutto la regina.
-
Erano sulla mia nave, idiota.
Probabilmente ad Arendelle si staranno chiedendo che fine hanno fatto.
– Black
Sam si era messo a masticare tabacco, con forza e a camminare lungo il
ponte
della nave, quasi lo stesse misurando. Notando le occhiate stranite dei
suoi
uomini si era fermato. – E di certo se le avessimo
riconsegnate noi stessi
avremmo fatto una bella figura. Ci avrebbero ricompensati, non credete?
Vi
assicuro che non me ne sarei andato senza una ricompensa adeguata.
-
Sono d’accordo, capitano. Ma quei
poteri... ecco, non so se conoscete la storia del regno di Arendelle,
congelato
per trent’anni...
-
Tutti la conoscono, razza di
testa vuota! Ed io so anche che a congelare il regno per
trent’anni è stata...
la regina delle nevi.
-
Sono la stessa persona,
capitano... almeno questo è quello che si dice.
-
Sono due persone diverse. Anche
questo si dice. – Black Sam contrasse brevemente la bocca.
– Se la regina Elsa
avesse voluto trasformarci tutti in statue di ghiaccio
l’avrebbe fatto ben
prima della scomparsa di sua sorella, non pensate? L’avrebbe
fatto non appena
saputo che si trovava su una nave pirata. Le sarebbe occorso ben poco
tempo per
darci una bella lezione.
Nessuno
aveva osato obiettare.
-
Stava cercando di tornare a casa
sua. Non so che cosa ci facesse lontana dal suo regno. Ma è
una regina,
suppongo che possa fare ciò che vuole. – aveva
concluso il capitano della
Blackrose.
“Allora dite alla
regina di Arendelle che la
sua merce è in buone mani e che magari un giorno ci
incontreremo! Dicono che
sia una donna bella e assai giusta. Non vi farà niente. Ho
sentito anche dire
che controlla il ghiaccio”.
Questo era quello che sapeva della sovrana di Arendelle. Di certo non
combaciava con il ritratto della donna che aveva intrappolato il regno
in una
morsa gelida per trent’anni. Eiry... Elsa... non gli era
sembrata poi così
pericolosa. Quando aveva accolto lei ed Anna sulla nave aveva pensato
che
fossero due ricercate in fuga da Misthaven. Avevano parecchio oro con
loro, il
che poteva significare che fossero di nobile lignaggio, ma anche che
fossero
delle ladre. Tuttavia non le aveva giudicate pericolose. La rossa era
una
ragazzina sproloquiante e che sapeva il fatto suo. Eiry era...
più taciturna,
più riflessiva, cercava di passare inosservata ma era troppo
di bella presenza
per riuscirci. Black Sam si era solo ripromesso di tenerle
d’occhio. Koral l’aveva
fatto insieme a lui.
-
Io dubito persino che siano
sorelle – aveva commentato il nostromo, poco prima
dell’assalto al mercantile.
-
Dubiti? Aye. In effetti non si
somigliano molto.
-
Non è solo questo, capitano.
Ho... ieri sera ero qui sul ponte e ho assistito ad una strana scena.
Non
volevo spiare, ma mi avete chiesto di tenerle d’occhio,
quindi l’ho fatto.
La
scena a cui aveva assistito
Koral era ben più che strana. Se davvero quelle due erano
sorelle, allora
avevano un’idea sbagliata di ciò che volesse dire
essere sorelle.
-
Ma forse a nord funziona così, se
davvero stanno andando a nord perché vivono là.
Non conosco quel posto,
potrebbe... beh, le loro tradizioni potrebbero essere diverse.
– aveva
continuato Koral. Aveva scrutato il mare, pensoso. – Presso i
Valyriani non
sarebbe stato... strano. Le pratiche dell’impero di Valyria
prevedevano il
matrimonio incestuoso. Per mantenere pura la linea di sangue.
-
Valyria non esiste più da
centinaia di anni, Koral.
Adesso
era certo che sul loro
legame famigliare non avevano mentito.
-
Oh – disse Anna, quando Black Sam
ebbe finito di raccontare che cos’era accaduto con gli anelli
dopo la loro
scomparsa. – Quindi eravate preoccupato per noi? Che pensiero
carino.
-
Preoccupato? Bah. – Il pirata
scosse il capo e rivolse loro un gesto noncurante. - Avevo capito che
c’era
sotto qualcosa fin da quando avete messo piede sulla mia nave. Sapevo
che non
eravate chi dicevate di essere... e immaginavo che prima o poi avreste
combinato un pasticcio, sebbene vi avessi avvisate di stare al vostro
posto.
-
Il pasticcio non l’abbiamo
combinato noi, ma gli anelli – replicò Anna,
irritata.
-
Certo. E vostra sorella ha quasi
scatenato su di sé i miei uomini.
-
Mi dispiace molto – disse Elsa,
osservando i membri dell’equipaggio. – Ero
sconvolta. Quando lo sono è più
difficile... controllare il potere. Non era mia intenzione farvi del
male.
Calò
il silenzio. I pirati
tentennarono. Black Sam si grattò la barba.
-
Penso che vogliate cenare – disse
il capitano, cambiando improvvisamente argomento. – Le storie
si raccontano
sempre davanti ad una cena fumante. Non possiamo offrirvi un banchetto
da
regine, naturalmente. Perciò dovrà bastarvi
quello che vi daremo.
-
Basterà – commentò Elsa,
sorridendo a Black Sam, riconoscente.
-
Ehm sì, certo – disse Anna. – Ma
se ci fossero dei sandwitches di qualsiasi tipo... sarei molto felice.
***
Angolo
autrice:
Sì,
questa volta ci ho messo
veramente tanto per aggiornare. Perdonatemi. ^_^
Qualche
precisazione, come al
solito:
Valyria
è
un riferimento alla serie tv (e alla saga fantasy) Il
Trono di Spade. È una città in rovina
del Continente Orientale
ed era la capitale di un grande impero, distrutto da un cataclisma. Da
lì
provengono alcune grandi casate, tra le quali quella dei Targaryen. I
matrimoni
incestuosi erano una pratica diffusa a Valyria e i Targaryen si
sposavano fra
di loro per mantenere pura la linea di sangue, come spiegato in questo
capitolo.