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Autore: xingchan    24/06/2015    4 recensioni
“[...]non avrebbe mai potuto e voluto trascinare Akane con sé condannandola a sua volta ad avere un’identità diversa. Sapeva bene quel che significava avere un peso simile sulle proprie spalle, e farlo provare ad Akane era ben peggiore che non riacquistare più le sue fattezze naturali al cento per cento.”
[Situazione post film “La sposa dell’Isola delle Illusioni”]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Nabiki Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Il rito - 2a parte

Nabiki aprì gli occhi.

Sprazzi di migliaia di colori le disturbavano la visuale, e dovette sbattere più volte le palpebre per poter mettere a fuoco l’ambiente circostante. Sentì un odore pungente sovrastarla e qualcosa di morbido sotto di sé. I muscoli le facevano incredibilmente male, ma riuscì a tirarsi su a sedere, massaggiandosi la testa dolorante. Si concesse un attimo per riacquistare appieno le sue facoltà sensoriali, e solo allora si accorse di esser stata sdraiata su uno dei soffici divanetti della sala; e di avere vicino qualcuno di sua conoscenza che balbettava di commozione.

“Nabiki Tendo, i kami hanno udito le mie devote preghiere e ti hanno ricondotta su questa triste ma dolce valle di lacrime!”

La ragazza emise un gemito disgustato, riconoscendo il ragazzo dai versi melensi ancor prima di vederlo in faccia. “Kuno, capisco che io sono la tua sola fonte di scatti hot di mia sorella e della ragazza con il codino, ma diamine, risparmiami questa roba, per favore!”

“Sono pur sempre un gentiluomo,” rimbeccò Tatewaki scandalizzato. “Non lascerei mai una fanciulla in difficoltà.” Cominciò una digressione sulle qualità che ciascun individuo di sesso maschile avrebbe dovuto avere, ma la mezzana Tendo non l’ascoltava. C’era qualcosa di più importante su cui riflettere, se mai gli argomenti di Tatewaki Aristocrat Kuno fossero davvero importanti.

Nabiki ripercorse tutto ciò che le era accaduto prima di addormentarsi. Era ancora sull’Isola delle Illusioni, era chiaro, ed aveva dei ricordi sfocati della pesca che Tohma e i suoi lasciavano ogni volta che una ragazza veniva sottratta ai suoi cari. Solo, non sapeva cosa l’aveva fatta svenire. Forse era stata proprio la pesca stessa che, ricordava sfocatamente come in un sogno, aveva mangiato. A detta di Kuno, doveva parer quasi morta - anche se mise in conto che era proprio da lui ingigantire ogni cosa. Povero Kuno, pensò, è completamente immerso nelle sue fantasie di nobile cavaliere... Ma in fondo è solo una tua pura illusione, Kuno, anche se la tua mente non le percepisce come tali.

Provò una sensazione densa di pietà, per lui. Ma non aveva intenzione di dar credito a quei pensieri, ora. Cercò con lo sguardo le sue sorelle domandandosi dove fossero, ma la risposta le arrivò dalle sue stesse orecchie. La voce di suo padre che frignava come un disperato era inconfondibile.

“Nabikiiiii, aiutami!” singhiozzava già da tempo, mentre l’interpellata faceva slittare il suo sguardo su ogni singola fanciulla lì presente.

“Dove sono Akane, Kasumi e le altre?”

Sì. Suo padre, oltre che di arti marziali, era un maestro anche di apprensione. E si trattava di una prerogativa tutta sua, e non il risultato di anni ed anni trascorsi con le sue sole figlie nubili.

“Sono... morte, Nabikiiiii!” disse, senza neanche sincerarsi di controllare. “Sei l’uni... l’unica f... figlia che mi è rimastaaa!”

Nabiki non ne fu affatto convinta. Se era rinvenuta lei, anche tutte le altre avrebbero riacquistato i sensi. Era così ovvio che la fece ridere. Sei troppo apprensivo, papà.

Scorse Kasumi preda dei forti giramenti di testa che lei stessa aveva provato, vide Soun precipitarsi da lei, e sua sorella minore ancora avvolta fra le braccia dell’incoscienza, ma non era sola. Ranma le era seduto accanto: con una mano le stringeva la mano inerme e con l’altra le scuoteva con forza la spalla nuda per farla rinvenire. La chiamava insistentemente, con sussurri impazienti di mutare in urla da un momento all’altro, con una cadenza di voce che non tradiva la benché minima sfumatura di rassegnazione, anzi, così risoluta che avrebbe convinto anche un cadavere a resuscitare. Era troppo impegnato perché potesse voltarsi e vedere Nabiki arrivare, ma ne percepì la presenza; soprattutto vide che con delicatezza, Nabiki sollevava la testa di Akane e l’appoggiava sulle sue ginocchia. La piccola Tendo parve scontenta del cambiamento, ma ci vollero pochissimi istanti perché aprisse gli occhi e si specchiasse in quelli di Ranma.

Comparve del sincero e adrenalinico sollievo sulla faccia del suo giovane futuro cognato, l’ultimo residuo di una speranza tenace, seppur appesa ad un filo, mentre più passavano i secondi, più Akane perdurò nel fissarlo.

Senza che ne fosse consapevole, Nabiki distinse l’amore che l’uno nutriva nei confronti dell’altra, diverso da tutti gli altri con una chiarezza nitida come una fotografia: più profondo, più sincero di quello che loro davano a vedere, dettato da una strana alchimia che rendeva Ranma indispensabile per Akane e viceversa come l’aria che respiravano.

Era proprio ciò che aveva sempre pensato. Solo che ora, con uno strano senso di meraviglia, ne era assolutamente certa. Sicura quanto sapeva che lo fossero la vita e la morte. Il paragone le mise addosso un senso di soggezione non indifferente, ma non poté far altro che reputarlo del tutto conforme a quel che stava assistendo.

Sorridente, Ranma attirò a sé Akane in un abbraccio delicato, e si apprestò a tastarle la fronte. Dalla sua espressione ormai rasserenata sembrava tutto a posto anche da quel punto di vista.

“Ma cosa è successo?” chiese intanto lei.

“Non lo so di preciso,” rispose Nabiki “dovremmo domandare a Tohma. Dovrà darci un paio di spiegazioni.”

“È stato molto vago quando gli ho parlato,” disse Ranma furioso. “Ma gli estorcerò la verità, dovessi pestarlo.”

“Ranma, aspetta!”

“Akane, ti ha fatto qualcosa, e ha fatto qualcosa a tutte loro” affermò, indicando le altre ragazze.

“Aspetta!” insisté la ragazza prendendogli inavvertitamente il volto fra le mani.

Un fiume di informazioni si stava riversando nella sua mente addormentata, e all’improvviso le parve di aver bevuto così tanto tè da scoppiare. Completamente libera dall’intontimento del sonno, fissò Ranma intensamente, le sopracciglia aggrottate dalla perplessità; e appena prima che Ranma potesse chiederle cosa avesse tanto da guardare la sentì sciogliere velocemente il contatto per offrirgli uno più pressante. Lì, davanti a una folla in cui era presente anche  gente che avrebbe potuto ribellarsi a quell’approccio, gli strinse il torace in un abbraccio.

E pianse, il pianto più dolce e genuino che Ranma avesse mai sentito. Dapprima pietrificato per la platealità con cui la sua fidanzata aveva agito in pubblico, Ranma sentì centinaia di paia d’occhi che puntavano lui ed Akane: sguardi meravigliati, gioiosi, inteneriti, alcuni pericolosamente umidi.

Ma ce n’erano due che trasmettevano tutt’altro. Entrambi gli sguardi di Shan Pu ed Ukyo erano spenti a quello spettacolo, ma paradossalmente non facevano niente per strappare il loro amato dalla stretta di Akane. Assistevano, apparentemente impotenti, mentre calde lacrime di tristezza e rabbia solcavano i loro volti. Ranma non sapeva cosa passasse nella loro testa, ma era chiaro che non avrebbero mosso un dito per separarli. Molto probabilmente né in quel frangente, né mai.

“Ranma, tu...”

La voce soave della fidanzata lo riscosse, e tremante, il rigido corpo che faceva da bizzarro contraltare con quello rilassato di Akane, provò ad allontanarla.

“Io... cosa? E finiscila di piangere!” borbottò, mentre era intento a dimenarsi.

Ma non ci fu nessuna risposta da lei. Piuttosto replicò una voce che per le sue orecchie era orribilmente ripugnante.

“Sei un libro aperto per lei, adesso.”

Dall’alto del suo seggio, la sagoma di Tohma dominava tutta la sala. Incurante della sua espressione rilassata, della sua autorità su quell’Isola, e dello scranno che la marcava, ormai libero Ranma si fiondò su di lui con il preciso intento di agguantargli la gola come un leone, ma venne bloccato dalle robuste braccia delle sue guardie. Sentì appena il tocco di Akane sulla sua spalla, che evidentemente si era precipitata nel tentativo di dissuaderlo.

“Cosa le hai fatto?” ringhiò Ranma, l’unica cosa che poté fare in quel momento.

“Vi è stata data la facoltà di distinguere fra le vostre pie illusioni e l’effettiva realtà, oltre che ad affrancarvi per sempre da quest’Isola. In altre parole, vedrete qualsiasi emozione di chi vi sta accanto, che sia uomo o donna, e riuscirete a valutare la loro sincerità in tutta sicurezza” disse Tohma rivolto alle giovani donne presenti.

Dal nugolo di ragazze si levò un borbottio indistinto. Era evidente che erano terribilmente turbate da quella notizia, ma nessuna di loro si azzardò a protestare. Piuttosto, più avevano il tempo di pensarci, più ne rimanevano allibite. E pian piano diedero un nome alla tenerezza che fluiva da quella coppia alle loro anime e alla consapevolezza di essere più lucide, come se qualcuno avesse rimosso dai loro occhi una patina creata da loro stesse e vedessero molto più dell’esteriorità degli altri.

“Perché non ne hai parlato prima?” domandò Ranma furibondo.

“Perché nessuno ha chiesto!” esclamò Tohma divertito. Ma tornò serio di colpo, tanto che Ranma si ritrovò a chiedere se la sua risata fosse stata un’allucinazione provocata dal disordine del momento. “Prima di tutto, neanche io so il perché di questa cerimonia. Nei miei studi se ne fa accenno, ma alcune delle informazioni necessarie sono state perdute. Perché non l’ho detto? Perché sicuramente tu lo avresti impedito per mancanza di affidamento, e senza questo rito ed i relativi effetti nessuna ragazza poteva lasciare l’Isola.”

“Quindi, era necessario” rifletté Akane. La pavimentazione in marmo sembrò oscillare sotto il peso di tutte quelle informazioni. Alla piccola Tendo parve di essere vittima dell’ennesimo capogiro.

“Sei decisamente più intelligente di quell’ignorante del tuo fidanzato” commentò ironico. “Non volevo però che qualcuna di voi prendesse così male questo rapimento. È stato il malcontento di qualcuna la matrice che ha gettato le fondamenta della difficoltà impiegata nel portare a termine il rito. La pesca simboleggiava la vostra permanenza su quest’Isola, e il mangiarla, oltre che affrancarvi da questo luogo, vi ha anche liberato dal desiderio di vendetta.”

“Ecco perché ho avuto difficoltà nel riconoscere la mia pesca.”

“Davvero pensavi che un rapimento sia piacevole? Sei proprio un idiota, fattelo dire!” inveì il giovane Saotome. Davvero non poteva credere che l’essere sottratti avrebbe potuto arrecare felicità.

Tohma annuì però alla piccola Tendo, ignorando del tutto il suo ex rivale. “Sì, eri piuttosto arrabbiata di trovarti qui, seppure circondata da tutto ciò che una donna può desiderare. È stato questo il motivo della tua esitazione: il tuo inconscio, così come quello di chiunque di voi abbia avuto reticenza nel prendere la propria, ne risentiva. Così ha provato di sua iniziativa a ritardare il momento per poter prendere il sopravvento e reagire. Anche se, in cuor mio, penso che Akane non me l’avrebbe mai fatta pagare troppo duramente.”

“Beh, no. Non l’avrei fatto, non ad un bambino come te” sussurrò Akane con l’ombra di un sorriso. Ranma le rivolse un’occhiataccia risentita, sbattendo istericamente un piede a terra.

“Non credevo che qualcuna di voi sarebbe stata infelice qui” proseguì Tohma in tono affranto.

“Lei, proprio lei, non desidera tutto questo, più di quanto non desideri tornare a casa propria” intervenne Nabiki con un tono duro. “E tu, nella tua ignoranza, pensi che le donne siano tutte uguali. Ma dobbiamo ringraziarti, su questo non ci sono dubbi.”

“Basta, Nabiki” l’interruppe Kasumi, seguita a ruota da suo padre. “Tohma ha imparato la lezione, no?”

Il principe bambino annuì con vigore, la serietà dipinta sul viso ancora molto infantile, promettendo che d’ora in avanti sarebbe stato coscienzioso.

 

 

 

Shan Pu non aveva resistito a tutto questo, così si era rintanata in un angolo in completa solitudine a fare un discreto bilancio della sua vita fino a quel momento: la sconfitta subita da Ranma, la consapevolezza di esser stata battuta da un uomo, il trasferimento in Giappone, i giorni passati a far la cameriera sperando che in qualche modo - in qualsiasi modo - Ranma prendesse coscienza dei suoi sentimenti e la sposasse.

Ed invece, dentro Ranma non c’era niente che potesse essere motivo di speranza per lei. Aveva scandagliato ogni centimetro della sua psiche per trovare un qualsivoglia pensiero che fosse indirizzato a lei, ma niente. C’era sua madre, le arti marziali, il cibo, e cosa più importante, che occupava gran parte del suo essere, Akane.

Akane, Akane, sempre Akane.

Incrociò le braccia al petto, guardandosi attorno spaesata. Dire di sentirsi vuota era ben poco dell’avvilimento che stava passando. Ma non poteva farci niente: a conti fatti non ci sarebbe stato modo di separare quello che reputava con ostinazione il suo futuro marito dalla ragazza che amava sul serio.

Avrebbe dovuto capirlo fin dall’inizio che neanche con i sortilegi e gli intrugli avrebbe mai fatto breccia nel suo cuore. Ranma si era sempre dimostrato piuttosto freddo con lei, e le sue carinerie e le soddisfazioni che le aveva dato erano solo espedienti per arrivare ai suoi veri obiettivi: riacquistare le sue sembianze e correre in aiuto di Akane.

“Shan Pu, che ci fai qui tutta sola?”

Le doleva ammetterlo, ma solo Mousse, al contrario, non aveva mai fatto mistero dei suoi sentimenti nei suoi confronti. Ma lui non era l’uomo che realmente amava.

“Niente che ti rigualdi” interloquì lei, il tono più arrogante che riuscì a sfoderare. Avvertì il nervosismo insinuarsi nella mente del ragazzo, ma tentò di schermarsi per provare a restarne indifferente. “Vattene via.”

“Mi riguarda moltissimo, invece. E non me ne andrò finché non mi ascolterai. So bene che non sono quel che hai sempre cercato. Ma sapevamo tutti che Ranma non è mai stato il tuo potenziale marito, non davvero. È vero, ti ha battuta, ma è stato per fortuite circostanze di cui neanche sapevi la natura, e non è stato perché voleva sposarti.”

Il giovane cinese vide i lineamenti della ragazza contrarsi, ma il suo dubbio di aver colpito nel segno fu subito dissolto da alcune lacrime salate che rotolavano via dalle sue guance.

“Tu non puoi capile...” mentì, ma sapeva di sbagliarsi.

“Sì, che capisco invece! Capisco quando la donna che ami non ti degna di uno sguardo se non per un suo tornaconto personale. Ma non mi importa della tua indifferenza, Shan Pu. Non ho mai nascosto il mio amore per te, ma ora so che puoi fare di più: ora lo puoi percepire, non è così?”

Sì che lo sentiva. Sentiva un potentissimo flusso di emozioni forti come un fiume in piena diramarsi per l’atmosfera circondarla in un invisibile abbraccio. La sensazione di gioia le fece galoppare il cuore, ma dopo un attimo in cui se ne beò, imperterrita provò ad accantonarla. Era troppo sbagliata perché riuscisse ad accoglierla a braccia aperte.

“No!”

“Cosa?”

“Non sento niente, Mousse. Pelché la tua è solo un’infatuazione, che dula fin da quando elavamo bambini! Ecco cos’è quello che tu scambi pel amole!”

“Un’infatuazione non dura così tanti anni, e affievolisce nel giro di pochi mesi. È evidente che è un’infatuazione quella che hai per Ranma Saotome, se la conosci così bene!”

Si pentì subito di quel che disse, ma non aggiunse altro per permetterle comunque di farle assorbire tutte le sue parole accompagnate da un crescendo d’ira che non era riuscito ad arginare. Sembrò che il suo discorso sortì l’effetto desiderato, perché Shan Pu prese ad osservarlo attonita, incapace di spiegarsi come mai Mousse riuscisse a capire quel che le passava per la testa meglio di chiunque altro, perfino della sua bisnonna, e senza l’aiuto di nessuna cerimonia.

Sentendosi in trappola, la giovane amazzone optò per una via di fuga, lasciandosi dietro l’amico d’infanzia.

Di certo, rifletterà su questo, pensò Mousse. Ma se aveva la certezza che la ragazza avrebbe fatto i conti con le nuove scoperte, aveva il serio dubbio che non avrebbe mai imparato a accettarle.

 

 

 

“Scusami se ti ho dato quella gomitata. Non ne ero molto consapevole.”

“Beh, allora se fossi stata in te me ne avresti data una peggiore” asserì Ranma mestamente.

Erano nel giardino del palazzo, seduti sull’erba, e nonostante il crepuscolo ottenebrasse un po’ il mondo circostante le coste del Giappone erano perfettamente visibili, al di là della spiaggia. E Akane era contentissima di tornare a casa e di proseguire con la sua strampalata vita. Ma al contrario, lesse nella mente di Ranma un certo sconforto, come se il ritorno alla normalità fosse una sorta di impedimento alla soluzione del suo problema. Era evidente che qualcosa aveva occupato tutti i suoi pensieri, dimenticando perfino i dolori fisici. E la ragazza non faticò molto per capire di cosa si trattava.

“Mi dispiace...”

Esterrefatto, il ragazzo con il codino le rivolse uno sguardo interrogativo, e davanti ai suoi occhi inquisitori Akane si sentì più colpevole che mai.

“Per cosa?” chiese innocentemente Ranma.

“Non fare il finto tonto,” replicò la giovane. “Mi dispiace che l’occasione di rompere la tua maledizione ti sia sfuggita di mano.” Si strinse le gambe al petto, trovando le sue ginocchia terribilmente interessanti. Percepirlo dibattersi dalla frustrazione era troppo.

“Ancora con questa storia? Akane, è andata ormai. Non me ne importa più, adesso.”

“Bugiardo!” obiettò lei “Sei triste da giorni per questo, e si vede troppo chiaramente per provare a nasconderlo!”

Le sue parole lo colpirono come un dardo infuocato. Distinguere la realtà dall’illusione: era questo che Tohma aveva detto. Facoltà di leggere le emozioni. Se prima era in grado di capirlo più di chiunque altro, ora non le si poteva nascondere niente. Cominciò a mettergli una seria inquietudine addosso, ma tentò di non scomporsi. Piuttosto, forse sarebbe stato meglio se avesse cercato un modo per starle più alla larga possibile, anche se francamente non sapeva da che parte iniziare. Non c’era modo di capire se Akane si rendesse conto del suo stato d’animo anche a distanza grazie alla prepotenza con cui si manifestava.

Il desiderio di avere quell’acqua era ancora troppo vivo e pulsante perché Akane ne potesse rimanere indifferente.

“E va bene, Akane!” sbottò infine. “Sì, voglio la Nannichuan o qualsiasi altra acqua che mi faccia riacquistare la mia virilità completa come mi è necessaria l’aria che respiro! Hai ragionissima, non hai mai detto una cosa più vera di questa!”

Akane incassò il colpo senza ribattere. Percepì ogni singolo frammento di abbattimento riversarsi sul quel letto di angoscia spontanea con un’intensità tale da scuoterla e farle venire ancora una volta le lacrime agli occhi.

Una volta assicuratale la salvezza, Ranma aveva pensato a lungo alla mancata occasione senza però rimpiangerla: avrebbe trovato un altro modo per ritornare un uomo completo in un secondo momento. “Ma troverò un altro modo, Akane,” disse, infrangendo con il pollice una lacrima sfuggita della fidanzata “e se non dovessi riuscirci, pazienza. Ma non ho intenzione di farti rischiare ancora. Non voglio che tu debba addossarti una cosa simile, per di più per colpa mia. Penso tu già lo sappia. Trasformarsi non è uno scherzo, e non è affatto facile conviverci. E poi, Akane lo è già, un maschiaccio” concluse ironicamente.

Akane pianse, commossa dalle sue parole. Non c’era la minima sbavatura psicologica in quel che Ranma le aveva detto. Il ragazzo era molto più sincero di quanto potesse mai immaginare con le sue sole forze.

“Quindi... mi è sembrato di capire che a causa della cerimonia... ora tu... sai... tutto? Tutto quello che sento io, e quello che provo?” balbettò, il volto paonazzo che lasciava trasparire quel che intendeva fin troppo palesemente.

“Tutto tutto!” affermò Akane, divertita. Si asciugò da sola il viso bagnato, consolata dalla faccia buffa che aveva di fronte. “Però, voglio sentirmelo dire. E non solo che mi consideri la tua sola fidanzata...” continuò, un lieve rossore a colorarle le gote.

“Oh, no!” replicò Ranma spaventato “Forza, vieni con me!” disse tirandola in piedi. “Andiamo dal principino a vedere cosa si può fare per annullare questa cosa!”

“Ma smettila!” rise Akane, dandogli uno schiaffo sul braccio. “Tanto ormai lo so che mi a...”

“No! Non dirlo!!”

“E va bene... che ti piaccio.”

Aveva voglia di sorridere, di ridacchiare fra sé lasciando che le sue guance s’imporporassero; e non le importava affatto che Ranma negasse quel che provava nei suoi confronti. L’aveva fatto tutta la vita, ed ora Akane non pretendeva che dichiarasse ogni cosa ai quattro venti tutto d’un tratto.

“Ma che vai farneticando?! Non è che mi piaci soltanto...”

Non credendo alle proprie orecchie, Akane si lasciò sfuggire una risatina dolce con una velata dose di malizia. E solo allora Ranma si rese conto di aver detto qualche parola di troppo. Provò a fuggire, ma incespicò nelle folte nuvolette di cespugli che gli sbarrarono la strada, costringendolo a non avere altra possibilità che soccombere alla vegetazione. Quel che ne derivò fu un fruscio di foglie e un lieve stridio di rami che impigliarono il ragazzo e lo fecero rovinare a terra.

“Ranma, tutto bene?” chiese Akane accovacciandosi, scostando alcuni rametti per vedere quanto era successo. L’unica risposta che ricevette furono indistinte imprecazioni ovattate dalla spropositata quantità di foglie nella bocca del malcapitato. Ranma sputò le foglie temendo di soffocare.

“Dovresti stare più attento a ciò che dici, anche se con me ormai non riuscirai a camuffare granché!” rise la giovane. Un colpo secco arrivò sulla schiena di Ranma, talmente forte da coglierlo impreparato e fargli perdere l’equilibrio in avanti. Il primo riflesso fu quello di protendere le braccia in avanti per attutire la caduta, ma l’intervento di Akane lo prevenne. Gli afferrò le spalle, sospingendolo con il benché minimo sforzo per permettergli di assumere la posizione seduta.

“E dovresti riposare. Immagino ne avrai abbastanza per oggi.”

 

 

 

“Non ho mai preteso molto dalla vita, sai Ryoga? Volevo soltanto che Ranma si prendesse cura di me come aveva promesso, e che mi amasse come pensavo di meritare. A quanto pare, non merito di essere amata.”

“Sbagli, Ukyo. E di grosso, anche. Tu meriti molto, non solo un uomo che ti ami. Ma sai, non si può pretendere che le cose vadano sempre come vogliamo. Io volevo che Akane fosse mia, ma non me la sento di provare ancora a dividerli, non quando li vedo così affiatati. Ed allora rammento a me stesso che non c’è speranza per me, e che farei meglio a lasciarli vivere in pace.”

“Lo vedo e lo sento, adesso” asserì Ukyo rattristata, mentre osservava l’uno arrabbiarsi con l’altra. Non si rese conto che Ryoga si era avvicinato a lei di un passo per catturare la sua attenzione. “E non posso che darti ragione, anche se francamente non mi spiegherò mai il perché di questo eterno tira e molla. Quel flusso di amore...” si bloccò, portandosi una mano sugli occhi affinché non piangesse ancora.

Ryoga continuò per lei, tirandole via la mano. “Quel flusso di amore c’è sempre stato. Siamo stati noi sciocchi che non volevamo accettarlo.”

“Come mai hai cambiato idea con tanta facilità?” domandò la giovane cuoca. “Tu non hai ricevuto questa capacità di percepire i sentimenti altrui. Io li ho avuti, eppure non me ne capacito...”

“Perché con il passare del tempo ho capito che non è in mio potere dividerli, e adesso meno che mai. Da quando la conosco, Akane ha sempre avuto solo Ranma nella testa: perfino quelle volte in cui prendevo il coraggio a due mani per confessarle che l’amavo. Ma lei, qualsiasi cosa mi dicesse, sia in veste di uomo che di P-chan, riguardava sempre lui. Era chiaro che per me non c’era spazio, così come non c’è mai stato per te o per le altre nella mente di Ranma; e non ci vogliono dei poteri per capirlo.”

Inavvertitamente, come se le azioni della coppia lontana volessero dar corpo al discorso fra i due amici, Ryoga ed Ukyo videro Akane baciare una guancia di Ranma, e videro Ranma rimanere sbalordito e poi sorridere.

Ryoga sfoggiò un sorriso a sua volta, ma decisamente più mesto, quasi doloroso. Lo sguardo della giovane Kuonji si spostò verso un punto imprecisato per togliersi Ranma dalla visuale; ed incontrò una mano dell’eterno disperso abbandonata lungo il fianco. Risalì lungo il braccio, soffermandosi sulla sua bocca, ora contratta in una smorfia di mortificazione. Ukyo non faticò a rendersi conto che era lui quello che stava peggio fra i due.

“Ho paura che c’è qualcun altro che ha bisogno di consolazione” disse la ragazza con tono comprensivo. Gli prese la mano terribilmente fredda, incitandolo a lasciare Ranma e Akane a loro stessi.

“Forza, andiamo a mangiare qualcosa” propose. “È stata una giornata lunga, dovremmo metter qualcosa sotto i denti.”

 

 

 

 

 

 

 

 

NDA

Sì, linciatemi pure. L’idea non è granché, ma aleggiava nella testa e l’ho tirata fuori. xD

Ci ho messo tanto, è vero, ma sono stata un po’ di giorni a corto di ispirazione ed altri impegnata. Ad ogni modo, ringrazio tutti quelli che mi hanno solo letta, seguita, preferita, ricordata e recensita! A dispetto delle aspettative, siete in tanti! :)

Scusate se ci sono degli errori. :*

 

 

 

 

   
 
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