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Autore: NikiNiky    25/06/2015    4 recensioni
Una vita in cambio di un'altra. Per le persone a cui si vuole bene tutti facciamo dei sacrifici, ma dove siamo pronti ad arrivare?
Storia ambientata alla fine dell'anime con alcun riferimenti al manga, per tutte le informazioni cliccate :)
PER CHI AVESSE LETTO PRIMA LA STORIA: I DIALOGHI SONO STATI INSERITI CORRETTAMENTE
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mikan Sakura, Natsume Hyuuga
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Salve:)
Eccoci qui con il secondo capitolo!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto l’inizio della mia storia e mi scuso per il problema che si è creato con i dialoghi. Adesso è tutto risolto ;)
Buona lettura!



Ero stata una pazza, una sconsiderata. Chiunque avesse saputo una cosa del genere avrebbe consigliato di farmi internare e non avrebbero avuto nemmeno torto! Offrirmi totalmente a persona, solo una cretina avrebbe potuto farlo. Infatti eccomi qui, regina di tutti i più idioti del pianeta. Poi però ripensai a perché avessi preso questa decisione e tutto assunse senso, io lo facevo per Natsume, perché riuscisse ad avere finalmente quella pace di cui io avevo goduto fino ad allora. Certo, non ero grande, solamente dieci anni, ma meglio quello che niente. Mentre tutto questo casino mi turbinava in testa non mi accorsi che mi dirigevo nuovamente da lui. Entrai nella sua camera e mi sdraiai lontano da lui nel letto, in modo che non si accorgesse della mia presenza. Lo facevo spesso quando tornava dalle missioni, così, per assicurarmi che stesse bene; anche perché altrimenti diventavo troppo ansiosa e non riuscivo a dormire, quindi raggiungerlo diveniva l’unico modo per riuscire a chiudere gli occhi. Ero stata quasi totalmente travolta dalle braccia di Morfeo quando sentii un braccio cingermi la vita e un busto sbattere contro la mia schiena. Non era mai successo che si accorgesse di me, di solito riuscivo a svegliarmi talmente tanto presto da essere già in camera mia al suo risveglio. << Sto bene, non ti devi preoccupare per me. Te l’ho detto mille volte, devi stare lontano da me e dal mio mondo oscuro. >>  Già, mondo oscuro in cui mi stavo totalmente per mischiare nel giro di quarantotto ore. Complimenti Mikan. Mi voltai verso di lui in modo da poterlo vedere bene e scorgere realmente il suo aspetto da bambino di 10 anni quale era. Di notte assumeva sempre un’aria più innocente, quasi angelica, per poi il mattino dopo riprendere la sua solita aria controllata e matura di sempre. Rimanemmo così per un po’, senza fare nulla, ad osservarci nella maniera più semplice del termine. Poi all’improvviso i suoi occhi si illuminarono. << Ho trovato questa durante la missione, tienila, io non so davvero che farmene >>. Era una collana a laccio lungo che aveva come ciondolo una specie di contenitore su cui era disegnata una rosa, tutto tendente al bronzo. Era bellissima. <<  La terrò sempre con me. >> Lui non capì il senso delle mie parole, ma io misi al collo la collana con la certezza di non toglierla più. Dormimmo tutta la notte abbracciati, con l’innocenza che solo i bambini possono avere. Quando arrivò l’alba capii che era ora di andare e di salutarlo, forse per sempre. Lo abbracciai stringendolo forte a me, annusando il forte odore di menta che lo caratterizzava per poi posargli un bacio sulla guancia. Lui non si accorse di nulla continuando a dormire beatamente. Con quell’ultima visione di lui uscii dalla camera.
Passai tutto il giorno ad essere particolarmente triste e cercando di salutare tutti senza far rendere realmente conto a tutti delle mie intenzioni. Abbracciai molta gente, da Ruka a Tsubasa. Parlai con il signor Narumi, gli dissi che gli volevo bene e lo chiamai papà.
Per la sera mi ero riservato uno dei momenti più difficili in assoluto. Hotaru. Non le avrei detto niente, ma sapevo che forse non avrei mai più avuto l’occasione di vedere quel suo sorriso, quei capelli corti e tutte quelle strane invenzioni pensate appositamente per me. Mi sciolse le codine e mi pettinò i capelli. Aveva intuito che qualcosa non andava, ma mi lasciò fare. Passammo una serata tranquilla, tra qualche battuta e tante chiacchiere, finchè non arrivò l’ora di andare in camera mia. La abbracciai forte e cominciai a piangere. Mi stinse a se e mi disse che qualsiasi cosa sarebbe successa l’avrei affrontata con a solita tenacia e testardaggine che mi hanno sempre caratterizzata. Era arrivata l’ora di andare.
Dopo aver preso le mie valigie in camera scesi giù dove ad aspettarmi c’era Persona. Non una parola. Salimmo in macchina e rimanemmo in religioso silenzio fino all’ora successiva, quando arrivammo in un grande casale nella periferia della città. Ampi spazi verdi inumiditi dalla presenza di un fiumiciattolo, era davvero un bel posto. L’interno del casale arredato in stile rustico, molto diverso da quello dell’accademia. Mi sentii mancare il respiro: non ero più nel mio luogo sicuro. Fui invitata ad andare a sistemare tutto in fretta nella mia nuova camera. Essenziale, era la prima parola che mi venne in mente vedendola: un grande letto un armadio e una scrivania, tutto sulle tonalità del noce.
Mi lasciarono un po’ di tempo per ambientarmi, familiarizzare con i luoghi che avrei definito ‘’casa’’ per i prossimi anni. Nel pomeriggio dovetti andare nell’ampio giardino dove si svolse un’introduzione al mio futuro allenamento. << Visto che non sei minimamente allenata per un anno non andrai in missione, ma nell’arco di questo tempo dovrai diventare una macchina da guerra. Quello che ordinerò tu farai, nesun pensiero, nessun rimorso, nessuna pietà. Ti potrai ritenere completa quando, se mai succederà, riuscirai a battermi.>> Persona era stato chiaro, coinciso e glaciale. Annuii e mi misi subito a lavorare.
Tra corse sfiancanti, addominali e simulazioni di lotta passarono i miei primi mesi per la preparazione alle missioni. Ero sempre stanca, ricoperta di lividi ed escoriazioni, ma a nessuno importava. Di certo Persona non ci andava leggero, anzi, più vedeva che ero stanca, che ero abbattuta, e più lui rincarava la dose. Arrivai ad avere un grave trauma cranico per quanto mi aveva fatto male un giorno. Quando non mi allenavo piangevo stringendo la collana di Natsume. Era tutto molto grigio.
Le cose migliorarono solo quando una notte, ancora in dormiveglia, sentii qualcuno infilarsi nel letto con me. Stavo per reagire quando mi accorsi che era solo un bambino, un bambino dall’aria molto familiare. Capelli color argento, sguardo sempre serio…Yoichi. Ancora di più mi resi conto della brutalità delle persone con cui aveva a che fare. Era così piccolo. Non disse nulla, non c’era bisogno che mi raccontasse cosa gli era accaduto, la storia era la stessa, con l’unica differenza che io l’ho scelto spontaneamente. Si accoccolò al mio fianco e mentre io avrei dovuto infondergli sicurezza, stranamente, con la sua presenza vicina, al sicuro mi ci sentii io.
 
Nel frattempo all’Alice Accademy in questi tre mesi molti si fecero domande su dove alcuni studenti fossero finiti, ma l’interrogativo maggiore era Mikan Sakura. Era l’unica scomparsa che non apparteneva alla classe di abilità pericolose. Molti rimasero perplessi, altri preoccupati. Soprattutto si dice che ci fu qualcuno di talmente tanto sconvolto che fece scoppiare un fortissimo incendio, aggravando le proprie condizioni di salute.
  
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