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Autore: Jultine    24/06/2015    1 recensioni
"Io questo lo voglio dimenticare, però.- piagnucolai in cerca di un'alcova di terra più comoda -Io tutto questo non lo voglio più vedere."
"E invece continuerai a vederlo finché non creperai." mormorò aspirando un po' di fumo "Lo rivivrai nei tuoi sogni, nelle donne che abbraccerai la notte, nelle tempeste, nella gente che vivrà serenamente fino alla vecchiaia."
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Plenilunio


 

Di che reggimento siete/ fratelli?/ Parola tremante/ nella notte/
Foglia appena nata/ Nell'aria spasimante/
involontaria rivolta/
dell'uomo presente alla/ sua fragilità/ Fratelli.”

 

-Giuseppe Ungaretti

 

-Quando un uomo smette di ricordare, è un uomo morto.- fece il Duma, poi si accese una sigaretta, noncurante dei cecchini che ci scrutavano arrancare in mezzo al fango e ai cadaveri.

-Io questo lo voglio dimenticare, però.- piagnucolai in cerca di un'alcova di terra più comoda -Io tutto questo non lo voglio più vedere.-

-E invece continuerai a vederlo finché non creperai.- mormorò aspirando un po' di fumo -Lo rivivrai nei tuoi sogni, nelle donne che abbraccerai la notte, nelle tempeste, nella gente che vivrà serenamente fino alla vecchiaia.-

Il Duma aveva smesso di consolarmi non appena compreso di che indole meschina e debole fossi fatto. Diceva che non gl'importava della morte, ché tanto, prima o poi, sarebbe venuta a prenderlo. Ma io sì che avevo paura della morte, specie dopo quello che mi aveva detto riguardo al dimenticare. Io non volevo dimenticare nè mia sorella, nè Julia, nè mia madre.

-Mi manca la mia famiglia.- singhiozzai -Mi manca la mia vita.-

-Non rompermi il cazzo con le tue idiozie. Sai che nulla tornerà come prima. Non puoi avere nostalgia di qualcosa che non conosci.- mi sibilò aspro.

-Ma io la mia famiglia la conosco!- ribattei a voce forse un po' troppo alta, al che il Duma mi colpì la nuca con uno schiaffo.

-Sta' zitto, ragazzino. Quando torneremo, se torneremo, riavremo solo un centesimo di quello che conoscevamo. Famiglia inclusa.-

Non risposi. In realtà avrei voluto dirgli che dentro di me tutto sarebbe rimasto come prima, ma non parlai perché il pianto mi serrava la gola. Lui se ne accorse.

-Non piangere, Jak. Risparmia il dolore. Il dolore è prezioso perché ti fa restare vivo. Una volta che hai smesso di soffrire, sei morto. Soffri sempre e non dimenticare mai.- mi disse.

Qualcosa nella sua solita espressione accigliata aveva assunto I contorni della rassegnazione. Fumava con una flemma insolita, e mi osservava come se il suo sguardo fosse stato in grado di oltrepassare la mia carne e perdersi nel buio.

-Perché mi stai dicendo queste cose?- sussurrai.

-Va' a riposare più in là, faccio io la guardia.- tagliò corto.

Mi allontanai arrancando a fatica nel mare di morti e mi accucciai tra un paio di compagni. Erano ancora caldi. Deposi il fucile al mio fianco e mi sbottonai un poco la casacca della divisa per liberarmi la gola. Ma non era il colletto ad essere troppo stretto.

Il Duma aveva da poco finito la sigaretta che subito ne aveva accesa un'altra, indugiando parecchio con l'acciarino acceso. Si era messo perfino all'impiedi. Non capivo. Ci sono I cecchini, gli avevo detto, ma lui non parlava nè si muoveva. Mi faceva solo cenno con la mano di star fermo e mi fissava da lontano. So che mi stava guardando negli occhi. Lo so, anche se era buio pesto. Ne sono sicuro. Io mi fidavo di lui. Era il più esperto, il caporale Duma.

Poi lo vidi crollare al suolo. Mi rizzai a sedere, affondando le dita nella terra umida di sangue. Uno dei cecchini lo aveva beccato dritto in pieno. Mi precipitai verso di lui strisciando come un forsennato, graffiandomi I palmi delle mani e lacerandomi le unghie.

Lo avevano beccato dritto al petto, lacerando il cuore e il polmone sinistro. Lo scossi forte artigliandolo per le spalle, ma non respirava. Mi illudevo che potesse ritornare da me, che potesse restituirmi un po' di speranza. Senza di lui non ci sarei riuscito ad arrivare all'alba.

Mentre cercavo invano di aggrapparmi alla sua Vita, lo sentivo fissarmi ancora con quegli occhi di ghiaccio, sgranati in un urlo silenzioso.

Piansi. Piansi come non avevo mai pianto prima. Gridai nel buio, convinto che la notte potesse proteggermi. Picchiai più e più volte la fronte al suolo, mi accecai col sangue, mi morsi le mani, ma nulla riusciva a lenire quel dolore che il Duma tanto riteneva prezioso.

Mi sdraiai accanto a lui, accorgendomi solo allora che il suo sguardo vitreo non puntava al mio viso ma alla luna piena e tonda, pericolosamente luminosa. Udii degli spari in lontananza, poi il rumore soffice degli scarponi contro la terra umida. Un raid notturno. Cercai avidamente il fucile, ma non riuscii a scorgerlo, così presi la pistola che il Duma teneva nella fondina, la strinsi forte nella mano destra e mi finsi morto. Pochi istanti dopo, un soldato dell' Oltremuro si era precipitato nella nostra trincea. Provai a trattenere il fiato, a respirare il più delicatamente possibile. Di fronte a lui c'eravamo solo io, il Duma, quel tale morto due giorni fa e una giovane ausiliaria. Gli altri stavano più avanti. Lo udii estrarre un coltello e conficcarlo nel polpaccio della ragazza, poi in quello dell'altro tizio, poi in quello del Duma. Perché aveva ignorato me? Trattenni il fiato e serrai le palpebre, ma potei farlo solo per una manciata di secondi. Dopo fui costretto a reprimere un urlo di dolore, ma il mio corpo si mosse. Spalancai gli occhi, caricai la pistola e la puntai contro il mio nemico. Avrà avuto all'incirca diciassette anni, due in più dei miei allora. Mi lanciò un'occhiata terrorizzata ed io gli restituii lo sguardo, tremando.

Fece fuoco e mi mancò il respiro. Fui in tempo a premere il grilletto e fargli saltare la testa che mi accasciai nel fango. Tossii un grumo di sangue. Stavo per morire. Stavo per morire e il Duma non era lì ad accompagnarmi come si doveva. Mi strinsi al suo cadavere con le poche forze che mi rimanevano e piansi in silenzio.

Si sbagliava: il dolore non mi aveva affatto salvato.
 

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Mi svegliai di soprassalto. La guancia che per tutto il tempo avevo appoggiato al calcio del fucile mi doleva, e la spalla destra mi faceva un gran male. Mi ritrovai acquattato in mezzo ad alcuni sacchi di sabbia, su un piano di fango rialzato che mi permetteva di vedere oltre la trincea. Il mio campo. C'era il mio campo. E quello ero io insieme al Duma. Potevo vedere la debole brace della sigaretta che teneva tra le labbra. Non capivo, e più non capivo più avevo voglia di urlare.

-Razza di cretino!- mi riprese qualcuno alle mie spalle, qualcuno che non conoscevo -Ti appostiamo qui per coprirci le spalle e ti addormenti come un cane?-

-Mi dispiace.- risposi senza volerlo, come se la mia lingua si fosse sciolta da sé.

-Ma guarda tu quel coglione che si accende una sigaretta.- riprese il tipo -Fagli saltare la testa.-

Non riuscivo a respirare. Ero stato io ad uccidere il Duma? Com'era potuto accadere? Che cazzo stava succedendo? Faticavo a muovermi. Mi sentivo in trappola, non respiravo, non ci vedevo. Eppure ricordo ancora il momento in cui avevo preso attento la mira, avevo ridacchiato e sputato: che razza di cretino crepare per una sigaretta. E poi avevo fatto fuoco.

Osservai, di nuovo, il Duma crollare come un sacco di grano. Mi rividi strisciare fra I corpi, picchiare il capo per terra. Sentii le mie grida, gli scarponi dei nemici ora alleati stuprare il campo di battaglia. Mi osservai mentre uccidevo. Mi osservai morire.

Forse è questo quello che intendeva il Duma, quando diceva che avrei vissuto questo momento per tutta la vita. Ma ciò che non sapeva è che la vita per come la si intende non esiste.

Non è mai esistita. E ciò che non esiste non può finire.

 

 

   
 
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