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Autore: Assasymphonie    25/06/2015    2 recensioni
Odoravano di muffa e di decomposizione, di un passato irripetibile e narravano vite di santi, nomi consacrati e di schiere angeliche con spade fiammeggianti ed ali sul capo chino.
"Mikaela, Colui che è (come) Dio".
[ Mikaela-centric ]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mikaela Hyakuya
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo del capitolo: I'm not.
Personaggi:  Mikaela Hyakuya
Rating: Giallo
Note dell'autore: One-shot / Introspettiva / Angst / Drammatica
Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà dell'autore; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.


.I'm not.


" Mikaela".
Aprendo la Bibbia sulle cosce tese, le pagine scorsero da sole davanti agli occhi color indaco. Pagine vecchie, pagine bruciate, pagine dimenticate dall'umanità che calpestava avida il suolo sopra la sua testa.
Odoravano di muffa e di decomposizione, di un passato irripetibile e narravano vite di santi, nomi consacrati e di schiere angeliche con spade fiammeggianti ed ali sul capo chino.
"Mikaela, Colui che è (come) Dio".
Un sorriso ironico modellò quelle labbra sottili, davanti alla luce fioca e gialla della candela baluginò appena il biancore di denti nuovi ed odiati, vecchi ed amati; ironia verso sé stesso, verso quelle pagine che gli stavano urlando una verità troppo pressante.
Chiuse la copertina pesante ed arrossata dal sangue versato -per i peccatori come lui?-, lasciò quelle pagine al loro destino in una biblioteca ammuffita, distrutta, decrepita ed accogliente come un utero marcito; abbandonò l'alveolo per alzare lo sguardo sulle stelle crudeli sopra di sé, per tendere una mano a carezzare il vento gelido.
« Io non sono Dio. »



A chi voleva rivolgersi con quella domanda aleggiante nello spazio tra sé e il muro scurito dalla notte? Non aveva neppure la panacea di un interlocutore silenzioso al di là della propria immagine riflessa, in uno specchio ornato troppo pesantemente e troppo pesantemente pieno del suo stesso viso, del suo corpo seduto sul materasso cigolante.
Ciglia lunghe e chiare come l'alba fluttuarono sugli zigomi mentre dita da pianista, troppo sottili e delicate per appartenere ad una decadenza, facevano scivolare via, lontani, dalle asole i bottoni madreperlacei della camicia che pareva non volersi togliere mai. Nero giaietto contro un candore di peccato scivolò, mostrando generoso alla luce avida della candela la rotondità di una spalla, il profilo tagliente di una clavicola, la tensione di un muscolo pettorale congelato in un'eternità maledetta.

« ... » Come poteva quel corpo rassomigliare a Dio? Come avrebbe potuto un circolo di sangue interrotto per sempre, un cuore che per inerzia ancora umana pompava sangue in un cadavere eterno anche solo avvicinarsi a quella perfezione che solo gli angeli, solo i Serafini, potevano guardare senza bruciare, suonare le trombe per Lui senza essere annientati?
Le dita lasciarono andare la stoffa liscia per sfiorare, refrattarie, la pelle lucida e luminosa, sondarne le pieghe, giocare con un pettorale che neppur pareva loro parente. Premette il palmo su di esso, provò a sentire quel cuore che ancora, ancora!, gli apparteneva e gli ricordava cosa non avrebbe mai dovuto abbandonare. Una tenacia così egoista da fargli tremare il respiro in gola, emettere un suono strozzato a metà tra il vagito dei neonati e il lamento dei morenti che per anni e anni aveva riempito i suoi sogni. Sentiva le unghie laccate d'eterno lacerare la carne, percepiva rivoli di sangue lungo i vestiti, sul pavimento umido di passi sempre uguali.

La fiamma della candela vacillò al suono della risata del ragazzo, per un attimo il tempo e lo spazio sembrarono creparsi in un suono ruvido, divertito e disperato nel medesimo tempo: umano, vampiro; mostro, angelo, demone, diavolo... non sapeva cosa fosse diventato, ma era perfettamente consapevole di quello che non sarebbe mai stato. Rialzò le pupille violette nella luce ondeggiante ed incerta, quasi interrogativa, specchiandosi ancora in quel grande vetro crudele, posizionato forse apposta, scherzo orribile di un fato che mai avrebbe potuto combattere, e si avvicinò.
Un passo dopo l'altro, rumore attutito di piante nude sul freddo pavimento, le dita sporche di sangue tracciarono cinque lunghe righe verticali sul suo viso, sul suo cuore, sui suoi occhi tristi e vasti come il mare d'inverno. Mikaela sapeva cosa non era.
« Io non sono Dio. »
Ma, nel dirlo, qualcosa si incrinò; l'egoismo urlò dalla sua gabbia di umanità ricordandogli, con una risata sommessa e un voltare le spalle a sé stesso che no, mai sarebbe stato Dio.

"Mikaela, colui che (non) è Dio".

Ma che seguitava a comportarsi come tale nei confronti di chi, Dio, lo avrebbe potuto guardare negli occhi. Egoismo che lo avrebbe portato a strappare Yuuichiro da quella cerchia a cui appartenevano entrambi, egoismo che avrebbe permesso a Mikaela di sporcare ancora di più quelle ali già macchiate dai peccati altrui. Sporcarle di sé stesso.

"Mikaela, colui che di Yuuichiro voleva essere Dio".

.Fine.

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Note necessarie: questa è la mia personalissima visione di Mikaela Hyakuya.
Siete liberissimi di essere d'accordo o meno, ma desidererei che si evitasse di dirmi che non ho capito niente
e simili.
Non per qualcosa, ma questa visione del personaggio è tutto meno che campata per aria.
Grazie dell'attenzione.

   
 
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